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Forests, biodiversity, territory and environmental variations. Aims and activities in the Province of Matera, Italy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 110-129 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0264-0020110
Published: Mar 10, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Commentaries & Perspectives

Guest Editors: Matera Meeting (2004)
« Climate change and pollution: effects on the southern Italian forests »
Collection/Special Issue: Elena Paoletti

Abstract

The Province of Matera realizes the Regione Basilicata politics of natural and forest patrimony guardianship and promotes the net of protected natural areas. The Province of Matera is characterized by a wide range of ecosystemic variations, which correspond to stages of degradation and reconstruction of the vegetational dynamics. At present, the Province of Matera forest patrimony does not seem in conformity with the demand of supply for wood industries. On a functional basis, the forests assume a remarkable importance under the protective and aesthetic - recreational profile, and as a fundamental element of the environmental balance in an area affected by diffused and, in many cases, serious hydrogeologic disarrangements. The present study is aimed at providing some descriptive elements about the main vegetational traits of the Provincial territory, at underlining particular degradated situations, and at illustrating some actions for forest recovery and improvement. Generally, the forest needs urgent actions to reconstruct the forest coverage and to preserve and improve the vegetation, in equilibrium with the environmental characteristics.

Keywords

Biodiversity, Conservation, Mediterranean forest, Silviculture

Introduzione 

È ormai assodato che la conservazione della biodiversità costituisce un punto cruciale per lo sviluppo del territorio in relazione alle sue molteplici implicazioni socio-economiche e per le elevate interconnessioni con altre importanti problematiche ambientali.

L’intenso processo di “antropizzazione” del territorio ha raggiunto, oggi, notevoli proporzioni producendo evidenti effetti anche nel comprensorio della Provincia di Matera. La forte preponderanza delle attività umane intensive, che ha riguardato in particolare i territori di pianura, ha posto seriamente il problema della salvaguardia degli ambienti naturali, in particolare dei boschi.

Le profonde trasformazioni socio-economiche che hanno investito questi luoghi hanno determinato sostanziali modifiche all’assetto generale del paesaggio. La necessità di porre un freno allo sfruttamento eccessivo del territorio e delle sue risorse trova, proprio nella Provincia di Matera, remote origini, testimoniate dalla raccolta di norme e leggi contenute nelle Tavole Bronzee di Eraclea (IV-V sec. a.C.), il solo documento disponibile (da qui l’eccezionalità) sulla legislazione riguardante l’ecosistema forestale in epoca pre-romana. Tali norme, già all’epoca, miravano alla difesa e al riassetto dei terreni boschivi, limitavano i tagli nei boschi e nella macchia, regolamentavano l’esercizio del pascolo, proibivano nuovi dissodamenti e deviazioni dei corsi d’acqua, imponendo l’obbligo di mantenere puliti ed efficienti i fossati esistenti ([6]).

Oggi si fa sempre più pressante la necessità di definire piani strategici per lo sviluppo, la cura e la riconversione del territorio. Se da un punto di vista teorico gli obiettivi risultano abbastanza chiari, certamente più complessa ne risulta la realizzazione pratica, non tanto per motivazioni di ordine operativo, quanto, piuttosto, per le scelte politiche che precedono e condizionano quelle di tipo tecnico.

In rapporto a queste sintetiche considerazioni, la gestione delle risorse ambientali nel loro complesso e la ricerca di appropriate misure d’azione rappresentano una importante tappa per realizzare quegli obiettivi di conservazione e protezione attiva del territorio, con gli strumenti che possono scaturire dalle connessioni interdisciplinari proprie dello studio del territorio.

La realtà territoriale della Provincia di Matera è caratterizzata da un insieme abbastanza ampio di varianti ecosistemiche corrispondenti a stadi di degradazione e ricostruzione della dinamica vegetazionale, in un ambiente in cui le severe condizioni stazionali accelerano i cambiamenti sotto l’aspetto degradativo e in generale rallentano i processi di ricostituzione.

Se dal punto di vista strettamente produttivo, allo stato attuale, il patrimonio forestale della Provincia di Matera non sembra essere particolarmente rispondente alle esigenze dei settori di trasformazione del legno- sia per le caratteristiche tecnologiche degli assortimenti ritraibili, sia per l’esigua quantità ed eccessivo frazionamento dell’offerta che non potrebbe fornire quelle garanzie di stabilità quali-quantitativa nel tempo che invece sono indispensabili per le industrie di trasformazione -, sul piano funzionale il bosco assume una rilevanza notevole sotto il profilo protettivo ed estetico - ricreativo, quale elemento fondamentale dell’equilibrio ecologico - ambientale in un ambito territoriale interessato in maniera diffusa, e in molti casi grave, da fenomeni di dissesto idrogeologico. Volendo adottare una valutazione di carattere “riduzionistico”, e cioè scomponendo l’ambiente nelle sue parti elementari più direttamente valutabili, il territorio esprime un’interessante varietà di risorse naturali di particolare pregio che impongono una attenta pianificazione e gestione, in un contesto generale che rafforza, sempre più, l’insieme di tutte quelle prerogative che fanno delle aree forestali e delle risorse ambientali ambiti di valenza sempre maggiore, come testimonia, in modo chiaro, l’incalzante esigenza di fruibilità degli spazi naturali.

Scopo e metodo dello studio 

La Provincia di Matera quale Ente attuatore delle politiche regionali di tutela del patrimonio naturale e forestale e di promozione della rete delle aree protette, in coerenza con quanto stabilito dalle principali iniziative nazionali ed internazionali, è impegnata in una serie di progetti finalizzati non solo alla realizzazione degli obiettivi tecnici programmati ma anche allo sviluppo di azioni volte a tutelare e valorizzare le risorse naturali del territorio, nell’assunto che le risorse naturali, e in particolare forestali, costituiscono elementi basilari per la conservazione della natura e del paesaggio, della fauna selvatica, dell’assetto del territorio, della qualità dell’acqua e dell’aria.

Il presente lavoro intende fornire un quadro generale relativo alle principali e più interessanti caratteristiche vegetazionali della Provincia illustrando, nel contempo, gli aspetti critici e gli interventi che l’Ente sta attuando nel settore specifico.

Nella trattazione seguente verranno esposti i principali caratteri della copertura forestale secondo sintetici parametri dendrometrico - strutturali desunti dalle varie ricognizioni effettuate in bosco; vengono inoltre esaminati altri aspetti caratteristici, tra cui le aree di particolare interesse e pregio naturalistico, e illustrate le azioni principali che la Provincia di Matera sta attuando.

Caratteri generali del territorio della provincia di Matera 

L’ambiente fisico

Il comprensorio provinciale rientra nelle regioni montano - collinare del materano e piano - collinare della fascia jonica che potrebbero essere incluse entrambe nella fascia delle argille plioceniche. La parte dell’arco Jonico compresa tra i fiumi Bradano e Sinni rappresenta il tratto meridionale della fossa bradanica, situata tra l’Appennino e le Murge, con direzione N-O/S-E, e costituisce il riempimento di un braccio di mare avvenuto in parte nel Pliocene, in parte nel Quaternario ([10]). I depositi pliocenici caratterizzano le medie e basse valli dei principali fiumi; in molti casi la componente argillosa causa condizioni di dissesto idrogeologico. Le altitudini variano tra il livello del mare e 1100 m circa.

Le unità geologiche del comprensorio sono ricollegabili alla successione bradanica:

  • Argille subappennine: argille marnose e siltose.
  • Sabbie di Monte Marano: depositi sabbiosi a grana medio fine.
  • Conglomerato di Irsina: costituito da elementi litologici arrotondati cementati a sabbie.

Per quel che riguarda le caratteristiche idrogeologiche, le argille subappennine possono definirsi impermeabili, gli altri terreni sono da ritenersi da mediamente a scarsamente impermeabili.

La configurazione orografica di gran parte del territorio materano ha carattere prevalentemente collinare. Risultano piuttosto frequenti le forme di erosione irreversibile che necessitano di interventi di tipo idronomico per la sua stabilizzazione. Tali forme erosive hanno generalmente sezioni triangolari o forme differenziate trapezoidali o ad U, e presentano generalmente un avanzamento della testata regressivo (verso monte) ed in direzione laterale della sponde che spesso determina l’asportazione dei notevoli quantità di terreno in tempi relativamente brevi.

Il clima è di tipo mediterraneo, caratterizzato in generale da periodi di scarse precipitazioni in primavera - estate. Le zone collinari rientrano nel Castanetum (sottozona calda e fredda) e Lauretum (con le varie sottozone).

Il piano basale rientra nella sottozona calda del Lauretum, del secondo tipo, con siccità estiva, secondo la classificazione fitoclimatica di Pavari. Il pluviofattore di Lang e l’indice di aridità di De Martonne hanno fornito valori rispettivamente pari a 36.5 e 22.5. Secondo le applicazioni di questi indici a scopo fitogeografico, il primo valore è tipico della vegetazione della zona del Lauretum, il secondo corrisponde a foreste sempreverdi xerofile.

Lineamenti generali della vegetazione

In Basilicata, la diversa fisionomia assunta dalla vegetazione è da porre in relazione non solo al piano occupato ma anche e soprattutto al diverso substrato geologico. È riconoscibile, infatti, una fascia del calcare, i cui elementi più rappresentativi sono la catena del Volturino, il massiccio di Sirino-Papa, i monti Alpi e Ràparo, il massiccio del Pollino; una fascia del Flysch a dolce morfologia e delle argille plioceniche (basse valli del Bradano, del Basento, dell’Agri, del Sinni) che interessano in buona parte la Provincia di Matera. Il piano basale è rappresentato soprattutto nell’ambito della subregione dei calanchi pliocenici nel cui contesto è ben riconoscibile la presenza della vegetazione dell’oleastro-carrubo e del leccio. Nel piano basale possono essere incluse le aree pedecollinari della fascia argillosa pliocenica, tutte marcatamente incise verso le foci, dalle valli del Bradano, del Basento, del Cavone, dell’Agri, del Sinni. Segue infine l’area del litorale jonico che si estende per una lunghezza di circa 26 Km ed è caratterizzata da interessanti tratti in cui si insedia la tipica vegetazione psammofila, di cui si conservano esempi ancora integri a parte alcune azioni di deturpazione ambientale e di eccessivo sfruttamento antropico. Seguono poi le depressioni retrodunali che, come avviene alla foce del Sinni, sono occupate, fino a stretto contatto della linea di spiaggia, da formazioni forestali riparali mesoigrofile (come il bosco di Policoro). Sempre su tutta la fascia costiera sono presenti vaste superfici rimboschite a prevalenza di pino d’Aleppo (v. articolo di Cocca & Cocca, in questo volume); tali formazioni sono presenti anche nelle aree collinari e submontane.

Il paesaggio collinare è dominato in buona parte dai seminativi e dalle colture arboree, in particolare oliveti, per il resto l’ambiente naturale è suddiviso tra due principali tipi di formazioni: le zone erbose calanchive, sede della steppa a sparto (Lygeum spartum) e le dorsali ricoperte da una bassa macchia dominata soprattutto da Pistacia lentiscus.

Nelle aree collinari si riscontra, inoltre, la fascia a Quercus pubescens, ascrivibile all’orizzonte submediterraneo che forma, come specie principale, boschi quasi sempre degradati a causa di vari fattori.

Il territorio costiero jonico 

La vegetazione psammofila

Da osservazioni effettuate in campo - litorale jonico nei pressi della foce del fiume Sinni e del fiume Agri - è possibile distinguere una prima fascia di sabbia nuda battuta dalle onde, priva di specie colonizzatrici. L’estensione di questa zona afitoica presenta un’ampiezza variabile, in alcuni casi le modificazioni della sua estensione per cause naturali o antropiche determinano una distanza della vegetazione psammofila dalla riva che raggiunge i 50-60 m. Le specie che rappresentano la prima forma di colonizzazione della prima fascia sabbiosa sono: Sporobolus pungens, Eryngium maritimum, Xanthium italicum, Cakile maritima, Agropyron junceum. Questa prima fascia sabbiosa risulta abbastanza povera floristicamente e, fra le specie rilevate, quelle che mostrano maggior frequenza e miglior indice di copertura sono lo Sporobolus pungens, l’Eryngium maritimum, Xanthium italicum ed in minor misura Cakile maritima. È da rilevare che l’Eryngium si ritrova in maniera abbastanza diffusa anche verso l’interno del litorale sabbioso, su sabbie relativamente meno mobili, come anche Xanthium italicum per la sua capacità di colonizzare, oltre che le sabbie, substrati di varia natura (incolti, aree ruderali, zone ripariali). In alcuni punti (in particolare nei pressi della foce del Sinni) si riscontra una certa diffusione di salicornia (Salicornia europaea). Tutte queste specie mostrano generalmente una copertura rada, in alcuni casi formano piccoli raggruppamenti più densi su superfici limitate a pochi metri quadrati.

Proseguendo in direzione opposta al mare, su un substrato che appare progressivamente più consolidato si individuano le seguenti specie: Echinophora spinosa, Euphorbia paralias, Euphorbia peplis, Eryngium maritimum, Medicago marina, Ammophila littoralis, Juncus acutus, Otanthus maritimus, Pancratium maritimum (Fig. 1). In questa fascia intermedia del litorale si nota una certa abbondanza e frequenza di Echinophora spinosa di Eryngium maritimus e di Euphorbia paralias. Queste tre specie hanno una notevole incidenza su tutto il complesso vegetazionale psammofilo e risultano accompagnate da altre entità quali Otanthus maritimus, Pancratium maritimus, Euphorbia peplis e Medicago marina che hanno quasi sempre carattere sporadico. Generalmente queste specie sono situate più lontano dalla linea di battigia, su sabbie più stabili. Infatti Otanthus trova l’ottimalità su sabbie pianeggianti per assenza di accumulo eolico. In particolare, Medicago marina si ritrova in piccoli raggruppamenti monospecifici anche in corrispondenza dei tratti più frequentati e disturbati del litorale. Da segnalare, inoltre, la significativa presenza in questa fascia di Ammophila littoralis.

Fig. 1 - Alcuni caratteristici aspetti di vegetazione psammofila del litorale jonico di Policoro. In alto a sinistra: zona sommitale della duna e anteduna con presenza di Euphorbia paralias, Sporobolus pungens e Matthiola sinuata; in alto a destra: particolare con Euphorbia paralias ed Eryngium maritimum; in basso: particolare della fioritura di Pancratium maritimum ed Echinophora spinosa (Foto De Capua).

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L’altezza della vegetazione si innalza progressivamente raggiungendo il metro e mezzo con i densi cespugli di Ammophila littoralis che forma un ostacolo efficace alla sabbia trasportata dal vento ed in questo punto si ha, generalmente, la massima quota della fascia sabbiosa rispetto al livello del mare. L’Ammophila littoralis si distribuisce abbastanza uniformemente in tutta la zona più interna del litorale sabbioso. È da rilevare la presenza pressoché costante di altre specie quali Echinophora spinosa, Eryngium maritimus, Medicago marina. Non mancano comunque situazioni caratterizzate da una certa povertà floristica che talora assumono la fisionomia di popolamenti quasi monofitici ad Ammophila littoralis.

Sulle parti superiori delle dune più interne, si evidenzia in maniera più marcata la presenza di punti di contatto e di transizione sia con la vegetazione psammofila bassa tipica della prima fascia sabbiosa, sia con le specie arbustive retrodunali tipiche dei suoli più stabilizzati e più ricchi di sostanza organica.

Sulle sabbie più consolidate, generalmente in posizione retrodunale, è presente un’ampia fascia di vegetazione a macchia mediterranea che si rinviene molto spesso compenetrata a mosaico con la tipica vegetazione psammofila. La fisionomia tipica è quella della macchia bassa, che solo nelle situazioni più favorevoli assume una struttura di boscaglia per il maggior sviluppo delle specie arbustive e per la presenza di sporadici elementi arborei. Questa zona è fisionomicamente caratterizzata dalla dominanza del lentisco, del ginepro coccolone e da una notevole diffusione di agave, in particolare nella zona retrodunale dove si rinvengono anche piccole colonie di Juncus acutus. Sono inoltre diffusi, nel piano inferiore, il rosmarino, il mirto, il cisto di Montpellier che in alcuni casi forma dei piccoli gruppi puri, come si verifica per l’Artemisia variabilis. Più sporadiche risultano Phillyrea angustifolia e Thymelea irsuta, mentre, nelle aree più distanti dal mare, su suoli più maturi, si riscontra anche la presenza di Rhamnus alaternus, Phagnalon saxatile ed Helicrisum italicum.

Le problematiche connesse all’evoluzione dei sistemi costieri sono estremamente vaste: la stabilità dei litorali è infatti regolata da fenomeni naturali e da fattori antropici. Questi ultimi hanno avuto negli ultimi anni una notevole diffusione tanto che è ormai difficile riscontrare sistemi dunali in buono stato di conservazione nel Mediterraneo.

Le osservazioni ed i rilievi vegetazionali in nostro possesso evidenziano chiaramente una strettissima relazione tra queste particolari cenosi vegetali e l’azione diretta o indiretta dell’uomo. In particolare l’antropizzazione delle spiagge si manifesta con una alterazione progressiva di questi ambienti che in molti casi non presentano più le caratteristiche successioni vegetazionali. L’interruzione delle tipiche successioni vegetazionali delle dune mostra i suoi effetti soprattutto a livello delle comunità pioniere ma si ripercuote in modo evidente anche a carico della retroduna con una generale semplificazione floristica che si manifesta, spesso, in modo drastico.

Una delle principali cause del degrado degli ecosistemi psammofili è certamente attribuibile all’antropizzazione diretta delle spiagge che agisce in modo negativo tramite il livellamento geomorfologico (pratica diffusa in quasi tutti i paesi rivieraschi).

Le formazioni forestali planiziali

Il bosco di Policoro rappresenta uno degli ultimi significativi lembi di foresta planiziale dell’Italia meridionale. Esso, in base al contesto extrazonale dovuto alle particolari condizioni stazionali, appartiene, secondo Pedrotti (1980), all’associazione Carici - Fraxinetum angustifoliae che si ritrova lungo i corsi d’acqua e lungo le coste in posizione retrodunale o interdunale. L’associazione è stata dapprima inquadrata nell’alleanza Alno - Ulmion e successivamente collegata da Dierschke (1975, in Pedrotti 1980) al Populion albae. Il Carici - Fraxinetum angustifoliae è una associazione propria della penisola italiana distribuita lungo tutta la costa Adriatica, dal Po fino alla Sicilia, dove accanto al frassino ossifillo si ritrovano frequentemente l’Olmo campestre e la Farnia (per Policoro si segnala la significativa presenza dell’Ontano nero e dei Pioppi), accompagnate da alcune specie caratteristiche quali Carex spp. e da diversi componenti xero-mediterranei come Smilax aspera, Ruscus aculeatus, Rubia peregrina. (Fig. 2). Tuttavia per il bosco di Policoro si riscontrano anche dei caratteri attribuibili all’associazione Lauro-Fraxinetum angustifoliae per la presenza di alloro, generalmente consociato al Frassino ossifillo e all’Ontano nero ([6]).

Fig. 2 - Due tipici aspetti del bosco planiziale di Policoro. Pannelli superiori: bosco mesoigrofilo misto con caratteristica presenza di specie rampicanti; Pannello inferiore: bosco igrofilo costituito da gruppi puri di frassino ossifillo (foto De Capua).

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Nell’area del Pantano Sottano, lo strato arboreo è composto prevalentemente da specie meso-igrofile quali Frassino ossifillo, Ontano nero, Pioppo bianco, mentre la Farnia ha attualmente un ruolo subordinato e l’Olmo campestre è presente quasi esclusivamente in forma cespugliosa. Accanto a queste specie compaiono frequentemente Cerro, Acero campestre, Alloro, Salice bianco, Pioppo gatterino, Orniello, Fico selvatico, Melo selvatico ed Olivo selvatico. In quest’area è possibile distinguere, sulla sola base della composizione arborea, alcuni tipi di formazioni, di ampiezza variabile, che ritroviamo distribuite in relazione alle particolari caratteristiche ambientali:

  • formazioni miste a Pioppo bianco, Pioppo gatterino, Frassino ossifillo e Ontano nero;
  • formazioni miste a prevalenza di Frassino ossifillo e Ontano nero con sporadici esemplari di Pioppo bianco;
  • formazioni pure a Pioppo bianco;
  • gruppi puri a Frassino ossifillo.

I rilievi dendrometrici eseguiti consentono di evidenziare alcune caratteristiche principali del soprassuolo. Le specie che compongono lo strato dominante, che ha un’altezza media di circa 20 m, sono generalmente i Pioppi (bianco e gatterino), il Frassino ossifillo e l’Ontano nero; la Farnia ed il Cerro raggiungono lo strato superiore solo con gli individui più vecchi. Le stazioni più fresche sono caratterizzate dalla presenza del Frassino ossifillo misto all’Ontano nero, al Pioppo e più raramente alla Farnia, mentre le zone più aride e degradate assumono la fisionomia di boscaglia bassa dove le altre specie arboree coesistono con un ricco strato arbustivo.

Il grado di copertura è variabile ma mediamente basso (60-70 %) per la presenza di chiarie, più o meno estese, generalmente conseguenti alla moria di grossi esemplari di Olmo, agli sradicamenti o alla asportazione di gruppi di piante. Le chiarie risultano massicciamente invase dai rovi che formano dense barriere, alte anche alcuni metri; le radure più ampie, situate ai margini del bosco, risultano colonizzate da elementi della macchia mediterranea, in particolar modo Lentisco e Prugnolo.

Nelle depressioni con acqua stagnante per tutto l’anno o per gran parte di esso, si insediano gruppi monospecifici di Frassino ossifillo, accompagnati, spesso, da esemplari di Salice bianco; queste formazioni, tipicamente igrofile, si riscontrano su superfici di estensione limitata (1000 - 2000 m2) e rappresentano i rari casi in cui è possibile osservare la flora erbacea caratteristica a Carex spp. (Fig. 2B).

Dove il livello medio del terreno è più elevato, si riscontra un diverso rapporto di mescolanza tra le specie; la componente igrofila si impoverisce ed è rappresentata principalmente dai Pioppi - soprattutto nelle aree di margine - dal Frassino e sporadicamente dal Salice bianco e dall’Ontano nero. In queste aree si rileva una maggior diffusione di Cerro e Farnia a cui si aggiungono l’Alloro (presente con individui a portamento arboreo), l’Olmo (di cui si contano diversi soggetti non colpiti dalla grafiosi), l’Acero campestre e l’Acero minore, l’Orniello, la Carpinella e l’albero di Giuda.

In conseguenza a particolari situazioni di degrado (incendi), in alcuni tratti, lo strato arboreo è costituito prevalentemente da specie secondarie quali Acero campestre, Orniello, Acero minore, Alloro, Carpinella, aggregate in maniera variabile alle specie principali o raggruppate (Alloro e Carpinella) in piccoli gruppi monospecifici.

La struttura verticale risulta generalmente irregolare: nel complesso è possibile individuare un piano superiore discontinuo costituito da un numero non molto elevato di alberi di grandi dimensioni (generalmente Cerro, Farnia, Pioppo, più raramente Frassino) avente un’altezza media di circa 20 m ed un piano intermedio e inferiore costituito da piante di piccolo diametro. Accanto alle Querce, ai Frassini ed ai Pioppi, presenti nelle situazioni migliori, ritroviamo l’Orniello, l’Acero campestre, l’Alloro, la Carpinella di statura minore per finire gradatamente agli arbusti.

Il grado di copertura è disforme ma mediamente basso (60-70 %), il soprassuolo risulta inframezzato da numerose chiarie, di ampiezza variabile, dove si insedia la vegetazione erbacea ed arbustiva; questa è formata in prevalenza da Rovi, Stracciabrache, Olmo, Biancospino e dà origine a compagini intricate, spesso impenetrabili.

Le osservazioni riguardanti lo stato della rinnovazione evidenziano un quadro non soddisfacente sia per quanto riguarda la densità che la composizione specifica. La presenza di rinnovazione all’interno del bosco è scarsa: nelle piccole chiarie, aventi estensioni comprese tra 50 e 200 m2, provocate da crolli di alberi, invase da Rovi, Edera e Stracciabrache, si rileva un numero esiguo di piantine di Olmo, Pioppo bianco, Alloro, Fico selvatico e Robinia; la specie più rappresentata è l’Olmo di cui si contano diversi individui di altezza compresa tra 30 e 150 cm.

Solo in rari casi, nell’area di insidenza della chioma di grosse piante, dove il sottobosco è più rado e la concorrenza delle specie erbacee è minore, si riscontra la presenza di gruppi di novellame di Farnia, Cerro e più raramente di Frassino. In corrispondenza dei margini del bosco il novellame è costituito prevalentemente da piantine di Pioppo e Robinia. Complessivamente la rinnovazione naturale è rappresentata in maggioranza da Pioppo bianco e Olmo campestre mentre la presenza delle altre specie è modesta o pressoché nulla. Una certa quota di novellame è costituita da specie secondarie (Alloro, Fico selvatico) o estranee alla flora spontanea (Robinia).

È facile riscontrare aspetti vegetazionali confusi ed impoveriti rispetto alle caratteristiche tipiche dell’associazione Carici - Fraxinetum angustifoliae. Difatti i vari fattori di disturbo (calpestio, tagli abusivi ed altro) non permettono la naturale distribuzione della vegetazione secondo il livello della falda ed il tipo di deposito. Agli stessi fattori è imputabile il carattere di boscaglia aperta e poco strutturata assunto dalla cenosi e sottolineato dalla sensibile diminuzione delle specie mesoigrofile a favore di elementi xerofili.

L’aspetto evolutivo più delicato riguarda le zone percorse dal fuoco dove l’assetto originario del bosco mesoigrofilo risulta notevolmente mutato. I rilievi condotti in una area di circa 500 m2, in una zona di bosco percorsa da incendio nell’inverno 1996, in cui si è verificata una parziale distruzione del soprassuolo arboreo (originariamente composto da una fustaia mista di Ontano nero, Pioppi e Frassino ossifillo), confermano la presenza esclusiva di un denso piano arbustivo costituito in prevalenza da Mirto, Lentisco e Rovo a cui si aggiungono altre specie quali Fillirea, Stracciabrache, e Olivo selvatico. Queste specie oltre ad evidenziare un dinamismo della vegetazione in senso xerofilo vanno a costituire un copertura continua e fitta (in alcuni punti alta anche 3 metri) che non favorisce la rinnovazione delle specie arboree.

I rimboschimenti 

Queste formazioni sono presenti sia nelle aree collinari che sul litorale jonico, dove si ritrovano le superfici più consistenti. I rimboschimenti litoranei della Provincia di Matera si estendono tra il confine con la Provincia di Taranto e quello della Provincia di Cosenza, per una lunghezza di circa 26 Km ed una superficie totale di circa 1700 ha. Le specie arboree maggiormente impiegate sono state il Pino d’Aleppo, il Pino domestico, il Pino marittimo, gli Eucalitti (E. camaldulensis, in prevalenza), il Cipresso comune e il pino delle Canarie. Nelle zone più difficili sono state impiegate delle specie preparatorie capaci di esplicare una prima azione di consolidamento del suolo (soprattutto in corrispondenza delle dune) tra le quali alcune specie di Acacia e Tamerice. Nelle fasi successive fu comunque privilegiato l’impiego del Pino d’Aleppo che ha mostrato una migliore adattabilità soprattutto nei siti più difficili. Questa specie rappresenta fino al 90% del totale delle specie impiantate formando complessi monospecifici fortemente caratterizzanti il paesaggio.

Volendo fornire uno schema successionale, dal litorale sabbioso verso l’interno, sulla base delle specie arboree maggiormente impiantate, è possibile individuare: una prima fascia boscata a contatto del litorale sabbioso di minore statura, costituita in prevalenza da Acacia (A. cianophylla e retinoides), di ampiezza variabile limitata a circa 10-20 m - la larghezza media di questa prima fascia a prevalenza di Acacia, originariamente di circa 100 m, attualmente si è sensibilmente ridotta anche a causa delle dinamiche del litorale -, che costituisce una costante per tutto il rimboschimento; subito a ridosso si ritrova la pineta di Pino d’Aleppo che forma una fascia ampia fino al chilometro rispetto al litorale; generalmente l’ultima fascia rimboschita, retrostante alle pinete è rappresentata da impianti di Eucalitti. Le altre specie arboree presenti in modo sporadico sono il Cipresso comune e il Cipresso dell’Arizona.

Lo strato arboreo è arricchito in alcuni punti da un piano arbustivo discontinuo costituito in prevalenza da Lentisco, Ginepro e Fillirea tra le specie più diffuse. In altri casi si riscontrano transizioni con ambienti salmastri a vegetazione alofila (Juncus acutus in particolare); nelle depressioni con acque stagnanti si insediano nuclei di fragmiteto (a Phragmites australis). Nelle condizioni migliori, in cui gli elementi di disturbo incidono in maniera più limitata, sui suoli delle dune è stata rilevata la presenza di specie psammofile quali Echinophora spinosa, Medicago marina, Pancratium maritimum, Ephedra distachya.

Le finalità per cui i rimboschimenti furono realizzati erano di ordine eminentemente sociale, in una ottica meno attenta alla redditività e maggiormente volta ai benefici riguardanti l’assetto idrogeologico ed alla promozione occupazionale. I notevoli sforzi economici affrontati dagli enti pubblici per la loro realizzazione spiegherebbero, in parte, le notevoli difficoltà di far fronte ai successivi costi di gestione ([13]).

Oggi la gestione di queste formazioni forestali pone diversi problemi non tanto per la loro destinazione, bensì in relazione alla loro stabilità, con particolare riferimento alla fascia del litoranea. Allo stato attuale il soprassuolo arboreo mostra delle condizioni di eccessiva densità, fatta eccezione per alcune ristrette aree dove sono stati effettuati dei diradamenti di lieve entità. La densità, in molti casi, rispecchia il sesto di impianto originario, con il risultato di instaurare una forte competizione tra le piante, che ha generato scarsi parametri di accrescimento, diffusi fenomeni di mortalità e condizioni di marcato disordine strutturale ([6], 2002) (Fig. 3).

Fig. 3 - Alcuni aspetti relativi alle condizioni strutturali dei rimboschimenti di conifere (foto De Capua).

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La situazione risulta sensibilmente migliore nelle aree più interne rispetto alla linea di costa dove il soprassuolo si presenta più sviluppato, pur presentando, nella maggioranza dei casi, condizioni di elevata densità.

Anche le superfici rimboschite con conifere mediterranee presenti nei territori collinari denunciano, nella maggioranza dei casi, le stesse condizioni strutturali sopra enunciate. In essi è frequente la presenza di latifoglie autoctone (Roverella, in particolare) costituita da singoli individui o piccoli gruppi di alberi.

L’attuale stato di relativo abbandono di questi popolamenti all’evoluzione naturale desta non poche perplessità in relazione a varie cause tra cui possiamo citare: assenza di adeguati interventi selvicolturali, erosione della costa, probabile abbassamento del livello della falda freatica e condizioni di elevata salinità, forte pressione antropica nelle aree più vicine al litorale.

Relativamente alle aree litoranee, secondo Géhu & Biondi ([9]) i rimboschimenti rappresenterebbero una delle cause di regressione della biodiversità dunale in quanto le specie introdotte (Pinus sp., Acacia sp., Eucaliptus sp.) diventano esclusive esercitando una forte concorrenza sulle comunità naturali nelle quali sono state introdotte.

Tale osservazione trova ampio riscontro sotto il profilo della semplificazione floristica caratteristica di questo tipo di formazioni, che è facilmente percepibile sia al livello delle comunità pioniere della parte dunale, sia di quelle retrostanti alla fascia sabbiosa (retrodunali) come anche nelle aree collinari e montane interne. I rimboschimenti mostrano in generale fenomeni di degrado in seguito all’azione, spesso concomitante, di diversi fattori, come testimoniato dalla presenza di ampie superfici con diffusi fenomeni di moria ([5] - Fig. 4).

Fig. 4 - Pinete litoranee con evidenti lacunosità nella copertura a causa di massicci attacchi parassitari (foto De Capua).

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Boschi naturali dell’area montano collinare 

Inquadrabili nelle associazioni tipiche del Quercetum ilicis (e associazioni simili come l’Oleo-Ceratonion) e dell’orizzonte submontano del Quercetum pubescenti petraeae, queste formazioni sono essenzialmente rappresentate da cedui misti di Cerro e Roverella con marcata prevalenza della Roverella; i cedui di Leccio con sclerofille mediterranee sono presenti in misura limitata su alcuni versanti collinari. Si tratta di cedui semplici (Fig. 5) o matricinati, con matricinatura irregolare a densità disforme, molto spesso caratterizzati dalla presenza di uno strato inferiore composto da arbusti mediterranei.

Fig. 5 - Ceduo semplice a prevalenza di Q. pubescens (Ferrandina).

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Alla Roverella si accompagnano con notevole frequenza soprattutto Fraxinus ornus, Pyrus communis, Sorbus domestica, Crataegus oxyacantha, Ligustrum vulgare, Spartium junceum, Osyris alba e, nelle aree più calde, anche alcune sclerofille come Asparagus acutifolius, Pistacia terebinthus tra le più diffuse. Nei versanti calcarei più freschi, esposti nei quadranti settentrionali, si insedia l’Orno-Ostrieto, caratterizzato appunto dalla codominanza di Fraxinus ornus e Ostrya carpinifolia. In Lucania, dove peraltro gli Orno-ostrieti non sono molto diffusi e piuttosto rari nel materano, queste formazioni risultano arricchite dalla presenza di Carpinus betulus e di C. orientalis come si riscontra nelle aree più fresche delle piccole dolomiti lucane, nella valle del Basento.

Ancora all’orizzonte submontano appartengono le vaste formazioni a Cerro che, altitudinalmente, si trovano in genere al di sopra della fascia della Roverella. Le cerrete si riscontrano soprattutto nei dintorni di Accettura (Foresta di Gallipoli-Cognato). Le cerrete del bosco di Gallipoli-Cognato sono arricchite da altre specie quali Carpinus betulus, Acer opalus, Ostrya carpinifolia. Nelle formazioni a prevalenza di Cerro più evolute e meno disturbate è possibile individuare uno strato secondario arboreo-arbustivo, composto da Carpinus orientalis, Pirus malus, Acer campestris e A. opalus e talora, come si riscontra nelle situazioni più mesofite, come a Montepiano (Accettura), anche specie più rare come Evonymus latifolius o Staphylea pinnata o Acer lobelii.

In rapporto alle condizioni edafiche, climatiche e di trattamento questi popolamenti mostrano diversi stadi di sviluppo e di condizioni ecologiche. A causa di svariati fattori, tra cui il fuoco, nella maggioranza dei casi le condizioni generali dei soprassuoli mostrano aspetti degradativi più o meno accentuati (Fig. 6).

Fig. 6 - Situazione di disordine strutturale e presenza di vegetazione infestante che costituisce un fattore di rischio di incendi (bosco misto di latifoglie e conifere, Pomarico MT).

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È facile individuare in molte formazioni forestali la mancanza di una ben definita spartizione planimetrica del soprassuolo come piuttosto evidente risulta l’omissione di interventi in tratti radi o a scarsa fertilità che rappresentano alcuni tra i tipici aspetti di aree ad economia marginale. In tali formazioni, spesso costituite da cedui semplici piuttosto degradati a causa di tagli irrazionali o pascolamento eccessivo, giocano un ruolo determinante anche le condizioni ambientali e in particolare edafiche. Sicuramente nell’ambito stazionale in oggetto, caratterizzato in prevalenza da terreni argillosi, la fase di incremento rapido dei polloni è breve e di intensità moderata; a questa generalmente fa seguito una fase di stasi e ristagno incrementale che porta ad un invecchiamento precoce delle piante. Questo si manifesta con un diffuso seccume delle parti apicali della chioma particolarmente evidente sulle matricine, ove presenti, e sui polloni dominanti. Al seccume spesso si associa l’emissione di rami epicormici o lo sviluppo ulteriore di esili polloni. Tale fenomeno, che si riscontra piuttosto diffusamente, può essere dovuto alla difficoltà da parte delle piante di proporzionare l’apparato radicale con la biomassa fuori terra a causa delle difficili condizioni edafiche. Tale situazione favorisce la presenza, in molti casi massiccia, di specie eliofile che invadono i querceti.

Le particolari condizioni climatiche (scarsità di precipitazioni) hanno determinato, in alcuni periodi, accentuati fenomeni di deperimento causato da stress idrico associato ad altri fattori di natura biotica, abiotica e colturale.

Le condizioni di maggior ripresa incrementale e di migliori condizioni biologico - strutturali sono osservabili nelle formazioni a prevalenza di Cerro che comunque rappresentano una quota minima dell’intero comprensorio provinciale.

Non mancano ampi tratti caratterizzati da vegetazione mediterranea di tipo arbustivo con forme che vanno dalle fisionomie di cespuglieti arborati a forme più semplificate di vegetazione arbustiva bassa (Atriplex halimus, Pistacia lentiscus, ecc.). Queste formazioni sono caratteristiche di ambienti particolari come le fiancate dei diedri calanchivi dove l’erosione del terreno è elevata (Pisticci, Montalbano ed altri comuni; Fig. 7).

Fig. 7 - Querceto degradato con abbondante presenza di sclerofille mediterranee (comune di Grottole).

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Sulle zone sommitali dei calanchi (Fig. 8), non interessate dall’erosione, ritroviamo formazioni più evolute con macchie a sclerofille varie e vegetazione arborea rada. La presenza relittuale di piante di Roverella e altre specie testimonia la situazione regressiva ed involutiva della vegetazione rispetto alle potenzialità vegetazionali stazionali. Secondo Corbetta ([3]), nelle zone calanchive la vegetazione, apparentemente uniforme, mostra significative differenziazioni. Difatti esistono zone sommitali o "cappellacci" non interessati dall’erosione ed occupati dalla macchia a Lentisco o addirittura da qualche boschetto a Roverella e sclerofille varie. Dove l’erosione è accentuata le principali specie sono Lygeum spartum, Atriplex halimus, Camphorosma monspeliaca, Capparis sicula e Beta marittima; nei conoidi di limo più freschi si aggiungono, alcune Orchidee terricole e varie terofite, tra le quali Hedysarum coronarium. Sempre secondo Corbetta ([3]) per quanto riguarda la macchia a Lentisco si tratta evidentemente di una forma secondaria di vegetazione susseguente alla foresta primaria, che si ritiene fosse costituita soprattutto di Oleastro; la prevalenza del Lentisco nella attuale composizione è da ricondurre in senso regressivo alla maggiore appetibilità dell’Oleastro da parte del bestiame.

Fig. 8 - Tipico aspetto di area calanchiva (comune di Salandra).

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Linee generali degli interventi per la salvaguardia e valorizzazione ambientale e forestale della Provincia di Matera 

Miglioramento e ricostituzione boschiva, cure colturali

Uno dei principali problemi da affrontare è il raggiungimento della stabilità dei popolamenti forestali mediante interventi di carattere quantitativo e qualitativo: gli interventi di carattere quantitativo sono rappresentati da operazioni di sfollo e diradamento, quelli qualitativi devono tenere presente i rapporti dendrologici tra le specie, ove questi sussistano, in relazione alle caratteristiche potenziali della vegetazione.

Il problema della ricostituzione e del miglioramento interessa sia i popolamenti artificiali, sia quelli naturali.

Per i primi si rende necessario procedere a interventi di diradamento; nei rimboschimenti esistenti tale aspetto è stato in generale molto trascurato; sono frequenti le situazioni di densità eccessiva o disforme che hanno provocato, soprattutto nei popolamenti monospecifici, delle situazioni di squilibrio e degrado. Si tratta in generale di diradamenti di debole intensità e di tagli a carattere fitosanitario (Fig. 9).

Fig. 9 - Diradamenti e spalcature in soprassuoli artificiali di conifere.

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La necessità di operare con interventi a basso impatto, in particolare negli ambiti protetti, ma anche in tutte quelle situazioni, piuttosto diffuse, di precarietà fisica e biologica dovuta alla concomitanza di svariati fattori, ci ha indotti ad attuare tagli in grado di agevolare i processi dinamici di affermazione delle specie autoctone. Nei rimboschimenti misti con Pino d’Aleppo ed Eucalitti, ad esempio, si procede al graduale smantellamento di questi ultimi nei casi in cui risulti affermata la rinnovazione del Pino; tale criterio viene applicato nei casi in cui vi siano piante isolate o gruppi appartenenti alla flora originaria (Fig. 10 e Fig. 11). Gli esiti relativi alla realizzazione di questi interventi stanno mostrando risultati incoraggianti, anche se per ora applicati su piccola scala, con l’obiettivo di ottenere delle strutture diversificate per età e per composizione specifica con caratteristiche bio-ecologiche più favorevoli anche sotto il profilo del bilancio idrico ([8]).

Fig. 10 - Un esempio di intervento di diradamento finalizzato alla diffusione ed alla rinnovazione di latifoglie autoctone in impianto artificiale, in primo piano pianta adulta di Frassino ossifillo (litorale jonico).

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Fig. 11 - Interventi di eliminazione graduale degli eucalitti in presenza di rinnovazione di conifere mediterranee (rimboschimento misto, litorale jonico).

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In molti casi, le condizioni di densità eccessiva dei popolamenti artificiali, che rispecchiano il sesto d’impianto originario, impongono metodi operativi più schematici adottando, per quanto possibile, dei criteri di taglio di tipo geometrico - selettivo.

Per i popolamenti artificiali, inoltre, si pone l’urgenza di arricchire la composizione specifica con il reimpianto di specie appartenenti alla flora spontanea favorendo, ove possibile, con adeguati interventi, la rinnovazione naturale delle specie autoctone. In molti casi si è proceduto alla rinnovazione artificiale posticipata di specie arbustive ed arboree, con apertura di buche di diametro pari all’altezza media delle piante, con risultati non sempre soddisfacenti a causa delle severe condizioni stazionali. Tali modalità operative, in generale, hanno mostrato il vantaggio di non creare forti turbative a carico dei soprassuoli e di non pregiudicare la funzione idrogeologica, nonché l’aspetto estetico nelle aree protette.

Per i boschi spontanei che sono rappresentati, in maggior misura, da cedui di querce caducifoglie dell’orizzonte mediterraneo, si interviene soprattutto migliorando le condizioni di densità, intensificando la matricinatura e, nelle situazioni potenzialmente favorevoli, programmando interventi di avviamento all’alto fusto, per un migliore assetto ecologico complessivo di questi soprassuoli.

Per i boschi degradati o danneggiati dal fuoco si procede al reimpianto con specie appartenenti alla flora originaria effettuando, ove le condizioni lo consentano, interventi di accelerazione dei processi di rinnovazione naturale.

Uno dei problemi principali, date le particolari condizioni ambientali, è quello di instaurare un certo sincronismo o una certa corrispondenza tra interventi ed esigenze del soprassuolo, al fine di non innescare processi negativi (difficoltà della rinnovazione naturale, perdite incrementali, fenomeni di degradazione del suolo, ecc).

Difesa e prevenzione degli incendi

Gli incendi si concentrano interamente nel periodo estivo, rispecchiando le caratteristiche climatiche della zona pedecollinare e del litorale jonico, che non si discostano molto da quelle riscontrabili nelle aree collinari interne, con valori di piovosità media annua che si assestano su circa 500 mm distribuiti prevalentemente nel periodo autunno -invernale.

L’Ente attua interventi di prevenzione diretta degli incendi tramite operazioni selvicolturali e la realizzazione o l’adeguamento di viali tagliafuoco.

L’attività selvicolturale preventiva consiste principalmente nella creazione di soluzioni di continuità verticali e orizzontali nella biomassa bruciabile. Ciò viene realizzato mediante potature, spalcature, ripuliture, sfolli e diradamenti. I viali tagliafuoco (Fig. 12), che rallentano il fronte di incendio e permettono più agevolmente le operazioni di estinzione, non sempre possono essere realizzati tenendo conto della struttura del popolamento ed essere commisurati in termini dimensionali. A queste attività si collega l’organizzazione delle operazioni di avvistamento ed estinzione con mezzi terrestri.

Fig. 12 - Creazione di viale tagliafuoco in rimboschimento misto (litorale jonico).

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I punti critici dell’attività di prevenzione degli incendi sono individuabili principalmente nel tipo di viabilità forestale e conseguentemente nei tempi di percorrenza e penetrabilità del bosco.

La Provincia ha agito anche sui temi educativo e informativo, importante aspetto che ha favorito il ridimensionamento del problema agendo sulle cause che sono quasi sempre legate a problematiche di natura sociale con stampa e diffusione di opuscoli informativi e manifesti affissi nei vari comuni.

Interventi per la difesa del suolo

Gli interventi di difesa idrogeologica vengono generalmente attuati tramite il consolidamento dei versanti con la vegetazione che agisce sui meccanismi di innesco dei processi erosivi. Come accennato nelle note generali, il territorio provinciale presenta una notevole propensione ai fenomeni di dissesto che mostrano tutta la loro gravità nelle aree calanchive. La vegetazione riscontrabile in tali versanti è ascrivibile all’orizzonte mediterraneo del piano basale. Sui versanti più caldi ritroviamo l’alleanza dell’Oleo - Ceratonion con formazioni sempreverdi di Lentisco, ma in generale predominano gli aspetti più degradativi caratterizzati, oltre che dal Lentisco, dall’Atreplice (Atriplex halimus) e dallo Sparto (Lygeum spartum).

Gli interventi che vengono attuati consistono essenzialmente in sistemazioni di pendici franose o a forte rischio di erosione con specie arboree ed arbustive (Fig. 13 e Fig. 14). A questi si accompagnano piccole opere di ingegneria naturalistica, sistemazioni superficiali e modellamenti del terreno.

Fig. 13 - Lavori di sistemazione idraulico - forestale in aree calanchive (Grassano, MT).

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Fig. 14 - Opere di contenimento e sistemazione di versanti con palizzate costituite da materiale di risulta (Grassano - MT)

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Le attività nelle aree protette

La Provincia di Matera gestisce due Riserve Naturali Orientate: Bosco Pantano di Policoro e S. Giuliano. Le aree protette rappresentano un’importante opportunità per questo territorio, in quanto sedi per la sperimentazione di soluzioni alternative verso il raggiungimento di un obiettivo di sviluppo sostenibile a livello locale. L’obiettivo pratico degli interventi da attuare in queste aree deve essere, pertanto, quello di stabilire un collegamento dinamico, e non conflittuale, tra sistemi sociali ed economici e sistemi ambientali, che si basi su modelli di fruizione delle aree sottoposte a tutela, compatibili con un obiettivo di conservazione. Gli interventi da attuare previsti in queste aree possono essere riassunti in due principali classi: attività di valorizzazione e fruizione; attività di difesa e conservazione.

I principali obiettivi da raggiungere sono costituiti da:

  • Promozione di attività e funzioni legate a nuovi settori economici, capaci di affiancarsi e collegarsi al settore agro silvo - pastorale per ampliarne le crescenti prospettive di sviluppo.
  • Realizzazione di condizioni in grado di generare ulteriori occasioni di occupazione, non solo stagionale, sia direttamente nel settore turistico sia indotte in altri settori e servizi.
  • Istituzione di apparati tecnico-amministrativi finalizzati agli interventi di protezione e potenziamento della tutela degli ambienti.
  • Costituzione di una consistente dotazione di attrezzature per le attività didattiche ed il turismo naturalistico.

Queste ragioni hanno suggerito il perseguimento di progetti ed interventi di miglioramento qualitativo e quantitativo in fase di attuazione. Tra questi è opportuno citare la creazione di un ecomuseo nella Riserva Bosco Pantano (Fig. 15) e di una serie di azioni volte al ripristino di alcuni particolari habitat.

Fig. 15 - Fase di realizzazione di una struttura da adibire ad ecomuseo (Riserva Bosco Pantano).

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La scelta di realizzare un museo naturalistico trova fondamento nel fatto che tali strutture rappresentano elementi fondamentali per l’accoglimento e la pianificazione dell’attività turistico-didattica. I musei naturalistici, infatti, possono sviluppare una serie di attività qualificate quali: divulgazione, didattica, educazione naturalistica e ambientale, conservazione della natura, studio del territorio. Ad esse si associano altre importanti funzioni specifiche quali: inventari naturalistici, banche dati, momenti di possibilità occupazionale.

Nell’ambito della gestione delle aree protette ampia importanza si è data alla conoscenza e salvaguardia di alcuni popolamenti forestali relitti. Ciò costituisce indubbiamente un aspetto di notevole rilevanza per una corretta gestione forestale e, in particolare, ai fini della conservazione della biodiversità. Nel contesto degli interventi per la conservazione della naturalità del territorio si rendono quanto mai opportune specifiche indagini relative agli aspetti vegetazionali e botanici connessi a particolari habitat. Sotto il profilo strettamente applicativo nell’ambito della ricostituzione e valorizzazione di alcune formazioni forestali, in particolare dei boschi naturali relitti di pianura e riparali, si è operato con interventi di ricostruzione di habitat distrutti utilizzando materiale genetico raccolto in loco e successivamente allevato in vivaio (Fig. 16).

Fig. 16 - Impianto di specie arboree provenienti da seme autoctono (Frassino ossifillo) in aree percorse da incendio (Riserva Bosco Pantano).

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Particolare attenzione è stata posta alla salvaguardia della vegetazione del litorale sabbioso, dall’equilibrio ecologico sempre più precario, per le notevoli implicazioni ecologiche ed in relazione al ruolo che svolgono negli ecosistemi costieri.

La necessità di intervenire in questi specifici ambiti è dettata dal fatto che tali comunità vegetali formano un diaframma elastico, sul quale si attutiscono gli effetti del mare, e che la loro presenza è condizione necessaria per l’equilibrio della vegetazione naturale retrostante. Si è riscontrato che l’esistenza di vegetazione psammofila permette la presenza di dune progressivamente più solide e basse macchie nelle dune più interne, in grado di attutire i venti salsi ed il trasporto di sabbia, condizioni queste indispensabili per consentire l’esistenza di comunità più stabili. Ciò alla luce di una chiara tendenza all’arretramento della costa jonica, dopo un periodo di protendimento plurisecolare, che può essere attribuita alla riduzione degli apporti solidi da parte dei fiumi dovuta alla costruzione di sbarramenti artificiali ed all’estrazione di materiale sabbioso e ghiaioso lungo gli alvei ([2]).

Sono stati previsti alcuni interventi per la salvaguardia degli ecosistemi sabbiosi litoranei, limitatamente a quelle aree che sono giunte in buono stato di conservazione. Sono state realizzate per ora misure di carattere passivo realizzando itinerari preferenziali mediante semplici barriere di legno grezzo, cercando di eliminare l’azione del calpestio con esiti piuttosto incoraggianti (Fig. 17).

Fig. 17 - Barriere dissuasive in legno grezzo per le protezione della vegetazione psammofila.

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Considerazioni conclusive 

Alterazioni della vegetazione causate da disturbi strutturali indotti dall’uomo

L’interdipendenza tra componenti ambientali e condizioni storico-sociali si palesa in tutta la sua complessità in Basilicata, regione caratterizzata da un territorio piuttosto disomogeneo e diversificato che genera una serie di differenziazioni anche nell’utilizzazione del suolo ([11]).

Quasi il 92% della superficie territoriale della regione è costituito da aree montane e collinari e lo spazio per le colture agricole è stato ottenuto con ampio ricorso al disboscamento (pratica incentivata con la vendita dei beni demaniali dopo l’Unità d’Italia), con conseguente incremento dei fenomeni di dissesto idrogeologico ([12]).

Nel territorio provinciale gli interventi di bonifica, che ebbero inizio negli anni à¢30, e la successiva Riforma Fondiaria del ’50 furono gli avvenimenti fondamentali che portarono a un radicale cambiamento dell’assetto ambientale, soprattutto della piana del Metapontino, segnando un primo passo verso un mutamento radicale delle condizioni politico-economiche di questi luoghi in cui la malaria, il latifondo e l’isolamento avevano prodotto uno stato di completo immobilismo ([7]).

Il successivo passaggio agli attuali sistemi agricoli, orientati ad una massiccia intensificazione produttiva, ha generato problemi piuttosto gravi e di difficile soluzione che ruotano intorno al trinomio agricoltura - ambiente - territorio. In molti casi il brusco passaggio tra margine del bosco e aree agricole ha decretato la quasi totale sparizione delle fasce ecotonali.

Da un confronto cartografico relativo all’uso del suolo ([1]), attinente ad una parte del territorio del Metapontino, si riscontra un aumento notevole delle zone coltivate ed una vertiginosa riduzione delle aree forestali, il tutto accompagnato da un repentino mutamento delle forme insediative, cominciato con la trasformazione del paesaggio agricolo attraverso l’appoderamento dei terreni. A partire dagli anni à¢60 e à¢70 si registra un notevole sviluppo del tessuto urbano e la creazione di infrastrutture turistico-alberghiere nella zona del litorale con evidenti ripercussioni negative sull’assetto della costa a platea sabbiosa. L’uso del suolo lungo la costa segue delle fasce sviluppate in direzione N-S a stretto contatto tra loro: la più interna è prevalentemente agricola, la seconda è caratterizzata da insediamenti e strutture turistico balneari.

Valutazioni generali circa le tipologie forestali e loro evoluzione

Nonostante il presente studio non possa essere esaustivo a riguardo, sicuramente si può ritenere che nell’ambito del territorio provinciale alcune tipologie forestali siano più ampiamente rappresentate di poche altre particolari che caratterizzano alcune ristrette zone. Le categorie di bosco più diffuse sono i querceti a prevalenza di Roverella ed i rimboschimenti a prevalenza di conifere; a queste si aggiungono relitti di formazioni riparali e vaste aree a macchia mediterranea. Le tipologie più diffuse sono riscontrabili in quasi tutti i settori del territorio pur considerando che, come accennato in precedenza, la loro distribuzione segue principalmente le caratteristiche del substrato. Nella maggioranza dei casi la struttura delle formazioni forestali attuali è il risultato di utilizzazioni che non hanno seguito dei precisi criteri o metodologie selvicolturali generando condizioni di marcato disordine strutturale che, conseguentemente, hanno innescato dinamiche vegetazionali in senso degradativo. Si tratta in generale di boschi a densità irregolare o comunque molto variabile; l’eccessivo sfruttamento ha generato condizioni di copertura rada con presenza, in alcuni cedui, di piante di grosse dimensioni (matricine di età doppia o tripla del turno) e scarsa rinnovazione da seme. Per i rimboschimenti si registrano quasi sempre parametri di densità colma o eccessiva; nei popolamenti puri di pino d’Aleppo la rinnovazione è scarsa e, ove presente, si riscontra limitatamente alle aree di chiaria. Nei rimboschimenti misti con eucalitti si rileva una massiccia presenza di rinnovazione di pino sotto l’eucalitteto che tende a formare progressivamente strutture biplane irregolari.

Il ruolo delle formazioni forestali e criteri di intervento

Il ruolo della copertura forestale va inquadrato principalmente nella protezione del suolo in relazione alle particolari caratteristiche di buona parte del territorio provinciale, anche alla luce di un progressivo abbandono delle aree “marginali, oggi prive di qualsiasi tipo di manutenzione.

Per alcune tipologie di bosco in grado di fornire quantità elevate di materiale legnoso (come le fustaie di conifere) si potrebbe pensare ad un’utilizzazione per possibili impieghi correlati alle caratteristiche tecnologiche del materiale ritraibile.

Nella trattazione precedente si è fatto cenno alla presenza di biotopi di particolare interesse naturalistico con tipologie forestali che rappresentano significativi relitti di cenosi un tempo piuttosto diffuse che hanno tuttora una notevole importanza anche per gli aspetti faunistici. La realizzazione di interventi selvicolturali dovrebbe consentire di sviluppare quegli aspetti di multifunzionalità contribuendo al mantenimento della diversità biologica. In particolare si ritiene necessario intensificare gli interventi di diradamento in grado di apportare indiscutibili vantaggi in termini di stabilità e di agibilità dei soprassuoli ([4]), con la possibilità di guidare la loro evoluzione verso formazioni più in equilibrio con le caratteristiche stazionali.

La gestione delle risorse forestali nel contesto territoriale della Provincia di Matera è rivolta verso modelli colturali multifunzionali in grado di poter soddisfare varie esigenze, visto anche il crescente interesse della collettività per le altre funzioni del bosco.

L’Ente, che ha funzioni di pianificazione per quanto riguarda le tematiche forestali e paesaggistiche, intende perseguire, anche attraverso la gestione di aree protette, azioni volte a contrastare quei fenomeni regressivi che investono l’ambiente responsabili della scomparsa di cenosi o specie di particolare valore biogeografico, alcune di esse ormai residuate in siti di ampiezza limitata.

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