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Planning against forest fires: prevention more than extinction

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 156-158 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0380-0003
Published: Jun 13, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Editorials

 

In Italia la superficie media per incendio è stata di 13.5 ha, 12.7 ha e 10.6 ha rispettivamente nei decenni 1970-1979, 1980-1989 e 1990-1999. Questi valori sembrano evidenziare un concreto miglioramento e possono essere interpretati con cauto ottimismo. Tuttavia, l’andamento degli incendi deve essere valutato molto attentamente per evitare interpretazioni non corrette.

Dove possono essere cercate le cause di questo miglioramento?

Il contenimento degli incendi può derivare dall’applicazione di leggi che prevedono sia realizzata una apposita pianificazione da parte delle Regioni. I primi documenti pianificatori erano stati realizzati per la L. 47/75 (abrogata e sostituita dalla L. 353/2000) che iniziava una serie di tappe i cui risultati si possono avere solo in tempi lunghi. In seguito il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112 confermava l’attribuzione di spegnimento degli incendi alle Regioni, fatto salvo l’impiego di mezzi aerei rimasto di competenza statale. Successivamente la L. 353/2000 prevedeva i “Piani Regionali per la Programmazione delle attività di Previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”. Con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile, sono state emanate le Linee Guida per la redazione dei piani suddetti.

Su queste basi, tutte le Regioni hanno realizzato i piani. Nella maggioranza di essi si distingue correttamente la problematica degli incendi in differenti livelli definendo delle zone omogenee. Tuttavia, i modelli di intervento sono spesso differenti tra loro.

Talvolta si prevede la delega dell’estinzione alle Province. Tale funzione può essere esercitata d’intesa fra la Provincia e la Comunità Montana. Secondo alcune leggi regionali il coordinamento operativo fra il livello locale e regionale e fra questo e quello statale è assicurato dalla collaborazione degli Enti Delegati, del Corpo Forestale dello Stato e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco anche sulla base di apposite convenzioni.

Inoltre, sia nella divisione dei compiti sia nel modo di intendere i criteri fondamentali della materia antincendi vi sono delle differenze. Talvolta notevoli. La maggioranza dei piani presenta il denominatore comune di assegnare maggiore importanza all’estinzione rispetto agli altri interventi contro gli incendi.

Tutta l’attività pianificatoria merita poi un approfondimento per le aree protette sia regionali sia per i parchi naturali e le riserve naturali dello Stato. Poiché nelle aree protette si devono affrontare problemi particolari la legge 353/2000 prevede una apposita sezione del “piano regionale”. Le indagini pianificatorie per i parchi e le riserve naturali dello Stato dovrebbero essere redatte seguendo specifiche linee guida del Ministero dell’Ambiente che individuano i contenuti, le modalità di formazione, gli obiettivi del Piano.

Numerose informazioni territoriali e ambientali utili anche per la pianificazione antincendi per le aree protette possono derivare dal Piano per il parco, previsto dalla L. 394/1991, da cui si ottiene la divisione del territorio in differenti gradi di protezione. Questi strumenti offrono un quadro conoscitivo di grande utilità. Infatti, la pianificazione antincendi non può (né deve) essere avulsa da altri indirizzi pianificatori di rilevanza territoriale.

Le aree protette, non fosse altro per la finalità di protezione che le accomuna, dovrebbero essere caratterizzate da piani antincendi più uniformi rispetto a quelli regionali. Ciò non avviene. Inoltre realizzando la pianificazione di dettaglio si stanno seguendo criteri ed errori analoghi a quelli dei piani su area vasta regionale.

Infatti, nei parchi si è operato in modi assai difformi tra loro. Un primo motivo di diversità può derivare dalla incidenza degli incendi che impone interventi anche molto diversi. Un secondo motivo è legato alla formazione e alla impostazione del pianificatore. In alcune realtà la realizzazione del piano è stata affidata a professionisti che operano in campo ambientale, ma non sempre forestali. Si spazia dalla più evoluta impostazione pianificatoria, a semplici adattamenti delle linee guida per area vasta delle Regioni. In altri casi l’impostazione privilegia troppo la sorveglianza e l’estinzione. Raramente si segue la corretta filiera che dapprima approfondisce le informazioni ambientali e la fase conoscitiva, poi le aree omogenee e le priorità con cui intervenire nel tempo e nello spazio.

Spesso si trascurano gli obiettivi e il rapporto con le attività per raggiungerli. La variabilità delle situazioni pianificatorie è ampliata da casi in cui non si è affrontato il problema in modo specifico per il parco ma ci si è basati per lo più sull’organizzazione regionale. Questo approccio esalta l’impostazione di estinzione e nega l’importanza delle analisi ambientali. Inoltre, nella maggioranza dei casi si recepiscono solo le indicazioni per la lotta attiva. Talvolta si riportano indicazioni sul rischio determinate con riferimento comunale. Si rileva in questo caso che le analisi di area vasta del piano regionale considerano il comune come entità minima. Pertanto, le indicazioni devono essere integrate con analisi di dettaglio e in rapporto sia alla dimensione del parco sia all’incidenza degli incendi.

Un altro aspetto critico è il modo con cui si realizza l’analisi del rischio e la relativa zonizzazione. Essa talvolta è rispettosa delle determinazioni di area vasta del piano regionale, mentre in altri casi non è in rapporto con essa. La realtà dell’area protetta deve essere compresa nel contesto più generale dell’area vasta regionale, pertanto l’analisi del rischio deve partire da quella di livello superiore.

Solo in casi assai particolari si adottano le più moderne acquisizioni della pianificazione antincendi ricorrendo alla simulazione del comportamento del fronte di fiamma del quale si stima l’intensità lineare che è il parametro fondante per la distribuzione del rischio.

Inoltre, dovrebbe essere definito in dettaglio l’obiettivo del piano. La moderna impostazione pianificatoria suggerisce di avvalersi dei criteri di impatto accettabile e di superficie percorsa massima ammissibile. Solo eccezionalmente si usano questi parametri. Di conseguenza si descrivono gli obiettivi in modo generale o comunque non con parametri oggettivi.

Inoltre, gli interventi sono corretti solo se realizzati in rapporto alle esigenze e agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Senza questi elementi non è ipotizzabile una buona gestione e si rischia di realizzare lavori di prevenzione che non essendo collocati correttamente nel tempo e nello spazio non raggiungono l’efficacia che dovrebbero esprimere. Il costo degli interventi appare così troppo elevato per il limitato effetto che sortirebbero.

In alcuni casi l’analisi ambientale viene resa vana dall’assumere ad “alto rischio” tutta l’area sottoposta a pianificazione. Tale scelta non permette in alcun modo di distinguere le differenti zone e di collocarle in scala ordinale. In tale situazione necessariamente tutto il territorio è da difendere in modo prioritario e ciò significa che deve essere prevista una organizzazione capace di affrontare sempre anche le situazioni più difficili. Questo è altrettanto difficile da realizzare.

In alcuni casi si ricorre all’estinzione appoggiandosi al volontariato assegnando un finanziamento legato ad un meccanismo premiale per cui solo il 50% è comunque erogato. Il residuo 50% viene liquidato in maniera decrescente in relazione alla percentuale di superficie percorsa dal fuoco. Meccanismi di questo tipo sottolineano la convinzione di potere veramente dominare il comportamento degli incendi solo con l’intervento. Non si individua alcun rapporto con la prevenzione che spesso non viene neppure proposta.

Inoltre, nelle aree protette deve essere rivolta particolare attenzione alle conseguenze degli incendi e quindi alla ricostituzione delle zone danneggiate. In alcuni piani si riportano rare iniziative intraprese mentre in altri si indica sinteticamente la modalità di intervento selvicolturale da adottare.

Indipendentemente dalla prevenzione e dalle caratteristiche del bosco prevale l’estinzione. Questa tendenza è favorita dal fare confluire l’antincendio nella protezione civile piuttosto che settore forestale, come si verifica in alcune Regioni. Infatti, dove non si segue il principio che i fattori perturbativi del bosco si possono contenere con la prevenzione emerge inevitabilmente la sola estinzione. Con successo scarso.

Sempre nel massimo rispetto delle differenti esigenze dell’area protetta e delle scelte dell’Ente gestore si ritiene che debba essere stimolato un miglioramento dei piani antincendi dei parchi. Servono però delle competenze specifiche.

Con queste premesse negli stessi corsi di Laurea in Scienze Forestali deve essere offerto lo strumento conoscitivo per comprendere a fondo la pianificazione antincendi intesa con la mentalità del forestale. Per questo motivo la stessa didattica deve sottolineare che l’estinzione deve essere conosciuta solo perché rappresenta la tappa terminale della filiera di interventi forestali contro il fuoco. Solo il contenimento che non possono fare la prevenzione e la gestione forestale deve essere demandato alla lotta attiva. I forestali lo devono tenere sempre presente e magari ricordarlo agli altri specialisti non forestali che si affacciano al settore ambientale.

 
 
 

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