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Transgenic trees: how far the pollen flies?

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 159-161 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0384-0003
Published: Jun 13, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

Implications of extended gene flow is discussed under the light of new laws issued, regulating the admixtures among organic, traditional and biotec agriculture. Recent scientific literature is reviewed on the role of gene flow in gene escape in transgenic forest trees.

Keywords

Gene flow, Transgenic trees, Sterility, Gene escape

 

La legge N. 5 del 28 gennaio 2005 prescrive che le colture agricole con piante geneticamente modificate (OGM) possano essere permesse solo impedendo “ogni forma di commistione tra le sementi transgeniche e quelle convenzionali e biologiche” già presenti sul territorio, e prescrive che le regioni predispongano dei regolamenti per garantire una netta separazione delle filiere produttive OGM da quelle non-OGM. Se la legge impone un’etichettatura apposita nel caso che il prodotto finale contenga più dell’1% di OGM, è anche vero che le aziende con produzione di tipo biologico spesso caratterizzano i loro prodotti come “totalmente liberi da OGM”.

Il flusso genico via polline o via seme fra campi coltivati con piante OGM e piante non-OGM rappresenta, con ogni probabilità, il problema più importante e difficile per la coesistenza sullo stesso territorio di colture OGM, convenzionali e biologiche.

Un elevato scambio di polline o semi fra campi coltivati vicini, o fra campi e popolazioni selvatiche sessualmente compatibili, impedirebbe di fatto un contenimento e una delimitazione rigorosa delle coltivazioni transgeniche e determinerebbe una “contaminazione” fra i tre tipi di agricoltura. Ciò inficerebbe fin dall’origine la separazione delle filiere produttive. Per questo motivo il flusso genico rappresenta probabilmente “il problema” per l’introduzione deliberata di OGM nell’ambiente e giustifica, secondo alcuni, l’applicazione del principio di precauzione in quanto un’eventuale introgressione di transgeni nelle popolazioni naturali o nella filiera tradizionale sarebbe sostanzialmente irreversibile, sia per la natura della contaminazione stessa, sia per la scala alla quale potrebbe avvenire.

Diverse domande importanti rimangono comunque aperte. Quale è il rischio effettivo dovuto al flusso genico? Quanto lontano possono essere trasportati polline e semi? Quali distanze devono intercorrere fra le piantagioni per assicurare un grado di separazione sufficiente fra le filiere produttive? Quali sono le localizzazioni meno rischiose per le colture OGM? Quali provvedimenti devono essere adottati per specie diverse?

In passato la questione è stata troppe volte risolta affidandosi ciecamente a evidenze sperimentali, piuttosto generiche, che indicavano che “la maggior parte del polline cade a breve distanza dalla pianta sorgente”. Quest’assunzione, di per sé vera, in realtà nasconde un’insidia più importante: la quota di polline che raggiunge distanze elevate è spesso molto rilevante e la coda della curva di dispersione del polline può essere estremamente lunga. È noto che un ruolo molto importante nel trasporto viene giocato dalle correnti convettive ascensionali determinate dal riscaldamento del suolo durante il giorno e dalla particolare topografia locale. Per esempio sono stati riscontrati eventi di impollinazione fra campi di colza transgenica a distanza di 3 km dalla sorgente e con frequenze relativamente elevate a distanze superiori ai 2500 metri ([6]). È stato inoltre stimato che il polline di mais in una giornata con brezza leggera e condizioni atmosferiche ottimali potrebbe percorrere fino a 172 km in 24 ore ([2]). Sono stati inoltre riscontrati eventi di flusso genico alla distanza di 14 e 21 km in una graminacea transgenica, Agrostis stolonifera, analizzando i semi prodotti da circa 300 piante ([8]). Leonardi et al. (in corso di pubblicazione) hanno misurato eventi di impollinazione in pioppo alla distanza di 11 km.

Non solo la coda di dispersione è lunga, ma sovente la probabilità che notevoli quantità di polline cadano a distanze lunghe risulta tutt’altro che trascurabile. Un semplice conto può chiarire la questione: assumiamo che la probabilità che un granello di polline transgenico cada alla distanza di 1000 metri sia 1 su centomila, sotto i limiti di rilevazione degli studi di fecondazione, e quindi normalmente ritenuta trascurabile. È noto però che i granelli di polline prodotti da una singola pianta di mais possono variare da 14 milioni a 50 milioni ([5]); quindi la nuvola pollinica prodotta da un campo di mais di un ettaro con decine di migliaia di piante (70000 - 90000 in media) può arrivare facilmente a migliaia di miliardi di granelli. Ci possiamo attendere, di conseguenza, che a 1000 metri in media arrivino centinaia di migliaia o milioni di granelli di polline transgenico.

La ricerca in campo agricolo ed ecologico già da qualche anno ha dimostrato come eventi di dispersione a lunga distanza, sebbene possano essere considerati relativamente rari, svolgano un ruolo di estrema importanza per tutti i processi ecologici che includano la dispersione nello spazio, e i modelli ecologici spazialmente espliciti che descrivono le dinamiche spaziali e temporali di diffusione di geni, di malattie e di specie invasive ne hanno dimostrato la rilevanza. Non considerare la dispersione a lunga distanza nei modelli predittivi è quindi un pesante errore metodologico che può facilmente portare a gravi errori valutativi.

Il problema di stimare con precisione le probabilità di “contaminazione” di geni transgenici fra piantagioni diverse o fra piantagioni e specie selvatiche compatibili però non è di facile soluzione. Entrano in gioco molti altri fattori che complicano la stima, rendendo talvolta impossibile anche valutarne l’ordine di grandezza. Quelli più importanti sono:

  • la presenza/assenza di specie compatibili
  • la distanza
  • la quantità di polline prodotta (dimensioni della popolazione sorgente)
  • le dimensioni della popolazione ricevente
  • la sovrapposizione fenologica (tempi di fioritura) fra le popolazioni
  • il grado di compatibilità sessuale
  • la direzione prevalente e l’intensità dei venti
  • le condizioni topografiche locali
  • le condizioni atmosferiche locali che possono favorire o sfavorire la dispersione pollinica
  • fattori umani (come la dispersione accidentale o deliberata di semi)

Tutti questi fattori, ed altri ancora, interagiscono in modo complesso per determinare il destino dei transgeni.

Ma per le piante forestali...? 

Importanti problemi relativi alle piante coltivate non riguardano le specie forestali, in quanto queste ultime non sono riconducibili alla filiera alimentare. La domanda mondiale di legname è comunque sempre in crescita e si stima che le piantagioni forniscano attualmente circa il 35% della produzione globale di legname ad uso industriale ([7]). Inoltre si attende che questa percentuale cresca a causa della pressione crescente per la conservazione delle foreste naturali e perché la produzione di fibra in piantagioni è molto più efficiente in termini di spazio.

Il miglioramento genetico degli alberi forestali è notoriamente rallentato dai lunghi cicli riproduttivi e dalle complesse modalità riproduttive (inclusa una generale scarsa capacità di auto-incrocio e rigenerativa). L’ingegneria genetica permette il trasferimento di tratti desiderabili in genotipi selezionati senza comprometterne il background genetico favorevole.

Le caratteristiche introdotte in specie forestali riguardano principalmente la resistenza ad erbicidi, la resistenza agli insetti (frequentemente la produzione della tossina Bt), a resistenza a patogeni e a stress abiotici (es: salinità e metalli pesanti), modificazioni delle qualità e quantità del legno (in particolare della sintesi della lignina per facilitare la produzione di carta). Le specie per le quali sono stati riportati successi riguardano alcune latifoglie, come diverse specie di pioppo, eucalipto, noce, la robinia, il castagno e la betulla, ma anche alcune conifere incluse Picea abies, Picea glauca, Picea mariana, Pinus radiata, Pinus taeda e Pinus sylvestris ([7]).

Il bilancio costi-benefici richiederebbe argomentazioni difficili e controverse, il dibattito sarebbe inevitabilmente molto lungo. Comunque sperimentazioni su larga scala e perfino la fase di commercializzazione sono state già avviate: si stima che in Cina circa 1 milione di Populus nigra transgenici siano stati piantati in diverse province a partire dal 1995 per un area di circa 300 ettari ([3]).

Il problema dell’elevato flusso genico è però probabilmente maggiore per le specie forestali rispetto alle crops, in quanto negli alberi la produzione di polline è normalmente molto elevata e le distanze percorse dal polline o dai semi sono lunghe. Inoltre la probabilità di trovare popolazioni naturali sessualmente compatibili nelle vicinanze delle piantagioni è spesso alta.

Occorre però ammettere che l’elevato flusso genico può determinare una diffusione spaziale non desiderata dei transgeni, ma le evidenze che questa diffusione possa determinare danni o che le piante transgeniche diventino invasive appaiono, ora come ora, scarse se non del tutto assenti.

Piantagioni con alberi sterili sarebbero però una buona soluzione a cui ci stiamo avvicinando a grandi passi. In un articolo apparso sulla rivista Science del 19 maggio 2006 sono stati identificati in pioppo alcuni geni che regolano la fenologia fiorale, ma anche la cessazione della crescita autunnale e la formazione delle gemme ([1]). Ormai i meccanismi genetici che determinano la formazione dei fiori stanno per essere chiariti ed è lecito attendersi che alberi senza fiori, da destinare alla produzione industriale di fibra, vengano sviluppati in un futuro ormai prossimo ([4]).

References

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