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Artfully performed silviculture to meet the objectives set by the national forest strategy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 17, Pages 56-57 (2020)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0058-017
Published: Jun 03, 2020 - Copyright © 2020 SISEF

Editorials

Abstract

In Italy, in these days, the National Forest Strategy (SFN) is being developed, which takes sustainable forest management as a reference to ensure the conservation and use of forests. Artfully performed silvicultural treatments are required to meet the challenging SFN objectives, we highlight here.

Keywords

Italy, National Forest Strategy, Sustainable Forest Management, Silviculture

 

Si è conclusa, in questi giorni, la consultazione pubblica sulla bozza di strategia forestale nazionale per il settore forestale e le sue filiere (SFN), come previsto dal decreto legislativo (n. 34 del 3 aprile 2018) che ha ridefinito il quadro normativo per il settore forestale. Numerose sono state le occasioni di dibattito che hanno contrassegnato un percorso meritoriamente partecipativo e ampiamente condiviso dai numerosi operatori e portatori di interesse. La SFN è caratterizzata da un’idea di sviluppo fondata sulla gestione forestale sostenibile: nelle sue diverse articolazioni, è questo il metodo di riferimento per garantire una conservazione e un uso delle nostre foreste che siano congiunti al progresso socio-economico dei territori che le ospitano.

La gestione sostenibile delle foreste, attraverso gli strumenti appropriati, la pianificazione forestale e la selvicoltura soprattutto, sarà poi declinata in funzione delle caratteristiche dei boschi, degli orientamenti dei servizi forestali regionali, che mantengono le loro competenze, delle aspettative dei proprietari, della sensibilità dei tecnici, delle specifiche esigenze ambientali, ecc. Verranno stabiliti criteri minimi, vincoli per assicurare la coerenza con le più ampie convenzioni a scala europea e internazionale, negli specifici progetti si definiranno i requisiti da rispettare, e così via: ma si tratterà di un quadro all’interno del quale esisterà discrezionalità negli approcci e nelle scelte, e in cui potrà esercitarsi la scienza, la tecnica e la coscienza di chi avrà il compito di operare.

Detto questo, leggendo la SFN un fatto ci pare evidente: il raggiungimento di alcuni dei suoi obbiettivi più importanti richiederà che nei nostri boschi si ricominci (incominci?) a fare selvicoltura, una selvicoltura a regola d’arte. Non insorgano i colleghi di quei distretti dove questa selvicoltura si è abituati a farla, conosco bene i casi: ma non posso considerarli rappresentativi di una situazione che, a scala italiana, è diversa. In molti, troppi casi, in Italia, si è fatto, si fa, molto taglio del ceduo, qualche banale diradamento sul piano dominato quando i Comuni devono far cassa; recentemente, in qualche caso da non prendere ad esempio, utilizzazioni meccaniche per ottenere biomassa da immettere in un mercato dell’energia dopato dai contributi pubblici, e poco di più. Per il resto, gran parte dei nostri boschi è rimasta, negli ultimi decenni, in evoluzione naturale: in diverse situazioni e per molti aspetti, su cui qui non ci dilunghiamo, non è stato, sul piano ecologico e prescindendo dalle problematiche socio-economiche al contorno, un male.

Ora, la legge quadro e la SFN prefigurano un cambiamento, con obbiettivi/azioni ambiziose nel quadro della gestione forestale sostenibile. Qualche esempio di quello che si desidera: aumento della diversità biologica, resilienza agli eventi climatici, agli incendi e ad altre avversità, boschi climaticamente utili, prodotti per la bio-economia, protezione idrogeologica, turismo, servizi ecosistemici, rinaturalizzazione, ecc. Tutto pienamente condivisibile, se è chiara una cosa. Questi obiettivi sono raggiungibili, caso per caso, a seconda di come i boschi sono fatti: a seconda della loro composizione specifica e struttura, di quanta biomassa c’è, di come l’accrescimento si ripartisce fra gli alberi, di com’è la forma dei fusti e di quanti nodi ci sono nel legno; a seconda della tessitura del popolamento, della rinnovazione naturale, e potrei dilungarmi.

Tutte condizioni che se ci sono va bene (ma bisogna conservarle) se non ci sono bisogna raggiungerle o promuoverle con adeguati interventi colturali, facendo quindi selvicoltura. Il punto è che in diversi casi bisognerà fare una selvicoltura (della fustaia) che in molti posti non siamo abituati a fare, o perché ce ne siamo dimenticati o, più probabilmente, perché non è mai stata fatta: si tratta di un’attività impegnativa sul piano della progettazione, delle decisioni e dell’operatività.

Se parliamo, ad esempio, di promozione della biodiversità in una fustaia adulta, quanto è diffusa l’esperienza richiesta per procedere alla manipolazione della copertura (con il taglio di piante grosse della specie dominante) e alla creazione dei gaps necessari al reclutamento di questa o quella specie sporadica? Quanto sappiamo gestire il microclima dei margini e le condizioni ecotonali per far si che le specie ancora confinate nel piano inferiore possano accedere ai piani superiori di chioma? Se parliamo di produzione e assortimenti legnosi, quanto è diffusa l’esperienza necessaria per l’educazione del popolamento attraverso i diradamenti alti e la gestione fine del soprassuolo accessorio, se vogliamo diversificare una popolamento transitorio, quanto è diffusa l’esperienza sui diradamenti saltuari? E via dicendo, anche qui potrei andare avanti con qualche fondamentale di selvicoltura rimasto intrappolato nei manuali.

Non si tratta solo di problemi legati alle conoscenze ed esperienze tecniche del singolo operatore, che caso mai è bravissimo e comunque si può facilmente formare frequentando un ambiente dove queste cose si fanno in modo routinario. Si tratta del fatto che in molti casi manca il “clima” culturale all’interno del quale, in una sinergia fra amministrazioni, tecnici dei servizi, professionisti, ecc. la selvicoltura (della fustaia) sia eventualità minimamente considerata e praticata. Quello che noto andando in giro e interagendo con gli addetti: quasi tutti bravissimi ad avere, sullo smartphone, dati, mappe, GIS, ecc., quasi tutti restii ad applicare le conoscenze dell’ecologia forestale (così ampie ormai) a decisioni colturali di un certo rilievo. Non per colpa del singolo, ma per la timidezza “ambientale”: non mi dilungo, penso il concetto sia chiaro.

Questa selvicoltura sia al centro di impostazioni gestionali evolute ([1]), che consentano di affrontare con efficacia le questioni che riguardano i nostri ecosistemi forestali, e le sfide che la loro gestione deve considerare in un quadro ambientale e sociale variegato e in cambiamento. Nei principi e nei metodi di queste impostazioni possiamo trovare il modo di assecondare la natura senza ricorrere a modelli di riferimento che ci confinino in frustranti aporie, di rispettare gli indicatori e le linee guida, così ricorrenti nelle direttive europee, senza restarne intrappolati, di sfuggire a schematismi pericolosi legati a scelte colturali mono-obbiettivo, di evitare prematuri programmi di ridiffusione e assistenza artificiale [per inciso, qualsiasi programma di migrazione assistita, di cui si sente parlare, dovrebbe essere preceduto dall’acquisizione di adeguate conoscenza sulla variabilità genetica delle popolazioni forestali, tuttora carenti per la maggior parte delle nostre specie, ad evitare effetti decisamente controproducenti]; ancora: di valorizzare la professionalità dei tecnici forestali, di fronteggiare la delicata questione della gestione delle foreste nelle aree protette e la promozione della biodiversità, quella dei boschi vetusti, di contrastare la visione della foresta come semplice deposito di energia da sfruttare, di comprendere che gestione responsabile significa sì dare delle risposte ai bisogni della società, ma talvolta anche accettare la strada del silenzio e dell’attesa. Non dimenticando che si tratta di approcci efficaci per comporre conflitti fra impostazioni culturali e sensibilità ambientali differenti.

Prudentemente, per diverse delle sue azioni, la SFN è stata impostata su tempi medio-lunghi. Pare che qualcuno abbia detto: l’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli italiani. Non penso di sbagliare troppo scrivendo: la legge forestale è fatta, adesso iniziamo a fare selvicoltura, a regola d’arte.

References

(1)
Borghetti M, Coll L, Keeton WS, Messier C, Nocentini S (2019). Round Table - New theories in silviculture. figshare. Media.
CrossRef | Google Scholar
 
 
 

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