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Genetic improvement of trees for wood production, with particular refeference to wood traits

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 5, Pages 112-120 (2008)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0506-0050112
Published: Mar 26, 2008 - Copyright © 2008 SISEF

Research Articles

Abstract

The use of selected propagation material from tree improvement programs is expected to lead to a more homogenous product, generally appreciated by industry. So far, breeding strategy have been mainly targeted to maximize acclimation/adaptation to specific environment conditions, tree growth and disease resistance, but it is not obvious that such strategy might lead to improvement of wood characteristics at the same time. Therefore, it seems important to introduce wood traits improvement as specific target of the selection process in tree breeding programs, and/or to assess heritability of wood technological properties of trees previously selected based on different criteria. Investigations reported so far have revealed that several wood traits are under a medium to high genetic control. The main goal of this work is to discuss the suitability of wood traits improvement as main target of specific breeding programs, with particular attention to wood technological characteristics to be considered in the tree selection process. Finally, we focused on noble hardwoods, that have been the target species for many improvement programs developed in Italy, and particularly on wild cherry, where studies on the genetic control of wood traits are rare.

Keywords

Tree improvement, Hardwoods, Wood, Prunus avium, Wild Cherry

Introduzione 

In un qualunque processo di trasformazione industriale la conoscenza e la riproducibilità dei requisiti originari della materia prima rappresentano un presupposto fondamentale sotto il profilo economico-finanziario.

Nel caso del legno, trattandosi di materiale di origine biologica, l’estrema variabilità delle sue caratteristiche rende la lavorazione e la successiva commercializzazione, sotto questo punto di vista, molto più esposte ai rischi che possono interessare la qualità ed il valore finale del prodotto rispetto a processi industriali che impiegano materie prime più omogenee e meno deteriorabili. A questa peculiarità si aggiunge il fatto che, a seconda dell’impiego finale a cui esso viene preposto, esiste una notevole diversità nell’identificazione di caratteristiche ritenute più idonee a descriverne la qualità ([3], [4], [21], [6], [5]).

Al fine di ottenere i risultati desiderati è importante che l’ambiente di crescita sia idoneo a uno sviluppo rapido ed equilibrato delle piante; è essenziale l’utilizzo di materiale vivaistico opportunamente selezionato, ma certamente anche le cure colturali, continue, puntuali e opportune, da parte dell’arboricoltore esplicano un ruolo fondamentale nel determinare le caratteristiche del prodotto finale ([3], [4], [8]).

È evidente quindi come l’interazione genotipo x ambiente ([41]) sia determinante nella riuscita di una piantagione di arboricoltura da legno. L’impiego di materiale di propagazione ottenuto attraverso programmi di miglioramento genetico permette di ottenere un prodotto più omogeneo e quindi maggiormente apprezzato dal mondo industriale.

Il patrimonio genetico influenza senza dubbio le capacità di adattamento, la resistenza alle avversità biotiche e abiotiche, le proprietà di accrescimento. Proprio su questi caratteri si è basata la maggior parte degli studi di variabilità genetica, selezione e miglioramento sviluppati sulle piante per la produzione legnosa. Non si deve però dimenticare che anche le caratteristiche del legno sono influenzate dal fattore genetico e anche in questo campo ci sono possibilità di azione per migliorare le proprietà di quello che è il prodotto a cui l’arboricoltore mira.

Appare quindi importante prendere in esame i principi del miglioramento genetico nell’ottica dello studio e del miglioramento dei caratteri del legno e proprio questo è lo scopo del presente contributo. In particolare, considerando i molti programmi di selezione sviluppati in Italia su latifoglie per la produzione legnosa (Fig. 1) e la scarsità di studi genetici sui caratteri del legno di latifoglie di pregio, proprio su queste si è deciso di puntare l’attenzione in questo lavoro.

Fig. 1 - Impianto clonale di ciliegio da legno presso l’Azienda Sperimentale Marani (Ravenna).

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Miglioramento genetico: cosa migliorare? 

La prima cosa da fare all’inizio di un programma di miglioramento genetico è naturalmente decidere che cosa migliorare.

In generale si possono indicare alcuni principi che il miglioratore deve tenere in considerazione al momento della scelta dei caratteri da studiare, questi infatti devono ([30]):

  • rispecchiare le esigenze dell’utilizzatore, tenendo in considerazione la destinazione del materiale prodotto;
  • soddisfare tali esigenze costantemente nel tempo;
  • non essere correlati negativamente con altri caratteri ritenuti “positivi”;
  • essere sotto un forte controllo genetico;
  • essere il più possibile correlati nelle diverse età della pianta, in modo da accelerare i tempi di selezione.

Per quanto concerne il primo e il secondo punto questi parametri sono necessariamente collegati al concetto di qualità del legno, intesa come l’insieme dei requisiti che soddisfano le esigenze dell’uso finale a cui il materiale sarà destinato ([4], [28], [21]).

Il concetto di qualitàè quindi relativo e contiene di per sé un elemento di variabilità ([15]), soprattutto quando si considera che il legno prodotto in una piantagione può essere impiegato per usi diversi. Anche qualora si siano chiariti i requisiti di qualità da ottenere e l’iter da seguire per il raggiungimento del risultato che ci si prefigge, i tempi necessari per il conseguimento dei primi risultati in uno studio di miglioramento genetico sono relativamente lunghi. Prevedere quali saranno le proprietà del legno richieste dall’industria di trasformazione in futuro non è certo semplice, senza considerare che l’evoluzione delle tecniche di lavorazione è assai più rapida del miglioramento stesso. Da qui l’importanza di basare la selezione su caratteri ritenuti desiderabili in modo costante nel tempo. Un aspetto come l’omogeneità, ad esempio, sarà sempre considerato positivo, sia come parametro per definire la qualità del materiale, sia come proprietà richiesta dal mondo industriale ([40]).

Più delicata appare la considerazione sulle correlazioni tra le diverse variabili sotto il profilo dell’ereditabilità genetica. La fase di selezione ha lo scopo di scegliere le piante migliori da usare come base per la produzione delle nuove generazioni e i caratteri del legno, che sono l’obiettivo da perseguire in questa fase, non devono essere in contrasto tra di loro e non devono essere geneticamente correlati in modo negativo (almeno non in modo rilevante) con altri caratteri quali il tasso di accrescimento della pianta, la sua resistenza agli agenti patogeni, il grado di adattabilità all’ambiente o altre proprietà del legno ritenute “desiderabili”. In caso contrario, infatti, una selezione per mezzo di tali caratteri porterebbe inevitabilmente a un peggioramento delle proprietà alle quali sono correlati. Un esempio potrebbe essere quello della massa volumica del legno che in alcuni casi, in particolare nelle conifere, può essere negativamente correlata con l’ampiezza dell’anello annuale e quindi con il tasso di accrescimento ([42], [38], [40]); una selezione basata sulla massa volumica in questi casi, porterebbe a scegliere individui con accrescimenti più lenti. Come è noto, sotto il profilo economico, il tasso di accrescimento è considerato una caratteristica prioritaria per gli arboricoltori.

Un altro presupposto del miglioramento è il controllo genetico. Perché un carattere possa dare dei buoni risultati in un programma di selezione deve avere elevata variabilità (su cui operare la selezione) e un forte controllo genetico. Come si è precedentemente affermato il carattere che viene rilevato e misurato è il risultato di due fattori, quello genetico e quello ambientale, e della loro interazione. Il controllo genetico è stimato attraverso l’uso di metodi statistici, suddividendo la varianza totale del carattere misurato (varianza fenotipica, VP) in varianza genetica (VG) e varianza ambientale (VE). La varianza genetica può a sua volta essere suddivisa in varianza additiva (VA) e varianza non additiva (VNA). La prima è la componente più importante in quanto è la principale causa della “somiglianza” tra genitori e riflette la porzione di genotipo per uno specifico carattere che un parente trasmette alla progenie; la varianza non additiva è il risultato della dominanza (interazione allelica ad uno stesso locus) e dell’epistasi (interazione allelica tra loci differenti).

Il rapporto tra la varianza dovuta al genotipo e quella totale (varianza fenotipica) prende il nome di ereditabilità ed è una misura del grado di controllo genetico sul carattere in esame. Si distinguono, però, l’ereditabilità in senso stretto, data dal rapporto tra la varianza additiva e la varianza fenotipica, e l’ereditabilità in senso lato, data dal rapporto tra varianza genotipica totale e varianza fenotipica.

Nel caso di test clonali (gruppi di individui ottenuti da propagazione vegetativa) è possibile calcolare soltanto l’ereditabilità in senso lato, mentre sperimentazioni con impollinazioni controllate permettono di distinguere la varianza additiva e la varianza dominante e di calcolare l’ereditabilità in senso stretto.

Un breve schema delle componenti di varianza sopra descritte è presentato in Tab. 1; per ulteriori approfondimenti si rimanda a testi specifici ([13]).

Tab. 1 - Simboli e metodi di stima per il calcolo dei parametri genetici (VA = varianza additiva; VNA = varianza non additiva). (*) Non calcolabile per via diretta, ma in via teorica VE = VP - VG.

Componente di Varianza Simbolo Metodo di stima
Varianza fenotipica VP VP = VG + VE ; VP = VA + VNA + VE
Varianza genetica VG VG = VA + VNA
Varianza ambientale VE Non calcolabile*
Ereditabilità in senso stretto h2 h2 = VA / VP
Ereditabilità in senso lato H2 H2 = VG / VP

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Naturalmente più elevato è il valore di ereditabilità (valore compreso tra 0 e 1) e maggiore è il controllo genetico; valori di h2 compresi tra 0.4 e 0.7 sono considerati medio - alti, valori superiori molto alti.

L’ultimo aspetto si riferisce al fatto che, essendo i tempi di selezione piuttosto lunghi per le piante arboree, sarebbe opportuno che i caratteri in esame fossero ben correlati nelle diverse età della pianta. L’ereditabilità, infatti, tende a cambiare con l’età per vari motivi: da un lato si deve considerare il fatto che i fattori ambientali non sono costanti nel tempo, dall’altro si è visto che questi tendono a influenzare diversamente l’individuo in età differenti e in condizioni di competizione più o meno marcata nella cenosi. Il risultato di questi mutamenti è una variazione dell’influenza relativa del fattore genetico sulla varianza totale fenotipica e quindi del valore di ereditabilità, valore impiegato come indice sintetico nei programmi di miglioramento ([40]).

Per fare un esempio, le proprietà del legno giovanile prodotto dalla pianta nei primi anni di vita sono spesso diverse da quelle del legno maturo, quindi, basare la selezione su misure e rilievi effettuati sul legno giovanile può portare a erronee conclusioni per quanto concerne il legno adulto. D’altra parte, però, per minimizzare i tempi sarebbe di aiuto poter effettuare la selezione su piante relativamente giovani. Da qui l’importanza che i caratteri studiati siano, se non relativamente costanti, significativamente correlati nel legno giovanile e nel legno adulto ([30]).

I caratteri del legno utilizzabili ai fini della selezione 

Nel caso specifico delle piante arboree, la maggior parte dei miglioratori considera i caratteri del legno come secondari nella selezione (per esempio, [14], [1], [40]). Anche qualora la produzione sia finalizzata proprio al legno, la prima fase del programma di miglioramento si effettua sui caratteri di accrescimento e morfologici, come la forma del fusto, la numerosità e la conformazione dei rami, il grado di adattamento alla stazione di crescita e la resistenza agli agenti patogeni.

È evidente come una tale selezione non comporti necessariamente un miglioramento delle caratteristiche del legno ai fini dell’impiego finale che ci si propone. Emerge quindi l’importanza di introdurre alcuni caratteri del legno ritenuti prioritari come parte integrante del processo di selezione o, in alternativa, far seguire ad esso uno studio sulle proprietà del materiale da condurre sulle piante precedentemente selezionate su basi morfologiche ([40]).

Gli studi sviluppati fino ad oggi sulla variabilità dei caratteri del legno hanno dimostrato come alcuni di questi siano soggetti a un controllo genetico medio - alto.

Le conifere sono state maggiormente studiate sotto il profilo dell’ereditabilità dei caratteri sia a causa della loro maggiore semplicità di organizzazione cellulare (legno omoxilo) sia per il maggiore interesse che hanno inizialmente riscosso per la produzione di pasta per cellulosa.

Uno dei primi studi che ha evidenziato un forte controllo genetico delle caratteristiche del legno è quello condotto su pino di Elliott (Pinus elliottii), e in particolare su piante sottoposte a innesto, rilevando una totale mancanza di correlazione tra i caratteri del legno (densità e lunghezza delle tracheidi) misurati al di sopra e al di sotto dell’innesto. Le misure hanno mostrato differenze significative nonostante il legno fosse stato prodotto nello stesso ambiente, dallo stesso apparato radicale e dalla stessa chioma, indicando quindi una forte influenza del genotipo ([39]).

A partire da queste prime ricerche molti caratteri sono stati oggetto di studi per stime di ereditarietà: si parte dalla massa volumica del legno, dalla lunghezza delle cellule, dall’angolo microfibrillare, fino alle proprietà chimiche, quindi il contenuto di estrattivi, cellulosa, lignina e emicellulose, per arrivare anche a caratteri più macroscopici quali l’estensione di alburno e durame (Fig. 2), la transizione da legno giovanile a legno maturo, la percentuale di legno tardivo e primaticcio, la presenza di legno di reazione, la deviazione della fibratura e la lucentezza e il colore del legno.

Fig. 2 - Rotelle di due cloni differenti di ciliegio provenienti dallo stesso impianto e coetanei. Si noti la notevole differenza di estensione della duramificazione.

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Naturalmente l’ereditabilità, come già precedentemente accennato, non è un valore fisso e la sua stima cambia a seconda del carattere analizzato, della specie in questione, della stazione di crescita e anche del singolo studio.

Nei programmi di miglioramento l’attenzione si concentra generalmente su pochi caratteri considerati come obiettivo principale. L’introduzione di numerosi fattori risulterebbe sicuramente in un minore successo dovuto a un effetto di “diluizione”, che significherebbe un minor guadagno genetico per le qualità più importanti ([40]). Ne consegue la necessità di scegliere quei caratteri che si sono dimostrati più rappresentativi, che sono contraddistinti da elevati valori di ereditabilità e che naturalmente sono di maggiore interesse per il miglioratore.

Tra tutte le caratteristiche del legno, in genere la massa volumica, o meglio genericamente la densità del legno, è il carattere più ampiamente indagato e selezionato nei programmi di miglioramento genetico. Come è noto la massa volumica è facilmente misurabile e, soprattutto, è considerata un compendio delle proprietà del legno, essendo spesso correlata a molte altre caratteristiche fisico-meccaniche come i ritiri e le resistenze meccaniche, che rappresentano un importante elemento di scelta per le utilizzazioni industriali ed altro ([2], [42], [40], [30], [37], [31]).

La densità del legno presenta in genere valori di ereditabilità medio - alta, ma, come è facilmente intuibile, nessuna affermazione generalizzata è possibile.

Diversamente dalle conifere, gli studi sul controllo genetico dei caratteri del legno per le latifoglie sono meno numerosi. Le specie più studiate sono quelle appartenenti ai generi Eucalyptus e Populus (si veda i lavori citati in [42]). In linea di massima i risultati si possono definire positivi anche per le latifoglie, la densità si è infatti dimostrata un carattere dotato di un soddisfacente controllo genetico e sufficientemente rappresentativo delle proprietà del legno, anche se la situazione non è sempre chiara, a causa della maggiore complessità cellulare del legno eteroxilo.

A titolo di esempio si possono citare alcuni lavori condotti su pioppo, in cui l’ereditabilità per la densità del legno è risultata pari a 0.35 ([36]); su eucalipto, valore pari a 0.55 ([26]); ma anche su betulla, valore pari a 0.55 ([25]); su diverse specie del genere Quercus, valori che vanno da 0.37 a 0.59 ([24]); e su salice, in cui l’ereditabilità per la densità basale è risultata pari a 0.65 ([20]).

Poco si sa sui caratteri del legno delle latifoglie per la produzione di legno di pregio, sulla loro variabilità e il grado di controllo genetico a cui sono soggetti, su come siano correlati tra di loro e se anche in questo caso la densità del legno possa essere considerata un carattere di primaria importanza per la sua rappresentatività.

Il miglioramento delle latifoglie in Italia: il caso del ciliegio 

In Italia sono stati condotti in passato molti studi per il miglioramento genetico di latifoglie da destinare alla produzione di legno. Si deve sicuramente menzionare il pioppo, genere ampiamente studiato e largamente utilizzato in impianti di arboricoltura e che include i soli cloni ad essere iscritti al Registro Nazionale dei Cloni Forestali ([7]); ma non si deve dimenticare l’eucalipto, il noce, il ciliegio, il castagno, l’olmo.

Gli studi si sono basati principalmente su caratteri quali la resistenza ai patogeni, come nel caso della grafiosi per l’olmo ([32]), o l’accrescimento e l’architettura della pianta, come per il castagno ([17]), per l’eucalipto ([22]) e soprattutto per il noce ([27]). Unico studio sulle caratteristiche del legno è quello condotto da Santini et al. ([33]) su due cloni di olmo (Fig. 3).

Fig. 3 - 8220;San Zenobi”, clone di olmo selezionato in modo da combinare la resistenza alla grafiosi e le buone caratteristiche di accrescimento (foto A. Santini).

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Particolare menzione per la produzione del legno di pregio è riservata, insieme al noce, al ciliegio (Prunus avium L.). Questa è una specie ampiamente diffusa in Europa, capace di adattarsi a diversi ambienti e potenzialmente in grado di produrre un legname di elevato pregio. Da qui l’interesse per uno studio sulle sue potenzialità dal punto di vista del miglioramento genetico.

La ricerca in Italia ha previsto sia uno studio sulla variabilità genetica presente nelle popolazioni naturali ([10]), sia la selezione dei fenotipi migliori per la realizzazione di impianti clonali. I caratteri presi in considerazione sono stati anche in questo caso le proprietà di accrescimento e l’architettura della pianta ([11]). Infine, sugli impianti clonali sono state effettuate le prime misure su alcuni caratteri (mortalità, accrescimento, architettura della pianta, fenologia) in piantine ancora in tenera età, ottenendo discreti risultati: elevato effetto clonale su parametri dendrometrici ed elevata ereditabilità ([12], [19]).

Molti altri programmi di selezione e miglioramento genetico sul ciliegio sono stati condotti con successo in altri paesi europei (come riportato in [16]) e gli studi sul controllo genetico dei caratteri morfologici sono numerosi ([34], [23], [9], [18]). Non ci sono invece, per quanto a noi conosciuto, studi sulla caratterizzazione del legno di questi cloni, e mancano quindi dati sulla variabilità e l’ereditabilità delle proprietà del legno per questa specie. L’unico carattere ad oggi studiato su cloni di ciliegio italiani è stato il colore ([35]).

Considerando l’importanza del legno di ciliegio, molto ricercato per la segagione e la tranciatura per la produzioni di mobili, è sicuramente di grande interesse studiare il controllo genetico delle sue caratteristiche. In particolare i ritiri, la tendenza alle deformazioni, la fibratura, la densità e come questa è legata alle proprietà meccaniche e ai caratteri di accrescimento della pianta. Queste caratteristiche, infatti, influenzano la lavorabilità del materiale e il livello di apprezzamento sul mercato e sono determinate in parte dalle condizioni di crescita, ma in parte anche dal genotipo.

Anomalie specifiche del legno di ciliegio come la “vena verde”, alterazione cromatica riscontrata nel durame (Fig. 4) che deprezza fortemente il materiale e probabilmente legata alla presenza di legno di tensione, sembrano avere incidenza diversa a seconda della provenienza ed essere legate al fattore genetico ([29]).

Fig. 4 - Striature verdastre (vena verde) in tavola radiale di ciliegio.

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Lo studio dell’ereditarietà di questi caratteri appare quindi un punto essenziale per ottimizzare la selezione di piante utilizzate per la produzione di legno di elevata qualità. In questo modo si possono aggiungere informazioni essenziali alla caratterizzazione dei cloni presenti sul territorio, al fine di rendere più completa la conoscenza delle loro potenzialità e più efficace il loro utilizzo.

È importante inoltre ricordare il fatto che alcune caratteristiche del legno, in particolare le caratteristiche meccaniche, chimiche e anatomiche, sono da prendere in considerazione (seppur come caratteri supplementari) ai fini dell’iscrizione del clone al già citato Registro Nazionale dei Cloni Forestali ([7]).

Considerazioni conclusive 

Come si può capire da quanto sopra riportato, in Italia molto rimane da fare sugli aspetti genetici relativi ai parametri tecnologici del legno delle latifoglie di pregio. Mentre programmi di miglioramento genetico sono stati sviluppati con successo, portando alla realizzazione di impianti clonali di genotipi accuratamente selezionati per l’impiego in arboricoltura, lo studio delle proprietà del legno è ancora agli inizi.

Si vuol qui pertanto ribadire l’importanza di questi studi che potrebbero fornire utili indicazioni per il futuro, sia nel campo del miglioramento genetico del legno, sia per conoscere meglio quali siano le relazioni esistenti tra le diverse proprietà del materiale nel caso di latifoglie cresciute in Italia.

Le ricerche fino a qui condotte su varie specie hanno confermato l’importanza dell’introduzione dei caratteri del legno nei programmi di miglioramento genetico, che, utilizzati insieme (o secondariamente) ai caratteri di accrescimento possono contribuire a dare un valore aggiunto al prodotto finale, senza diminuire l’efficacia del miglioramento per quanto concerne i caratteri morfologici, di adattamento e di resistenza ai patogeni. Bisogna sempre tener presente che l’obiettivo finale del miglioramento degli alberi forestali per la produzione di legno è, appunto, il legno.

Conoscere l’ereditabilità dei caratteri del legno può essere sicuramente assai utile al momento dell’impostazione di un nuovo programma di miglioramento genetico o nel proseguo di uno già avviato. Da ricordare, comunque, che l’ereditabilità deve essere stimato per ogni singola situazione, potendo cambiare a seconda del materiale biologico in questione, dell’età dello stesso e soprattutto del sito di impianto. La conoscenza del grado di controllo genetico sui diversi caratteri del legno, anche se auspicabile dal punto di vista teorico, è difficilmente perseguibile per ogni singola specie nei vari ambienti di crescita. Da qui il possibile suggerimento, da un lato, di concentrare gli studi su quei caratteri, come la densità, generalmente rappresentativi del complesso delle qualità del legno e sulle relazioni esistenti tra questi e le altre proprietà di più difficile e dispendiosa misura; dall’altro, di analizzare l’interazione genotipo-ambiente in modo da studiare il genotipo in ambienti ben caratterizzati e permettere poi soddisfacenti previsioni di performance in altri ambienti.

In ultimo, si deve ribadire ancora una volta che il risultato di un impianto di arboricoltura è dato dall’insieme e dall’interazione di tre fattori, nessuno dei quali può essere trascurato: il fattore ambientale, il fattore genetico e le cure colturali, senza le quali non è possibile conseguire una buona riuscita. La selezione da sola non può garantire la produzione di ottimo legno in gran quantità, in quanto ogni genotipo cresciuto in ambienti diversi darà risultati diversi.

Per chiudere con una frase dello stesso Zobel: “Il solo modo sicuro per sapere che tipo di legno gli alberi di una data provenienza produrranno in un determinato ambiente è di farli crescere in quell’ambiente ".

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