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Productivity and carbon uptake of forest plantations in Friuli (Italy)

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 306-310 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0304-0020306
Published: Sep 21, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Research Articles

Abstract

The research has investigated three forest plantations in the Friuli region (North-Eastern Italy) dating back to the ’80s, in order to quantify primary productivity and carbon stocks. The method proposed by Ketterings et al. ([10]) was used to estimate above-ground tree biomass. We estimate that total carbon stock (from 92 to 130 tC ha-1) is notably greater than in the adjacent crops and suggest these plantations may effectively contribute to meet Kyoto Protocol’s objectives.

Keywords

Forest plantation, Hardwood, Productivity, Carbon stock, Italy

Introduzione 

Il territorio agricolo dell’alta pianura friulana ha subito, negli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, una profonda trasformazione, in seguito alla realizzazione di consistenti opere di riordino fondiario e, soprattutto, alla costituzione di una rete irrigua su vasta scala. Un intervento di riordino di questa entità ha lasciato un’impronta indelebile sul paesaggio. In particolare ha determinato la quasi totale scomparsa dei tradizionali elementi di discontinuità e di separazione tra le proprietà, quali boschetti, siepi, ecc. ([13], [6], [5]).

Una volta concluse le operazioni di riordino fondiario, fu evidente la necessità di ricostituire un minimo di dotazione arborea laddove essa era venuta a mancare. Questo intento, congiuntamente alla volontà di verificare la capacità di alcune latifoglie autoctone di ricostituire nuovi impianti su suoli liberi, portò nella prima metà degli anni ’80 alla realizzazione di alcune piantagioni nei comuni di Flaibano e Sedegliano (UD), effettuati con la collaborazione della Direzione Regionale delle Foreste.

Tali piantagioni, oltre a rappresentare una possibile fonte di reddito per i comuni proprietari dei terreni, possono ora svolgere anche un importante ruolo ecologico sia come habitat per la fauna selvatica sia come sink di carbonio, in rapporto agli obbiettivi di mitigazione della CO2 atmosferica definiti dal protocollo di Kyoto.

Il presente lavoro è stato effettuato con lo scopo di studiare alcuni degli impianti realizzati agli inizi degli anni ’80, con i seguenti obbiettivi: valutare il successo di queste piantagioni dopo venti anni dall’impianto e fornire qualche indicazione sulle tendenze evolutive in atto; operare una prima stima della biomassa prodotta e degli incrementi realizzati, nonché della quantità di carbonio stoccata nel sistema (biomassa epigea, lettiera, suolo).

Materiali e metodi 

Area di studio

I siti di studio si trovano nei comuni di Flaibano e Sedegliano (UD), situati a nord della linea delle risorgive che separano la bassa dall’alta pianura friulana. Le precipitazioni annue ammontano a 1200 mm, la temperatura media annua è di 13.5°C. I suoli, che derivano da depositi glacio-fluviali grossolani di natura calcareo-dolomitica, presentano in genere spessori ridotti (mediamente intorno al mezzo metro), sono ricchi di scheletro e ferrettizzati in superficie. Secondo la classificazione proposta dalla ’Carta pedologica della pianura friulana e del connesso anfiteatro morenico del Tagliamento’ ([2]), questi suoli sono assimilabili a quelli della ’zona agropedologica di scarsa fertilità naturale’ (Dystric Ferrialic Cambisols). Si tratta di terreni poveri che, se non irrigati, risentono fortemente del deficit idrico, specie nei mesi estivi. Questo fenomeno si esplica, per esempio, nella presenza di associazioni vegetali prative, dette ’magredi’, con caratteristiche xeriche, simili a quelle delle steppe russe ([12]).

Nel territorio dei due comuni sono stati scelti tre rimboschimenti (in seguito denominati Bosco Vecchio, Coz e Triangolo), fra quelli di più antico impianto e, come tali, fra i più sviluppati e idonei a perseguire gli scopi della ricerca.

Le specie arboree che si rinvengono in queste piantagioni sono la farnia (Quercus robur L.), il noce comune (Juglans regia L.), il ciliegio selvatico (Prunus avium L.), il tiglio (Tilia platyphyllos Scop.) e l’acero riccio (Acer platanoides L.); le principali caratteristiche di queste piantagioni sono riassunte in Tab. 1.

Tab. 1 - Caratteristiche delle piantagioni studiate.

Piantagione Anno impianto Piante iniziali Sesto d’impianto Sup. totale Sup. campionata
N m x m ha ha
Bosco Vecchio 1982 2205 4 x 2.5 2 1
Coz 1984 3400 5 x 2 3 1
Triangolo 1984 2246 2 x 4 2 1

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Un’indagine floristica eseguita durante la primavera e l’estate 2001 mostra che il numero delle specie erbacee è ancora limitato rispetto a quello del medesimo strato dei querco-carpineti semi-naturali della Bassa Pianura ([13]). Elevato è il numero di specie di carattere ruderale o infestante, come Lamium maculatum L., oppure di origine ornamentale, ma che sono ormai ’naturalizzate’ nelle zone studiate, come Parthenocissus quinquefolia (L.) Planchon (vite ornamentale). Numerose sono anche le specie di margine che si stanno sviluppando nell’ecotono tra rimboschimento e campo coltivato, come Euonymus europaea L., Geum urbanum L., Tamus communis L. e Campanula rapunculus L.. Da segnalare, nello strato inferiore, numerosi semenzali delle specie arboree che edificano l’impianto, ad indicare buone prospettive per quanto riguarda la rinnovazione naturale.

Stima della biomassa e degli stock di carbonio

In tutti e tre i siti è stato effettuato un cavallettamento totale con soglia alla classe di 5 cm, escudendo le tre file di margine lungo il perimetro degli impianti. Di alcuni arbusti presenti all’interno dei popolamenti si sono misurati altezza e diametro del pollone dominante.

Successivamente al cavallettamento, in ogni impianto sono state misurate, con ipsometro di Suunto, le altezze di dieci piante ricadenti in diverse classi di diametro, per le diverse specie presenti.

Tab. 2 - Risultati della regressione fra altezza della pianta (H, m) e diametro a 1.3 m (D, cm) secondo il modello perequativo: H = kDc dove k e c sono coefficienti; N = numero di piante; R = coefficiente di correlazione; *, ** e *** indicano rispettivamente significatività a P<0.05, <0.01, <0.001.

Specie Bosco Vecchio Coz Triangolo
N k c R2 N k c R2 N k c R2
Quercus robur 10 6 0 0.93*** 10 6 0 0.72* 10 7 0 0
Prunus avium 11 4 0 0.76** - - - - 10 2 0 0.89***
Tilia cordata 10 3 0 0.68* 10 3 0 0.73** - - - -
Juglans regia 9 8 0 0.92*** 10 6 0 0.76** - - - -
Acer platanoides - - - - - - - - 10 1 0 0.83**
Altre specie 10 5 0 0 - - - - 10 3 0 0.91***

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La curva ipsometrica è stata costruita separatamente per ogni impianto (Tab. 2), secondo il seguente modello perequativo:

\begin{equation} H = k \cdot D^c \end{equation}

In cui H è l’altezza totale in metri, D è il diametro a 1.30 m, in cm, k e c sono coefficienti.

In mancanza di tavole alsometriche sito-specifiche e nell’impossibilità di procedere a dei campionamenti distruttivi, per la stima della biomassa è stato applicato l’approccio proposto da Ketterings et al. ([10]), cui si rimanda per una trattazione esaustiva.

Questi autori menzionati usano per la stima della biomassa la seguente espressione:

\begin{equation} B = a \cdot D^b \end{equation}

in cui B è la biomassa secca totale (fusto, rami e foglie) ed a e b sono coefficienti località-dipendenti.

Secondo Ketterings et al. ([10]) il coefficiente a può essere stimato come:

\begin{equation} \alpha = \delta \cdot r \end{equation}

dove δ è la densità basale del legno (massa anidra/volume fresco) ed r è un coefficiente di proporzionalità che ci si attende invariante fra i siti ed è generalmente pari a 0.11 ([10], [1]), mentre il coefficiente b può essere stimato come:

\begin{equation} b = 2+c \end{equation}

dove c è il coefficiente della relazione sito-specifica fra altezza e diametro (curva ipsometrica).

In questo modo come espressione sito-specifica (cioè calibrata sulle caratteristiche del popolamento) per la stima della biomassa viene applicata la seguente:

\begin{equation} B = r \cdot \delta \cdot D^{(2+c)} \end{equation}

I valori di densità basale δ da assegnare ad ogni specie costituente l’impianto sono stati desunti da letteratura ([9], [3]).

La biomassa radicale è stata calcolata moltiplicando la biomassa epigea per un coefficiente di 0.24, ipotizzando che essa vari nel tempo in modo proporzionale alla biomassa epigea ([4], [3]).

In campo sono state inoltre eseguiti i seguenti campionamenti: a) da una pianta per ogni specie, scelta con criteri casuali a Bosco Vecchio, sono state prelevate tre carote di legno dalla base del fusto, mediante la trivella di Pressler; b) in ogni impianto sono state casualmente posizionate tre aree circolari (diametro: 28 cm) e in ciascuna di esse è stato raccolto tutta la lettiera indecomposta presente a terra; c) all’interno di ciascun impianto sono stati individuati quattro punti lungo un transetto e in corrispondenza di questi sono stati effettuati otto prelievi di suolo, con una trivella, nei primi 30 cm del profilo; gli otto campioni sono stati poi mescolati per formare un unico campione; in due dei quattro punti precedentemente individuati sono state scavate delle buche profonde 30 cm, che sono state poi riempite con sabbia fine, per la determinazione del volume; il terreno prelevato da ogni buca è stato sottoposto a separazione, distinguendo scheletro, terra fine e radici; la densità apparente del suolo, calcolata secondo la metodologia proposta da McRae ([11]), è risultata compresa tra 1.1 ± 0.2 e 1.5 ± 0.1 g cm-3.

In laboratorio, dopo essiccazione dei campioni in stufa (48 ore a 55° C per i campioni di lettiera e di radici, 48 ore a 105°C per le carotine legnose e i campioni di suolo), sono stati preparati dei sotto-campioni per l’analisi del contenuto di carbonio (percentuale di carbonio rispetto al peso secco), mediante un analizzatore elementare NA 1500 Series II (Carlo Erba SA, Milano, Italy). I campioni di radici e di suolo sono stati preventivamente trattati con HCl al 37% in soluzione 2:1, al fine di eliminare materiale calcareo eventualmente presente. Nel caso delle carote legnose, l’analisi ha riguardato solo il legno, escludendo la corteccia. A partire dai dati precedentemente raccolti o stimati è stato possibile stimare la quantità totale di carbonio (tC ha-1) presente nel suolo e nel soprassuolo.

Risultati e discussione 

L’attecchimento delle specie è stato piuttosto diverso tra i tre impianti (Tab. 3). A Coz si è registrata un’elevata mortalità di Alnus glutinosa e dell’Alnus cordata; quello della crisi degli ontani è un fenomeno che si ripete in numerosi altri casi, sia rimboschimenti sia alnete naturali, ed è ancora in attesa di valutazione definitiva da parte dei patologi ([8]).

Tab. 3 - Mortalità percentuale delle diverse specie arboree negli impianti studiati; n.r. = non rilevato; (1) Prevalentemente Alnus cordata e Alnus glutinosa.

Specie Bosco Vecchio Coz Triangolo
Quercus robur 30% 24% 8%
Prunus avium 7% - 2%
Tilia cordata 13% 53% -
Juglans regia 20% 31% -
Acer platanoides - - 0%
Altre specie arboree(1) 0% 97% n.r.

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Per quanto riguarda la stima della biomassa è necessario premettere che il metodo di stima applicato ([10]) deve ancora essere avvalorato per i soprassuoli forestali delle zone temperate; per tali motivi le stime qui presentate devono essere valutate con le dovute cautele.

La biomassa (secca) epigea è stata stimata pari a 40, 17 e 89 Mg ha-1, rispettivamente a Bosco Vecchio, Coz e Triangolo (Tab. 4). Ad eccezione di Coz, dove il numero di piante messe a dimora era minore e dove si è registrata una elevata mortalità, gli incrementi medi annui stimati di biomassa epigea (fra 2 e 4 Mg ha-1 anno-1) sembrano in linea con quelli riportati da Ciani ([6]) per i querco-carpineti e i boschi misti di latifoglie mesofile.

Tab. 4 - Parametri dendrometrici delle tre piantagioni studiate; G = area basimetrica; B = biomassa secca epigea; dati riferiti alle sole piante vive. (1): Prevalentemente Alnus cordata e Alnus glutinosa; (2): Prevalentemente Corylus e Crataegus.

Specie Bosco Vecchio Coz Triangolo
Piante G B Piante G B Piante G B
N ha-1 m2 ha-1 Mg ha-1 N ha-1 m2 ha-1 Mg ha-1 N ha-1 m2 ha-1 Mg ha-1
Quercus robur 130 3 12 44 1 3 144 3 6
Prunus avium 179 4 6 - - - 78 2 11
Tilia cordata 167 4 11 68 2 8 - - -
Juglans regia 343 4 6 182 2 4 - - -
Acer platanoides - - - - - - 178 5 41
Altre specie arboree(1) 62 1 3 7 0 0 380 8 30
Arbusti(2) - - - 76 0 0 - - -
Totale 881 17 40 377 7 17 780 18 89

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La quantità totale di carbonio stiamata varia tra 91 e 130 Mg ha-1, con una netta prevalenza della componente suolo, seguita dal soprassuolo e dalle radici (Tab. 5). Si tratta di valori nettamente superiori (mediamente doppi) rispetto al contenuto di carbonio totale (radici e suolo) di campi di mais di zone adiacenti agli impianti ([5]); rapportando la quantità totale di carbonio nei tre impianti alla loro età media (23 anni), si stima un sequestro medio annuo intorno a 2 Mg ha-1.

Tab. 5 - Contenuto di carbonio totale (C, Mg ha-1) e percentuale (%) nelle diverse componenti degli impianti studiati.

Componente Bosco Vecchio Coz Triangolo
C % C % C %
Soprassuolo 42 32 7 8 18 18
Radici 9 7 1 1 4 4
Lettiera 3 3 2 3 3 2
Suolo 73 56 79 86 75 74
Totale 128 - 91 - 101 -

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Per quanto riguarda il suolo, facendo riferimento ai dati riportati da Del Galdo et al. ([7]), si può stimare che, dopo 20 anni dall’impianto, il contenuto totale di carbonio nei primi 10 cm di suolo sia aumentato mediamente di oltre il 20%.

Conclusioni 

Le stime ottenute indicano che gli impianti studiati sono caratterizzati da valori apprezzabili di incremento medio annuo di biomassa, in linea con quelli di boschi misti di latifoglie mesofile ([6]); da tener conto fra l’altro che questi impianti non sono stati gestiti in modo specifico per la massimizzazione della produzione legnosa. Il carbonio totale nella biomassa epigea e ipogea è quasi doppio rispetto alle aree adiacenti ancora destinate all’agricoltura e la quantità di carbonio fissata annualmente da questi impianti può sicuramente dare un contributo per gli obiettivi definiti dal Protocollo di Kyoto.

Per gli aspetti relativi alla biodiversità, una prima indagine floristica ha evidenziato che a 20 anni dall’impianto non molto è cambiato nelle caratteristiche della componente erbacea, forse anche per l’isolamento di questi impianti rispetto dalle formazioni naturali.

Ringraziamenti 

Si ringrazia la Direzione delle Risorse Agricole, Naturali e Forestali della Regione Friuli Venezia Giulia.

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