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A project of environmental improvement for Red deer on the Tuscan-Emilian Apennines, Central Italy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 4, Pages 159-169 (2007)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0459-0040159
Published: Jun 19, 2007 - Copyright © 2007 SISEF

Technical Reports

Abstract

The Red deer (Cervus elaphus L.) population living on the Tuscan-Emilian Apennines had in 2006 an estimated minimum size of approximately 2275 individuals, which occur in two Regions (Tuscany and Emilia-Romagna) and four Provinces (Pistoia, Prato, Florence and Bologna). Since 2000 the population has been target of selective hunting, also in order to respond to the increasing request for concrete solutions against species impact on human activities. In this note we describe a pilot experience of projecting environmental improvement actions - such as restoration and preservation of open areas - purposely intended for Red deer. Surveys concentrated on the mountainous area of Pistoia and Sambuca Pistoiese Communes and in the territories belonging to Tuscany Regional Public Property within the competence of the Pistoiese Apennines Mountain Community or within general public competence. Here, the once pastured zones are affected by the invasion and progressive colonization of arbustive and herbaceous vegetation. Areas which are currently covered by shrubs and/or other pioneer vegetation forms have been located by means of GPS technology. For each area a descriptive paper has been realized, whose aim is including the main information recollected during field surveys jointly with data inferred from the Plan for the Forest Resource Assessment in force. 16 areas we considered fitting this project’s goals have been located, for a total extent of 21 ha: on this surface extensive vegetation cutting by mowing and mulching using mechanical machinery will be carried out in the summer 2007. Where soil position allows, superficial tillage activities with subsequent sowing of autochthonous herbaceous species are planned. In the end we evaluated intervention and correct application terms of Tuscany Forest Law no. 39/00 and Tuscany Forest Regulations (D.P.G.R. no. 48/R/03).

Keywords

Red Deer, Habitat Improvement, Habitat Conservation, Environmental Planning

Introduzione 

Sull’Appennino Tosco-emiliano è oggi presente una delle tre principali popolazioni appenniniche di Cervo (Cervus elaphus L.), reintrodotto - tra il 1958 ed il 1965 - dal Corpo Forestale dello Stato presso la Riserva Biogenetica dell’Acquerino, in provincia di Pistoia (Fig. 1). Allo stato attuale questa popolazione conta oltre 2000 individui distribuiti su due Regioni (Toscana ed Emilia-Romagna) e quattro Province (Pistoia, Prato, Firenze e Bologna), e viene monitorata sull’intero territorio in modo omogeneo già dal 1993, anno in cui le Amministrazioni Pubbliche interessate dalla presenza del cervide hanno intuito l’importanza di un monitoraggio efficace che permettesse nel medio periodo di avviare in modo tecnicamente corretto la gestione della specie ([11]). Nel 1999 le due Regioni hanno sottoscritto un apposito Protocollo d’intesa finalizzato alla gestione del Cervo del Comprensorio ACATE (Areale Cervo Appennino Tosco-Emiliano), definendo le strategie di conservazione nel lungo periodo ed avvalendosi di una Commissione di Coordinamento assistita da una Commissione Tecnica, coordinata dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) di Ozzano Emilia (BO). A partire dal 2000 la popolazione è oggetto di gestione faunistico-venatoria, anche per rispondere alla crescente domanda di soluzioni concrete all’impatto della specie sulle attività antropiche ([15]): il prelievo complessivo ha raggiunto i 1507 capi nella stagione venatoria 2006-2007.

Fig. 1 - Maschio di Cervo al bramito nell’Appennino pistoiese (foto: Andrea Dal Pian).

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È noto d’altro canto come le grandi dimensioni corporee, i fabbisogni nutritivi piuttosto elevati, gli ampi spazi vitali con quartieri stagionali distinti, la notevole mobilità e la tendenza alla gregarietà fanno del Cervo una specie particolarmente impegnativa sotto il profilo dell’impatto che la stessa è in grado di provocare sugli ecosistemi forestali e sulle colture agricole, anche considerandone la particolare flessibilità comportamentale ([10], [12], [4]). Va rimarcato inoltre come tra il XVIII ed il XIX secolo si sia registrata la quasi completa estinzione delle popolazioni nazionali di Ungulati, e del Cervo in particolare ([13], [8]): dal secondo dopoguerra il processo di sviluppo delle popolazioni di questo gruppo di specie in ambito sia alpino che appenninico ha posto di fronte chi opera nel campo della gestione territoriale a problemi nuovi, a volte sicuramente complessi, che spesso vanno ad alimentare contrasti sociali di difficile soluzione. A questo proposito già Mattioli ([7]), un decennio fa, faceva notare come occorresse iniziare ad intervenire sulla struttura del bosco per favorire gli Ungulati o perlomeno per metterli nelle condizioni di provocare meno danni. È infatti soprattutto una diffusa carenza di possibilità di alimentazione a determinare la concentrazione della fauna selvatica nelle poche aree che invece ne sono ricche ([11]). In questo contesto i miglioramenti ambientali vanno quindi assumendo un ruolo importante nella gestione complessiva del territorio e delle sue componenti, affiancandosi ad altri tipi di gestione più diretta della fauna selvatica ([1], [5], [4]).

Si tenterà quindi di illustrare nella presente nota un’esperienza pilota di progettazione di interventi di miglioramento ambientale - intesi qui prevalentemente come ripristini e mantenimento di aree aperte - per il Cervo nell’area dell’Appennino Tosco-emiliano. Nel caso specifico uno degli obiettivi della realizzazione dei citati interventi è costituito dalla necessità di rendere disponibile alla popolazione del cervide un’adeguata offerta alimentare nelle zone montane, evitandone la discesa nelle aree a maggior vocazionalità agricola. Si è operato in particolare tentando di individuare, all’interno del territorio del Demanio Regionale toscano di competenza della Comunità Montana dell’Appennino Pistoiese, zone con caratteristiche idonee a poter (ri)divenire pascolo all’interno di più ampie zone boscate; questi territori sono attualmente interessati dall’ingresso e dalla progressiva colonizzazione di vegetazione erbacea ed arbustiva che per essere eliminata richiede una serie di lavorazioni particolari. Si ricorda anche che sul versante bolognese dell’ACATE è in corso un’interessante progetto di ricerca ([14]), realizzato in collaborazione tra il CIRSEMAF (Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Selvaggina e sui Miglioramenti Ambientali a fini Faunistici) e l’INFS. Questo progetto si collega ad un programma di interventi di miglioramento ambientale realizzati recentemente dal Parco Regionale dei Laghi di Suviana e Brasimone nel proprio territorio, con particolare attenzione alle problematiche derivanti dalla diffusione eccessiva della Felce aquilina (Pteridium aquilinum L.).

È comunque da ricordare che già Mazzarone & Mattioli ([11]) hanno fornito, per gli ambienti oggetto della presente nota, interessanti e dettagliate linee di gestione forestale per una efficace prevenzione degli impatti del Cervo. Per le aree boscate vengono descritti i singoli tipi di intervento previsti per ciascuna tipologia fisionomica, tenendo presente come gli indirizzi di gestione hanno come comuni finalità l’aumento ed il miglioramento qualitativo delle aree aperte esistenti, l’aumento dello sviluppo delle fasce di transizione tra bosco ed aree aperte (ecotoni), il miglioramento delle condizioni di pascolo per il Cervo nelle aree boscate ed una maggiore distribuzione sul territorio delle fonti alimentari per gli erbivori.

Il ritorno del Cervo, in Italia e all’Acquerino 

Il Cervo ha di recente ricolonizzato una buona parte del territorio alpino italiano ed è presente con tre principali popolazioni ormai pienamente affermate sulla catena appenninica, mentre progetti di reintroduzione sono stati avviati in numerose altre aree protette peninsulari. È da attendersi quindi un progressivo recupero degli areali precedentemente occupati dalla specie, dai quali la stessa è scomparsa, come si è accennato, tra XVIII e XIX secolo a causa principalmente delle modificazioni ambientali e della persecuzione diretta ([8]). Gli unici nuclei autoctoni sopravvissuti al generale impoverimento faunistico di quel periodo storico sono rappresentati dalla popolazione della Mesola, nel Delta del Po in provincia di Ferrara, e (con buona probabilità) da un piccolo nucleo in Val Venosta, nel territorio di Glorenza, in provincia di Bolzano ([6]). Il processo di ricolonizzazione è stato documentato in particolare da Mattioli et al. ([9]) e da Pedrotti et al. ([13]). Sulle Alpi centro-orientali le popolazioni attuali derivano principalmente da immigrazione naturale dai Paesi confinanti, Svizzera ed Austria: sulle Alpi occidentali invece il contributo di alcuni progetti di reintroduzione è prevalente. Negli Appennini le popolazioni presenti derivano interamente da interventi di reintroduzione attiva condotti a partire dai primi anni Cinquanta: tra il 1950 ed il 1998 è stato possibile documentare nel complesso 45 diversi episodi di immissione di cervi in libertà sull’intero territorio nazionale ([9]). Le motivazioni di questi interventi evidentemente poggiavano e poggiano tuttora sull’esigenza di ripristinare una componente fondamentale degli ecosistemi forestali scomparsa a causa dell’uomo. Al 2000 l’areale distributivo della specie risultava quello rappresentato in Fig. 2 ([8]), esteso per circa 38000 km2: d’altro canto la consistenza complessiva stimata a livello nazionale nel 1999-2000 era pari a circa 44000 capi (compresi circa 2700 della sottospecie sarda, [13]).

Fig. 2 - Distribuzione del Cervo in Italia nel 1998 (da [8]).

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L’attuale popolazione di Cervo presente nell’Appennino Tosco-emiliano deriva, come sopraccennato, da un’operazione di reintroduzione effettuata a partire dagli anni Cinquanta dal Corpo Forestale dello Stato nelle Foreste Demaniali Pistoiesi, inquadrabile in un più generale impegno dei forestali italiani nel ridare vitalità agli ecosistemi esausti e semplificati del dopoguerra. Il Cervo si era estinto nell’area di studio verso la fine del XVIII secolo; nel 1952 l’allora Amministratore delle Foreste Demaniali Pistoiesi Guglielmo Premuda chiese alla Direzione del Ministero dell’Agricoltura e Foreste di poter acquisire i primi Ungulati. Nel 1958 furono liberati all’Acquerino quattro cervi, di cui due femmine, un maschio ed un esemplare di sesso indeterminato. Gli esemplari provenivano dalle Foreste Demaniali di Tarvisio, la cui popolazione a sua volta, stando ai rapporti dell’ex A.S.F.D., derivava da esemplari reintrodotti nel confinante territorio austriaco. Nel 1965 l’ispettore Pettinà liberò in Acquerino un secondo gruppo di cervi, anch’essi provenienti da Tarvisio, composto da tre capi di sesso indeterminato. Intorno al 1967-68 la popolazione si era estesa oltre i territori protetti, di proprietà demaniale, fino a raggiungere il confine tra Toscana ed Emilia presso Fossato Monte Calvi. Alla graduale espansione del nucleo dell’Alto Pistoiese si aggiungono nel Bolognese alcuni episodi collaterali, come la comparsa di un piccolo nucleo nei pressi di Monte Sole (1981-82), forse dovuto a immissioni clandestine, e possibili fughe dall’allevamento della Prada (dal 1986) e più di recente (avvistamenti nella zona di Gragnano, verso est) da altri recinti.

I dati di monitoraggio riferibili ai territori di tutte le quattro Province coinvolte hanno permesso di ipotizzare una crescita annua del 10% circa della popolazione, che conduce ad una stima della consistenza numerica minima pari a circa 2275 individui nel 2006; l’avvio della gestione faunistico-venatoria della popolazione ha determinato, a partire dalla stagione venatoria 2001-2002, un sostanziale arresto della crescita della popolazione che ha raggiunto i massimi livelli (oltre 2500 capi) nel 2003. Attualmente i piani di prelievo si attestano su circa 400 capi annui e la popolazione sembra essersi stabilizzata all’interno dell’areale definito all’avvio della gestione; incrementi di areale e di consistenza continuano ad essere rilevati in alcune porzioni marginali con particolare riferimento all’espansione lungo la dorsale appenninica sia verso sud est (verso le Foreste casentinesi) che in direzione dell’area Cutigliano-Abetone. La popolazione di cervi dell’Appennino Tosco-emiliano, secondo gli ultimi dati a disposizione, occupa un’area di circa 800 chilometri quadrati; circa il 44% interessa la Provincia di Bologna, il 34% la Provincia di Pistoia e il rimanente 22% la Provincia di Prato. Come si può vedere in Fig. 3, nella porzione emiliana la popolazione rimane prevalentemente compresa tra la Strada Statale Porrettana e il tracciato autostradale che collega Bologna a Firenze. Il limite orientale prosegue verso sud lungo il corso del fiume Bisenzio, in Provincia di Prato, con alcuni sconfinamenti in Provincia di Firenze. Il limite meridionale della popolazione corrisponde all’area collinare sovrastante la zona urbanizzata di Montale e Pistoia, proseguendo poi verso ovest lungo la Strada Statale del Brennero ed infine lungo il bacino del fiume Reno.

Fig. 3 - Distribuzione del Cervo del Comprensorio ACATE riferita al 2001.

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Area di studio 

La progettazione degli interventi di miglioramento ambientale per la specie ha riguardato una parte - centrale anche dal punto di vista della relativa importanza - dell’areale distributivo della Provincia di Pistoia (Fig. 4), e specificamente il territorio del Demanio Regionale toscano di competenza della Comunità Montana dell’Appennino Pistoiese. I rilievi si sono concentrati esclusivamente nell’area montana dei Comuni di Pistoia e Sambuca Pistoiese sui territori di competenza della Comunità Montana o comunque di competenza pubblica; unica deroga è stata adottata per l’area di Bolago, per la quale l’Ambito Territoriale di Caccia (ATC) Pistoia 16 ha già stipulato specifici accordi con i privati proprietari per eventuali lavori.

Fig. 4 - Evoluzione recente della distribuzione del Cervo in Provincia di Pistoia (modificato da: [2]).

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Dal punto di vista vegetazionale la fascia montana dell’area di studio (compresa tra gli 800 e i 1200 m s.l.m.) è dominata dalla faggeta (Fagus sylvatica L.); sono presenti anche impianti artificiali di Douglasia (Pseudotsuga menziesii (Mirbel) Franco), Abete bianco (Abies alba Mill.) ed Abete rosso (Picea abies (L.) Karst.). Alle quote più basse della fascia montana e in quella submontana la copertura forestale più diffusa è quella a castagneto (Castanea sativa L.), una volta governato a ceduo (per la produzione di carbone) o, localmente, per la produzione di frutto. Ora che è venuta meno la domanda del carbone, dove il bosco non è in stato di abbandono sono in corso conversioni a fustaia: sono perciò frequenti le fustaie transitorie di Castagno. Le comunità erbacee dell’orizzonte montano e delle zone più fresche dell’orizzonte submontano sono rappresentate essenzialmente da praterie mesofile secondarie. Nelle radure e ai bordi dei boschi possono essere presenti le cosiddette “lande bassomontane”, con Felce aquilina, Brugo (Calluna vulgaris L.) e Ginestra dei carbonai (Sarothamnus scoparius L.). L’orizzonte submontano è caratterizzato soprattutto dalla presenza di boschi mesofili di querce e di formazioni miste di latifoglie; si tratta di cenosi di origine naturale a composizione floristica stabile ed evoluta, ma di struttura artificiale e instabile, indotta e mantenuta dal tipo di utilizzazione (ceduo matricinato). Si tratta soprattutto di boschi misti (querco-ostrieti) di Cerro (Quercus cerris L.) e Carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.), anche se sono presenti boschi puri di Carpino nero e, più raramente, faggete miste termofile. Sono presenti infine anche querceti xerofili a Roverella (Quercus pubescens Willd.) e Cerro. Il forte abbandono della montagna verificatosi a partire dal secondo dopoguerra è da ritenersi alla base di importanti cambiamenti ambientali, con la rarefazione dei campi e dei prati-pascoli e lo sviluppo di praterie arbustate (oggetto degli interventi progettati), boscaglie e boschi di varia composizione ([14]).

Materiali e metodi 

Per la prima fase di indagine si è proceduto all’individuazione mediante utilizzo di GPS delle aree attualmente occupate da cespugli e/o altre formazioni vegetazionali pioniere. La prima fase di raccolta dati ha previsto l’identificazione delle aree mediante indagini cartografiche preliminari, la realizzazione di interviste a residenti - la cui “memoria storica” ha fornito un contributo molto qualificato - finalizzate all’individuazione di altre aree un tempo utilizzate dagli Ungulati e attualmente indisponibili, e quindi la delimitazione delle aree stesse mediante GPS e computer palmare con relativa descrizione e l’acquisizione di materiale fotografico originale. Nello svolgimento delle operazioni di rilievo è stato innanzitutto valutato il vigente Piano di Assestamento, attualmente in rinnovo ([17]), integrando le informazioni disponibili con un’analisi dell’uso del suolo mediante GIS; a questo fine si è utilizzata la banca dati più aggiornata a disposizione presso il SIT dell’Amministrazione Provinciale di Pistoia. Questi primi passaggi si sono resi necessari per avere una visione il più attendibile possibile dell’evoluzione del territorio e dei relativi soprassuoli. Infine, è stata compiuta un’indagine diretta su campo per integrare i dati acquisiti con le precedenti analisi ed avere un quadro della situazione odierna.

Per quanto riguarda la descrizione delle aree è stata predisposta una scheda su cui sono state annotate le seguenti informazioni principali: tipologia vegetazionale dell’area e di quelle circostanti, caratteristiche principali del terreno, presenza di fenomeni di erosione e dissesto idrogeologico, classe di pendenza e di esposizione, presenza di ciglionamenti, tipologia di viabilità presente e livello di accessibilità dell’area. In Tab. 1 viene riportata - a titolo di esempio - la scheda descrittiva utilizzata per i rilievi di campagna relativa ad una delle aree individuate.

Tab. 1 - Scheda descrittiva utilizzata per i rilievi di campagna relativa ad una delle aree individuate.

Scheda 1 di 16
Nome e
ubicazione
Nome dell’area: ARSICCIOLI
Località: Arsiccioli
Comune: Pistoia
Superficie: 0.54 ha
Inquadramento catastale: Foglio 22, particelle 6.7,9.10
Descrizione
generale dell’area
Si tratta di tre aree molto vicine tra loro, un tempo terreni a seminativi e prati interessati in seguito da rimboschimento di conifere; in alcune zone le conifere presentano ormai segni di deperimento e tali fallanze hanno dato luogo a vuoti occupati da infestanti, soprattutto da felce andantemente e localmente da ginestra.
Vegetazione Tipologia vegetazionale prevalente dell’area: felci (più del 50 %), ginestra e conifere sparse.
Tipologia vegetazionale area circostante: latifoglie varie, conifere.
Confronto con uso del suolo: brughiere e cespuglieti, ceduo latifoglie a prevalenza di castagno.
Confronto con Piano di assestamento vigente: part. 20 della compresa Fustaia di conifere varie; giovane impianto di duglasia e abete bianco di circa 18 anni in cui sono presenti vari vuoti occupati da infestanti. Sparsa presenza di latifoglie (faggio, castagno, acero montano, ciliegio).
Suolo Pendenza: lieve
Ciglionamenti: presenti
Segni di erosione o smottamenti: non sono presenti segni di dissesto ed erosione.
Superficie lavorabile: 50%
Viabilità Accessibilità: non è necessario il ripristino della viabilità, raggiungibile con trattore.
Possibili interazioni con viabilità principale: nessuna, lontano dalla viabilità principale.
Note -
Immagini Radura all’interno del rimboschimento di conifere, occupata dalla felce
-

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La successiva fase di “restituzione” delle informazioni ha previsto la creazione di banche dati alfa-numeriche e cartografiche mediante inserimento dei dati in fogli elettronici, e la digitalizzazione delle informazioni cartografiche tramite GIS. Per ogni area rilevata è stata inoltre creata una scheda descrittiva che riporta le informazioni principali raccolte durante i rilievi di campagna integrate con i dati desunti dal citato Piano di Assestamento. Per ogni area è stato inoltre fornito il riferimento catastale (Comune catastale, numero di foglio e di particella): va comunque precisato che queste indicazioni potrebbero essere parzialmente inesatte nel caso in cui siano avvenute parcellizzazioni o accorpamenti di unità catastali in tempi successivi all’acquisizione digitale delle mappe catastali.

I rilievi hanno interessato esclusivamente le zone significativamente distanti dalla viabilità principale, in modo da escludere la probabilità di un aumento di incidenti e impatti con veicoli dovuti ad un richiamo degli Ungulati in zone rese più appetibili attraverso gli interventi progettati. Inoltre è stata posta più attenzione nei confronti dei terreni caratterizzati da pendenze lievi o moderate, anche se in generale non sono stati rilevati particolari segni di erosione, smottamento o dissesto idrogelogico importante.

Risultati e prospettive applicative 

Sono state individuate 16 aree ritenute idonee agli scopi del progetto, per una superficie complessiva di circa 21 ettari (Tab. 2, Fig. 5). In molti casi si sono riscontrate notevoli differenze tra la descrizione particellare del Piano di Assestamento e lo stato attuale, in particolare in termini di superficie e tipologie ambientali. Queste diversità non sono attribuibili ad errori grossolani nella perimetrazione delle aree, ma alla naturale evoluzione cui la vegetazione è andata incontro dal momento dei rilievi attuati per il piano (1994) fino ad oggi. Dal punto di vista forestale le superfici monitorate sono da considerarsi facenti parte di terreni saldi coperti da vegetazione erbacea e di terreni con vegetazione arbustiva; devono essere pertanto valutate le modalità di intervento ai fini di una corretta applicazione della Legge Forestale della Toscana n. 39/00 e successive modifiche ed integrazioni, oltre che del Regolamento Forestale della Toscana di attuazione di cui al D.P.G.R. n. 48/R/03 ([3]). È stato infatti rilevato che le formazioni costituite prevalentemente da Ginestra dei carbonai coprono le superfici interessate in modo irregolare, ma si estendono spesso per superfici superiori a 2000 m2, oltre ad interessare in taluni casi più del 40% di copertura del suolo; nella maggioranza dei casi è inoltre difficile stabilire se le ginestre si sono insediate da più di 15 anni. Va ricordato che secondo la citata Legge Forestale della Toscana (ed in particolare secondo l’articolo 3, comma 5, lettera c) solo “le formazioni arbustive ed arboree insediatesi nei terreni già destinati a colture agricole o pascoli, abbondonate per un periodo inferiore ai 15 anni” non sono considerate bosco[1]. Ora, sembra utile riportare integralmente quanto prescritto dal Piano di Assestamento 1995-2004 ([17]) per le aree monitorate nel presente lavoro, che venivano attribuite alla IV classe economica “Altre Superfici”: “Si tratta prevalentemente di superfici residue a pascolo o prato pascolo, un tempo appartenenti alle due più importanti aziende silvo-pastorali esistenti in zona, Campotorondo - La Sillora e Monachino, che in passato sono state più o meno estesamente rimboschite e di cui attualmente, quale unica testimonianza, rimangono questi lembi di pascolo, prevalentemente invasi da cespugli e piante arboree, sia isolate che in piccoli gruppi. Su queste superfici è sempre stato esercitato il pascolamento ovino; al carico eccessivo del passato si è però sostituito il sovraccarico latente: il bestiame rifiuta gran parte del foraggio per la sua scadente qualità poiché nel cotico è presente un discreto numero di specie, ma poche, e poco sviluppate, sono quelle appetite dal bestiame. Attualmente queste superfici sono concesse con contratto di fida a pastori della zona, che solo per gli appezzamenti di maggiori dimensioni provvedono alle adeguate operazioni di conservazione. Nell’ambito dell’intera proprietàè da evidenziare la limitata importanza economica della classe. Queste superfici sono spesse invase dal rovo, ginestra dei carbonai, cardi, cardine, felci, ed altre essenze, che diminuiscono la produttività riducendo le specie pabulari e contemporaneamente limitano le possibilità di miglioramento per gli alti costi del decespugliamento. In definitiva siamo di fronte, soprattutto per le particelle più piccole, ad una progressiva naturale riconquista da parte prima della vegetazione arbustiva, poi di quella arborea. Questa tendenza è senz’altro da favorire, o quantomeno da non contrastare, e non per velleitari intenti “naturalistici” ma perché le caratteristiche ambientali e socioeconomiche della zona non consigliano attualmente nessuna altra forma di gestione. Il rimboschimento stesso è sconsigliabile di fronte ad un fenomeno naturale che otterrà progressivamente lo stesso risultato, se non addirittura migliore. Inoltre, la presenza delle radure dovute ai coltivi o ai pascoli interrompe la continuità della copertura boschiva, determinando la formazione di un microambiente fortemente caratterizzato dall’effetto margine, il quale a sua volta favorisce l’insediamento della selvaggina”.

Tab. 2 - Aree individuate per la realizzazione degli interventi di miglioramento ambientale.

No Area Superficie (ha)
1 Arsiccioli 0.54
2 Bolago 1 1.56
3 Bolago 2 0.60
4 Bolago 3 7.04
5 Il Gobbo 0.60
6 Bolago di Sopra 1 0.09
7 Bolago di Sopra 2 0.06
8 Bolago di Sopra 3 1.60
9 Sillora 2.22
10 Casetta del Faldo 0.82
11 Falsereni 1 1.36
12 Falsereni 2 0.26
13 Guigliamme 1.98
14 Scarlina 0.47
15 Felciaioni 0.68
16 Orto di Corso 1.12
- Superficie complessiva 21.01

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Fig. 5 - Localizzazione di una delle 16 aree di intervento su foto aerea.

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Va evidenziato come l’estensore del Piano avesse previsto in modo esatto e puntuale l’evoluzione cui queste tipologie ambientali sarebbero andate incontro: peraltro, deve essere fatto notare che allo stato attuale sono cambiate le strategie gestionali complessive del territorio, dal momento che con l’espandersi delle popolazioni di Ungulati la presenza di aree aperte costituisce un elemento fondamentale del paesaggio ai fini di una razionale gestione del patrimonio faunistico ed ambientale. In netta contrapposizione rispetto alla visione del Piano risultano quindi le attuali strategie gestionali di queste aree marginali, che si auspica vengano riprese anche dal prossimo Piano di Assestamento. A tale scopo si ricorda che per la realizzazione degli interventi di miglioramento ambientale progettati sono già stati avviati i primi contatti e si sono già svolti alcuni incontri preliminari tra i vari Enti interessati alla gestione del territorio. In particolare è stata indetta una Conferenza dei Servizi coinvolgendo gli Uffici competenti della Provincia di Pistoia, i Comuni, la Comunità Montana, il Corpo Forestale dello Stato, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etno-antropologico per le Province di Firenze, Pistoia e Prato - oltre naturalmente all’ATC in veste di coordinatore del progetto -. Il risultato dovrebbe portare ad una sinergia finalizzata alla definizione di obiettivi gestionali comuni, alla integrazione delle varie forme di gestione, ad una augurabile riduzione delle spese di intervento, alla pianificazione nel medio periodo degli interventi di ripristino e nel lungo periodo degli interventi di manutenzione.

Alla luce delle considerazioni avanzate su tutte le superfici individuate si prevede taglio andante della vegetazione mediante sfalcio e trinciatura con l’utilizzo di idoneo mezzo meccanico. La ripulitura del terreno prevede il mantenimento di tutte le piante arboree e della vegetazione arbustiva costituita da essenze utili dal punto dell’offerta trofica: Prugnolo (Prunus spinosa L.), Biancospino (Crataegus monogyna Jacq.), Rosa canina (Rosa canina L.), ecc. Per quanto riguarda le lavorazioni, dove possibile, cioè dove la giacitura del terreno è da sub-pianeggiante a moderatamente acclive, sono previste lavorazioni superficiali (entro i 30 cm) del terreno. In seguito sono previste semine di essenze erbacee autoctone: Festuca (Festuca spp.), Ginestrino (Lotus corniculatus L.), Erba medica (Medicago sativa L.), Trifoglio (Trifolium spp.), Sulla (Hedysarum coronarium L.). Queste lavorazioni si rendono necessarie per il contenimento della Felce: in assenza di disturbo questa specie infestante prospera, senza offrire alcuna risorsa alimentare, potendo diventare anche potenzialmente tossica per gli animali ([14]). I lavori verranno condotti nel rispetto della prescrizioni del Regolamento Forestale della Toscana (vedi anche nota 1), ed in particolare non verranno apportate modificazioni morfologiche del terreno né all’assetto idraulico, non verrà asportato il terreno superficiale, le piante arboree verranno rilasciate anche se dovessero trovarsi in forma singola o a gruppi e le lavorazioni (fresatura, aratura, ecc.) saranno eseguite sui terreni pianeggianti o moderatamente acclivi e dove non ci sia pericolo di erosione.

Conclusioni 

Quella descritta è una prima esperienza di progettazione a media scala di interventi di miglioramento ambientale specificamente destinati ad una specie impegnativa come il Cervo, ma che si prevede abbia efficacia per tutti gli Ungulati oltre che per altre specie selvatiche che traggono vantaggio dalla presenza di aree a pascolo. Come noto, la mancanza di aree aperte a prato e/o di radure all’interno del bosco è generalmente riconosciuta come una delle principali cause predisponenti ad impatti insostenibili provocati dagli Ungulati ([4]). Ueckermann & Schulz ([16]), ad esempio, suggeriscono l’apertura capillare all’interno del bosco di radure vaste fino a mezzo ettaro: per ogni esemplare di Cervo censito dovrebbero essere garantiti in foresta 1000 m2 di pascolo. È inoltre del tutto evidente che una efficacia prolungata dei prati interni ai complessi forestali richiede una loro manutenzione, con periodici sfalci, arature, risemine e concimazioni ([7]). In molti ambienti appenninici (ma anche alpini) del nostro Paese può essere consigliabile provvedere, come si è tentato di illustrare più sopra, ad un opportuno ripristino di ex coltivi, presenti in bosco ma spesso ridotti a causa dell’abbandono ormai prolungato nel corso dei decenni a felceti o ginestrai, come nel caso esaminato nella presente nota.

I lavori nell’area di studio dovrebbero avere inizio nel corso dell’estate 2007. È allo studio la possibilità di verificare l’efficacia degli interventi nel medio-lungo periodo - con la consulenza del Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agro-Forestale dell’Università degli studi di Firenze - e di sottoporre a monitoraggio l’utilizzo degli habitat “migliorati” da parte del Cervo nel periodo successivo alla realizzazione.

Ringraziamenti 

Desideriamo ringraziare Roberto Niccolai, Presidente dell’ATC Pistoia 16, per l’appoggio fornito in ogni fase del presente lavoro; Ivano Taddei per il contributo all’individuazione delle aree oggetto dei possibili interventi grazie alla sua profonda conoscenza del territorio; Marco Paci per una puntuale rilettura critica del testo; Andrea Dal Pian per la foto gentilmente resa disponibile. Il progetto è stato commissionato alla Soc. Coop. D.R.E.Am. Italia dall’ATC Pistoia 16.

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L’art. 3, comma 1, della Legge Forestale della Toscana stabilisce che “...Ai fini della presente legge costituisce bosco qualsiasi area, di estensione non inferiore a 2000 metri quadrati e di larghezza maggiore di 20 metri, misurata al piede delle piante di confine, coperta da vegetazione arborea forestale spontanea o d’origine artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, che abbia una densità non inferiore a cinquecento piante per ettaro oppure tale da determinare, con la proiezione delle chiome sul piano orizzontale, una copertura del suolo pari ad almeno il 20 per cento. Costituiscono altresì bosco i castagneti da frutto e le sugherete...”. Il comma 4 del medesimo articolo stabilisce inoltre che “...Sono assimilati a bosco le formazioni costituite da vegetazione forestale arbustiva esercitanti una copertura del suolo pari ad almeno il quaranta per cento, fermo restando il rispetto degli altri requisiti previsti dal presente articolo...”. Il comma 2 dell’art. 80 del Regolamento forestale della Toscana stabilisce inoltre che “...La trasformazione delle formazioni arbustive assimilate a bosco di cui all’articolo 3, comma 4 della legge forestale e, più in generale, dei boschi di neoformazione insediatisi su pascoli ed altri terreni agrari, è valutata in rapporto alle esigenze di tutela e di riequilibrio dei sistemi vegetazionali e delle aree verdi, anche in riferimento agli indirizzi e prescrizioni del PTC. In tale ambito, ferma restando la tutela idrogeologica, costituiscono elementi per la valutazione della fattibilità della trasformazione le seguenti esigenze: a) il riequilibrio vegetazionale del territorio ai fini del mantenimento della fauna selvatica e della biodiversità vegetale ed animale...”. Infine, l’articolo 87 (Manutenzione e miglioramento dei pascoli) del medesimo Regolamento stabilisce che “...1. Nei pascoli sono liberamente consentiti i lavori di manutenzione e di miglioramento consistenti in rinettamento, spietramento superficiale, drenaggio, suddivisione in comparti, taglio della vegetazione infestante, concimazione. È altresì consentito procedere alla strigliatura od erpicatura superficiali necessarie ad arieggiare e rinnovare il cotico erboso, senza che si abbia l’eliminazione o la rottura dello stesso. 2. La rottura periodica, in genere decennale, del cotico erboso dei pascoli o l’estirpazione degli arbusti nei pascoli sono soggette a dichiarazione, purché la vegetazione arbustiva non costituisca bosco ai sensi dell’articolo 3 della legge forestale. Le suddette operazioni devono compiersi con lavorazione superficiale e senza rovesciamento del terreno, facendo seguire la lavorazione da semina di miscugli di piante foraggere, possibilmente locali”.
 
 
 

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