Actual or virtual habitats? Commentary to “Manual for monitoring species and habitats of EC interest (Directive 92/43/CEE) in Italy: habitats”
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 13, Pages 59-61 (2016)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0081-013
Published: Oct 26, 2016 - Copyright © 2016 SISEF
Editorials
Abstract
This is a letter sent recently to the authors of the “Manuals for monitoring species and habitats of EC interest (Directive 92/43/CEE) in Italy: habitats”. Critical comments are raised about the description of Apennine beech forests with Taxus baccata and Ilex aquifolium (Habitat 9210*) and the methods proposed for forest measurement and sampling. The described scenario about this forest habitat is considered unrealistic.
Keywords
Habitats, Apennine beech forests, Conservation, Forest management
Abbiamo sfogliato con interesse il volume “Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario (Direttiva 92/43/CEE) in Italia: habitat” ([1]), recentemente pubblicato, in quanto interessati per motivi di ricerca e professionali alle problematiche della conservazione e gestione sostenibile delle cenosi forestali. Del volume si apprezza il grande sforzo di sintesi nella raccolta e gestione di una enorme mole di dati a scala nazionale. Peraltro, soffermandoci sugli habitat forestali abbiamo rilevato alcuni aspetti critici che ci permettiamo di segnalare allo scopo di avviare uno scambio proficuo di opinioni.
Con prospettive distinte ma anche sinergiche, nell’ambito dell’ecologia e della gestione forestale, grazie anche alle attività del progetto FORESTPAS2000 del MIPAAF ([2]), ci siamo occupati specificamente di faggete appenniniche, fra le quali numerose sono inquadrabili come habitat 9210 *Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex (o in misura minore come 9220* Faggeti degli Appennini con Abies alba e faggete con Abies nebrodensis). Insieme a colleghi e collaboratori di varia estrazione e professionalità abbiamo avuto la possibilità di visitare e campionare numerose faggete dell’Italia centrale (dal Molise all’Emilia Romagna) ed in misura minore nell’Italia meridionale (Basilicata), localizzate lungo un gradiente altitudinale dal piano montano (a volte collinare e sub-montano per quelle azonali) al limite superiore del bosco (sia esso antropogeno o climatico). Proprio per queste esperienze dirette sul territorio appenninico abbiamo incontrato notevoli difficoltà a condividere diversi aspetti riportati nel manuale, limitandoci ad indicarne alcuni, particolarmente critici, relativi alle faggete 9210, le più diffuse in ambito appenninico.
Nel paragrafo di “Descrizione” dell’habitat tali faggete sono collocate preferenzialmente nel piano montano inferiore e caratterizzate da un bioclima supratemperato e/o mesotemperato. In tutte le aree che abbiamo visitato le cartografie della Rete Natura 2000, predisposte dalle diverse regioni indicano la presenza di tale habitat anche in faggete altomontane a quote di 1500-1600 m slm fino al limite superiore del bosco.
Nel paragrafo su “Criticità e Impatti” l’immagine descritta è quella di cenosi molto compromesse, condizione che non sembra trovare riscontro nella grande variabilità floristica (e quindi strutturale) e nello stato di conservazione indicato, che appare tutto sommato discreto, di cui si riferisce in altre parti della scheda.
L’impatto principale è attribuito alle “pratiche selvicolturali lontane dalla naturalità”, frase di per sé erronea in quanto non esistono pratiche naturali o non naturali. Analogamente ad un incendio, una valanga o un uragano, un intervento selvicolturale costituisce un disturbo al sistema e può essere più o meno impattante a seconda dell’intensità e della frequenza della perturbazione, nonché dalla capacità di resistenza e resilienza della cenosi forestale. In Italia centrale gran parte di queste faggete sono cedui fuori turno, altri sono boschi promiscui ovvero cenosi più rade e utilizzate per scopi diversi (pascolo, legname, ecc.), mentre altri ancora sono cedui in conversione o fustaie transitorie. Tutti sono stati o sono tuttora caratterizzati da processi di abbandono colturale che risale mediamente agli anni 60’-70’ (in qualche caso anche agli anni ’€˜50). La semplificazione strutturale di tali cenosi deriva proprio da interventi troppo uniformi e distonici da obiettivi di miglioramento funzionale, a volte indicati proprio da documenti e linee guida regionali per la gestione delle aree Natura 2000. Inoltre, una cospicua parte di tali superfici è oggi inclusa in aree protette e quindi sottoposta a vincoli diversi che ancora incentivano le conversioni a fustaia coetanea o il proseguimento dell’abbandono, piuttosto che una gestione specifica finalizzata alla diversificazione strutturale. Il conseguimento della disetaneità (ma sarebbe più corretto parlare di disetaneiformità o irregolarità strutturale), non può essere obiettivo di breve-medio termine soprattutto in condizioni di libero sviluppo, ma eventualmente lo strumento per la diversificazione localizzata dei popolamenti, con le connesse diversificazioni funzionali (specie vegetali, coperture, accrescimenti, microhabitat, fauna, ecc).
“L’eliminazione della componente arbustiva” all’interno nel bosco non è imputabile ad interventi colturali o comunque di manomissione, ma al notevole aumento della copertura arborea e di biomassa (alcune cenosi hanno oltre 400 metri cubi di massa legnosa ad ettaro!) a seguito dell’abbandono. Il pascolo all’interno del bosco è praticamente vietato (forse disatteso in alcune realtà locali) e fortemente ridotto in gran parte delle aree montane appenniniche, come evidenziano i dati dei colleghi pastoralisti.
“Le strade o piste forestali” sono quelle di 50 anni fa; le ultime furono realizzate con i finanziamenti delle leggi sulla montagna per eseguire i rimboschimenti in montagna. Molto spesso la marginalità di numerose di tali zone e determina condizioni di incuria e di precarietà che le rendono poco praticabili anche con mezzi fuoristrada.
“L’erosione del suolo”, peraltro poco diffusa (molto localizzata) nelle aree visitate, può essere conseguenza dell’abbandono colturale e demografico delle aree in oggetto.
“La fruizione turistica non regolamentata” sembra evocare masse di escursionisti erranti con danni a suolo e soprassuolo che sinceramente non si evincono, almeno nell’Appennino centrale e settentrionale
“La presenza di ungulati” (sia cinghiali che caprioli, daini e cervi, a seconda della zone) può essere in alcuni casi eccessiva, ricordando peraltro che i danni sono/sarebbero soprattutto alla rinnovazione di faggio (che nel 9210 non è presente) e di abete bianco (che nel 9220 c’è, ma è già in difficoltà per la mancanza di luce).
Non è chiaro infine cosa significhi “frammentazione soprattutto in ambito collinare”; in questo piano il faggio non dovrebbe esserci per definizione, e la sua eventuale presenza (forre, vallecole con inversione termica, ecc.) è sporadica e limitata a cenosi azonali, già separate dall’areale principale da alcune migliaia di anni, come ci insegnano i palinologi (si vedano i lavori di Magri).
Infine, un rapido commento sulla note metodologiche riportate nel Box 7 (“Habitat forestali: Analisi dendrometriche”). Vi sono protocolli di campionamento consolidati descritti in dettaglio nel manuale di campo dell’Inventario Forestale Nazionale (INFC 2005) che potrebbero essere facilmente applicati (con opportune semplificazioni) al monitoraggio in oggetto, aumentando in modo significativo la valenza del dato raccolto. Vista l’importanza diagnostica attribuita all’analisi dendrometrica (al fine di avere nel tempo un quadro più completo anche sotto il profilo della struttura e della funzionalità dell’habitat), sarebbe opportuno specificare più precisamente dimensioni, intensità e distribuzione spaziale delle aree campione e soprattutto interpretare correttamente i dati raccolti e le loro variazioni spazio-temporali.
In conclusione ci sembra che lo scenario descritto nel manuale non sia idoneo a rappresentare una condizione media o diffusa delle faggete dell’habitat 9210 (come non lo è l’immagine utilizzata). Le faggete appenniniche (habitat 9210 e 9220), per le differenti vicende climatiche e socio-economiche regionali, sono sicuramente ben più diversificate ed in condizioni diverse da quelle prospettate.
Vista l’importanza delle tematiche in oggetto e la loro ricaduta in ambito gestionale, sarebbe opportuno comprendere meglio con quali metodi di valutazione gli autori siano giunti a tali descrizioni.
Nella speranza di poter avviare un costruttivo scambio di opinioni su questi ed altri aspetti specifici, siamo a disposizione per ulteriori chiarimenti.
References
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