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Quick assessment of the phytodepurative potential of riparian forest stands

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 17, Pages 33-37 (2020)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3298-017
Published: Mar 30, 2020 - Copyright © 2020 SISEF

Research Articles

Abstract

This technical note describes a quick methodology to classify the phytodepurative potential of riparian forest stands. Some municipalities located within landscapes characterized by both intensive agricultural and industrial activities in Central Italy are considered as test areas. Starting from the on-screen interpretation of high-resolution digital aerial orthophotos, supported by accurate ground surveys and GIS operations, it has been possible to map the riparian forest stands and classify each of them based on factors representing their phytodepurative potential. The proposed mapping process, feasible and easily replicable, provides a support tool for analysis and planning related to phytoremediation and/or to identify conservation and environmental management priorities and, depending on the goals of the phytoremediation objectives, to define where to locate eventual specific technical interventions.

Keywords

Maps, Poplars, Riparian Forests, GIS, Cartography

Introduzione 

Il problema dell’approvvigionamento delle risorse idriche, dovuto alla crescente conflittualità d’uso tra le diverse domande e potenzialmente accentuato dagli effetti dei cambiamenti climatici, rende prioritarie la tutela e la valorizzazione di questa limitata risorsa anche attraverso il ricorso a tecniche di conservazione delle acque e di riconversione di acque salmastre o reflue.

In questa prospettiva, la fitodepurazione rappresenta una soluzione a ridotto fabbisogno tecnologico ed energetico per la depurazione di acque inquinate. L’aumento della concentrazione degli inquinanti e dei metalli pesanti negli ecosistemi naturali e agricoli è divenuto infatti un problema diffuso: negli ultimi decenni in Europa si stima che attività contaminanti del suolo si siano verificate in circa tre milioni di siti ([5]), e il 37% di essi siano contaminati con metalli pesanti ([6]). In Italia, la superficie contaminata con inquinanti e metalli pesanti è stimata tra 900 e 6.500 ettari ([12]).

Il fitorimedio è in grado di abbattere il carico inquinante per effetto delle molteplici interazioni tra acqua e sistema pianta-suolo-microorganismi: reazioni fisiche e chimiche nel suolo, evaporazione, intercettazione, assorbimento di nutrienti, ecc. Il fitorimedio viene attuato in situ, riducendo l’esposizione a substrati inquinati da parte delle popolazioni limitrofe, della fauna selvatica e dell’ambiente, con costi di realizzazione relativamente ridotti rispetto ad altre tecnologie di depurazione delle acque ([10]).

La fitodepurazione è particolarmente importante per i terreni di bassa pianura e fondovalle caratterizzati da intensa attività agricola. Questa azione può interessare ampie porzioni di territorio relativamente continue, sfruttando anche impianti per arboricoltura da legno (ad es., pioppeti - fitodepurazione estensiva), oppure siti di dimensioni ridotte ma distribuiti sul territorio (fitodepurazione diffusa) o in collegamento a fonti puntiformi di inquinamento (fitodepurazione localizzata).

In linea generale vengono considerate fitotecnologie quelle tecniche di pulizia che utilizzano piante erbacee o arboree per il trattamento di contaminanti ambientali come metalli pesanti, oligoelementi, composti organici o radioattivi in terreni, acque sotterranee, acque reflue urbane, industriali e agricole.

Le varie fitotecnologie sfruttano le diverse proprietà vegetali per ciascuna esigenza. In generale, le proprietà vegetali favorevoli per la tecnica del fitorisanamento sono: rapidità di accrescimento, alta produzione di biomassa, resistenza e tolleranza all’inquinamento. Inoltre, alti livelli di assorbimento, traslocazione e accumulo nei tessuti asportabili delle piante dalle zone inquinate sono proprietà importanti per la fitoestrazione degli inorganici. Altre proprietà delle piante che favoriscono l’estrazione di inquinanti sono sistemi radicali densi ed estesi e alti livelli di enzimi degradanti. Un’ampia rizosfera favorisce anche la fitostimolazione, poiché promotore della crescita microbica; inoltre, la produzione di specifici composti negli essudati radicali può promuovere ulteriormente la rizo-degradazione attraverso interazioni specifiche tra pianta e microrganismi ([10]).

Alcune di queste tecnologie sono diventate interessanti alternative alle tecniche depurative convenzionali non solamente per i costi relativamente bassi ma anche per le funzioni ecosistemiche e sociali che esse svolgono. Si comportano come barriere di protezione dei corpi idrici dalla contaminazione e assolvono a funzioni estetiche e ricreazionali dei siti piantati ([11]).

In particolar modo, tra le potenziali capacità fitotecnologiche di un sito, si distinguono: la fitodegradazione, cioè l’assorbimento di contaminanti e la successiva trasformazione da parte delle piante; la fitoestrazione, estrazione e accumulo dei contaminanti nelle radici, nei fusti e nelle foglie; la fitovolatilizzazione, assorbimento del contaminante, eventuale modifica dello stesso e rilascio dalle foglie nell’atmosfera attraverso la traspirazione.

L’impiego di vegetazione arborea con finalità depurative (fitodepurazione estensiva) si traduce prevalentemente nell’inserimento di fasce boscate tra coltivi e corsi d’acqua per l’intercettazione e la riduzione dei flussi di inquinanti provenienti dalle aree soggette a pratiche agricole intensive. L’attività depurativa è condizionata dalla struttura della fascia tampone ripariale (larghezza, composizione, struttura, età, ecc.): strutture a composizione mista e di larghezza non inferiore a 20 m (con zona adiacente al corso d’acqua a vegetazione forestale e zona adiacente al campo coltivato a vegetazione erbacea) sono in grado di garantire i migliori risultati in termini di intercettazione e abbattimento dei principali inquinanti di origine agricola ([3]).

Oltre alla costituzione di fasce tampone, la funzione di fitodepurazione può essere migliorata e incrementata attraverso la salvaguardia e il recupero della vegetazione ripariale spontanea. In particolare, gli ambienti naturali di transizione fra ecosistemi terrestri e acquatici (formazioni boschive riparie, fasce boscate, vegetazione ripariale spontanea, ecc.) rappresentano importanti sedi di processi di purificazione delle acque grazie alla funzione di filtro esercitata nei confronti dell’acqua che li attraversa.

Per indagare la potenzialità depurativa di un sistema ripariale è necessario analizzare molteplici aspetti in quanto le caratteristiche chimiche delle acque reflue, le condizioni climatiche, ecc., rappresentano elementi fondamentali che influiscono prima sulla componente vegetale e poi sulla potenzialità depurativa della stessa. Il ruolo fitodepurativo della vegetazione può inoltre essere valutato in relazione alle caratteristiche intrinseche dei boschi ripariali (ad esempio: caratteristiche dimensionali, struttura, presenza di sottobosco, ecc.), all’adattabilità alle condizioni di saturazione del terreno, al potenziale di crescita dell’apparato radicale e di capacità di trasporto dell’ossigeno, alla capacità di attività fotosintetica, alla quantità di acqua assorbita ed evapotraspirata, alla resistenza ad elevate concentrazioni di inquinanti, alla resistenza alle malattie, alla semplicità di gestione. Pioppi (Populus spp.) e salici (Salix spp.), ad esempio, sono spesso usati nelle fasce a protezione di zone umide, poiché si tratta di specie tolleranti agli inquinanti, a rapido accrescimento e ad alta produzione di biomassa ([10]).

Un aspetto rilevante per la valutazione del potenziale fitodepurativo di una formazione vegetale concerne, infine, le caratteristiche del sito in cui vegeta ([1]). All’uopo, in questa nota tecnica viene presentata una metodologia speditiva per classificare la potenzialità depurativa dei boschi ripariali. La metodologia è stata testata in alcuni Comuni del Lazio, localizzati in aree di pianura ad alta concentrazione sia di attività agricole intensive, sia di attività industriali.

Materiali e metodi 

Area di studio

Per testare la metodologia proposta sono stati scelti quattro Comuni del Lazio (Montelibretti e Monterotondo in provincia di Roma, Aprilia e Latina in provincia di Latina) caratterizzati dalla presenza di boschi ripariali nella vicinanza di grandi corpi d’acqua (ad es., fiumi, come il Tevere, o bacini lacustri, come il Lago di Fogliano), localizzati in aree di pianura dove sono presenti attività agricole intensive e industriali.

I Comuni di Montelibretti e Monterotondo sono ubicati su suoli dei fondovalle alluvionali, con profondità molto elevata, ben drenati, a tessitura franco-argillosa e reazione debolmente alcalina in superficie, moderatamente alcalina negli orizzonti sottostanti. Per quanto riguarda Aprilia e Latina si tratta invece di suoli dei versanti della duna antica con depositi sabbiosi, con profondità elevata, moderatamente ben drenati, a tessitura sabbiosa in superficie, franco-sabbiosa negli orizzonti sottostanti e reazione debolmente acida in superficie, neutra negli orizzonti sottostanti ([9]).

Dati

Per l’identificazione e mappatura dei boschi ripariali nell’area di studio ci si è avvalsi dei seguenti dati: (i) ortofoto aeree digitali a colori ad alta risoluzione riferite all’anno 2014 (strato raster disponibile presso AGEA, fornito ai sensi dell’Accordo MIPAAF-CREA-AGEA per una collaborazione rafforzata a servizio dell’agricoltura; risoluzione geometrica uguale o inferiore a 50 cm); (ii) dato vettoriale della “Carta dei Tipi Forestali della Regione Lazio” (unità minima cartografabile di 5.000 m2 e larghezza di almeno 20 metri) realizzato tramite l’uso integrato di una prima fase di segmentazione multi-risoluzione delle immagini SPOT5 e ADS40 e di una successiva fase di fotointerpretazione manuale in ambiente GIS ([2]); (iii) modello digitale del terreno (DTM) della Regione Lazio (risoluzione geometrica di 20 metri).

Metodologia

Per prima cosa è stata effettuata la mappatura dei boschi ripariali tramite interpretazione a video delle ortofoto aeree digitali dell’area di studio. La definizione di bosco e le modalità di identificazione sulle ortofoto aeree digitali sono state le stesse dell’Inventario Forestale Nazionale (per dettagli si rimanda a [7]). La qualificazione in termini di formazioni ripariali presenti all’interno dell’area di studio è stata operata sia su base topologica (prossimità a corsi di acqua), sia tenendo conto delle informazioni contenute nel dato vettoriale della “Carta dei Tipi Forestali della Regione Lazio” (ad esempio: categoria forestale, copertura e struttura - [2]) sia attraverso controlli in campo verificando la prevalente presenza, tra le specie arboree, di pioppi e salici e, secondariamente, ontano nero (Alnus glutinosa Gaertn.).

Sono state quindi analizzate le caratteristiche geometriche dei poligoni mappati attraverso elaborazioni in ambiente eCognition ([4]). Tutti i poligoni di larghezza inferiore a 20 metri sono stati eliminati. A partire dal modello digitale del terreno è stato poi creato il reticolo idrografico ed evidenziato lo scorrimento superficiale delle acque all’interno del territorio indagato, utilizzando il toolflow accumulation” in ambiente ArcGIS® (ESRI).

A ciascun bosco ripariale è stato assegnato un punteggio a seconda che lo stesso intersechi o meno, nell’interezza o in parte, lo scorrimento verso il reticolo idrografico. È stato inoltre assegnato un punteggio relativamente al tipo di uso del suolo dei poligoni circostanti (identificato attraverso l’utilizzo della Carta dell’Uso del Suolo della Regione Lazio disponibile online al sito ⇒ https:/­/­geoportale.regione.lazio.it/­geoportale/­) da cui defluiscono superficialmente le acque intercettate dal bosco. Un ulteriore punteggio è stato infine attribuito in funzione della distanza del bosco ripariale da corpi d’acqua permanenti, determinata sulla base di buffer crescenti realizzati con l’apposito tool in ambiente ArcGIS®. In mancanza di concreti riferimenti operativi sull’argomento in letteratura, lo schema dei punteggi applicati per ciascun fattore (Tab. 1) è stato definito sulla base della valutazione di un gruppo di esperti comprendente, oltre gli autori, docenti dell’Università della Tuscia e professionisti agronomi. La somma dei punteggi ottenuti per ciascun bosco ripariale è stata classificata in quattro livelli di potenzialità depurativa: alto (punteggio complessivo ≥ 6), medio (4-5), basso (2-3), nullo (0-1).

Tab. 1 - Punteggi assegnati ai fattori considerati per la valutazione speditiva della potenzialità fitodepurativa delle fasce boschive.

Punteggio Intersecazione acque
di scorrimento verso
il reticolo idrografico
Prevalente uso del suolo circostante Prossimità a corpi d’acqua permanenti
3 - Superfici artificiali < 500 m
2 Completa Superfici agricole da 500 a 1000 m
1 Parziale Ambienti seminaturali da 1000 a 2000 m
0 Nulla Zone umide > 2000 m

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Risultati e conclusioni 

Le mappe del potenziale fitodepurativo dei boschi ripariali nei Comuni oggetto di analisi sperimentale sono riportate in Fig. 1, Fig. 2, Fig. 3 e Fig. 4.

Fig. 1 - Mappa del potenziale fitodepurativo dei boschi ripariali nel Comune di Montelibretti (scala 1:50.000).

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Fig. 2 - Mappa del potenziale fitodepurativo dei boschi ripariali nel Comune di Monterotondo (scala 1:50.000).

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Fig. 3 - Segmento di mappa del potenziale fitodepurativo dei boschi ripariali nel Comune di Aprilia (zoom del settore settentrionale in scala 1:25.000.

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Fig. 4 - Segmento di mappa del potenziale fitodepurativo dei boschi ripariali nel Comune di Latina (zoom del settore nord-occidentale in scala 1:25.000).

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Queste mappe possono essere utilizzate, secondo un approccio di tipo ricognitivo e con una prospettiva operativa di tipo comparativo, per individuare in maniera preliminare le priorità di conservazione e gestione ambientale e, a seconda degli obiettivi di fitorisanamento, per definire dove localizzare eventuali specifici interventi tecnici per il contenimento, la stabilizzazione, il sequestro e il degrado di determinati contaminanti. In tal senso, il riconoscimento dell’importanza ecologica, economica e sociale delle fasce boschive tampone è favorito dall’incentivazione di misure per la protezione, il recupero e la realizzazione di questi preziosi elementi nell’ambito della programmazione per lo sviluppo rurale.

In questa prospettiva, il procedimento di mappatura speditiva proposto, di applicazione semplice e veloce e di agevole replicabilità, permette di avere a disposizione uno strumento di supporto per analisi e progettazioni preliminari connessi al fitorisanamento, a cui poter associare altri aspetti, quali i requisiti operativi e di manutenzione, gli interessi economici, di percezione pubblica e dell’ambiente normativo per la scelta di realizzazioni fitotecnologiche. Di contro, la metodologia qui proposta, non considera alcuni aspetti che possono agire sulle capacità fitodepurative dei boschi ripariali, legati, a esempio, alle caratteristiche intrinseche dei boschi stessi (ad es., struttura del soprassuolo, presenza di sottobosco, architettura degli apparati radicali, ecc.) che meriterebbero di essere approfonditi con ricerche ad hoc. Analogamente, in mancanza di concreti riferimenti operativi sull’argomento in letteratura, nella metodologia speditiva proposta si è optato per un ugual peso dei fattori in fase valutativa, ma potrebbe essere interessante verificare sperimentalmente l’eventuale opportunità di ponderazione.

Obiettivo di questa nota è una maggiore consapevolezza e valorizzazione delle potenzialità delle fasce tampone forestali in un’ottica di pianificazione ecologica a scala vasta, considerata la loro competitività rispetto alle convenzionali tecnologie depurative ([8]). Il ruolo di queste fasce è direttamente e vantaggiosamente esteso a tutti quei siti “multi-contaminati” caratteristici di ampie zone limitrofe ai grandi centri industriali e urbani. La funzionalità ecologica dei boschi ripariali non si limita alla fitodepurazione, ma può presentare molteplici valenze ambientali in termini di aumento e conservazione della biodiversità, sequestro dell’anidride carbonica atmosferica, creazione di habitat e corridoi per la fauna selvatica, nonché opportunità di redditi integrativi per i proprietari (ad es., nelle aree non contaminate da metalli pesanti, energia dalla biomassa raccolta) e incremento del valore paesaggistico con conseguente percezione pubblica più favorevole. Alla luce delle considerazioni esposte, il tema è di significativa rilevanza per specifici approfondimenti di ricerca applicata.

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