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The application of Kyoto Protocol in Italy: role and required synergies between central and regional administrations

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 4, Pages 147-150 (2007)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0460-0004
Published: Jun 19, 2007 - Copyright © 2007 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

According to art. 3.3 of the Kyoto Protocol, Parties included in Annex I shall report the net changes in greenhouse gas emissions by sources and removals by sinks resulting from afforestation, reforestation and deforestation activities. To assess these activities, Italy has to define methods to estimate land use change occurring after 31 December 1989. On the other hand, Italy elected forest management as additional human-induced activity to attain the goals of reduction of greenhouse gas emissions. The paper considers the key-role that central and regional Administrations may have in order to solve some specific problems regarding data collection and management issues.

Keywords

LULUCF, Forest Management, Italy, Regional Administration, Forest definition

 

Il Protocollo di Kyoto (PK, art. 3.3) impegna l’Italia, così come gli altri Paesi che hanno assunto degli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra, a contabilizzare un bilancio tra assorbimenti ed emissioni di carbonio derivanti da processi di afforestazione (A) e riforestazione (R). Queste attività si definiscono come la conversione in foresta realizzata per azione antropica a partire dal 1990, di terreni non boscati da meno di 50 anni (R) o da più di 50 anni (A), per mezzo di piantagione, semina e/o azione antropica di sostegno all’affermazione di modalità naturali di propagazione ([2]).

I crediti generati da A e R, al netto della deforestazione (D), non sono soggetti ai limiti imposti alla gestione forestale ma possono essere utilizzati in toto, purché contabilizzati secondo le indicazioni fornite dalle “Good Practice Guidance for Land Use, Land Use Change and Forestry” dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), di seguito indicate come Good Practice Guidance ([8]).

Tra le attività addizionali previste all’art 3.4 del Trattato, il governo italiano ha inoltre deciso di avvalersi della sola Gestione Forestale (Forest Management, FM) come misura complementare per il raggiungimento degli obiettivi fissati in sede internazionale ([9]). Anche queste attività, definite come un complesso di pratiche per la conduzione e l’uso sostenibile di una foresta finalizzate al conseguimento di rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali, devono essere iniziate dopo il 1990 ed essere legate ad un’azione antropica, cioè connessa ad espliciti e diretti interventi gestionali. Ferma restando la riduzione al 15% dei crediti afferenti alla Gestione Forestale, il limite di crediti potenzialmente raggiungibili con il FM dal nostro Paese, inizialmente fissato a 0.18 Mt di carbonio/anno, è stato recentemente portato a 2.78 Mt di carbonio/anno.

Come evidenziato da Ciccarese et al. ([4]), una volta inserita un’area nelle attività previste dall’art. 3.4, il Paese dovrà anche assumersi l’onere degli eventuali debiti derivanti da una riduzione degli stock di carbonio dovuta a cause naturali o antropiche. Per questo si impone una attenta valutazione di costi e benefici correlati alla scelta delle aree “gestite” ai fini del PK e quindi della stessa definizione di “gestione forestale”.

Nel quadro delineato dalla definizione di FM adottata negli Accordi di Marrakesh si inseriscono i due approcci proposti alle Parti dalle Good Practice Guidance. Il così detto Narrow Approach, più restrittivo, che considera come soggette a FM le sole aree interessate da interventi colturali “intensivi”, quali la preparazione, piantagione, sfollo e protezione diretta del sito, e il Broad Approach, che non richiede l’esecuzione di specifiche pratiche su ciascun sito, ma la sola identificazione delle aree soggette ad un generico sistema di pratiche colturali ([11]). In Italia, così come in altri Paesi, sembra al momento prevalere un’interpretazione più ampia tesa a considerare come “gestite” tutte le aree boscate non soggette a processi di ARD ([6], [1]).

Èevidente che la rendicontazione dei crediti generati tanto dalla variazione di superficie boscata quanto dalla gestione forestale spetta allo Stato, così come la gestione dei rapporti con i vari organismi internazionali responsabili dell’applicazione del Protocollo. Tuttavia l’attuazione del Trattato a livello nazionale, perlomeno per quanto concerne il settore forestale, non può prescindere da un coinvolgimento diretto delle amministrazioni regionali, direttamente responsabili della gestione del patrimonio forestale presente sul proprio territorio.

Dall’ampio dibattito in corso sulle reali o presunte potenzialità di sviluppo offerte dalla ormai prossima attuazione del Protocollo di Kyoto e sulle ricadute che il costituendo Registro Nazionale dei Serbatoi di Carbonio potrà avere sul settore forestale, sembrano sfuggire alcune problematiche concrete, che, si ritiene, dovranno essere affrontate, con urgenza, da Stato e Regioni:

  • Presupposto per l’adozione di una definizione più ampia di FM (“Broad Approach”), tesa a sostenere che l’intera superficie boscata nazionale è soggetta a gestione forestale, potrebbe essere la presenza di vincoli normativi posti a tutela della stessa (vincolo idrogeologico e paesaggistico). A tale scopo sembra essenziale disporre di un’omogenea definizione di bosco, applicabile indistintamente all’intero territorio. Da un lato, infatti, abbiamo la definizione adottata dall’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio ([7]), che dovrebbe costituire la base per una rigorosa identificazione della superficie boscata a livello nazionale, dall’altro le definizioni adottate da ciascuna regione, divergenti, tanto nella definizione della superficie minima quanto della percentuale di copertura e, se presente, dell’altezza ([13]). Una diversa definizione di ciascuno di tali parametri, comporta inevitabilmente una variazione, in alcuni casi consistente, tanto dell’estensione della superficie boscata, quanto, ed in maggior misura, della variazione di superficie occorsa dal 1990 ([10]). L’area inventariale risulta in questo caso diversa dall’area oggetto di tutela, e quindi di “gestione” sensu lato in base alla normativa delle singole regioni.
  • Èessenziale definire in modo chiaro non solo su quali basi normative (es. vincoli di tutela del bosco) ma anche tecniche sia possibile affermare che l’intera superficie boscata nazionale è gestita. Ciò richiede, oltre ad una univoca determinazione dell’area soggetta a tutela, la definizione di una serie di pratiche colturali comuni, atte a garantire una gestione sostenibile del soprassuolo e dimostrare che il generalizzato aumento dello stock di carbonio in atto da decenni nelle foreste del nostro Paese, è in qualche misura “human induced” e non legato alla semplice assenza di interventi selvicolturali. Tali pratiche, dovrebbero essere iniziate dopo il 1990: anche in questo caso ciò richiede uno sforzo comune tra Stato e Regioni, per lo meno di carattere normativo, teso ad attestare la volontà di gestire il soprassuolo forestale nell’ottica di accrescere le capacità di assorbimento e stoccaggio di anidride carbonica.
  • La variazione di superficie boscata, come la gestione forestale, deve essere legata a processi occorsi dopo il 1990 ed indotti dall’uomo. Preso atto della probabile esclusione da tale misura dei pioppeti e degli impianti di arboricoltura da legno ([9]), la gran parte della superficie afferente all’art. 3.3 del PK, sarà data dai processi di ricolonizzazione naturale occorsi dopo il 1990, a seguito dell’abbandono delle aree rurali e marginali. Ferme restando le perplessità sollevate a più riprese da autorevoli esperti sulla correttezza di tale approccio ([3], [9]), risulta quanto meno necessario fornire supporto normativo alla “presunta volontà” di tutelare l’espansione spontanea della superficie forestale al fine di accrescere le possibilità di assorbimento di CO2. Non va inoltre dimenticato il fatto che le Good Practice Guidance richiedono espressamente anche il computo delle aree soggette a deforestazione che, seppur in genere limitata, interessa l’intero territorio nazionale. L’entità di tale fenomeno, per il passato, può essere valutata con idonee metodologie di indagine ([10]), ma per il futuro potrebbe essere conteggiata con una organica e rigorosa raccolta di informazioni da parte delle singole amministrazioni regionali, cui in genere spetta la responsabilità di autorizzare ciascuna riduzione di superficie boscata e, in molti casi, di tutelare il patrimonio forestale da eventuali incendi, quantificando le superfici interessate dagli stessi. Anche in questo caso è necessaria l’adozione di un quadro di riferimento comune.
  • Tenuto conto della definizione di bosco adottata a livello nazionale e della risoluzione spaziale necessaria alla sua applicazione al 1990, l’unica metodologia idonea per la stima della variazione di superficie boscata occorsa a partire da tale data, sembra essere un’analisi multitemporale basata sul confronto tra le ortofoto attuali e le immagini, eventualmente georeferenziate, relative all’anno base o ad un periodo ad esso prossimo ([5]). Appare quanto mai urgente avviare, sfruttando anche l’esperienza e le basi conoscitive acquisite nella prima fase dell’INFC, un organico programma di ricerca su scala regionale, teso a computare, conformemente a quanto previsto dal così detto Reporting Method 1 delle Linee Guida dell’IPCC ([11]), le aree soggette ad ARD, considerando come ambiti omogenei di riferimento le singole Regioni ([10]).
  • La quantificazione dei prodotti legnosi e della natura (legna da ardere, legname da opera, ecc.) degli stessi, come noto, non è prevista nella prima fase di attuazione del PK (Primo Periodo di Impegno, 2008-2012). Ètuttavia probabile che tali aspetti troveranno concreta applicazione nei successivi periodi di impegno. Èperciò auspicabile che le singole Regioni predispongano, ove possibile, sin d’ora, almeno per le aree soggette a pianificazione forestale, idonei strumenti di monitoraggio delle utilizzazioni.
  • Il costituendo Registro Nazionale dei Serbatoi di Carbonio, dovrebbe certificare la quantità di carbonio sequestrato nei serbatoi dei sistemi agro-forestali, attribuendo, previa denuncia dell’interessato, i relativi crediti al proprietario stesso ([12]). In assenza di uno specifico atto di denuncia tali crediti verrebbero utilizzati direttamente dallo Stato ([9]). In base alle considerazioni sopra esposte e vista la diretta responsabilità che la normativa nazionale attribuisce alle amministrazioni regionali riguardo alla tutela e gestione delle foreste, dovrebbe essere attentamente valutata l’opportunità di attribuire a ciascuna Regione la gestione dei crediti relativi al proprio patrimonio forestale, responsabilizzando così le singole amministrazioni e riconoscendo loro l’attività svolta a tutela del proprio patrimonio selvicolturale.

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