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Climate scenarios in the Mediterranean region

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 19-30 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0250-0020019
Published: Mar 10, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Research Articles

Guest Editors: Matera Meeting (2004)
« Climate change and pollution: effects on the southern Italian forests »
Collection/Special Issue: Elena Paoletti

Abstract

The available observational data indicate the existence of persistent trends in earth climate characteristics during the last century. Today the planet surface is about 0.6 °C warmer with respect to the beginning of the 20th century, and the continental precipitation are 5% - 10% higher. These changes emerged more seriously at the end of the 20th century with a record warmth during the period 1995 2000, when the surface temperature increased of about 0.15°C. Recently, strong evidences have been found that a major part of the global climate changes in the last 50 years are driven by the human-induced emissions of greenhouse gases into the atmosphere, which started after the Industrial Era. One of the major difficulties in the evaluation of possible future climate changes is related to the lack of information about future rate of emissions of greenhouse gases into the atmosphere. Its increase will depend on the political and social-economical developments. In our study we use the IPCC Third Assessment Report ([5]) scenarios, which suggest different story lines of the emissions of greenhouse gases in the atmosphere depending on the possible global developments. We also use an atmospheric general circulation model (ECHAM-4) coupled with a mixed-layer ocean to simulate the changes of the atmosphere climate characteristics driven by CO2 concentration rise, which is fixed according to the IPCC scenarios. The model results suggest that the increasing rate of emissions of CO2 in the atmosphere between the 1980s and the 2060s will cause an increase of the mean surface temperature of about 1.9 °C. The surface warming will be the strongest in the polar and sub-polar areas and during the winter season. The model indicates also an increase of the surface precipitation during this period of about 2.6 cm/yr. The global warming in the European and the Mediterranean areas is stronger over the regions of Central and Eastern Europe and Asia Minor during the winter, and over the regions of Southern Europe and Northern Africa during the summer. The largest increase of the annual mean surface temperature in the European and Mediterranean areas is about 2.5-3 °C. During winters the surface precipitation decreases over the Southern Europe and the Mediterranean area, whereas it shows a slight tendency to increase during summers.

Keywords

Climate change, Greenhouse effect, Simulation model, Euro-Mediterranean region

Introduzione 

La maggiore sorgente di energia del sistema climatico terrestre è la radiazione solare che raggiunge l’atmosfera. Essa è principalmente assorbita dalla superficie terrestre, dove è distribuita tra oceano, atmosfera, suolo e biosfera, quindi viene riemessa verso lo spazio. Il bilancio di radiazione alla sommità dell’atmosfera è determinato dalla quantità di radiazione solare entrante e di radiazione terrestre (o termica) riemessa verso lo spazio (uscente). Per ovvie ragioni, la quantità di energia che il pianeta riceve in forma di radiazione solare deve essere bilanciata dalla quantità di energia che esso riemette, sotto forma di radiazione terrestre verso lo spazio. Se così non fosse, il clima della terra non sarebbe stabile ([7]).

È quindi evidente, che un qualunque fattore in grado di alterare la quantità di energia che la Terra riceve come radiazione solare o la quantità di energia che essa emette come radiazione termica, può alterare il bilancio termico e, pertanto, influenzare drasticamente il clima del pianeta. Questi fattori possono essere di diversa natura:

  1. fattori astronomici, i quali influenzano la quantità di radiazione solare che giunge alla Terra.
  2. cambiamenti di concentrazione nell’atmosfera dei gas in grado di assorbire la radiazione terrestre (gas serra), che invece di essere riemessa nello spazio rimane intrappolata nell’atmosfera stessa, alterando così il bilancio termico totale del pianeta.
  3. processi di variabilità interna del sistema climatico, che possono modificare i modi attraverso i quali la radiazione solare viene ridistribuita tra le varie componenti del sistema stesso (ad es., oceano, atmosfera, biosfera,...).

I dati resi disponibili dalle ricerche di paleo-climatologia indicano che, nel passato, cambiamenti dei parametri orbitali o della concentrazione dell’atmosfera hanno causato cambiamenti anche drammatici nelle caratteristiche climatiche della Terra. La lenta variazione dei parametri orbitali terrestri, le cui oscillazioni hanno scale temporali di migliaia di anni, ha prodotto fluttuazioni nel bilancio radiativo terrestre, modificando la quantità di radiazione che dal Sole raggiunge la Terra. Come risultato, queste variazioni hanno contribuito all’alternarsi delle ere glaciali e dei periodi interglaciali che hanno caratterizzato la storia del clima terrestre.

Anche le concentrazioni dei gas serra e degli aerosol in passato sono cambiate come conseguenze di fenomeni naturali, quali ad esempio le eruzioni vulcaniche. A causa della loro proprietà di assorbire la radiazione terrestre o riflettere quella solare, questi gas hanno avuto effetti sui periodi di raffreddamento o riscaldamento del clima del pianeta. I gas serra più importanti, quelli cioè che hanno il maggior impatto sul bilancio radiativo terrestre, sono il vapor acqueo (H2 O), l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il biossido di azoto (N2 O) e l’ozono (O3) troposferico. Un’altra proprietà dei gas serra, e specialmente della CO2, di grande importanza per il clima è rappresentata dai loro lunghi tempi di permanenza nell’atmosfera terrestre. Una volta emessi in atmosfera essi possono risiedervi per secoli, avendo così un impatto che si protrae per un lungo termine sul bilancio radiativo.

L’attività dei vulcani, d’altra parte, può immettere nell’atmosfera anche grandi quantità di aerosol (gocce o particelle microscopiche formate da aggregati molecolari), che riflettono la luce solare incidente sull’atmosfera aumentando l’albedo terrestre. Questi aerosol, quindi, hanno l’effetto di un forzante radiativo negativo, tendente a ridurre la quantità di energia solare entrante in atmosfera.

Infine, cambiamenti climatici a lungo termine possono essere indotti da processi di variabilità interna al sistema climatico. Le variazioni nella circolazione oceanica profonda e nella distribuzione dei ghiacci marini, in particolare, possono avere un ruolo molto importante nei cambiamenti climatici anche a scale temporali molto lunghe (migliaia di anni).

Studi recenti hanno indicato che anche l’azione umana può avere impatti rilevanti sul clima terrestre. Questo avviene principalmente attraverso la sostanziale alterazione della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, dovuta al grande consumo di combustibili fossili. L’immissione in atmosfera di grandi quantità di gas serra, come abbiamo visto, può produrre significative alterazioni dell’equilibrio radiativo, che, a sua volta, può indurre cambiamenti nel clima terrestre che si sovrappongono alle variazioni dovute a cause naturali. In particolare, il progressivo aumento della concentrazione atmosferica di gas serra dovuto all’impennata nell’uso dei combustibili fossili seguito alla Rivoluzione Industriale durante il 19° secolo, è sempre più diffusamente ritenuto il principale responsabile dell’aumento della temperatura media del pianeta osservato a partire dalla seconda metà del 20° secolo.

Uno dei principali obiettivi nello studio del clima è proprio stabilire in quale misura i cambiamenti climatici osservati in questi ultimi decenni possono essere ricondotti e spiegati dagli effetti delle attività umane e quanto sono il risultato della naturale variabilità del clima. Rispondere a queste domande non ha solamente un valore accademico, ma ci metterebbe nelle condizioni migliori per comprendere e prevedere quali potrebbero essere gli sviluppi futuri dei cambiamenti in atto oggi.

Un notevole fattore di handicap della scienza del clima rispetto ad altre discipline scientifiche, è la difficoltà ad eseguire esperimenti. Il nostro pianeta è il nostro solo esperimento possibile. Quindi per verificare le ipotesi e le teorie in campo, dobbiamo ricorrere all’uso di modelli numerici, basati sulla rappresentazione matematica dei processi e delle interazioni che pensiamo essere attivi nel sistema climatico, coi quali eseguire delle simulazioni del clima e della sua variabilità. I modelli contengono l’essenza della nostra conoscenza del sistema climatico e ne sono la miglior rappresentazione a nostra disposizione. Essi rappresentano, quindi, il miglior strumento di cui disponiamo attualmente per indagare i meccanismi che governano il clima e per cercare di prevederne il comportamento. La capacità dei modelli di riprodurre le caratteristiche del clima terrestre è attentamente verificata confrontando i risultati che essi producono con le osservazioni dell’atmosfera e degli oceani. Negli ultimi decenni sono stati compiuti considerevoli progressi nel campo della modellistica numerica e, oggigiorno, i principali centri di ricerca dispongono di modelli numerici in grado di riprodurre le principali caratteristiche del clima e della sua variabilità (vedi, ad es., [1], [3], [4], [6]).

Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’impatto che i cambiamenti climatici indotti da un drastico aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera possono avere sulla regione del Mediterraneo. A tal fine è stato utilizzato un modello globale accoppiato atmosfera-oceano, formato dal modello di circolazione generale dell’atmosfera ECHAM-4 ([9]), accoppiato con un modello del mixed-layer oceanico. Il modello è stato integrato usando le concentrazioni atmosferiche di CO2 secondo gli scenari futuri previsti dal Terzo Rapporto di Valutazione dell’IPCC ([5]). In particolare, gli esperimenti eseguiti hanno utilizzato le emissioni previste dallo Scenario A2.

Dopo aver discusso la relazione tra aumento della temperatura media globale e aumento della concentrazione di CO2 atmosferica, verranno presentati il modello e gli esperimenti che sono stati eseguiti per valutare gli effetti dell’aumento di anidride carbonica sul clima, nonchè i risultati di tali esperimenti dando una speciale enfasi all’area dell’Europa Meridionale e del Mediterraneo. Infine, verranno esposti i principali risultati cercando di tracciare le principali conclusioni che essi ci suggeriscono.

Temperatura globale e concentrazione di CO2  

La complessità del sistema climatico e le limitazioni alla possibilità di eseguire esperimenti rendono difficile l’approccio scientifico classico. Questi problemi producono una situazione complessa dove, a volte, può risultare difficile separare i fatti dalle opinioni. Comunque ci sono almeno due punti basati su prove talmente evidenti che non sono più oggetto di dispute e dubbi. Il primo punto riguarda la determinazione della quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera. La concentrazione di CO2 è costantemente aumentata nel corso dell’ultimo secolo (Fig. 1). In particolare, essa è aumentata dalle 315 parti per milione in volume (ppmv) misurate negli anni ’50, alle 370 ppmv misurate alla fine del secolo. In assoluto, questi numeri sono piccoli e il loro significato, specialmente le implicazioni di un passaggio da 315 a 370 ppmv, può risultare di difficile interpretazione.

Fig. 1 - Andamento della concentrazione di anidride carbonica (CO2) nel corso dell’ultimo secolo (pannello a destra, da [2]), messo a confronto con la concentrazione di CO2 nei passati 420000 anni (pannello a sinistra, curva rossa, da [8]).

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Possiamo, però, cercare un aiuto guardando a quello che è successo nella storia passata del nostro pianeta. I ghiacciai della Groenlandia e del continente Antartico, per esempio, ci permettono di effettuare delle ottime stime della storia passata della concentrazione di CO2 in epoche anche molto remote. In particolare, in Fig. 1 (pannello a sinistra) è mostrata l’evoluzione della concentrazione di CO2 durante i passati 420 000 anni. Come si può notare, la concentrazione ha fluttuato tra 200 e 280 ppmv, indicando, quindi, che il periodo che stiamo vivendo attualmente è assolutamente unico nella storia degli ultimi 420 000 anni del nostro pianeta. La terra, in questo periodo, non ha mai avuto concentrazioni di CO2 elevate come negli ultimi decenni e non ha mai assistito a cambiamenti di concentrazione cosi intensi e rapidi (circa 40 unità in 40 anni). Stiamo mettendo il nostro pianeta in condizioni del tutto eccezionali.

Il secondo fatto su cui oggi c’è unanime consenso nella comunità scientifica, riguarda il progressivo aumento della temperatura globale del pianeta. Il periodo strumentale (per il quale i dati sono ottenuti dalla lettura diretta di strumenti e non come derivati indiretti di altre quantità ) è oggi sufficientemente lungo (più di 100 anni) da consentire una chiara identificazione di una costante tendenza di crescita della temperatura media globale del pianeta. La Fig. 2 mostra questo trend per il periodo 1861-2004, dove risulta evidente una marcata crescita della temperatura superficiale sia globale che emisferica della Terra. La tendenza alla crescita delle temperature superficiali terrestri denunciata dai dati raccolti dallo Hadley Centre, è oggi confermata anche da osservazioni indipendenti della temperatura troposferica basate sulle misure eseguite dai satelliti ([10]). Tutti i dati a nostra disposizione indicano chiaramente che la Terra si sta scaldando.

Fig. 2 - Aumento della temperatura superficiale terrestre durante l’ultimo secolo (dal sito dell’Hadley Centre, ⇒ http:/­/­www.metoffice.gov.uk/­research/­hadleycentre). Le barre rosse indicano i valori annuali della temperatura. La linea blu è ottenuta eseguendo una “running mean” dei valori annuali; la media è eseguita su una finestra di 7 anni e agisce come un filtro passa-basso dei valori annuali, evidenziando le tendenze a lunghe scale temporali. Le barre verdi sono i valori provvisori per il 2004. Il pannello in alto indica l’evoluzione per l’emisfero nord, il pannello intermedio per l’emisfero sud e il pannello inferiore è la media per il globo intero. I valori in figura sono mostrati come deviazioni rispetto alla media per il periodo 1961-1990. La scelta di questo periodo di riferimento è arbitraria e non determina il carattere dei risultati.

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A questo punto, i risultati fin qui presentati pongono una domanda fondamentale: la concomitanza dei due fatti sopra descritti, aumento di CO2 nell’atmosfera e riscaldamento del pianeta, è sufficiente a stabilire un nesso causale tra essi? In effetti noi non abbiamo una prova diretta di una connessione causale tra questi due eventi, e probabilmente non l’avremo mai. D’altra parte, le possibili spiegazioni alternative stanno diventando, man a mano che acquisiamo nuove informazioni, più scarse e insoddisfacenti. Mentre, un numero sempre maggiore di indizi indicano l’esistenza di un legame tra concentrazione di CO2 (e altri gas serra, che non stiamo considerando per semplicità, ma che sappiamo avere un ruolo ugualmente importante) e riscaldamento globale. Per sciogliere questo nodo, abbiamo a disposizione un ulteriore strumento la cui efficacia sta progressivamente aumentando negli ultimi decenni: i modelli di simulazione numerica.

Il modello e gli esperimenti di simulazione 

Il modello

Il modello usato nel nostro studio è il modello di circolazione generale atmosferica (GCM) ECHAM-4, sviluppato al Max-Planck-Institute per la Meteorologia di Amburgo (Germania). Il modelloè un’evoluzione del modello per le previsioni meteorologiche del Centro Europeo per le Previsioni a Medio Termine (ECMWF, Reading), al quale sono state modificate le parametrizzazioni dei processi fisici allo scopo di renderlo più adatto a simulazioni climatologiche ([9]). Il modello è stato utilizzato con un troncamento spettrale T106, che corrisponde ad una risoluzione spaziale di circa 1.125°x1.125° (circa 100 Km).

Il modello atmosferico è stato accoppiato con un modello a “strato mescolato” (mixed-layer) dell’oceano. In questo tipo di modelli, la circolazione oceanica è parametrizzata da un flusso che rappresenta il trasporto di energia. In breve, questi modelli considerano in modo esplicito solo la parte termodinamica della fisica dell’oceano, mentre la componente dinamica viene rappresentata in modo parametrico da un flusso che ne determina il contributo al trasporto di energia del sistema. In questo sistema accoppiato, l’intensità dei flussi scambiati tra oceano e atmosfera dipende dalla variabilità dello strato superficiale dell’oceano. Questo strato, con uno spessore che può andare da alcune decine ad alcune centinaia di metri, è ben mescolato, a causa dei processi di mescolamento verticale turbolento. L’approccio utilizzato per la modellizzazione dello strato superficiale dell’oceano è basato sull’assunzione che questo è uno strato con caratteristiche fisiche verticalmente omogenee, nel quale la variabilità della temperatura dello strato superficiale è rappresentata come una funzione dello scambio di calore superficiale turbolento con l’atmosfera e del calore radiativo. Come detto, i processi di avvezione e diffusione non sono esplicitamente simulati dal modello di strato mescolato, ma i loro effetti sono parametrizzati da un termine di correzione del flusso di calore. Questo termine viene calcolato in modo da mantenere, per ogni punto griglia, la temperatura superficiale del mare (SST) calcolata dal modello vicina alla SST climatologia osservata.

Gli esperimenti eseguiti col modello

Le osservazioni mostrano che il tasso di crescita della CO2 atmosferica durante l’ultimo secolo è più alto di quello di altri gas serra ([5]). Inoltre, l’anidride carbonica ha un forte impatto sul clima del pianeta anche a causa dei suoi lunghi tempi di permanenza nell’atmosfera. Utilizzando il modello sopra descritto, abbiamo investigato gli effetti dell’aumento di concentrazione della CO2 sul clima futuro terrestre. A questo scopo abbiamo fatto progressivamente aumentare la concentrazione atmosferica di anidride carbonica nel modello, seguendo gli scenari definiti dal Third Assessment Report dell’IPCC. Il Pannello Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) è stato costituito nel 1998 dall’Organizzazione Mondiale per la Meteorologia (WMO) e dal Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP). L’IPCC, come uno dei suoi primi atti, pubblicò un rapporto (SRES) nel quale venivano definite diverse possibilità per la variabilità delle emissioni di CO2 durante i prossimi 100 anni. Questi scenari di emissione sono basati su diverse ipotesi di sviluppo demografico, socio-economico e tecnologico.

Noi abbiamo scelto di simulare i cambiamenti climatici forzati dalle emissioni di CO2 durante il periodo 1970-2070 seguendo gli scenari denominati A2 e B2 (Fig. 3). Qui di seguito ne descriviamo sommamente le principali caratteristiche, che ne motivano anche la scelta:

Fig. 3 - Scenari A2 (linea continua) e B2 (linea tratteggiata) della crescita di concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera terrestre durante il 21° secolo definiti dal Terzo Rapporto di Valutazione dell’IPCC ([5]).

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  • A2: è uno scenario nel quale si immagina che le condizioni attuali del pianeta che determinano le emissioni non saranno modificate sostanzialmente. Esso, quindi, è basato sull’ipotesi di un mondo futuro abbastanza eterogeneo, dove vengono preservate molte delle attuali identità locali. Le differenze tra le diverse regioni del globo decrescono lentamente nel corso del prossimo secolo. Lo sviluppo socio-economico così come quello tecnologico sono frammentati e avvengono principalmente per settori regionali.
  • B2: è uno scenario decisamente diverso dalle condizioni attuali, nel quale il mondo immaginato ha elaborato soluzioni locali dei problemi ecologici e socio-economici. La crescita della popolazione è decisamente minore che in A2.

Risultati 

Come già anticipato, le osservazioni mostrano un sensibile aumento della temperatura superficiale del pianeta durante l’ultimo secolo. Molti indizi indicano che questi cambiamenti possono essere dovuti all’aumento dei gas serra avvenuti durante lo stesso periodo di tempo.

In questa sezione mostriamo i risultati ottenuti dalle simulazioni numeriche dei cambiamenti climatici indotti dall’aumento di CO2 atmosferica come definito dagli scenari A2 e B2 dell’IPCC durante il periodo 1970-2070. I primi dieci anni di simulazione sono stati considerati come “spin-up” del modello, cioè come il periodo di integrazione necessario per “aggiustare” i forti disequilibri iniziali indotti dall’accoppiamento con l’oceano e dalle differenze tra climatologia del modello e condizioni iniziali. Per questo motivo, i primi dieci anni di simulazione non vengono considerati nell’analisi e i risultati che mostreremo sono presentati nella forma di differenze tra le medie dei parametri atmosferici per le decadi: 1981-1990 e 2061-2070. Questi periodi sono stati scelti in quanto estremi dell’intervallo di simulazione. Essi sono quindi i maggiormente indicati ad evidenziare eventuali tendenze di lungo periodo.

Temperatura superficiale e precipitazione totale

Cambiamenti significativi nei valori medi della temperatura superficiale (TS) e nelle precipitazioni sono un’importantissima conseguenza dell’effetto serra. Essi, infatti, possono avere considerevoli impatti sui ghiacciai e, quindi, sul livello del mare, oltre che immediati effetti sulla biodiversità, salute umana, agricoltura, risorse idriche, ecc.

La Fig. 4 mostra le differenze delle medie di TS tra la decade 1981-90 e 2061-70, ottenute dalle simulazioni di scenario eseguite col modello. La differenza in TS tra le due decadi indica chiaramente un aumento della temperatura superficiale globale. Il riscaldamento appare maggiore durante le stagioni invernali, sia nell’emisfero nord che in quello australe. Il maggior aumento della TS si verifica durante l’inverno, sulle regioni della Siberia e dell’Alaska, con massimi di aumento stagionale che sfiorano i 7-8 °C. Nell’emisfero sud il massimo riscaldamento appare durante l’inverno sull’oceano Antartico e raggiunge valori estremi di circa 6-7 °C. Il fatto che i massimi di riscaldamento avvengano durante le stagioni invernali ha forti ripercussioni sulle precipitazioni nevose e la formazione dei ghiacci.

Fig. 4 - Differenza tra le temperature medie durante le decadi 2061-70 e 1981-90 ottenute dalle simulazioni eseguite per lo Scenario A2. Pannello superiore: differenza tra le medie invernali (Gennaio-Febbraio-Marzo); pannello inferiore: differenza tra le medie estive (Giugno-Luglio-Agosto); Le differenze sono espresse in gradi centigradi.

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In corrispondenza dell’aumento delle temperature superficiali, i risultati del modello indicano che anche le precipitazioni tendono ad aumentare. Infatti, la differenza delle medie annuali globali della precipitazione tra le decadi 2061-70 e 1981-90 è di +2.58 cm/anno. L’aumento, però, non è omogeneo su tutto il globo, ma mostra strutture più complicate, come evidenziato dai risultati in Fig. 5. I cambiamenti più rilevanti nei campi di precipitazione, avvengono nelle aree tropicali di convergenza, specialmente nella regione dell’Indo-Pacifico tropicale. L’intensità dei cambiamenti non mostra una marcata dipendenza stagionale, in particolare nelle zone della convergenza intertropicale (ITCZ) e della convergenza del sud Pacifico (SPCZ). In queste aree, l’aumento di precipitazione mediamente ammonta a circa 2-6 mm/giorno.

Fig. 5 - Differenza tra le precipitazioni medie durante le decadi 2061-70 e 1981-90 ottenute dalle simulazioni eseguite per lo Scenario A2. Pannello superiore: differenza tra le medie invernali (Gennaio-Febbraio-Marzo); pannello inferiore: differenza tra le medie estive (Giugno-Luglio-Agosto); Le differenze sono espresse in millimetri per giorno (mm/giorno).

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Temperatura superficiale e precipitazione nella regione del Mediterraneo

Vediamo ora più nel dettaglio cosa succede, secondo le simulazioni di scenario, al clima nella regione dell’Europa meridionale e del Mediterraneo, concentrandoci sempre sulle temperature superficiali e le precipitazioni. La Fig. 6 mostra come cambia la TS nella regione Mediterranea, in conseguenza all’aumento di CO2 atmosferica previsto dallo Scenario di emissione A2. Come già osservato per il caso globale (Fig. 4), la differenza è positiva ovunque, indicando che, a causa dell’aumento di CO2 atmosferica, si ha un riscaldamento di tutta la regione. Il riscaldamento, però non è omogeneo; ci sono aree dove l’aumento della temperatura è più intenso, in generale le regioni continentali, e zone in cui è più ridotto, sopra all’oceano. In particolare, durante la stagione estiva l’aumento della temperatura sembra essere particolarmente accentuato sull’Europa centro-continentale (specialmente la Francia). Mentre durante l’inverno, l’aumento più marcato è osservabile sui Balcani e sulla Russia meridionale (a nord del Mar Nero).

Fig. 6 - Differenza tra le temperature medie sul Mediterraneo durante le decadi 2061-70 e 1981-90 ottenute dalle simulazioni eseguite per lo Scenario A2. Come in Fig. 4, ma focalizzato sull’area del Mediterraneo. Pannello superiore: differenza tra le medie estive (Giugno-Luglio-Agosto); pannello inferiore: differenza tra le medie invernali (Gennaio-Febbraio-Marzo); Le differenze sono espresse in gradi centigradi.

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I cambiamenti nella precipitazione indotta dall’effetto serra nel modello, sono mostrati in Fig. 7. Come per il caso globale (Fig. 5), anche per il Mediterraneo, i pattern dei cambiamenti di precipitazione mostrano delle strutture più complicate rispetto alle temperature. Le differenze di precipitazione, infatti, non hanno lo stesso segno su tutta la regione. In altre parole, secondo le simulazioni vi sono aree dove la precipitazione aumenta contrapposte ad aree dove diminuisce. Inoltre, i risultati mostrano una marcata dipendenza stagionale. Per esempio, è interessante notare che durante i mesi estivi (Fig. 7, pannello A), le precipitazioni tendono a diminuire su gran parte dell’Europa Centrale e Penisola Iberica, mentre mostrano una tendenza ad aumentare sull’Italia (specialmente centro-meridionale) e sui Balcani meridionali. Durante i mesi invernali (Fig. 7, pannello B), i risultati sono molto diversi, manifestando una chiara struttura bi-polare per i cambiamenti di precipitazione. Specificamente, le precipitazioni invernali tendono ad aumentare sensibilmente sull’Europa continentale, mentre diminuiscono sull’intero bacino del Mediterraneo.

Fig. 7 - Differenza tra le precipitazioni medie sul Mediterraneo durante le decadi 2061-70 e 1981-90 ottenute dalle simulazioni eseguite per lo Scenario A2. Come in Fig. 5, ma focalizzato sulla regione mediterranea. Pannello superiore: differenza tra le medie invernali (Gennaio-Febbraio-Marzo); pannello inferiore: differenza tra le medie estive (Giugno-Luglio-Agosto); Le differenze sono espresse in millimetri per giorno (mm/giorno).

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Un altro risultato di grande interesse è il fatto che i cambiamenti nei campi di precipitazione sull’Europa e Mediterraneo dipendono dal tasso di crescita della CO2. La Fig. 8, infatti, riporta le differenze di precipitazione ottenute dalle simulazioni eseguite con lo scenario di emissioni B2. Come si può vedere questi pattern sono considerevolmente diversi da quelli ottenuti per il caso A2 (Fig. 7), sebbene sia notevole il fatto che in entrambi i casi le precipitazioni estive sul Mediterraneo centrale e Balcani meridionali hanno la tendenza ad aumentare.

Fig. 8 - Come in Fig. 7, ma per lo scenario di emissioni B2.

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Conclusioni 

Le simulazioni eseguite con un modello ad alta risoluzione sono state usate per valutare gli effetti dei cambiamenti climatici prodotte dalle emissioni di CO2 tra il 1970 e il 2070, secondo gli scenari IPCC A2 e B2. Il modello indica che, come conseguenza di un’alterazione del bilancio radiativo indotta dall’aumentata concentrazione di CO2 atmosferica, il clima del nostro pianeta può cambiare in modo sostanziale. In particolare, la temperatura media globale simulata alla superficie della Terra aumenta di 1.9 °C e la media globale delle precipitazioni simulate aumenta di circa 2.6 cm/anno.

Secondo le simulazioni, il riscaldamento più intenso avviene alle alte latitudini, durante le stagioni invernali. L’aumento più intenso delle precipitazioni, invece, riguarda maggiormente le zone di convergenza tropicale e non sembra avere una rilevante dipendenza stagionale.

Sulla regione euro-mediterranea, la media della temperatura superficiale simulata dal modello aumenta da circa 2 °C fino a circa 4 °C come conseguenza dell’effetto serra. Durante l’inverno, questo aumento è più pronunciato sull’Europa Balcanica e Russia meridionale. Durante l’estate, esso interessa maggiormente l’Europa Centrale, Meridionale e il Nord Africa.

Il tasso delle precipitazione invernali aumenta di circa 30 cm/anno sull’Europa centro-settentrionale, mentre tende a diminuire sull’Europa meridionale. Questo comportamento cambia radicalmente d’estate, quando la precipitazione media aumenta sull’intero bacino Mediterraneo, mentre diminuisce sull’Europa continentale.

Un altro dato interessante che il modello suggerisce, consiste nel fatto che i cambiamenti climatici simulati sul Mediterraneo e l’Europa sembrano essere sensibili ai diversi scenari di emissione di CO2. In altre parole, i cambiamenti climatici cui potrebbe essere soggetto l’Euro-Mediterraneo, dipendono da quanto cambierà nel futuro il tasso di emissioni di anidride carbonica.

La regione del bacino del Mediterraneo è una regione dall’equilibrio climatico delicato e molto sensibile alle perturbazioni. Essa, infatti, si trova nella zona di transizione tra due regimi climatici molto differenti tra loro. Come mostrato in Fig. 9, il bacino del Mediterraneo si trova tra le regioni a regime climatico tropicale a sud, caratterizzate dai regimi monsonici e dalle celle di circolazione meridionale (cella di Hadley), e le regioni delle “medie latitudini” a nord, dove il clima è dominato dall’attività delle onde planetarie. Il famoso “clima Mediterraneo” è il risultato di un delicato equilibrio fra queste due componenti climatiche. Una perturbazione del sistema, però, può portare la regione ad essere più soggetta a un regime o all’altro, provocando sostanziali cambiamenti nelle caratteristiche del suo clima.

Fig. 9 - Schema rappresentante i regimi climatici che caratterizzano le regioni immediatamente a sud e a nord del bacino del Mediterraneo.

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Come abbiamo detto, la componente oceanica del modello impiegato in questo studio è un semplice modello a strato mescolato (mixed-layer), il quale include solo una schematica parametrizzazione del trasporto di energia dovuto alla dinamica oceanica. Nelle simulazioni eseguite con questo modello, quindi, la rappresentazione di molti processi della variabilità naturale del clima (ad esempio, El Nino, la circolazione oceanica termoalina, ecc.) è trascurata. Da una parte questo approccio ci permette di valutare in modo semplice e diretto il forcing esercitato dall’effetto serra sulla circolazione atmosferica. Infatti, nel caso di un modello in grado di produrre tutta la variabilità climatica oceanica, sarebbe stato difficile separare la componente di variabilità interna al sistema (appunto El Nino, variazioni decennali dovute a fluttuazioni nella circolazione termoalina, ecc.) da quella forzata dall’aumento dei gas serra, semplicemente come una differenza tra le medie di due diversi periodi della simulazione. D’altra parte l’interazione tra la variabilità naturale e quella forzata è sicuramente un aspetto importantissimo del problema di prevedere lo sviluppo del nostro clima e non può essere trascurata. A questo scopo, è necessario ripetere questo genere di esperimenti di scenario con modelli più complessi, che includano tutte le componenti del sistema climatico (Earth System Models, ESMs).

I risultati delle simulazioni presentati e discussi in questo articolo, quindi, non devono essere interpretati come previsioni di quello che sarà il clima del Mediterraneo tra un secolo. Il principale senso di questi risultati, invece, risiede nella dimostrazione che secondo le nostre conoscenza scientifiche, l’alterazione della composizione chimica dell’atmosfera terrestre che l’umanità sta provocando in questo ultimo secolo è in grado di produrre anomalie climatiche che hanno le stesse caratteristiche di quelle osservate in questo stesso periodo. Questa considerazione dovrebbe suonare come un serio campanello di allarme, che ci faccia riflettere sul fatto che oggigiorno siamo in grado di interagire con i processi che hanno reso il nostro pianeta, unico nel sistema solare, adatto alla vita.

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