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Vaia storm facing the unbearable lightness of forest reporting

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 18, Pages 1-4 (2021)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3733-017
Published: Jan 09, 2021 - Copyright © 2021 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

Recently published data on Italian forest removals from FAO and EUROSTAT are still ridden with inaccuracies and underestimation. In this work we show how and why the Italian forestry data collection system is in itself unreliable. This represents a major obstacle for designing sector policies, ensuring the flow of forest ecosystem services from the forest to the society, and defining a role for forests, forestry and wood consistent with the European Green Deal and in the NextGenerationEU Recovery and Resilience Facility. A more reliable strategy for data collection is urgently required.

Keywords

Forest Inventory, Forest Statistics, Data Sources, Forest Harvesting, Eurostat

 

Nelle ultime settimane sono stati resi pubblici i dati sulle “produzioni” [1] di legname in Italia nel 2019. Era un dato molto atteso, in quanto dovrebbe dare un’indicazione degli effetti della tempesta Vaia (Fig. 1) e fare luce su alcuni dati, non molto coerenti, anticipati da alcune amministrazioni [2]. Come consuetudine, i dati per le produzioni italiane sono resi pubblici dalla FAO e dall’EUROSTAT con un certo anticipo rispetto all’ISTAT che è, comunque, la fonte degli stessi.

Fig. 1 - Sappada (UD). La tempesta Vaia ha provocato alla fine di ottobre 2018 l’abbattimento di oltre 42.000 ha di foresta e di oltre 10 milioni di metri cubi di legname. Le statistiche del post-evento sono in fase di continuo aggiornamento ma nel corso del 2019-2020 sono stati raccolti nelle regioni e nelle province autonome del nord-est oltre 6 milioni di metri cubi di legname che non risultano in modo adeguato e coerente nelle statistiche forestali disponibili (Foto: R. Motta).

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I dati FAO, disponibili nella banca dati FAOSTAT relativa a Forestry Production and Trade, segnalano dei prelievi in lenta crescita (Tab. 1), quasi lineare almeno a partire dal 2011 (Fig. 2). È importante ricordare che, secondo la FAO ([8]), per “prelievi di legname tondo” (roundwood removal) si intende il legname grezzo con corteccia estratto dalla foresta derivante dai tagli (anche dal “fuori foresta”), da danni alla foresta o comunque da ogni altra forma di raccolta (anche informale). Il concetto è quindi diverso da quello di “tagli” (fellings) e profondamente diverso anche da quello di “legname venduto”. La precisazione è importante in quanto spesso i dati sulle vendite o quelli sulle martellate sono stati presi come riferimento per la stima dei prelievi. In condizioni di ordinaria gestione tali assunzioni potevano avere una certa giustificazione, mentre quando si è di fronte a danni eccezionali è evidente che il dato delle vendite differisce di molto da quello dei prelievi e tale differenza è un elemento di grande interesse per l’analisi del mercato.

Tab. 1 - Confronto tra dati FAO e EUROSTAT sui prelievi di legname in Italia (2015-19; migliaia di m3). Fonte: EUROSTAT (⇒ https:/­/­ec.europa.eu/­eurostat/­databrowser/­view/­for_remov/­) e FAOSTAT (⇒ http:/­/­www.fao.org/­faostat/­en/­#data/­FO).

Dati 2015 2016 2017 2018 2019
Prelievi totali sec. EUROSTAT 5052 13058 6054 6052 11449
Percentuale (2015 = 100) 100 258 120 120 227
Prelievi totali sec. FAO 12887 12928 13051 13362 13374
Percentuale (2015 = 100) 100 100 101 104 104

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Fig. 2 - I prelievi di legname in Italia in base ai dati FAO (2000-2019; migliaia di m3). Fonte: FAOSTAT (⇒ http:/­/­www.fao.org/­faostat/­en/­#data/­FO).

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Le statistiche forestali di EUROSTAT sui prelievi mostrano per gli anni recenti un andamento apparentemente molto singolare: i prelievi totali di legname in Italia nel 2015 sono stati (in coerenza con i dati degli anni precedenti) intorno ai 5 M m3, per poi mostrare un andamento altalenante negli anni successivi; più che raddoppiano nel 2016, ridiscendono a 5.3 M m3 nel 2018 (l’anno di Vaia) e ancora raddoppiano nel 2019 rispetto al 2018.

La percezione è che l’ISTAT abbia aggiornato le modalità di stima dei prelievi ridefinendo i valori della serie storica soprattutto tramite una più che necessaria rivisitazione dei dati di una delle due componenti della variabile “produzione”: quella relativa alla legna ad uso energetico. La serie storica relativa al legname ad uso industriale è, infatti, rimasta nell’ultimo decennio su valori piuttosto costanti, anno dopo anno, mentre quella della legna ad uso energetico ha subito un “salto” di 8 milioni di metri cubi, facendo più che raddoppiare il dato totale di prelievi rispetto ai dati precedenti la revisione. Sfortunatamente l’EUROSTAT sembra aver recepito tale revisione solo per il 2016 e forse per il 2019, per cui dall’analisi della serie storica si ricava un aumento del 158.5% dei prelievi nel 2016 rispetto al 2015, del tutto in contrasto con l’evidenza empirica. Va notato che la più che necessaria revisione fatta dall’ISTAT sui prelievi di legna ad uso energetico si è resa necessaria per ridimensionare il gap esistente tra il dato delle statistiche forestali sui prelievi di legna da ardere (stimati prima della revisione intorno ai 3-4 M m3) e i dati sui consumi energetici di biomasse legnose a solo uso residenziale stimati dalla stessa ISTAT ([13]) pari a 17.7 M t. In parte il gap si può comprendere alla luce delle seguenti considerazioni:

  • il 14.5% della biomassa usata a fini energetici dalle famiglie italiane, secondo l’ISTAT, viene da alberi fuori foresta, potature e coltivazioni arboree;
  • sempre secondo l’ISTAT ([13]), c’è una componente di autoconsumo di biomasse legnose da foresta del 37.9%, una massa probabilmente non registrata nelle statistiche ufficiali sui prelievi, nonostante la definizione di “prelievo” la dovrebbe includere;
  • una parte dei consumi viene coperta non da legname proveniente da foresta ma da scarti e legname riciclato (imballaggi in legno, ad esempio), anche se c’è una evidenza empirica che gran parte di queste biomasse siano utilizzate per impieghi industriali.

Da questi dati è possibile fare una stima di circa 9 M t di biomasse legnose acquistate e consumate ad uso residenziale, equivalenti a circa 18 M m3. A questi andrebbero aggiunti i consumi industriali (in particolare quello delle centrali per la produzione di energia elettrica, che utilizzano biomasse legnose stimabili in circa 6 M m3) che in parte si approvvigionano con legna importata (circa 1 M m3) [3].

In base a questi dati anche la nuova serie storica ISTAT dei prelievi di legna da ardere, meglio rispecchiata nei dati FAO (Tab. 1), sembra ancora una sottostima del dato reale.

Va tenuto presente che gli ultimi anni di questo decennio sono stati per tutta l’Europa un periodo particolare nel mercato del legname. Complessivamente, tra il 2017 e il 2019, si è stimato che oltre 270 milioni di m3 di legname sono stati danneggiati in Europa centrale da una combinazione di fattori, principalmente determinati dalle mutate condizioni climatiche caratterizzate da estati più calde e secche e inverni più caldi ([9]). Nel 2017 e 2018 la Germania ha subito gravi danni ai propri boschi per tempeste, siccità e attacchi da bostrico, a cui è seguito un aumento dei prelievi (in parte significativa da boschi danneggiati) pari, secondo EUROSTAT, al 31.6% nel 2017 rispetto al 2016 e del 9.3% nell’anno successivo rispetto al 2017, che hanno portato quel paese ad aumentare le esportazioni fino a diventare uno dei più grandi fornitori di tronchi alla Cina a livello mondiale.

La presenza di questa dinamica non traspare nelle analoghe statistiche relative all’Italia: i dati FAO segnalano un aumento dei prelievi di soli 12 000 m3 nel 2019 rispetto al 2018, quando la sola Provincia Autonoma di Trento ha dichiarato di aver realizzato da novembre 2018 a giugno 2020 prelievi pari a 1.9 M m3 ([16]) e la Provincia Autonoma di Bolzano 1.2 M m3 ([15]) con un significativo aumento nei confronti degli anni precedenti.

Gli elementi di sorpresa nell’analisi dei dati statistici per l’Italia non finiscono qua. L’ISTAT, infatti, deve pubblicare con una relativa tempestività i dati sui valori delle produzioni e del valore aggiunto del settore primario, il tassello del mosaico dei valori complessivi della produzione e del valore aggiunto del sistema Italia, un indicatore ovviamente della massima importanza informativa per inquadrare l’andamento dell’economia del paese. Una piccola tessera di questo mosaico è la produzione della “selvicoltura”, dato che si riferisce fondamentalmente ai prelievi di legname, dal momento che da diversi anni l’ISTAT ha smesso di rilevare i dati sulla produzione dell’insieme eterogeneo dei prodotti forestali non legnosi [4]. I dati sul valore e le quantità delle produzioni della selvicoltura al 2019 che l’ISTAT ha pubblicato (Tab. 2) segnalano non solo una riduzione del volume dei prelievi (contraddicendo i dati EUROSTAT di fonte ISTAT citati), ma anche un leggero aumento dei prezzi medi unitari, in netta contraddizione con tutte le indagini di mercato svolte nel settore.

Tab. 2 - Valore delle produzioni e del valore aggiunto della selvicoltura nel 2019 rispetto al 2018 (milioni di € correnti e valori percentuali). Fonte: ISTAT (⇒ https:/­/­www.istat.it/­it/­files/­2020/­05/­Andamento-economia-agricola-2019.pdf).

Parametro Valori
(M €)
Variazione %
di volume
Variazione %
di prezzo
Variazione %
di valore
Produzione della selvicoltura 2389 -0.7 1.4 0.6
Valore aggiunto della selvicoltura 1975 -1.1 1.3 -0.2
Produzione totale settore primario 61581 -0.7 1.1 0.4
Valore aggiunto totale del settore primario 34579 -1.6 1.2 -0.4

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In sintesi, da questi dati sembra che l’ISTAT dia dell’impatto di Vaia una visione di un evento che non altera il business as usual, non dando evidenza statistica a quella che è stata la più grande calamità che abbia colpito il capitale naturale del paese nella sua storia recente ([5]). In un momento in cui si presta grande attenzione ad indicatori quali il BES (l’indicatore di benessere equo e sostenibile), il rischio è che l’impatto di Vaia sul valore dei servizi ecosistemici erogati e del capitale naturale sia considerato nullo.

Il problema generale della qualità e del ritardo nella pubblicazione dei dati sul settore forestale italiano è esaltato da quello che sta diventando ogni giorno un più grave problema informativo: i ritardi accumulati nella presentazione al pubblico dei dati del 3° inventario forestale nazionale 2015 da parte dell’Arma dei Carabinieri ([12]).

Nella sostanza non abbiamo disponibili i dati sullo stock di risorse e quelli sui flussi (incrementi e prelievi) o mancano o sono inaffidabili. Si noti che, se e quando questi dati saranno disponibili, risulteranno già obsoleti in quanto non includeranno le informazioni sugli impatti sullo stato delle risorse forestali dell’annus horribilis degli incendi, il 2017, con 140 000 ettari boscati percorsi dal fuoco ([1]), e della tempesta Vaia nel 2018 con oltre 40 000 ettari schiantati e con gli strascichi sulle condizioni sanitarie dei nostri boschi, e quindi sugli stock e gli incrementi, negli anni successivi.

Si tenga in considerazione che le variabili di cui in questa sede si lamenta la carenza non sono variabili marginali, ma sono i macro aggregati che, con la variabile dell’estensione delle superfici boscate, costituiscono il pilastro informativo per il settore forestale ([11]): senza questi dati saltano i dati del bilancio della fissazione di gas serra, saltano quelli della bioeconomia, saltano quelli delle energie rinnovabili e, cosa più rilevante di tutte, salta la stessa possibilità di fondare su basi solide una risposta alla domanda generale sulla sostenibilità della gestione del settore: le foreste italiane stanno evolvendo verso una condizione di maggior dotazione di biomassa, di maggior resilienza? La gestione economica si concilia con quella di conservazione e miglioramento del patrimonio? Finora a questa domanda si è data da molti esperti del settore una risposta basata sul buonsenso e l’evidenza empirica. Ora, di fronte alla qualità e quantità delle informazioni fornite dai nostri partner europei, queste prove non bastano più. Il divario tra i dati sull’origine del materiale legnoso e i suoi impieghi ha in Italia livelli che vanno ben al di là di ogni ragionevole ipotesi: in base all’ultimo Wood Resource Balances calcolato dalla Commissione Europea relativo al 2015 ([2]) il 41.2% del legname consumato in Italia ha origine ignote [5], un valore che non ha uguali se confrontato con i divari origine-impieghi in altri grandi paesi forestali europei (Austria: 18.9%; Finlandia: 4.0%; Francia: 1.8%; Germania: 13.9%; Polonia: 26.9%; Regno Unito: 25.5%; Svezia: 4.4%) e con la media dell’Unione Europea (12.8%).

Conosciamo i problemi dell’ISTAT legati al finanziamento e all’organizzazione delle statistiche agricole-forestali e i grandi problemi di coordinamento inter-istituzionale sia a livello orizzontale (con l’Arma dei Carabinieri, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ecc.), sia a livello verticale con le Regioni. Problemi di coerenza delle statistiche si pongono peraltro anche per la Commissione Europea quando il suo Joint Research Centre pubblica dati sui prelievi ([3]) che sono totalmente discordanti da quanto reso pubblico da EUROSTAT, pur essendo servizi che dipendono dalla stessa amministrazione, anche se da fonti informative diverse [6]. Non vale evidentemente in questo caso il detto che “mal comune, mezzo gaudio”: il livello delle statistiche relative ad un terzo del territorio italiano, la più grande infrastruttura verde del paese, è fortemente carente, e su questi dati non si possono affrontare correttamente politiche come quelle del Green Deal europeo o piani come NextGenerationEU. Ogni istituzione per le sue competenze e responsabilità si rimbocchi le maniche [7]. Non partiamo ovviamente da zero: su scala regionale e provinciale esistono in Italia esperienze che possono essere degli utili modelli di riferimento per una riorganizzazione delle statistiche; la possibilità di incrociare dati di fonte diversa sulle forme di uso del suolo, le produzioni, i danni ambientali, i consumi, il commercio estero, il riciclaggio, consente di fare un controllo di coerenza del quadro generale e delle singole filiere di utilizzo del legname. Nello stesso tempo la disponibilità di strumenti, tecniche, immagini satellitari ad alta definizione e la capacità di elaborazione dei dati, sia in termini quantitativi e sia in termini di velocità di risposta, è aumentata in modo esponenziale ([6], [10], [7]).

La SISEF e l’intera comunità scientifica sono pronte, e non da oggi, come hanno dimostrato con le pubblicazioni degli ultimi anni, a mettere a disposizione il patrimonio di conoscenze ed a fare la propria parte in questa più che necessaria e urgente opera di ricostruzione del quadro informativo sull’utilizzo delle risorse forestali italiane.

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[1]
Il termine “produzioni” è utilizzato nelle statistiche anche se ha un elemento di ambiguità: non si tratta, infatti, della produzione biologica (incrementi), ma del legname prelevato dai boschi. La distinzione è fondamentale in quanto maggiore è la differenza tra produzione biologica (incrementi al netto dei danni biotici e abiotici) e prelievi, tanto maggiore sarà la crescita degli stock di biomassa e, quindi, del capitale naturale.
[2]
Si fa riferimento in particolare ai dati della Regione Veneto che, per bocca del suo più autorevole rappresentante (il presidente Zaia), ha anche di recente sostenuto che con Vaia si sono avuti “100 mila ettari di boschi rasi al suolo” e che in Veneto si è registrato un “totale schianti di circa 3 milioni di mc”. Da questi due dati si potrebbe dedurre che più di un quarto dei boschi veneti siano stati distrutti e che lo stock medio dei boschi distrutti sia stato di 30 mc ha-1, ovvero circa un quinto dello stock medio per ettaro dei boschi veneti, due dati che sono difficilmente credibili.
[3]
È difficile inquadrare i dati sui consumi di biomasse legnose in impianti di teleriscaldamento a biomassa, stimati da FIPER in 800 000 t (⇒ http:/­/­www.fiper.it/­it/­chi-siamo/­associazione.html) che certamente non rientrano tra quelli delle centrali per produzione di energia elettrica e probabilmente solo in parte tra quelli inclusi nell’indagine ISTAT sui consumi residenziali.
[4]
En passant, si può ricordare che tale insieme di produzioni non legnose ha una certa rilevanza economica; si pensi ai tartufi e ai funghi. Quando tali prodotti erano monitorati, il valore complessivo della produzione di prodotti non legnosi in regioni come le Marche e l’Umbria era maggiore di quello del legname.
[5]
Si tratta di 22.0 M m3, pari al 25.3% del totale delle unaccounted sources stimate per i 28 paesi dell’Unione Europea. Si tenga presente che queste biomasse legnose non conteggiate si riferiscono al legname da foresta (prodotto e importato) che a quello da scarti di lavorazione e legname post-consumo riciclato.
[6]
L’indagine svolta da Ceccherini et al. ([3]) è stata peraltro oggetto di rilevanti critiche sulla metodologia impiegata nell’analisi (vedi ad esempio: ⇒ https:/­/­www.luke.fi/­en/­blog/­a-new-article-in-the-journal-nature-overestimates-the-increase-of-forest-harvesting-in-europe/­).
[7]
Oltre al ruolo delle istituzioni sarebbe opportuno prevedere anche un ruolo dei cittadini e delle organizzazioni della società civile. Si tenga in considerazione che la presenza di tagliate e la stima dei prelievi sono due variabili di grande interesse sociale che si prestano, al pari dei rilievi su specie animali e le specie vegetali non arboree, ad iniziative di “citizen science”, ampiamente supportate dall’Unione Europea (vedi la piattaforma “EU-Citizen.science” - ⇒ https:/­/­eu-citizen.science/­). Il coinvolgimento e il controllo sociale delle attività di prelievo è stato valorizzato in Romania, dove il Ministero per l’Ambiente ha sviluppato un SW, operativo dal 2014, per il tracciamento del legname grezzo (⇒ http:/­/­rt1.forestier.ro:5017/­sumalsatelit) che può essere utilizzato dai cittadini per individuare, controllare e segnalare l’origine del legname, mentre sono numerose le applicazioni per smartphone disponibili per documentare le diverse attività di gestione e i disturbi alle foreste, a partire dalle esperienze maturate nelle foreste tropicali ([4]).
 
 
 

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