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Limiting the emission of green-house gases: objectives and results in EU and non-EU countries

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 5, Pages 201-213 (2008)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0533-0050201
Published: Jun 20, 2008 - Copyright © 2008 SISEF

Short Communications

Abstract

Based on UNFCCC and EEA (European Environmental Agency) data, changes in the emissions (no LULUCF considered) of green-house gases in the period 1990-2004 either in the Annex 1 as well in the UE-27 countries are summarized and commented.

Keywords

Climate change, Carbon, Kyoto Protocol, Europe, Annex 1 Parties

Introduzione 

In base agli obblighi assunti nell’Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992, i Paesi industrializzati (Annex 1 countries, che a tutt’oggi sono 40) firmatari della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) sono obbligati a fornire annualmente alla Segreteria della Convenzione specifici inventari nazionali delle emissioni/assorbimenti di gas serra (NIR) da redarre secondo un apposito software (CRF Reporter) seguendo le indicazioni della Good Practice Guidance (GPG) predisposta dall’International Panel on Climatic Change (IPCC).

In questi inventari le emissioni/assorbimenti di gas ad effetto serra sono distinte per fonte nei seguenti sette settori: Energy, Industrial Processes, Solvents and Other Product Usa, Agricolture, Land Use- Land Use Change and Forestry (LULUCF, ora diventato AFOLU), Waste, Other, dei quali il quinto è molto variabile e si manifesta generalmente come sink (= pozzo di assorbimento di carbonio).

In questo articolo, sulla scorta dei valori pubblicati dal UNFCCC (⇒ http:/­/­www.unfccc.int), e per l’Unione Europea anche dal EEA (European Environmental Agency, ⇒ http:/­/­www.eea.eu), verranno esposte e commentate le variazioni delle emissioni di gas serra senza LULUCF intercorse dal 1990 al 2004 nei Paesi Annex 1 e nell’Unione Europea dei 27.

Nell’illustrazione delle situazioni si procederà per due tappe: dapprima verranno evidenziate e discusse le variazioni dell’entità fisica delle emissioni annuali di GHG (che sono quelle che interessano fisicamente l’atmosfera), mentre successivamente esse verranno rapportate, Paese per Paese, all’impegno di riduzione o di limitazione assunto con il Protocollo di Kyoto (PK).

Uno sguardo alla situazione dell’aggregato Annex

In Tab. 1 si sono riportati valori di emissioni di gas serra senza LULUCF dei Paesi Annex 1 per gli anni 1990 (anno base per il Protocollo di Kyoto, PK), 2000 (anno intermedio tra quello di base e quello centrale del primo periodo di impegno del PK) e 2004 (ultimo anno con dati coordinati pubblicati).

Tab. 1 - Emissioni di GHG senza LULUCF (Gt CO2 eq). Fonte UNFCCC. (*) = Australia Croazia, Turchia e USA. EIT = Economia in Transizione.

Gruppi di Paesi Emissioni dell’anno Differenze percentuali
1990 2000 2004 1990-2004 1990-2000 2000-2004
Paesi Annex 1 18.552 17.515 17.932 -3.34 -5.59 +2.38
Paesi Annex 1 Non EIT 13.001 14.148 14.425 +10.95 +8.82 +1.96
Paesi Annex 1 EIT 5.551 3.367 3.507 -36.82 -39.34 +4.16
Paesi Annex 1 PK 11.824 9.730 10.012 -15.32 -17.71 +2.90
Paesi Annex 1 non PK (*) 6.727 7.784 7.920 +17.73 +15.71 +1.75
Paesi UNFCCC Non Annex 1 12.000 - - - - -

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Dalla prima riga di tale tabella si evince che per i 40 Paesi dell’Annex 1 le emissioni di GHG senza LULUCF, pari a 18.552 Gt CO2 eq nel 1990, sono dapprima calate alle 17.515 Gt CO2 eq del 2000 e poi risalite alle 17.932 Gt CO2 eq del 2004.

Da questi pochi numeri appare evidente che se il risultato al 2000 appare molto positivo e incoraggiante (-5.6% in 10 anni), non altrettanto può dirsi per il successivo quadriennio, durante il quale le emissioni sono risalite al ritmo di 0.6% all’anno con tendenza a crescere ulteriormente.

Osservando le successive due righe di Tab. 1 è però facile calcolare che il calo di 1.037 Gt CO2 eq registrato tra il 1990 e il 2000 è composto da una riduzione di 2.184 Gt CO2 eq (= -39.3%) avvenuta nei Paesi a economia in transizione (EIT countries, con in prima fila la Federazione Russa e l’Ucraina) e da una crescita di 1.147 Gt CO2 eq (= +8.8%) registrato nei Paesi Non EIT, capeggiati dagli USA e dall’ex Unione Europea dei 15.

Nel quadriennio successivo, che è storia più recente, la situazione si è invece invertita, e ad accusare la maggiore crescita relativa di emissioni sono stati i Paesi EIT, che con un +1.04% all’anno hanno registrato un incremento più sostenuto dei Non EIT, nei quali la crescita si è limitata a +0.49% all’anno. Nell’insieme dei Paesi Annex 1 l’aumento delle emissioni senza LULUCF è risultato dello 0.60% all’anno, con tendenza forse a crescere ancora.

Dalla considerazione complessiva del periodo 1990-2004 emerge dunque chiaramente che il sostanzioso calo delle emissioni nei primi 10 anni è dovuto esclusivamente all’irripetibile circostanza delle riduzione dell’intensità energetica della produzione industriale dei Paesi EIT, resesi economicamente necessarie. Per il quadriennio successivo si può invece osservare che nei Paesi Non EIT prosegue il tentativo di porre freno alla crescita delle emissioni (ritmo di aumento annuo che cala da +0.88% a +0.49%), mentre nei Paesi EIT - che comunque possono ancora vantare un notevole credito di emissione - per il risollevamento dell’economia dopo le dolorose dismissioni e ristrutturazioni, la crescita dei tassi di emissione comincia a destare notevoli preoccupazioni per l’atmosfera (Tab. 1).

Per il mondo intero non sono attualmente disponibili valori della medesima origine e della stessa qualità di quelli in Tab. 1. Però nel rapporto Climate Change 2007 dell’IPCC in proposito sono riportati i seguenti valori mondiali: anno 1990 = 38.4 Gt CO2 eq, anno 2000 = 44.7 Gt CO2 eq, anno 2004 = 48.0 Gt CO2 eq (adattato da Oliver et al. 2005, Oliver et al. 2006, Hooijer et al. 2006) ai quali sono stati fatti precedere anche i valori per il 1970 (28.7 Gt) e il 1980 (36.6 Gt).

Risultando al livello planetario meno sensibile l’effetto riducente dei Paesi EIT e mancando per i Paesi Non Annex 1 il freno imposto dalle limitazioni/riduzioni del PK, le rate di aumento 1990-2000 e 1990-2004 - pari rispettivamente a 16.4% e 25.0% - sono notevolmente superiori a quelle riportate in Tab. 1 per i soli Paesi Annex 1 (-3.4% e +2.4%).

Per fornire un idea sulla dinamica delle emissioni dei Paesi emergenti si possono citare i valori calcolati da ENERDATA per i consumi energetici dei Paesi Non OCSE: +20.4% dal 2000 al 2004, con Cina al +43.5%, India al +12.9% e Libia al +7.1%.

Secondo l’IEA dal 1973 al 2005 le CO2 emissions by fuel risultano cresciute da 15.661 Gt anno-1 a 27.136, segnando un aumento medio di 2.3% all’anno. Nello stesso periodo la quota Non OCSE risulta cresciuta dal 34.1% al 52.4%.

Le variazioni delle emissioni nell’Unione Europea tra il 1990 e il 2004 

In Tab. 2 si sono riportate le misure delle emissioni di GHG senza LULUCF degli anni 1990, 2000 e 2004 di 25 Paesi dell’UE 27 (escludendo cioè quelle per Cipro e Malta per cui l’UNFCCC non riporta i valori), separando gli Stati EIT dai Non EIT, che corrispondono agli Stati Membri della vecchia UE15. Guardando al primo, terzo e quarto dato riportato nell’ultima riga della tabella si può vedere che tra il 1990 e il 2004 le emissioni complessive sono passate da 5757.1 a 5199.8 Mt CO2 eq anno-1, segnando un calo del 9.7% nel quattordicennio.

Tab. 2 - Tre tappe della serie storica delle emissioni GHG (in Mt CO2 eq) escluso LULUCF per i Paesi dell’Unione europea. Fonte UNFCCC, Tab. 4. Nota. 1 GgCO2 = 1000 t CO2 = 0.273 tC ≈ 1000 m3 legno fresco. Fonte. FCCC/SBI/2006/26, pag 12.

Paese 1990 2000 2004 % 04 / 90 % 00 / 90 % 04 / 00 Target %
PAESI NON EIT
Austria 78.9 81.3 91.3 15.7 3 12.3 -13
Belgio 145.8 147.4 147.9 1.4 1.1 0.3 -7.5
Danimarca 70.4 69.6 69.6 -1.1 -1.1 0 -21
Finlandia 71.1 70 81.4 14.5 -1.5 16.3 0
Francia 567.1 561.4 562.6 -0.8 -1 0.2 0
Germania 1226.3 1022.8 1015.3 -17.2 -16.6 -0.7 -21
Grecia 108.7 131.8 137.8 26.8 21.3 4.6 25
Irlanda 55.6 68.7 68.5 23.2 23.6 -0.3 13
Italia 519.6 554.6 582.5 12.1 6.7 5 -6.5
Lussemburgo 12.7 9.7 12.7 0 -23.6 30.9 -28
Olanda 213 214.4 218.1 2.4 0.7 1.7 -6
Portogallo 60 82.2 84.5 40.8 37 2.8 27
Spagna 287.2 384.2 427.9 49 33.8 11.4 15
Svezia 72.4 68.4 69.9 -3.5 -5.5 2.2 4
Regno Unito 776.1 672.2 665.3 -14.3 -13.4 -1 -12.5
TOTALE NON EIT 4264.9 4138.7 4235.3 -0.7 -3 2.3 -
PAESI EIT
Bulgaria 132.3 64.3 67.5 -49 -51.4 5 -8
Cechia 196.2 149.2 147.1 -25 -24 -1.4 -8
Estonia 43.5 19.7 21.3 -51 -54.7 8.1 -8
Latvia 25.9 9.9 10.7 -58.7 -61.8 8.1 -8
Lituania 50.9 19.9 20.2 -60.3 -60.9 1.5 -8
Polonia 564.4 386.2 388.1 -31.2 -31.6 0.5 -6
Romania 262.3 131.8 154.6 -41.1 -49.8 17.3 -8
Slovacchia 73.4 49.4 51 -30.5 -32.7 3.2 -8
Slovenia 20.2 18.8 20.1 -0.5 -6.9 6.9 -8
Ungheria 123.1 81.9 83.9 -31.8 -33.5 2.4 -6
TOTALE EIT 1492.2 931.1 964.5 -35.4 -37.7 3.6 -
TOTALE GENERALE 5757.1 5069.8 5199.8 -9.7 -12 2.6 -

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Confrontando questi dati con quelli dei Paesi non comunitari del blocco Annex 1 (che passano da 12.794.0 a 12.731.4 Mt CO2 eq anno-1, con una variazione del -0.5%), appare evidente che nel loro insieme gli attuali Paesi dell’Unione Europea si sono mostrati più virtuosi degli extraeuropei del gruppo Annex 1. A seguito di questa differenza nei valori di riduzione delle emissioni la quota UE27 nel Paniere Annex 1 è scesa di ben due punti percentuali, passando dal 31% al 29%.

Come già accennato per l’intero gruppo Annex 1, anche per l’Unione Europea sussistono vistose differenze tra i ritmi di variazione nei Paesi EIT e Non EIT. Infatti, se nel periodo considerato la riduzione delle emissioni nei Paesi EIT segna uno spettacolare -35.4%, per i Non EIT il calo risulta solo del -0.7%.

Per confronto e per evidenziare la particolarità della situazione europea si può calcolare che i valori omologhi per i Paesi extracomunitari Non EIT e EIT sono, rispettivamente -37.4% e +16.6%. Da ciò si evince, tra l’altro, che solo nell’Unione Europea i Non EIT non sono in crescita di emissione.

Passando ad un primo dettaglio che ribadisce quanto appena evidenziato, nella quarta colonna di Tab. 2 si può osservare che mentre per i Paesi EIT tutte le 15 variazioni portano segno negativo (seguito da valori percentuali che vanno dallo 0.5 dell’atipica Slovenia fino all’impressionante 60.3 della Lituania), per i Non EIT il segno negativo, indicatore di riduzione, compare solo per 5 Paesi su 15, nei quali però sono compresi i tre maggiori emettitori (Germania, Regno Unito e Francia), che da soli producono nel 2004 il 53% delle emissioni Non EIT e il 43.1% delle emissioni UE (Tab. 2):

Immaginando una carta geografica dell’UE27, nella fascia dei Paesi EIT se si esclude nuovamente l’atipica Slovenia, si può osservare che le maggiori riduzioni al 2004 sono state conseguite dai tre Paesi Baltici (media aritmetica: -56.7%). Per i restanti sei Paesi si può notare una differenza significativa tra quelli centrali (Polonia, Cechia, Slovacchia e Ungheria con media aritmetica di -29.6%) e quelli meridionali (Romania e Bulgaria con media -45.1%), verosimilmente più colpiti dalla transizione verso l’economia di mercato.

Nell’ambito dei 5 Paesi Non EIT la situazione è molto più complessa e spesso non facilmente spiegabile nella sua causalità. Comunque, stando ai numeri di colonna 4 di Tab. 2 non è difficile individuare:

  • Il blocco anglo-germanico, che comprende i due Paesi che contestualmente sono i maggiori emettitori (al 2004 1.680.6 Gt CO2 eq contro le 4.235.3 Gt complessive dei Non EIT = 39.7%) e i più grandi riduttori (-321.8 Gt CO2 eq contro le -7.8 Gt degli altri tre riduttori - Francia, Svezia e Danimarca - e le +300.0 Gt CO2 dei non riduttori Non EIT);
  • Il grande asse Sud-Ovest/Nord-Est che si estende dal Golfo di Biscaglina fino alla tundra svedese e comprende sei Paesi con variazioni relativamente modeste delle emissioni tra il 1990 e il 2004 (Francia -0.8%, Belgio +1.4%, Lussemburgo 0%, Olanda +2.4%, Danimarca -1.1% e Svezia -3.5%) e variazione assoluta complessiva -0.6 Gt CO2 eq su una variazione totale non EIT di -29.6 Gt CO2 eq;
  • Le quattro appendici meridionali che rappresentano il “refugium peccatorum” dei meno virtuosi (complessivamente +257.2 Gt CO2 eq contro le 42.8 Gt degli altri cinque non riduttori Non EIT), caratterizzati da elevati fino a elevatissimi aumenti relativi delle emissioni: Italia +12.1%, Grecia +26.8%, Portogallo +40.8% e Spagna +49.0%. Facendo un confronto intragruppi si può calcolare che questi quattro grandi incrementatori Non EIT annullano al 2004 la riduzione complessiva operata da otto Paesi EIT (Bulgaria, Cechia, Estonia, Latria, Lituania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria).
  • I tre grandi Paesi periferici con forte aumento relativo delle emissioni (Finlandia +14.5%, Austria +15.7% e Irlanda +23.2%), che assieme provocano un aumento 1990-2004 delle emissioni pari a 35.6 Gt CO2eq, valore superiore a quelli del Portogallo (+24.5 Gt) e della Grecia (+29.1 Gt) ma molto inferiore a quelli dell’Italia (+62.9 Gt) e della Spagna (+140.7 Gt).

Una situazione molto complessa, dunque, che vede incrementi forti in Paesi molto dotati e/o impegnati nel settore delle rinnovabili, come l’Austria, la Finlandia, la Spagna e più recentemente anche la Grecia, accanto ad altri ancora in ritardo con le misure di mitigazione, come l’Irlanda, l’Italia e forse anche il Portogallo.

Il trend osservabile nel periodo 2000-2004 

Pur nella loro essenzialità, le due terne di valori (assoluti e percentuali) dell’ultima riga di Tab. 2 fanno fortemente supporre che attorno all’anno 2000 la serie temporale delle emissioni complessive dell’EU27 abbia subito un inversione di tendenza da decrescente a crescente. Una più completa lettura del tabulato dell’UNFCCC conferma questa supposizione, anche se non è appurabile se l’anno della svolta sia stato il 2000 oppure il 1999. Procedendo ad una opportuna scansione temporale dei dati, da questo tabulato si può calcolare, sempre per i 25 Paesi dell’EU27, la seguente successione temporale di valori di emissione complessiva: 1990 = 5757 Gt CO2 eq, 1995 = 5197 Gt, 2000 = 5070 Gt, 2001 = 5124 Gt, 2002 = 5085 Gt, 2003 = 5175 Gt e 2004 = 5200 Gt. Per l’Italia l’omologa serie riporta i seguenti valori: 519.6, 532.6, 554.6, 561.3, 561.8, 577.9 e 582.5 Gt CO2 eq.

Dai valori riportati si può calcolare che nell’ambito del periodo 1990-2004, complessivamente molto positivo (calo del -9.7% con rata annua dello 0.69%), sono ben distinguibili i seguenti quattro sottoperiodi:

  • 1990-1995 con spettacolare riduzione al ritmo di -2% all’anno;
  • 1995-2000 con riduzione ridotta al -0.5% all’anno;
  • 1990-2000 con rata di riduzione media annua del -1.2%;
  • 2000-2004 con sensibile aumento delle emissioni al ritmo annuo del +0.64%.

La sopra evidenziata inversione comunitaria di tendenza, da riduzione ad incremento, rilevata per l’anno 2000 è poi singolarmente rilevabile, seppur con differenze numeriche anche notevoli, per 9 Paesi EIT (tutti tranne la Cechia) e per 5 Paesi Non EIT (Svezia, Finlandia, Francia, Danimarca e a Lussemburgo).

Un secondo tipo di svolta al peggioramento, che si manifesta come crescita del ritmo annuale medio di aumento delle emissioni nell’ultima parte del periodo 1990-2004, si riscontra invece per l’Italia, l’Austria e l’Olanda. Infine una terza svolta al peggioramento, cioè un calo terminale del ritmo di riduzione delle emissioni, è osservabile per il Regno Unito, la Germania e la Cechia.

Per i restanti 5 Paesi si possono invece rilevare tendenze al miglioramento che si manifestano secondo due tipologie:

  • calo terminale del ritmo di aumento delle emissioni (registrato per il Belgio, la Grecia, il Portogallo e la Spagna);
  • inversione terminale della tendenza, che passa da crescente a calante (riscontrata solo per l’Irlanda).

Con i 20 casi di peggioramento che si sono manifestati al 2000 sull’83.9% delle emissioni di quell’anno (4255.5 su 5069.8 Gt CO2 eq), viene spontaneo chiedersi come faccia l’Unione a sperare di raggiungere per il 2008-2012 il suo impegno di riduzione del -8.0%: è facile infatti osservare che l’aumento 2000-2004 delle emissioni, pari a 130.0 Gt CO2 eq, pur risultando preceduto dalla riduzione di 687.3 Gt CO2 eq compiuta nel decennio precedente prevalentemente nei Paesi EIT, è una pericolosa tendenza a sostanziale peggioramento. Dai calcoli risulta infatti che nel periodo 2000-2004 l’Unione ha consumato anno per anno il 4.7% del capitale di riduzione accumulato tra il 1990 e il 2000, che di per sé risultava superiore del 49.2% all’impegno per il 2008-2012. Se il trend di aumento delle emissioni registrato per il periodo 2004 dovesse mantenersi tale negli sei anni successivi, al 2010 risulterebbe che il capitale di riduzione accumulato dal 1990 al 2000 si ridurrebbe a 362.3 Gt CO2 eq e la riduzione complessiva delle emissioni rispetto al livello del 1990 risulterebbe uguale al -6.3%, contro il -8.0% previsto dal Protocollo di Kyoto. Ma di ciò si dirà diffusamente più avanti.

Tuttavia, anche se al 31/12/2012 l’EU27 non avrà raggiunto completamente l’obiettivo, essa sarà assieme ai gruppi CIS e All-EIT la terza grande area ad aver ridotto le proprie emissioni GHG rispetto al 1990.

Le emissioni nell’UE e il Protocollo di Kyoto 

Il protocollo di Kyoto, concordato nel dicembre 1997 durante la COP5 dell’UNFCCC nella città giapponese, prevede per i 38 Paesi industrializzati dell’Annex B (spesso denominati, con riferimento al testo della UNFCCC, Annex 1 parties) precisi impegni di riduzione o di limitazione delle emissioni di gas ad effetto serra da conseguire nel quinquennio 2008-2012 (primo periodo di impegno).

La quota complessiva di riduzione, stabilita nell’ammontare globale di 5%, non è gran che se messa in relazione ai circa 28 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2) da combustibili fossili che annualmente vengono scaricati nell’atmosfera. à invece, specie per i Paesi obbligati a riduzione, un impegno relativamente pesante se si pensa al ritmo con cui le emissioni di GHG erano cresciute nel decennio precedente al 1990 e col quale tendono ancora a crescere, in condizioni di business as usual, in alcuni di essi.

La misura complessiva di riduzione concordata del 5% rispetto al livello del 1990 è stata ripartita fra Paesi o gruppi di Paesi Annex 1, tenendo conto delle loro condizioni e possibilità, in quote che vanno da notevoli decurtazioni (UE -8%, USA -7%) a consistenti permessi di aumento (fino al +10% per l’Islanda e + 8% per l’Australia) passando per lo zero, quota assegnata alla Federazione Russa, all’Ucraina e alla Nuova Zelanda. L’Unione Europea ha successivamente ripartito il suo target del -8% fra gli Stati Membri spaziando da onerosi impegni di risparmio (-21% per Germania e Danimarca, -13% per l’Austria e -12.5% per il Regno Unito) a generose concessioni di aumento che vanno dal +13% per la Spagna fino al +25% per la Grecia e al +27% per il Portogallo.

Queste grandi differenze tra i target assegnati ai vari Paesi, sulla base di considerazioni non solo tecniche ma anche politiche, fa sì che l’attuale panorama degli scostamenti dall’impegno risulti alquanto variegato e non rispecchi i reali risultati concreti dell’opera di contenimento delle emissioni, che sono invece rilevabili dalle emission changes risultanti dalle serie storiche delle successive comunicazioni (vedi Tab. 2).

Anche se i valori 2004 delle emissioni senza LULUCF riportati in Tab. 2 e poi trasportati nella Tab. 3 illustrano una situazione che dista soli 4 anni dall’inizio - oramai avvenuto - del primo periodo di impegno, in considerazione della notevole viscosità dell’andamento delle emissioni si ritiene utile non limitarsi al solo confronto di questi valori con quelli degli impegni PK ma seguire la storia delle discrepanze fra realtà e impegno a partire dal 1995.

Tab. 3 - Divari percentuali fra l’impegno PK ed emissioni rilevate e proiettate per i Paesi dell’Unione europea.

Paesi Divario per le scadenze Divario per le proiezioni al 2010
al 1995 al 2000 al 2004 Ipotesi A Ipotesi B Ipotesi C
PAESI NON EIT
Austria 5.03 10.09 27.23 27.27 27.79 59.25
Belgio 6.51 5.07 7.07 8.99 4.61 9.94
Danimarca 16.04 10.41 15.91 28.07 24.60 34.49
Finlandia 0.53 -1.59 14.55 9.70 12.23 47.09
Francia -0.94 -1.00 -0.79 -1.15 -5.38 -0.89
Germania -5.78 -6.81 -2.94 5.62 0.53 3.51
Grecia -2.03 7.70 7.87 -0.95 -3.35 8.55
Irlanda 2.61 16.04 12.83 9.82 3.96 6.35
Italia 4.20 10.32 17.45 16.82 14.01 28.66
Lussemburgo -15.45 -11.21 24.71 19.91 26.26 85.90
Olanda 7.29 3.80 6.90 7.84 3.47 10.55
Portogallo 11.35 20.77 18.60 10.93 5.50 15.86
Spagna 6.72 24.48 34.86 21.55 20.90 48.42
Svezia 1.11 -7.34 -6.09 -7.44 -10.69 -2.37
Regno Unito -5.00 -7.62 -6.06 -1.61 -6.50 -5.02
TOTALE NON EIT -0.57 1.12 5.25 6.84 3.03 11.62
PAESI EIT
Bulgaria -35.97 -49.41 -45.95 -46.36 -46.94 -40.18
Cechia -19.67 -20.81 -20.57 -18.29 -22.04 -20.96
Estonia -47.71 -52.91 -48.07 -49.36 -49.03 -38.78
Latvia -51.98 -60.06 -56.04 -55.82 -57.00 -50.18
Lituania -59.93 -59.30 -58.00 -58.49 -61.87 -62.83
Polonia -24.93 -29.46 -28.23 -28.00 -30.64 -27.46
Romania -31.27 -47.64 -37.55 -40.79 -39.99 -21.69
Slovacchia -25.80 -29.89 -26.32 -24.58 -27.75 -22.34
Slovenia -6.42 -3.04 5.09 5.61 1.97 15.91
Ungheria -30.45 -31.46 -28.86 -28.08 -30.59 -25.40
TOTALE EIT -28.90 -35.32 -31.99 -32.09 -34.03 -27.63
TOTALE EU 27 -7.92 -8.36 -4.45 -3.33 -6.66 1.36

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Adottando questo criterio che permette di legare omogeneamente le constatazioni fatte sul passato alle previsioni per il futuro, nei due paragrafi che seguono si procederà nella seguente maniera:

  • per gli anni per i quali è disponibile il valore rilevato: confronto di questo con l’impegno di Kyoto rapportato linearmente all’anno del dato rilevato; il divario constatato non ha effetti operativi ma serve ad illustrare il percorso verso l’appuntamento del 2012;
  • per il rendiconto per il periodo di impegno: confronto tra il valore obiettivo per le emissioni e tre proiezioni per i 2010, anno centrale di tale periodo.

La discordanza fra le emissioni constatate o previste e il rispettivo impegno coevo verrà sempre espressa in termini percentuali calcolati con la semplice formula (eqn. 1):

\begin{equation} D\% = 100 \cdot \frac{(emissioni - impegno)}{impegno} \end{equation}

Il riesame del passato 

Per l’insieme dei 25 Paesi considerati si può osservare che il periodo dal 1990 al 2004 ha segnato una notevole riduzione delle emissioni non solo in termini fisici (vedi Tab. 2) ma anche termini relativi all’impegno collettivo, che andava man mano crescendo dal -2% del 1995 al -5.6% del 2004. Infatti lo scostamento dall’impegno è stato fortemente positivo (nel senso del proposito) specie all’inizio, con emissioni che stavano sotto l’impegno “di tappa” del 1995 ben del -7.9%, valore poi declinato fino al -4.4% del 2004. In questo periodo i risultati conseguiti dai Paesi EIT sono sempre stati, per le ragioni contingenti più volte segnalate, molto positivi nel senso del perseguimento dell’impegno (fino al -35.3% del 2000); invece nei Paesi Non EIT i risultati sono stati positivi solo, e di pochissimo (-0.6%), nel periodo 1990-1995, per divenire poi sempre più negativi (fino al +5.3%) del 2004.

In questo contesto appare evidente anche la maggiore uniformità nel gruppo EIT, nel quale su 30 valori evidenziati (3 scadenze per 10 Paesi) solo quello della Slovenia per il 2004 porta il segno +, indicatore di emissione superiore all’impegno di tappa. Fra i 15 Paesi Non EIT, invece, in occasione di tutte le scadenze si nota una maggioranza di segni + (10 al 1995, 9 al 2000 e 11 al 2004), che indica altrettante inadempienze temporanee nei confronti dell’impegno. Nei periodi 1995-2000 e 2000-2004 i risultati sempre positivi di Francia, Germania e Regno Unito e temporaneamente positivi al 2000 per Finlandia, Svezia e Lussemburgo, nonché ancora per la Svezia al 2004, sono diventati sempre più insufficienti a bilanciare i risultati, in peggioramento, degli altri nove Paesi.

Passando poi, ad alcuni dettagli per i singoli Paesi, si può osservare che nel gruppo EIT i massimi di riduzione rispetto all’impegno sono stati conseguiti dalla Lituania al 1995 e dalla Latvia al 2000, in misura sbalorditiva (-60% per entrambe). E non si tratta di “mosche bianche”, perché nel gruppo si riscontrano altri 5 casi di divario superiore al -50%, tutti conseguiti nei tre Paesi baltici. Le riduzioni minori, se si esclude il caso atipico della Slovenia, sono state invece conseguite dalla Cechia (-19.7% al 1995, -20.8% al 2000 e -20.6% al 2004) e dalla Slovacchia (-25.8% al 1995 e -26.3% al 2004). Per un discreto numero di Paesi EIT si nota poi una ristretta variabilità dell’indicatore alle tre scadenze, che tra massimo e minimo rimane sotto al 10% per quattro Paesi e compreso tra il 10% e 20% in altri tre.

Molto diversa è invece la situazione per i Paesi Non EIT, per i quali l’indicatore emissione/impegno è il seguente:

  • sempre di segno + (= inadempienza di tappa) per Austria, Belgio, Danimarca, Irlanda, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna, con valori continuamente in crescita per Austria, Italia e Spagna;
  • sempre di segno - per Francia, Germania e Regno Unito, con un lieve peggioramento dell’indicatore 2004 rispetto a quello del 1995 per i primi due Paesi;
  • virante dal + al -, cioè in miglioramento, per la Svezia;
  • virante dal - al +, cioè in peggioramento, per Grecia e Lussemburgo.

Nel quadro complessivo delle tre scadenze, i superamenti percentuali dell’impegno sono 30 su 45; con i massimi per la Spagna al 2004 (+34.9%), per l’Austria al 2004 (+27.2%) e ancora per la Spagna al 2000 (+24.5%), mentre i minimi sono verificati, tutti al 1995, per Finlandia (+0.5%), Svezia (+1.1%) e Irlanda (+2.6%). Per le 15 riduzioni rispetto all’impegno le percentuali massime si sono riscontrate per l’atipico Lussemburgo (-15.5% al 1995 e -11.2% al 2000) e il Regno Unito (-7.6% al 2000), mentre i minimi sono stati conseguiti tutti dalla Francia, con -0.8% al 2004, -0.9% al 1995 e -1.0% al 2000 (Tab. 3).

All’ultima scadenza del periodo di accertamento, indubbiamente la più importante fra le tre, i superamenti dell’impegno sono stati - sempre ancora per i Paesi Non EIT - 11 su 15 con massimi per la Spagna (+34.9%) e l’Austria (+27.2%) e minimi per Olanda (+6.9%) e Belgio (+7.1%). Nell’ambito delle quattro riduzioni la massima è stata conseguita dal Regno Unito (-6.1%), al pari con la Svezia, e la minima è risultata quella della Francia con -0.8%. A questa scadenza del 2004 l’Italia (con +17.4%) appare quarta fra gli insufficienti ponendosi tra il Lussemburgo (+24.7%) e la Danimarca (+15.9%).

Ricordando i valori di colonna 4 di Tab. 2, che riportano le variazioni percentuali delle emissioni del 2004 rispetto al 1990, si può facilmente osservare l’“effetto target” che fra i Paesi ora menzionati ha favorito, grazie al loro target positivo, la Spagna (variazioni delle emissioni +49.0% e divario emissioni/impegno +34.9%) e la Svezia (variazione -3.5% e D%2004 -6.1%). Sfavoriti sono risultati invece i Paesi con target negativo, come accaduto per l’Austria (variazione +15.7% e D%2004 +27.3%), per l’Italia (variazione +12.1% e D%2004 +17.5%) e per il Regno Unito (variazione -14.3% e D%2004 -6.1%).

Tre proiezioni per il 2008-2012 

Per compiere delle ragionevoli previsioni per le emissioni senza LULUCF per l’anno 2010 (centrale del primo periodo di impegno del PK) fra le tante metodologie di proiezione possibili ne vengono qui impiegate tre, perché semplici e facilmente verificabili, basate rispettivamente sulle seguenti ipotesi.

  • Ipotesi A. Si suppone che nel periodo 2005-2012 le emissioni tendano al livello medio registrato per il periodo 2000-2004 e che la media 2008-2012 resti uguale a quella del 2000-2004: è un ipotesi di presunta compensazione, che ritiene che i provvedimenti calmieranti in atto contrastino l’effetto del trend ultimamente osservato (crescente per 21 Paesi su 25).
  • Ipotesi B. Si suppone che a partire dall’anno 2004 le emissioni risultino calanti, di anno in anno, nella misura di 0.5, 0.6,..., 1.0 per cento del valore medio del biennio 2003-2004. È un ipotesi che cerca di coniugare realismo con ottimismo, tenendo conto tanto degli insuccessi del passato (crescita annuale media dell’ultimo quadriennio rilevato che arriva fino al 4% in alcuni Paesi) quanto della consapevolezza della necessità di misure calmieranti efficaci anche già nel breve periodo.
  • Ipotesi C. Si suppone che nel periodo 2005-2010 rimanga in essere il trend rilevato nel periodo 2000-2004, che qui verrà interpretato con una semplice interpolazione lineare. à un ipotesi pessimistica che estrapola per sei anni il trend accertato sui 5 valori di un quadriennio, che non di rado risentono dei possibili effetti casuali o occasionali negli anni estremi (2000-2001 e 2003-2004) del breve periodo di interpolazione - come si può osservare, ad esempio, per l’Austria e la Finlandia -, e non crede in una crescita dell’effetto delle misure calmieranti in atto. L’ipotesi è ritenuta pessimistica perché se nel volere di tutti le emissioni di gas clima-alteranti dovranno in qualche misura diminuire; nel concreto sembra invece tendenzialmente realistica perché - almeno a livello di gruppi di Paesi o di aree geografiche - tutti gli scenari prodotti fanno ritenere che le emissioni dei prossimi due decenni saranno crescenti in una misura che spesso varia attorno all’1% all’anno.

Ne è risultato che, come era del resto prevedibile, il procedimento basato sull’ipotesi B - che prevede, a partire dalla media delle emissioni constatate per il 2003-2004, una diminuzione delle emissioni con un ritmo linearmente crescente da -0.5% per l’anno 2005 fino a -1% per l’anno 2010 - ha dato, nel complesso, il risultato più confortante. Quello meno confortante è invece stato registrato con il procedimento C, che calcola l’emissione al 2010 sulla base dell’inclinazione della retta che interpola i valori delle 5 emissioni del periodo 2000-2004. In mezzo, più vicino a quelli di B che a quelli di C, si collocano i risultati del procedimento A, che assume semplicemente che la media delle emissioni nel periodo 2008-2012 sia uguale alla media di quelle contattate per il 2000-2004.

Per l’intera UE27, nell’ultima riga delle ultime tre colonne di Tab. 3 si può vedere che se in concreto si verificassero situazioni mediamente in linea con l’ipotesi della proiezione B, l’impegno del PK verrebbe ampiamente soddisfatto (con un bel -6.7%), in una misura ben superiore a quella constatata per il 2004 (-4.4% nell’ultima riga in terza colonna). Anche se si verificasse solamente l’ipotesi A, ovvero che nel periodo 2008-2012 si verifichi un emissione annua media di 5131 Mt CO2 eq, il conteggio sarebbe ancora discretamente in attivo, seppure con una percentuale ridotta a metà. Se, infine, per il periodo 2005-2010 dovessero perdurare i trend del periodo 2000-2004, il bilancio per l’UE27 risulterebbe complessivamente in rosso, con emissioni che supererebbero del +1.4% l’impegno per il 2008-2012. Nell’ipotesi B a salvare in ampia misura dalla negatività la nuova UE 27 sono i 10 Paesi EIT, che conseguono ben un -34%, addirittura anche se di poco superiore al -32% del 2004. Altrettanto vale, seppur in misura più ridotta, anche per l’ipotesi A, mentre non è più sufficiente per la C. Nell’ambito dei Paesi Non EIT a rendere meno pesante l’insuccesso collettivo sono soprattutto le buone performances dei due maggiori emettitori assoluti Germania e Regno Unito.

Nel contesto dei due raggruppamenti il quadro è ben delineato perché con tutti tre i procedimenti il gruppo dei Non EIT, cioè dei Paesi della vecchia UE15, risulterebbe in difetto rispetto all’impegno, con misure che vanno dal +3.0% adottando l’ipotesi B al +6.8% in caso di ipotesi A fino al +11.6% per l’ipotesi C: di queste solo la prima (procedimento B) risulta migliore dell’accertamento al 2004. Il lieve peggioramento (da +5.3% a +6.8%) risultante dall’impiego del procedimento A è dovuto soprattutto all’abbassamento, al passare del tempo, del valore assoluto del target. Se a questa circostanza costituzionale si aggiunge il fatto contingente di 12 trend 2000-2004 crescenti contro solo 3 decrescenti (Germania, Irlanda e Regno Unito), si spiega bene anche il salto dal +5.3% del 2004 al +11.6% del 2010 indotto dall’adozione del procedimento C.

Per i Paesi EIT l’impiego delle tre diverse proiezioni non porta a rimarchevoli differenze rispetto a quanto constatato per il 2004 (due modesti miglioramenti in caso di A e B e un piccolo peggioramento in caso di C) ma, comunque, l’ipotesi più favorevole risulta la B (-34%). Desta però meraviglia il fatto che nell’intreccio delle varie situazioni l’impiego del procedimento di estrapolazione (C), nonostante l’elevato trend di crescita 2000-2004, non porti la percentuale di riduzione al di sotto del -28%.

Guardando ai singoli Paesi, il panorama dei divari percentuali tra le emissioni proiettate al 2010 con i tre procedimenti e l’impegno finale del PK - con valori che spaziano tra il +86% del Lussemburgo con l’ipotesi C e il -62% della Lituania anch’esso di C - è alquanto variato e interpretabile solo caso per caso. Infatti nella formula istitutiva:

il risultato, oltre che dagli “individualizzati” 14 valori del target percentuale PK, dipende:

  • nel procedimento A, solo della media delle emissioni nel periodo 2000-2004;
  • nel procedimento B, dalla media del biennio 2003-2004;
  • nel procedimento C, da quest’ultima media e dai parametri della retta di interpolazione, con particolare peso del coefficiente angolare.

Confrontando i risultati ottenuti con i procedimenti B e A, si trovano 5 Paesi su 25 con D%B peggiore di D%A (Austria, Finlandia,Lussemburgo, Estonia e Romania), tutti con emissioni particolarmente elevate nel 2003 e 2004. Nel confronto fra i risultati dovuti ai procedimenti C ed A sono invece 5 i casi con D%C migliore di D%A (in Germania, Irlanda, Regno Unito, Cechia e Lituania), tutti caratterizzati da tan α negativa.

Confrontando i dati riportati nelle ultime quattro colonne di Tab. 3, si può anzitutto constatare che i Paesi che dal 2004 al 2010 passano dall’adempienza (segno -) all’inadempienza (segno +) o viceversa sono solo due, e precisamente la Germania, che dall’adempienza al 2004 (-2.9%), dovuta soprattutto al suo elevatissimo target di riduzione (-21%), passa a divari positivi al 2010 secondo tutti tre i procedimenti e la Grecia, che dal +7.9% del 2004, motivato soprattutto dal suo elevatissimo target di aumento (+25%), passa a piccole adempienze (-1% e -3.4%) secondo i procedimenti A e B. Per il caso della Germania il passaggio dall’adempienza all’inadempienza è facilmente spiegabile per il procedimento C, in quanto il target del -21% rende più oneroso l’impegno, che è circa 1% all’anno, mentre la quota di riduzione del modello è mediamente solo dello 0.75% all’anno.

Per i Paesi che non cambiano di categoria, si può anzitutto osservare che una buona concordanza tra la constatazione al 2004 e la media delle proiezioni al 2010 sussiste solo per 5 Paesi EIT su 10 e per 3 Paesi Non EIT su 15. In questi ultimi i peggioramenti più vistosi si possono osservare per l’Austria (da +27.2% a +38.1%), la Danimarca (da +15.9% a +29.1%), il Regno Unito (da -6.1% a -4.4%) e il Lussemburgo (da +24.7% a +44.0%). Nei primi tre casi si tratta di Paesi con target molto elevato e notevole impegno nel settore delle energie alternative, reso possibile da un buon andamento dell’economia che, nonostante la crescita dell’efficienza energetica, fa lievitare il consumo di vettori fossili.

Fra i Paesi in miglioramento spiccano il Portogallo (da +18.6% a +10.8%), l’Irlanda (da +12.8% a +6.7%) e, in misura un po’ minore, la Spagna (da +34.9% a +30.3%), tutti accumunati da target molto favorevoli (nell’ordine, +27%, +13% e +15%) che di anno in anno rendono più favorevole l’impegno in una misura media di circa l’1%.

Considerando, Paese per Paese, solo le ipotesi meno favorevoli, appare abbastanza chiaro che all’appuntamento del 2012 potranno andare molto tranquillamente tutti i Paesi EIT ad eccezione della Slovenia nonché - fra i Non EIT - il Regno Unito e la Svezia. Fra i certamente inadempienti spiccano l’Austria (+59% in C) e la Spagna (+48% in C), nonché - almeno sulla scorta dei calcoli - il Lussemburgo (+86% in C). L’analisi del risultato C di questi tre Paesi è molto esemplificativa per comprendere la singolarità di ogni caso. Infatti il D%2010 del Lussemburgo, che risulta assolutamente il peggiore, è conseguito con emissioni 2004 non cresciute rispetto a quelle del 1990; il risultato per l’Austria, leggermente migliore, è collegato con una crescita 1990-2004 del 16%; il D%2010 della Spagna, ancora di poco migliore, si congiunge con una crescita delle emissioni pari al 49% in 14 anni. Si vede, da ciò, l’influenza spesso decisiva del target, della quale già si è già detto e si dirà ancora.

Per concludere l’argomento del divario tra emissioni proiettate e impegno, è opportuno ribadire che i valori riportati in Tab. 3 si fondano, per quanto riguarda le emissioni, su dati oggettivamente supposti su base concreta mentre per quanto riguarda gli impegni il dato è politico, interno all’Unione europea. Infatti i target per i Paesi della vecchia UE15 riportati nell’ultima colonna di Tab. 2 non sono “originali di Kyoto” ma come si è già detto sono stati ridistribuiti fra gli Stati Membri dell’Unione, che invece nell’Annex 1 del Protocollo erano tutti caricati da un uniforme -8%.

Così se un Paese nel periodo 2008-2012 farà registrare un volume medio di emissioni conteggiabili pari a quello corrispondente all’anno base 1990 (pari, ad esempio, a 100 Mt CO2 eq), il suo divario assoluto tra emissione e impegno può equivalere a un credito (ad esempio, di 27 Mt CO2 eq se si tratta del Portogallo), a un pareggio (nel caso della Grand Nation), fino ad un debito (ad esempio di 21 Mt CO2 eq se si tratta della Germania); ne risultano ovviamente percentuali di divario diverse, (corrispondenti, nell’ordine degli esempi, a -21.3%, 0% e +26.6%). Col valore originale di Kyoto non ci sarebbe differenza e il debito sarebbe per tutti di -8 Mt CO2eq, pari a un divario di +8.7%.

Così, venendo al concreto dei numeri di colonna 4 di Tab. 3, si può osservare che i molto vicini D%A2010 di Finlandia (+9.7%) e Irlanda (+9.8%) derivano da differenze molto diverse tra emissioni proiettate al 2010 e constatate per il 1990 che sono, nell’ordine, +9.7% e +24.1%: Altrettanto si può osservare per i non molto diversi D%A2010 di Grecia (-1.0) e Regno Unito (-1.6%) che derivano da differenze della proiezione sull’emissione 1990, uguali rispettivamente a +23.8% e -13.9%.

Da questi numeri risulta evidente la duplice relatività del D%2010, dovuta per una volta al suo carattere di valore percentuale e per la seconda volta alla considerazione del target: illustra cioè una situazione “contrattuale” (= differenza percentuale tra emissione proiettata e impegno assunto), che è ben diversa da quella fisica (= differenza percentuale fra la previsione e la constatazione al 1990) che concretamente interessa l’atmosfera.

Così, ricorrendo a valori assoluti, qui non evidenziati, si può calcolare che il Regno Unito con un D%A2010 di -1.61% avrebbe ridotto le sue emissioni di 108.0 Mt CO2 eq (= -13.9%), mentre per la Grecia il D%A2010 di -1.0% indicherebbe un aumento delle emissioni di 25.9 Mt CO2 eq (= +23.8%). Due piccoli superamenti (in discesa) dell’impegno, che per l’atmosfera sono nel caso del Regno Unito una sostanziale riduzione dell’aggravio comunque procurato dall’emissione di CO2 da fossile, nel caso della Grecia un notevolissimo aumento dell’aggravio.

Scorrendo i valori della colonna dei target di Tab. 2 appare pure evidente che se per due Paesi (Finlandia e Francia) sarà sufficiente che le emissioni medie del quinquennio 2008-2010 non siano superiori a quelle del 1990, a diciotto Paesi è richiesta una sostanziale riduzione delle emissioni (variabile dal -6% per Olanda, Ungheria e Polonia al -28% per il Lussemburgo), mentre a cinque è permesso un aumento che va dal +4% per la Svezia al +28% per il Portogallo.

Ma questi ed altri dettagli negoziali e politici non interessano il corpo unico e indiviso dell’atmosfera, per la quale conta solo il saldo dei saldi che purtroppo - oltre ad essere pesantemente positivo (= aumento della concentrazione di GHG) in termini assoluti di crescita delle ppm - lo è anche in termini relativi, considerando cioè la variazione rispetto all’anno di riferimento del 1990 (anno del resto arbitrario dal punto di vista dell’atmosfera), e ciò non solo ad opera dei Paesi Non Annex 1.

Nuovamente un’occhiata fuori dall’Europa 

Uscendo dall’Unione Europea e guardando al complesso dei Paesi dell’Annex 1, le cose vanno per un certo verso similmente a quanto esaminato per l’UE e per altri versi molto peggio.

Anche qui ad aver rallentato sensibilmente le emissioni sono quasi esclusivamente i Paesi EIT (che comprendono la Federazione Russa, l’Ucraina, il Belarus e la Croazia), le cui emissioni 2004 senza LULUCF, pari a 2539 Mt CO2 eq, superano del 150% quelle dei 10 Paesi EIT dell’UE 27 e segnavano un calo del -37.4% nel periodo 1990-2004 e una crescita di +4.3% nel periodo 2000-2004.

Nell’area del Pacifico per i tre Paesi Non EIT (Australia, Giappone e Nuova Zelanda) con emissioni annue complessive al 2004 di 1959.5 Mt CO2 eq (di cui 1355.2 dovute al Giappone), la situazione è a dir poco sconfortante: +11.5% dal 1990 al 2004 e, all’interno del periodo, +2.1% dal 2000 al 2004, con crescite più forti per Australia e Nuova Zelanda.

Nell’America settentrionale, poi, nel blocco Canada-USA, dominato per oltre il 90% dagli Stati Uniti, le cose sono andate ancora peggio, con +16.8% dal 1990 al 2004 e +1.6% dal 2000 al 2004. In termini relativi il Canada ha mostrato tassi di crescita delle emissioni notevolmente superiori a quelli degli Stati Uniti, particolarmente nel periodo 2000-2004.

Nel complesso dei 39 Paesi dell’Annex 1, ratificanti o non che siano, l’evoluzione complessiva delle emissioni di GHG senza LULUCF è raffigurabile come segue:

  • calo dal 1990 al 2004 da 18.55 Gt CO2 eq a 17.93 Gt CO2 eq (= -3.3%) e aumento dal 2000 al 2004 di +2.4%, equivalente al +0.6% all’anno;
  • sostanziale pareggio con l’impegno nominale del PK ragguagliato al 2004 (pari a 14 · -5 / 20 = -3.5%).

Ne consegue che, anche con un eventuale sostanziale smorzamento dell’attuale trend di crescita, il -5% per il 2010 pare irraggiungibile. Ricorrendo ai criteri di proiezione sopra adottati si può calcolare che solo adottando la poco verosimile ipotesi B si arriverebbe ad oltrepassare (in discesa) di circa -2.9% l’impegno di 17.6 Gt CO2 eq. Se la realtà si posizionerà a metà tra le ipotesi A e C, l’emissione GHG senza LULUCF di 18.1 Gt CO2 eq risulterebbe del 3.1% più elevata del valore di impegno. Anche in questo risultato complessivo è nuovamente la differenza fra Paesi EIT e Non EIT a condurre il gioco; infatti mentre i secondi segnalano crescita delle emissioni del +11.0% dal 1990 al 2004 e di +2.0% dal 2000 al 2004, i primi calano del -36.8% nel periodo 1990-2004, che comprende la crescita del +4.2% dal 2000 al 2004.

Se, come dovuto, si considerano anche gli assorbimenti del settore LULUCF il pareggio con l’impegno potrà venire forse raggiunto, ma con i dati aggregati disponibili i calcoli non sono possibili a causa del diverso criterio di accreditamento degli assorbimenti ex paragrafo 3.3 e 3.4 del PK e dai limiti (cap) all’accreditamento degli assorbimenti dovuti alla gestione delle foreste. Comunque, per fornire una idea sull’entità delle grandezze fisiche degli assorbimenti/emissioni del settore LULUCF si espongono in Tab. 4 quelli relativi ai Paesi dell’Unione Europea (Tab. 4).

Tab. 4 - Emissioni/assorbimenti di GHG nel settore LULUCF nei Paesi dell’Unione Europea. Valori 2004 in Mt CO2 eq. Fonte UNFCCC, Tab. 13, 14 e 15. Nota. Valori per altri Paesi: Australia +4.3, Canada +80.8, Giappone -94.9, Federazione Russa -198.6, USA -773.2.

Paese Mt CO2 eq Paese Mt CO2 eq Paese Mt CO2 eq
Austria -16.6 Germania -36.3 Romania -34.7
Belgio -1.2 Grecia -5.4 Slovacchia -4.3
Bulgaria -22.2 Italia -105.1 Slovenia -5.6
Cechia -4.8 Latvia -13.9 Spagna -30.5
Danimarca -2.3 Lituania +4.4 Svezia -16.7
Estonia -8.0 Olanda +2.4 Ungheria -5.5
Finlandia -18.5 Polonia -26.2 Regno Unito -1.9
Francia -51.8 Portogallo -2.6 TOTALE -406.6

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Verso il Kyoto due 

Tornando all’Unione Europea, che come si è detto sopra ha visto una riduzione al 2004 del -9.7% delle emissioni GHG (escluso LULUCF), quasi esclusivamente imputabile all’evenienza irripetibile della ristrutturazione industriale dei 10 membri EIT, e che comunque comprende la crescita del +2.6% nel periodo 2000-2004, ha destato meraviglia il coraggio dimostrato dalla Commissione Europea e dalla sua allora Presidente Angela Merkel nel proporre ai Grandi della Terra per il 2020 il traguardo del “20+20”: questo mira ad una riduzione del 20% delle emissioni di GHG e un aumento al 20% dell’aliquota di energia da fonti rinnovabili (attualmente al 7.5%). Più in particolare si può aggiungere che la Commissione Europea sarebbe disposta ad aumentare la riduzione delle emissioni anche al 30% se USA, Cina e India prendessero sostanziali impegni coagenti. Nell’ambito delle fonti energetiche rinnovabili sarebbe previsto, sempre per il 2020, un target minimo del 10% di biocarburanti sul consumo complessivo.

Un impressionante mix fra risparmio energetico (eliminazione degli sprechi) e aumento dell’efficienza energetica (“più servizio con meno energia”) nonché accelerazione della sostituzione dei vettori fossili.

Voleva, questo, essere un autorevole richiamo alla necessità di rimboccarsi le maniche, anche facendo certi inevitabili sacrifici, al fine di “cambiare marcia” nella politica e nella realtà del contenimento delle emissioni di GHG. E così è anche stato, visto l’ammorbidimento della posizione americana al G8 di Heiligendamm e le crescenti preoccupazioni di molti Paesi per le negoziazioni relative ad un secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto.

Se, come appena visto, a livello mondiale al 2012 si potrà dire che l’Unione Europea è, dopo la Federazione Russa e gli altri Paesi ex-URSS, il secondo grande spazio geografico che è riuscito a ridurre sensibilmente le emissioni e forse anche a soddisfare gli impegni sottoscritti nel PK, ciò non esime dal fare un’analisi qualitativa del risultato. Così dallo studio dei dati nelle righe di somma di un’aggiornata Tab. 3 apparirà nuovamente chiaro che lo sperato risultato positivo al 2010 sarà stato dovuto non alla virtuosità degli unionisti storici, ma al doloroso sacrificio di quelli di entrata recente.

E sono proprio gli unionisti storici, due terzi dei quali sono giunti al 2004 con le emissioni cresciute rispetto al 1990 e ancora in allegra crescita, che dovranno impegnarsi energicamente (o, per quelli che già lo stanno facendo, continuare a farlo) e trovare - più rispettosi dei vari Piani di Azione della Comunità - vie nazionali di riduzione a presa rapida e duratura. Non si invocano lacrime e sangue, ma si ritiene che qualche contributo, che in certi casi non costituisce neppure un vero sacrificio, lo debbano dare tutti: cittadini, parti sociali, gruppi di interesse e Stato, al quale ultimo spetta la guida strategica e non piuttosto l’erogazione di incentivi che non siano sufficientemente compensati da ritorni di interesse pubblico.

A tal proposito valga, nel suo piccolo, l’esempio del pannello solare sul tetto. Se la riduzione della bolletta energetica (o, possibilmente la sua trasformazione in fattura energetica) ripaga l’investimento dopo 8-10 anni per poi diventare un netto mancato esborso per altri 10-12 anni, non sembra necessario che esso venga anche cofinanziato dalla mano pubblica. Altrettanto può valere per quanto riguarda la sostituzione della vecchia caldaia con una più efficiente, l’applicazione di un “cappotto” alla casa o la promozione di una centrale di teleriscaldamento.

Le cose però cambiano se dal piccolo si passa al medio (un paio di pale eoliche o una minicentralina idroelettrica) o al grande (un impianto di produzione industriale di biodiesel o una centrale cogenerativa a biomassa): infatti in tal caso si entra nell’ambito dell’impresa, dove il calcolo finanziario “a durata di impianto” deve venire fatto con metodo e rigore, spesso scontrandosi con costi molto elevati che richiedono - questi sì - un aiuto pubblico. E interviene pure l’elemento del rischio d’impresa che implica anche la previsione dell’andamento di prezzi e costi finanziari e di gestione nel lungo periodo.

Sono però, molte di queste iniziative, imprese che tra progettazione, autorizzazione e costruzione richiedono un tempo alquanto lungo, che nel contesto dei 12 anni compresi tra oggi e il 2020 è tanto, e rischia di diventare troppo e di fare slittare oltre il traguardo temporale il vantaggio dell’opera. In realtà questo - se contingente e non strumentale - non sarebbe poi tanto grave, perché se l’obiettivo del 20+20 venisse raggiunto, ad esempio, nel 2025, sarebbe comunque un immenso progresso rispetto alla situazione attuale, assolutamente insufficiente.

Tornando alla politica e considerando gli eventi più recenti pare possibile dire che per molti i risultati della megaconferenza di Bali del dicembre scorso sono stati una delusione.

In una Babele di più di 10000 partecipanti occupati in una molteplicità di COP, COP/MOP, “Ad hoc Working Groups”, seminari, consessi negoziali si è discusso molto, litigato parecchio e concluso poco che andasse oltre a riconvocazioni e appuntamenti di approfondimento. In certi momenti pareva essere tornati indietro ai tempi delle COP di Den Haag e di Bonn e più volte si è profilato il pericolo di drammatiche rotture su questioni talvolta di potere e di prestigio ma più spesso di obblighi e oneri.

Nuove aggregazioni del tipo dell’Umbrella Group di storica memoria parevano tornare possibili mentre la Bali Roadmap spesso finiva per somigliare più ad un’ambizione che ad una serie di passi diplomatici e politici.

Così tra alti e bassi nei diversi consessi con protagonismi più o meno evidenti di USA, Federazione Russa, G77/Cina, India e Nuova Zelanda le speranze di un ritrovamento dello spirito di Kyoto e di Marrakech sono andate sempre più rivolgendosi alla Conferenza di Copenhagen del 2009, che l’Unione Europea spera di vedere conclusiva.

Nel frattempo gli incontri e i negoziati proseguiranno a ritmo intenso, ma è difficile prevedere chi ne uscirà vincitore; speriamo che sia la nostra Terra, di tutti e di nessuno.

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