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Definition of regions of provenance and seed zones for forest basic and moltiplication materials of Abruzzo region

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 10, Pages 103-112 (2013)
doi: https://doi.org/10.3832/efor1085-010
Published: Nov 05, 2013 - Copyright © 2013 SISEF

Research Articles

Abstract

The study presents an application of the Directive 1999/105/CE in Abruzzo. Using climatic data for GIS and statistics analysis have been defined nine seed zones grouped in three region of provenances. The obtained map, will be used for the management of forest reproductive materials in Abruzzo.

Keywords

Regions of Provenance, Seed Zones, Forest Basic Materials, Forest Reproductive Materials, Abruzzo

Introduzione 

Secondo lo schema sul commercio dei materiali forestali di moltiplicazione dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) una zona di raccolta o seed zone (a volte erroneamente definita come Regione di Provenienza) di una specie o di una entità sottospecifica è un’area o gruppo di aree soggette a condizioni ecologiche sufficientemente uniformi, in cui i soprassuoli mostrano caratteri fenotipici (e) o genetici simili ([22]).

Questo schema internazionale, a cui aderisce anche l’Italia, stabilisce tra l’altro le regole ed i criteri con cui procedere alla loro definizione, individuandole come uno strumento di lavoro necessario. Alcune delle regole più importanti sono le seguenti:

Regola 2. Definizione di Regioni di Provenienza (RdP)

2.1 Stabilire Regioni di Provenienza è fondamentale per l’attuazione dello schema. Le autorità designate realizzeranno Regioni di Provenienza per tutte le specie a cui è applicato lo schema.

2.2 Le Regioni di Provenienza saranno delineate per mezzo di confini amministrativi o geografici e, dove applicabile, dall’altitudine e da altri confini giudicati significativi.

2.3 Dovranno essere definite e pubblicate mappe con i confini delle Regioni di Provenienza ed i loro numeri o lettere di riferimento.

2.4 Le mappe ed una descrizione dettagliata di ciascuna Regione di Provenienza devono essere sottoposte al Segretariato dell’OECD.

Nelle RdP sono localizzati i materiali di base da cui raccogliere i Materiali Forestali di Moltiplicazione (MFM); di questi i principali e più importanti agli effetti pratici sono sicuramente i boschi da seme rientranti all’interno della categoria “selezionati”. In ultima analisi, è bene che l’approvvigionamento di materiali di moltiplicazione, soprattutto semi, venga effettuato in aree le cui condizioni ecologiche siano il più simile possibile a quelle del sito o dei siti ove si intende impiegarli.

In ogni caso è bene ricordare che un bosco da seme è un soprassuolo giudicato superiore in relazione alle condizioni ecologiche prevalenti in relazione ai criteri di selezione ([22]).

Se lo schema OECD tratta il commercio dei materiali forestali a livello mondiale per i Paesi aderenti, la Direttiva europea 1999/105/CE, recepita in Italia con D.Lgs. 386/2003, fornisce i criteri per la produzione, il commercio e la distribuzione dei MdM, attraverso dettagliate istruzioni relativamente all’organizzazione della filiera vivaistica forestale nell’Unione Europea. Con lo scopo di garantire una miglior gestione dei Materiali Forestali di Base (MFB) e un corretto impiego dei MFM da essi raccolti, la Direttiva richiede la realizzazione di cartografie tematiche delle RdP, in cui siano indicati “Il territorio o l’insieme dei territori soggetti a condizioni ecologiche sufficientemente uniformi sui quali si trovano soprassuoli o fonti di semi con caratteristiche fenotipiche o genetiche analoghe, tenendo conto dei limiti altimetrici ove appropriato” (Art. 2, comma 1 lettera g del D.Lgs. 386/2003). Si tratta dunque di strumenti che consentono di gestire appropriatamente i materiali riproduttivi forestali e che possono contribuire a preservare e tutelare la diversità contenuta nei materiali di base.

L’individuazione delle RdP, pertanto, non è una semplice delimitazione territoriale, bensì uno strumento giuridico per l’iscrizione di un dato materiale di base nei registri ([4]).

In molti paesi è comune utilizzare, almeno per le specie autoctone, le seed zones ([28], [22]) definite in generale come “zone di raccolta e di successivo impiego”. Un’utile definizione è quella utilizzata dal St. Williams Nursery & Ecology Centre (⇒ http:/­/­www.stwilliamsnursery.com/­) che, nel caso applicato nella provincia Canadese dell’Ontario (Fig. 1), le descrive come “aree in cui è stato appurato che sussistono più popolazioni della stessa specie che sono geneticamente affini tra loro e adattate alle medesime condizioni ecologiche attraverso processi genetici evolutivi di fitness”. Una seed zone può far parte di una RdP più ampia o può essere essa stessa una unica Regione di Provenienza. Dunque, in sintesi, possiamo definire la seed zone come un passo successivo alla RdP, in cui oltre agli aspetti ecologici si studiano anche i caratteri genetici delle singole popolazioni. Erickson et al. ([13]) forniscono invece una definizione di tipo più applicativo, in base alla quale una seed zone è un’area geografica entro cui possono essere raccolti materiali di moltiplicazione di una determinata specie (principalmente semi) e impiegati con minimi rischi di cattivo adattamento. Tali aree di raccolta ed impiego del seme sono di solito individuate e confermate grazie a sperimentazioni e ricerche in cui sono contemplate prove comparative sia in laboratorio che multi sito in reti sperimentali in campo. Esse consentono di individuare i materiali di moltiplicazione più appropriati per un particolare ambito territoriale, permettendo di realizzare piantagioni biologicamente sostenibili, ridurre l’impatto di fattori biotici e abiotici avversi e contribuire a mantenere gene pool/informazione genetica adattati alle condizioni locali ([27]).

Fig. 1 - Seed zones dell’Ontario. L’estensione delle RdP è enorme in alcuni paesi e la definizione di seed zones permette di gestire con maggiore facilità ed efficacia i materiali riproduttivi (fonte: ⇒ http:/­/­www.mnr.gov.on.ca/­fr/­Business/­Forests/­2ColumnSubPage/­STEL02_166255.html).

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In accordo con tale definizione sono anche Camerano et al. ([5]), secondo cui impiegare MFM provenienti da aree ecologiche quanto più affini alle condizioni stazionali di origine, può fornire livelli di performance assai più elevati rispetto a una indiscriminata attività di “raccolta selvaggia”, con conseguente risparmio di energie, costi e tempo, oltre ad essere un metodo efficace per la valorizzazione delle risorse genetiche forestali locali.

Ad ogni modo, anche se i criteri, la terminologia e la tipologia di suddivisione possono essere molteplici, lo scopo principale delle RdP è quello di supportare la filiera vivaistica forestale, perseguendo il miglior adattamento possibile dei MFM alle condizioni delle stazioni in cui le piantagioni saranno realizzate.

Va comunque ricordato che i concetti di RdP e di seed zone, sono nati in paesi in cui l’estensione delle aree forestali è enorme. Nel corso di sperimentazioni e nell’attività pratica si è infatti riscontrato come anche in risorse genetiche forestali caratterizzate da vasti areali esista una forte variabilità genetica correlata alla produttività e all’adattamento; si è pertanto ritenuto importante suddividere gli areali secondo il variare dei principali parametri ecologici (essenzialmente climatici) presupponendo che la loro diversità abbia determinato una pressione selettiva nei confronti di alcune popolazioni, differenziandole da altre.

In un paese come l’Italia, relativamente piccolo ma caratterizzato da grande variabilità ambientale, la definizione di RdP e seed zone può trovare impiego cercando un giusto equilibrio tra esigenze di ordine legislativo, naturalistico-ecologiche ed economiche per il settore vivaistico forestale, per il quale è necessario semplificare quanto più possibile l’approvvigionamento e la produzione di materiali di base e di moltiplicazione.

Materiali e metodi 

Secondo la direttiva europea, ciascuno stato membro può strutturare secondo le proprie esigenze tecniche, le caratteristiche del territorio e delle proprie formazioni forestali, il processo di realizzazione della cartografia delle RdP. Tale possibilitàè assai utile in un paese come l’Italia in cui la variazione ecologica a livello ambientale è molto accentuata anche su superfici relativamente piccole. In questo lavoro, per la relativa scarsità di informazione genetica sulle specie forestali e in linea con analoghi lavori realizzati a livello nazionale o regionale ([10], [6]) si è scelto, in fase preliminare, di applicare i principi generali dell’approccio partizionista ([25]) basato essenzialmente su parametri climatici.

Per lo studio delle caratteristiche ecologiche dell’Abruzzo, base di partenza sono stati i dati storici dei regimi termici e pluviometrici. Le informazioni climatiche sono state fornite dal Centro Agrometeorologico Regionale di Scerni, che analizza e gestisce dati ottenuti da 137 stazioni meteorologiche regionali (Fig. 2). Ottanta di queste stazioni registrano esclusivamente le precipitazioni, mentre le restanti 57 sono dotate anche di sensore di temperatura; i dati utilizzati per lo studio coprono circa 50 anni di osservazione in base alla disponibilità di ciascuna stazione meteo. I dati delle singole stazioni meteo sono stati geo-referenziati in ambiente GIS creando uno strato informativo vettoriale puntiforme (shapefile) nel sistema di coordinate WGS84 UTM 33N e spazializzati mediante processo di interpolazione. La scelta del metodo di interpolazione si è basata sul confronto tra sei metodi diversi, generalmente conosciuti come i migliori metodi in ambito meteorologico-ambientale. Sono stati testati il modello multiregressivo, l’inverso della distanza ponderata, la Tensione di Spline Regolarizzata ([21]), il Kriging ([19]) nelle forme di ordinario, regressivo ed universale ed il co-kriging (ordinario ed universale) ed il k-Nearest Neighbour ([9]). Il criterio di scelta è stato la radice quadrata dell’errore quadratico medio (RMSE - Root Mean Square Error) calcolato attraverso una procedura di cross-validazione di tipo leave-one-out, in linea con molti lavori che trattano di spazializzazione dei dati climatici ([1], [11], [3], [8]). Le 21 carte tematiche così elaborate (una per ciascuna temperatura media mensile, delle temperature minime, massime e medie annuali, delle massime e minime assolute, della minima del mese più freddo, della massima mese più caldo e le precipitazioni annuali ed estive), in formato raster e con risoluzione spaziale di 100 metri, una volta standardizzate al fine di dare lo stesso peso nell’analisi statistica a tutti i fattori e indipendentemente dall’unità di misura in cui sono espresse, sono state utilizzate per eseguire l’analisi delle componenti principali (PCA) di tipo geo-statistico attraverso il modulo “i.pca” di GRASS-GIS 6.4.3 RC3 ([15]). Il risultato della PCA è stato impiegato come input per i processi di clusterizzazione di tipo “unsupervised” attraverso i moduli “i.cluster” ed “i.maxlik” sempre del software GRASS-GIS, allo scopo di aggregare tra loro pixel con valori simili delle componenti principali. In tale step, considerando la variabilità ambientale della regione in analogia a risultati ottenuti in lavori simili ([2]), si è ritenuto soddisfacente aggregare i pixel secondo 3 cluster. Infine, le RdP così individuate, sono state suddivise in seed zones sulla base di limiti altimetrici e di barriere geografiche per i possibili flussi di geni.

Fig. 2 - Distribuzione geografica delle stazioni meteo regionali.

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Il risultato finale è stato poi sottoposto ad un processo di validazione statistica e completato con una caratterizzazione ecopedologica attraverso un’intersezione in ambiente GIS tra le seed zone delineate e la carta ecopedologica d’Italia ([14]), calcolando la frequenza di ciascuna Unità Ecopedologica in ogni seed zone. In aggiunta, per caratterizzare dal punto di vista fitosociologico e forestale ciascuna seed zone, è stata effettuata un’intersezione anche con la carta dei tipi forestali dell’Abruzzo ([7]).

Le RdP e le seed zones così individuate, sono state quindi sottoposte ad una verifica diretta sul territorio, appoggiando ove possibile i confini di ciascuna di queste a limiti amministrativi o linee orografiche (impluvi o displuvi).

L’intero lavoro è stato eseguito con software GIS e di analisi statistica gratuiti ed open-source quali QuantumGIS Lisboa 1.8.0 per la parte cartografica, le librerie raster ([16]), rgdal ([18]) e gstat ([24]) del software statistico R 3.0.1 ([26]) per le procedure di interpolazione dei dati climatici e GRASS GIS 6.4.3 RC3 per la parte statistica e geo-statistica attraverso il modello di lavoro riportato in Fig. 3, installati e utilizzati all’interno dell’ambiente desktop Ubuntu 12.04 LTS.

Fig. 3 - Modello grafico utilizzato per le analisi di GRASS GIS.

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Risultati 

L’analisi delle componenti principali eseguita sulle cartografie climatiche, ha mostrato che il 95.59% della variabilità climatica della regione può essere riassunta in 4 componenti principali, le prime due delle quali spiegano da sole l’83.62% della varianza. La prima componente riassume in se il 71.44%, ed è correlata negativamente alla maggior parte delle variabili termiche inserite nell’analisi (massime annuali, medie annuali, minime annuali, massime assolute annuali, minime assolute annuali, media di Gennaio, Febbraio, Marzo, Aprile, Maggio, Giugno, Luglio e Novembre, minima del mese più freddo e massima del mese più caldo); la seconda (12.18% della varianza) è correlata a due fattori di temperatura (media di settembre e di ottobre) e alle piogge (estive ed annuali), esattamente come la terza (5.36%). Infine la quarta (3.91%) è correlata a tre medie mensili (Agosto, Ottobre e Dicembre). Complessivamente, dunque, le temperature influenzano in maniera nettamente preponderante la variabilità ecologica dell’Abruzzo, mentre le precipitazioni hanno influenza soltanto rispetto alla seconda e terza componente, quindi per una percentuale limitata di varianza (17.54%).

Successivamente alla PCA, nella fase di clusterizzazione geostatistica si è arrivati a delineare 3 RdP e la delimitazione in seed zone è stata realizzata considerando le possibili barriere geografiche a flussi di geni determinate dall’orografia, dalla presenza di bacini idrografici e da aree urbane (Fig. 4). Le definizioni ufficiali di RdP e seed zone sono riportate in Tab. 1. Di seguito invece, è riportata una breve descrizione di ciascuna RdP.

Fig. 4 - Regioni di Provenienza dell’Abruzzo e relative seed zones in sovrapposizione alla carta delle aree protette, ai vivai forestali regionali ed ai boschi da seme attualmente iscritti al LNBS.

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Tab. 1 - Definizioni ufficiali delle Regioni di Provenienza dell’Abruzzo e delle seed zones.

Regione RdP Descrizione
RdP1 - Regione costiero-Adriatica RdP1a Querceti caducifogli di roverella, Querceti costieri termofili e boscaglie pioniere calanchive e ripariali
RdP2 - Regione dei rilievi collinari intermedia RdP2a Boschi di forra, e popolamenti xerofili pionieri
RdP2b Cerrete mesoxerofile e querceti di roverella.
RdP2c Castagneti neutro-acidofili, cerrete e pioppeti
RdP3 - Regione Appenninica di media ed alta quota RdP3a Faggete montane, cerrete ed arbusteti
RdP3b Rimboschimenti di conifere della fascia montana
RdP3c Faggete montane
RdP3d Faggete ed arbusteti della fascia montana e submontana
RdP3e Pinete naturali di Pino nero di Villetta Barrea, faggete montane e cerrete mesofile

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RdP 1 (1 seed zone)

La RdP1 comprende la fascia adriatica dell’Abruzzo, estendendosi da nord a sud per tutto il litorale e confinando a ovest con le pendici della Majella e del Gran Sasso d’Italia. In questa prima zona sono inclusi boschi a prevalenza di piante mediterranee xerofile o xerotolleranti ed eliofile come querceti di roverella mesoxerofili (più o meno puri e in compartecipazione con conifere derivanti da rimboschimenti essenzialmente di i pini mediterranei), popolamenti di leccio, robinieti di invasione, ailanteti e pioppo-saliceti ripariali. Si tratta comunque di boschi dal valore ambientale ed economico medio basso, tra i quali si ritiene comunque possibile reclutare nuovi soprassuoli da seme di specie mediterranee come leccio o pini rispondenti ai requisiti per l’iscrizione nel Registro Regionale dei Materiali Forestali di base (RRMFB). Le Unità Ecopedologiche (UE) maggiormente presenti sono, in ordine di abbondanza la 09.01, 10.03, 05.01 e 09.04 che descrivono la RdP1 come costituita da zone calanchive con depositi marini argillosi e argilloso-limosi di origine pleistocenica, alvei terrazzi e pianure alluvionali. In piccola parte, sono presenti anche UE11.01, 11.03 ed 11.04, riferibili alle aree basali del massiccio appenninico del Gran Sasso (terreni dolomitici e calcarei) con forma paesaggistica di rilievi collinari marnosi e calcarei. Gli usi del suolo prevalenti sono colture permanenti e terre arabili, mentre le foreste coprono una superficie decisamente minore. In Tab. 2 sono elencate tutte le UE caratterizzanti tutte le RdP dell’Abruzzo.

Tab. 2 - Elenco delle Unità Ecopedologiche presenti in Abruzzo e caratterizzanti RdP e Seed Zones (definizioni ufficiali [14]).

Unità Ecopedologiche Descrizione
UE 05.01Alvei e terrazzi fluviali recenti e attuali Alvei e terrazzi alluvionali pianeggianti recenti o attuali, con sedimenti ghiaiosi, sabbiosi e limoso-argillosi. Le aree dei terrazzi più prossime ai corsi d’acqua sono a rischio di inondazione.Forma del paesaggio: fondovalle pianeggiante Quote comprese tra 0 - 300 metri s.l.m. Substrato litologico: sabbie di piana alluvionale; argille e limi di piana alluvionale.Uso del suolo dominante: terre arabili, colture permanenti Suoli dominanti : Calcari-Fluvic Cambisol; Calcaric Cambisol; Calcaric Fluvisol.
UE 07.03Conche intermontane dei massicci carbonatici Aree pianeggianti di origine fluviale, lacustre e palustre con sedimenti antichi alluvionali e fluviolacustri limoso-argillosi e sabbiosi e residuali (terre rosse) frequentemente bordate da superfici terrazzate costituite da depositi detritici e colluviali comprese all’interno dei massicci carbonatici dell’Italia centro-meridionale (Piano di Castelluccio, Piana Sulmona, ecc.).Forma del paesaggio: pianura Quote comprese tra 250 - 1500 metri s.l.m.Substrato litologico: depositi colluviali; argille e limi di terrazzo.Uso del suolo dominante: terre arabili; colture permanenti Suoli dominanti : Skeleti-Calcaric Cambisol; Haplic Luvisol; Haplic Calcisol.
UE 09.01Colline prevalentemente argillose e argilloso-limose Rilievicollinari, costituite da depositi marini argillosi e argilloso-limosi, a luoghi sabbiosi, prevalentemente pleistocenici. Sono presenti fenomeni di dissesto prevalentemente superficiali (calanchi). Forma del paesaggio: colline molto ondulate a gradiente medio Quote comprese tra 10 - 600 metri s.l.m. Substrato litologico: depositi non consolidati costituiti da argille oloceniche e terziarie.Uso del suolo dominante: colture permanenti; terre arabili Suoli dominanti : Calcaric Cambisol; Haplic Calcisol; Calcaric Regosol.
UE 09.04Terrazzi conglomeratici e sabbiosi Aree sommitali terrazzate delle colline plio-pleistoceniche, bordate da scarpate ripide e frastagliate, costituite prevalentemente da conglomerati e sabbie marine pleistoceniche. Forma del paesaggio: pianura dolcemente ondulata Quote comprese tra 0 - 600 metri s.l.m.Substrato litologico: sabbie quaternarie; conglomerati olocenici.Uso del suolo dominante:colture permanenti; terre arabili Suoli dominanti : Calcic Luvisol; Haplic Calcisol; Eutric Vertisol.
UE 10.03Rilievi collinari pelitico-arenacei Rilievi collinari costituiti da alternanze flyschoidi pelitico-arenacee; sono presenti fenomeni di movimenti di massa sia superficiali che profondi.Forma del paesaggio: colline molto ondulate a gradiente medio Quote comprese tra 200 - 1200 metri s.l.m. Substrato litologico: flysch pelitico-arenaceo.Uso del suolo dominante: terre arabili; foreste Suoli dominanti : Calcaric Cambisol; Calcaric Regosol; Eutric Cambisol.
UE 10.04Rilievi collinari arenaceo-pelitici Rilievi collinari costituiti da alternanze flyschoidi arenaceo-pelitiche, con movimenti di massa sia superficiali che profondi. Forma del paesaggio: colline moderatamente ripide a gradiente medio Quote comprese tra 200 - 900 metri s.l.m. Substrato litologico: flysch arenaceo-pelitico.Uso del suolo dominante: terre arabili; colture permanenti Suoli dominanti : Eutric Cambisol; Dystric Cambisol; Calcaric Leptosol.
UE 11.01Rilievi collinari delle argille varicolori Rilievi collinari costituiti prevalentemente da argille varicolori; frequenti forme calanchive e movimenti di massa sia superficiali che profondi.Forma del paesaggio: colline molto ondulate a gradiente medio Quote comprese tra 150 - 1200 metri s.l.m. Substrato litologico: argilliti, peliti.Uso del suolo dominante: terre arabili; foreste Suoli dominanti: Calcaric Regosol; Calcaric Cambisol; Eutri-Chromic Vertisol.
UE 11.03Rilievi collinari prevalentemente marnosi Rilievi collinari costituiti da marne, marne argillose e marne calcaree, concon locali affioramenti di evaporiti, con versanti arrotondati. Forma del paesaggio: colline molto ondulate a gradiente medio Quote comprese tra 100 - 1200 metri s.l.m. Substrato litologico: marne.Uso del suolo dominante: terre arabili; aree agricole eterogenee Suoli dominanti: Calcaric Cambisol; Haplic Calcisol; Calcaric Leptosol.
UE 11.04Rilievi collinari pelitico-arenacei Rilievi collinari costituiti da alternanze flyschoidi pelitico-arenacee; sono presenti fenomeni di movimenti di massa sia superficiali che profondi.Forma del paesaggio: colline molto ondulate a gradiente medio Quote comprese tra 100 - 1200 metri s.l.m. Substrato litologico: flysch pelitico-arenaceo.Uso del suolo dominante: terre arabili; foreste Suoli dominanti: Calcaric Cambisol; Calcaric Regosol; Calcaric Leptosol.
UE 11.07Rilievi montuosi arenaceo-pelitici Rilievi montuosi costituiti da alternanze flyschoidi arenaceo-pelitiche, con prevalenza del litotipo arenaceo, che in qualche caso diviene assolutamente predominante (unità presente prevalentemente sui Monti della Laga - Appennino centrale). Forma del paesaggio: montagne moderatamente ripide a gradiente medio Quote comprese tra 600 - 2200 metri s.l.m. Substrato litologico: flysch arenaceo - pelitico.Uso del suolo dominante: foreste; associazioni di cespugli e/o vegetazione erbacea Suoli dominanti: Dystric Cambisol; Umbric Leptosol; Calcaric Cambisol.
UE 14.03Rilievi montuosi prevalentemente calcarei Rilievi montuosi calcarei e dolomitici, secondariamente calcari marnosi (tipo Scaglia). Presenza di fenomeni carsici. Forma del paesaggio: montagne ripide ad alto gradiente Quote comprese tra 600 - 2000 metri s.l.m. Substrato litologico: calcare duro; dolomie calcaree.Uso del suolo dominante: foreste; associazioni di cespugli e/o vegetazione erbacea Suoli dominanti : Rendzic Leptosol; Calcaric Cambisol; Lithic Phaeozem.
UE 14.04Aree sommitali e versanti dei rilievi montuosi prevalentemente calcarei Aree sommitali e versanti denudati dei rilievi montuosi calcarei. Presenza di fenomeni carsici. Forma del paesaggio: montagna con versanti ripidi ad alto gradiente Quote comprese tra 1000 - 2800 metri s.l.m.Substrato litologico: calcare duro; dolomia calcarea.Uso del suolo dominante: associazioni di cespugli e/o vegetazione erbacea; spazi aperti con poca o nessuna vegetazione Suoli dominanti : Lithic Leptosol; Rendzic Leptosol; Lithic Phaeozem.

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RdP 2 (3 seed zones)

La RdP2 è stata suddivisa in tre seed zones (2a, 2b e 2c), comprende la fascia costiera a quote maggiori (versanti di esposizione Est di Gran Sasso e Majella) e si insinua fin nel centro della regione includendo la piana del Fucino e l’entroterra aquilano. È una RdP caratterizzata prevalentemente dal faggio con formazioni di faggeta montana eutrofica, mesoneutrofila o acidofila ma sono presenti in buona parte anche cerrete e querceti di roverella con una discreta presenza di castagneti. Le seed zones sono identificate con la linea di displuvio che divide il bacino idrografico del Pescara da quello del Sangro (2a-2b) e del Garigliano (2a-2c). All’interno della RdP2 rientrano tre soprassuoli forestali iscritti nell’ex Libro Nazionale dei Boschi da Seme (LNBS) negli anni ’70 (Ex L. 269/73). Si tratta dei boschi di Cappadocia-Campo Ceraso-Coste Calde (Fagus sylvatica, n°148), di Introdacqua (Pinus nigra var. italica, n°83) e di Fonte Volpona-Rosello (Abies alba, n°12), Tali soprassuoli sono attualmente oggetto di revisione. La caratterizzazione ecopedologica è sostenuta principalmente dalle UE 14.03, 10.04, 11.04, 14.04, 07.03 che definiscono un paesaggio come rilievi montuosi calcarei e dolomitici o calcari marnosi con presenza di fenomeni carsici. Si tratta cioè di montagne ripide ad alto gradiente altimetrico e altitudini fino ai 2000 metri. Anche in questa RdP, seppur in misura molto minore, sono presenti rilievi collinari a medio gradiente in cui le cenosi forestali vegetano in buone condizioni e aree alluvionali pianeggianti dell’entroterra abruzzese (ad es., piana del Fucino). Gli usi del suolo prevalenti sono aree boscate, aree pascolive e, in minor parte, zone coltivate.

RdP 3 (5 seed zones)

Questa è la RdP maggiormente frammentata a livello geografico; essa è stata infatti suddivisa in ben cinque seed zones e include i rilievi montuosi maggiori della Regione (Gran Sasso, Majella, Sirente Velino, Monti Marsicani). Anche in questo caso, le faggete sono i popolamenti forestali che si estendono maggiormente, coprendo più del 50% della superficie totale. Tuttavia, tali soprassuoli, si presentano con formazioni diverse tra loro che vanno dalle faggete montane altamente produttive ai popolamenti di alta quota che si spingono fino al limite della vegetazione. Ad ogni modo, a livello forestale, la caratteristica più importante di questa RdP è la presenza del nucleo autoctono di Pino nero di Villetta Barrea (Pinus nigra subsp. nigra var. italica), iscritto nel LNBS al n°14 e incluso ora nella seed zone 3e; si tratta infatti di una particolarità non indifferente, essendo l’unico popolamento indigeno vero e proprio della varietà. Questa ultima RdP è caratterizzata dalle UE14.03, 14.04, 11.07 e 07.03 che ben delineano la morfologia di un’area di alta quota con versanti ripidi ed aree sommitali a prati-pascolo. I rilievi montuosi sono costituiti in prevalenza da arenarie, che in qualche caso divengono assolutamente predominanti, come nei Monti della Laga e nell’Appennino centrale con una buona presenza anche di substrati calcarei e marnosi. In questo caso, l’uso del suolo è esclusivamente forestale, con tratti di arbusteti di alta quota al limite della vegetazione, generalmente con associazioni cespugliose o erbacee.

Discussione 

L’analisi condotta per l’Abruzzo, mostra che la variabilità ecologico-ambientale del territorio regionale è in maggior parte espressa da fattori termici. La prima componente PCA è infatti nettamente predominante sulle altre ed è correlata esclusivamente a fattori di temperatura, ovvero le temperature medie mensili e medie stagionali. Le motivazioni di tale aspetto risiedono nella particolare posizione geografica dell’Abruzzo e nella sua orografia. La distanza dal mare che aumenta man mano che si procede da est verso ovest e la catena appenninica che scorre in senso trasversale, caratterizzano il clima della regione rendendolo sensibilmente differente rispetto ad altre regioni italiane che si affacciano sul Mar Adriatico (ad es., Emilia Romagna). Il clima abruzzese infatti, specialmente nel centro della regione, si presenta con caratteri termopluviometrici di tipo continentale, con inverni freddi caratterizzati da abbondanti nevicate ed estati calde e con scarse precipitazioni. In questo scenario geografico, il clima mediterraneo della costa, caratterizzato da estati calde ed inverni miti, contrasta fortemente con le zone interne (ad es., piana del Fucino). L’elevato gradiente altimetrico della regione poi, accentua lo squilibrio termico, passando in pochi chilometri dal livello del mare ai quasi 3000 metri del Gran Sasso e della Majella (è questo poi sostanzialmente, il fattore che determina il passaggio dalla seconda alla terza RdP).

La suddivisione adottata per l’Abruzzo in questo lavoro, conferma quanto già esposto da Ducci et al. ([10]), per i quali la suddivisione biogeografica della penisola è riconducibile a due principali aree, quella temperata e quella mediterranea, e il cui margine di contatto è localizzato in corrispondenza della dorsale Appenninica. A differenza di tale lavoro però, in questo caso è stata utilizzata una maggiore scala di dettaglio (regionale anziché nazionale) e ciò ha permesso di demarcare una terza zona, la RdP3, esclusivamente imputabile al fattore altitudinale.

Osservando poi la suddivisione in RdP adottata per l’Abruzzo, in linea con le regioni limitrofe del centro Italia (Marche, Molise, Campania e Lazio), si può cogliere una forte analogia dell’Italia peninsulare con altri lavori eseguiti a livello europeo, come ad esempio il caso della la Gran Bretagna. In entrambi i casi, infatti, si riscontra un orientamento longitudinale delle varie RdP e seed zones, (⇒ http:/­/­www.forestry.gov.uk/­forestry/­infd-66sg9r).

Le RdP individuate per l’Abruzzo, saranno impiegate come uno strumento fondamentale per gestire correttamente le risorse genetiche forestali ed i materiali di riproduzione e moltiplicazione nel quadro della Direttiva 1999/105/CE e del D.Lgs. 386/03. L’impostazione in RdP e seed zones adottata, seppur con un numero piuttosto elevato e con qualcuna di esse di dimensioni ridotte (una su tutte la 3c) non sarà tuttavia di ostacolo alla gestione dei MFB. È importante infatti sottolineare che le seed zones così come sono state create, non rappresentano “un limite invalicabile”, bensì una zona in cui sussistono oltre a caratteristiche ecologiche uniformi anche popolazioni forestali che possono presentare i medesimi criteri di adattamento all’ambiente locale. In tal senso, nel caso di impiego di MFB, si potrà sempre fare riferimento alla RdP qualora non si disponga di provenienze certificate e il cui adattamento ad una specifica seed zone sia comprovato. Le seed zones e la loro informazione, sarà poi oggetto di approfondimento per le maggiori specie di interesse regionale (ad es., Faggio o Cerro).

Conclusioni 

Riguardo l’importanza dell’analisi dei fattori climatici nella fase di delimitazione delle RdP, è opportuno far notare che mentre il fattore strettamente pedologico è una costante relativamente statica per i tempi biologici degli organismi vegetali superiori, il fattore climatico può variare nel tempo e nello spazio. In più, qualora la variazione avvenga in un breve lasso di tempo, essa può influenzare l’espansione o la contrazione della distribuzione di una specie o di un gruppo di specie, la sua consistenza ed anche le sue caratteristiche genetiche. A tal fine occorre dunque tenere sempre conto anche dalla componente adattativa dei vari popolamenti forestali, in quanto essa può differenziare popolazioni di un territorio che invece geneticamente potrebbero apparire affini. Analisi genetiche e filogenetiche ormai condotte sulla maggior parte delle specie forestali più importanti ([5], [17]) mostrano infatti come la strutturazione della variabilità intraspecifica spesso non tenga conto della grande frammentazione dell’ambiente fisico. Oltretutto, le analisi genetiche possono migliorare la conoscenza di specifici processi storici, rafforzando o smentendo ipotesi di migrazione di specie in passato e incentivare così la conservazione di specifici corredi genetici ([20]). È utile sottolineare che, per quanto ci si riferisca ad una porzione di territorio nazionale relativamente ridotta, le foreste peninsulari, in particolare quelle abruzzesi, mostrano un elevato tasso di biodiversità, in cui sono frequenti endemismi che testimoniano antiche migrazioni dei periodi glaciali e post-glaciali (ad esempio popolazioni di abete bianco, betulla ed ontano) e contatti con la flora balcanica. Queste testimonianze biologiche si trovano esposte oggi ad intense pressioni selettive di origine climatica ed antropica che le possono determinare fenomeni di erosione genetica o di estinzione se non opportunamente gestite ai fini della loro conservazione. Proprio per questi motivi solo attraverso un’attenta lettura delle condizioni climatiche e delle dinamiche genetiche dei popolamenti forestali, si può arrivare ad una chiara ed univoca definizione delle RdP e delle seed zones.

In futuro, gli effetti del global change potranno determinare sul clima abruzzese serie modifiche sulla distribuzione delle fasce climatiche e dei regimi pluviotermici, con un’accentuazione dell’impronta “continentale” del clima e delle frequenze di manifestazioni meteorologiche estreme. Tutto questo porterà probabilmente ad un allungamento del periodo di aridità estiva e ad un aumento della frequenza degli incendi, che a loro volta potrebbero modificare i cicli idrici regolati dalla copertura forestale. A tale proposito, pertanto risulterà utile prevedere anche una revisione delle RdP qui esposte e, sicuramente, attraverso l’adozione di RdP delimitate per singole specie e su modelli previsionali di distribuzione impostati su ipotesi multitemporali e di scenario ([23], [12]), sarà possibile prevedere la possibile variazione degli areali delle diverse specie e quindi individuare anche future aree idonee al loro impiego, nonché aree a rischio di erosione. In previsione di questo, già da adesso è comunque fondamentale impiegare RdP e seed zones come strumenti di riferimento sia per realizzare nuove piantagioni sia per regolare il commercio e la distribuzione dei materiali forestali di moltiplicazione.

Ringraziamenti 

Si ringrazia il Centro Agrometereologico Regionale di Scerni nonché lo Sportello Cartografico della Giunta Regionale Abruzzese per la disponibilità e la precisione con cui ci sono stati forniti i dati cartografici e climatici.

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