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Reply to the paper: “Estimating forest surfaces in Italy: the uncertainties of the new national forest inventory” by Mollicone and Federici

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 258-267 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0301-0002
Published: Sep 21, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

This is a reply to the article by D. Mollicone and S. Federici: ’La stima delle superfici forestali per l’Italia: le incertezze del Nuovo Inventario delle Foreste e del Carbonio’ (Forest@ 2: 143-150), in which potential uncertainties were discussed in the estimate of forest surfaces by the new Inventory of Forests and Carbon of Italy (INFC).

Keywords

INFC, Forest, Inventory, Italy, Uncertainty, Reply

Introduzione 

Nel secondo fascicolo 2005 di questa rivista è comparso un articolo di opinioni ([19]) in cui sono state rivolte osservazioni critiche alle procedure di fotointerpretazione e di classificazione dell’uso del suolo applicate nell’ambito della prima fase di campionamento del nuovo inventario forestale nazionale italiano (INFC). I due autori affermano che le procedure adottate sono ’affette da incertezze’ tali da condizionare l’intero impianto inventariale e suggeriscono le modifiche da apportare per formulare stime corrette della superficie forestale nazionale.

La presente nota ha l’obiettivo di rispondere compiutamente a tali osservazioni, partendo innanzitutto da una breve illustrazione di alcune delle scelte metodologiche adottate nell’approntamento e nella conduzione del progetto inventariale, ritenendo che tali note di approfondimento già da sole chiariscano la maggior parte delle considerazioni critiche avanzate. Prima di entrare nei dettagli, vengono quindi richiamati alcuni aspetti fondamentali del disegno inventariale, fornendo subito a tutti i lettori, e non solo agli specialisti, gli elementi minimi indispensabili per una valutazione delle metodologie effettivamente applicate, delle osservazioni critiche proposte e delle argomentazioni di risposta.

In particolare, si è ritenuto necessario accennare alla definizione di bosco adottata per l’individuazione della popolazione statistica di riferimento, ai principi del campionamento probabilistico su cui si basa lo schema inventariale e, infine, alle modalità di fotointerpretazione individuate allo scopo di rendere operativa, con criteri di coerenza e di replicabilità, la definizione di bosco adottata. Partendo da questi approfondimenti, sono infine discusse le osservazioni critiche segnalate per alcune modalità realizzative dell’inventario forestale nazionale.

La definizione di bosco 

Nei primi anni ottanta, in occasione della progettazione e realizzazione del primo inventario forestale nazionale italiano ([16], [17], [18]), sono stati pubblicati nel nostro Paese diversi contributi su alcuni importanti aspetti, sia di principio ([20], [21], [22], [4], [24]) sia di metodo ([1], [23], [2], [25], [26]), inerenti alle modalità da adottare nell’inventariazione delle risorse forestali nazionali.

Tra questi, di notevole interesse appaiono due scritti di Preto ([21], [22]) dedicati al problema delle classificazioni da impiegare negli inventari forestali, in particolare per quanto attiene alla definizione di ’bosco’. Dall’analisi di questi contributi appare chiaramente che gli studiosi di varie discipline inerenti alla vegetazione si stavano al tempo orientando verso una definizione di bosco basata prevalentemente su elementi dimensionali quali l’estensione e la larghezza dell’area occupata dagli alberi, l’altezza di questi ultimi e il loro grado di copertura del terreno, ritenendo tale approccio semplice, oggettivo e valido sia per la individuazione e descrizione del bosco come sistema ecologico specifico e differenziato da altre formazioni vegetali sia per la sua interpretazione e misurazione a fini statistici.

La definizione di bosco che emergeva da alcuni contributi indicava che un insieme di alberi va considerato come bosco qualora esso occupi almeno 5000 m2, dia origine ad una copertura del suolo da parte delle chiome non inferiore al 10%, abbia un’altezza media di almeno 5 m e presenti una larghezza di almeno 20 m in corrispondenza del punto di sondaggio. Dalla stessa letteratura risultava anche che tali modalità di definizione del bosco derivavano essenzialmente da valutazioni di tipo pratico-operativo e da considerazioni di carattere ecologico-selvicolturale. Veniva infatti evidenziato come la superficie minima di un’area boscata dovesse essere abbastanza grande da permetterne l’individuazione sia sul terreno sia su immagini telerilevate con opportuni rapporti di scala; un’area boscata doveva avere inoltre dimensioni tali da garantire che le condizioni climatiche esterne non fossero in grado di condizionare e alterare eccessivamente il bioclima interno tipico delle cenosi forestali.

Che tali caratteri dimensionali rispondano all’esigenza di individuare in modo semplice e oggettivo il bosco è confermato sia dalle definizioni utilizzate nella maggior parte degli inventari forestali nazionali di altri Paesi, sia da quella adottata recentemente [1] dagli organismi sovranazionali ([28], [29]). Quest’ultima differisce da quella proposta dagli autori italiani citati solo per i limiti relativi all’altezza degli alberi: la definizione condivisa a livello internazionale prevede infatti di considerare come altezza minima quella attesa a maturità in quella stazione e per il tipo di cenosi forestale presente, anziché quella osservata al momento del rilievo.

Ai fini inventariali, dunque, sia che si operi direttamente al suolo sia che si impieghino immagini telerilevate, va considerato bosco ogni insieme di alberi, di qualsiasi forma, costituito da specie forestali in grado di superare un’altezza minima prefissata e avente un’estensione, una larghezza e una copertura delle chiome superiori alla soglie minime stabilite.

Da queste considerazioni risulta evidente che è necessario applicare procedure di classificazione dei poligoni boscati che permettano di verificare in modo accurato caratteri geometrici e dimensionali, al fine di osservare effettivamente e correttamente la popolazione statistica di interesse inventariale.

Con le motivazioni ampiamente argomentate negli appositi documenti di progetto ([11], [14]), per il nuovo inventario forestale nazionale italiano è stata proposta e impiegata la definizione di bosco ormai largamente condivisa e adottata per il Temperate and Boreal Forest Resources Assessment 2000 ([29]).

Adottare una definizione di bosco con le caratteristiche dianzi auspicate è certamente necessario, ma purtroppo non è sufficiente; risulta infatti indispensabile coordinare e rendere congruenti gli elementi definitori della popolazione statistica in osservazione (le aree boscate) con le informazioni realmente acquisibili su immagini telerilevate e/o al suolo nell’ambito di uno schema di campionamento che permetta, su base probabilistica, di giungere alla stima delle grandezze di interesse inventariale (estensione delle varie categorie e sottocategorie boschive, valori totali e medi di caratteri quantitativi dei soprassuoli insistenti sulle superfici stimate, entità delle incertezze campionarie delle diverse determinazioni, ecc.).

Per stimare con errori campionari contenuti l’estensione delle varie categorie e sottocategorie forestali, e delle loro eventuali ripartizioni in funzione di vari caratteri qualitativi, è necessario disporre di campioni numerosi. Questa condizione diventa ancora più importante nel caso dell’INFC, che si è posto l’obiettivo di fornire stime campionarie statisticamente accettabili anche a livello di singole regioni e province autonome.

Al fine di rendere possibile l’osservazione di un elevato numero di punti di campionamento, il progetto di inventario nazionale prevede l’impiego di ortofoto digitali; su tali immagini sono distribuiti secondo un preciso schema probabilistico oltre 301000 punti di sondaggio con i quali, mediante fotointerpretazione a video, si intende stimare la proporzione di superficie boscata rispetto alla superficie territoriale totale. E qui nasce un problema. Sulle ortofoto digitali risulta infatti molto spesso, se non quasi sempre, impossibile valutare l’altezza media reale e, a maggior ragione, quella potenziale dello strato arboreo superiore e, parimenti, risulta molto difficile discernere e valutare la copertura esercitata dagli individui arborei da quella esercitata dagli arbusti. In sostanza, non è possibile osservare sulle ortofoto tutte le informazioni necessarie e indispensabili per assegnare con accuratezza un punto di campionamento alla categoria di uso del suolo definita ’bosco’ con le regole sopra indicate.

Per superare tale difficoltà, si è ritenuto opportuno attuare una classificazione provvisoria, semplificata ma sufficientemente accurata, che utilizza solamente le informazioni relative all’estensione, alla copertura arborea e arbustiva complessiva e alla larghezza in corrispondenza del punto di osservazione, caratteri effettivamente osservabili sulle immagini a disposizione. I punti di campionamento non sono quindi assegnati alla categoria del bosco, bensì a categorie temporanee definite come formazioni forestali e formazioni forestali rade, demandando ad una successiva fase di campionamento al suolo, da condurre su un campione meno numeroso (circa 30000 osservazioni), l’incombenza di valutare l’altezza potenziale dello strato arboreo superiore e l’aliquota di copertura del suolo esercitata dagli individui arborei. Tale occasione di osservazione diretta di un congruo numero di punti di campionamento è anche utilizzata per raccogliere preziose informazioni relative alla stazione e al soprassuolo forestale presente ([12]).

La combinazione delle due rilevazioni campionarie permette infine di stimare, con l’accuratezza e la precisione richiesta, l’effettiva proporzione di punti di sondaggio appartenenti ad aree in cui sono presenti tutti i caratteri del bosco previsti dalla definizione adottata, rispetto ai punti complessivamente distribuiti sul territorio nazionale.

La strategia campionaria 

Dal momento che alcuni lettori potrebbero non avere familiarità con qualche concetto di base del campionamento probabilistico, sembra opportuno evidenziare alcuni di questi per meglio comprendere sia il procedimento utilizzato per l’INFC sia alcuni elementi della proposta alternativa avanzata che, anche se non esplicitamente dichiarato, comportano alterazioni non trascurabili di importanti aspetti del disegno di campionamento.

In ogni indagine campionaria è necessario delineare preliminarmente e in maniera rigorosa:

  1. le unità oggetto di indagine, il cui collettivo costituisce quello che nella terminologia statistica è noto come popolazione o universo,
  2. la variabile da rilevare in corrispondenza di ogni unità della popolazione,
  3. la quantità incognita da stimare tramite il campionamento, nota come parametro.

Nel caso in questione le unità oggetto di indagine sono i punti che costituiscono il territorio nazionale e quindi la popolazione è l’infinità di punti appartenenti a tale territorio. Inoltre la variabile da rilevare in corrispondenza di ogni punto è una variabile dicotomica 0-1, che risulta pari a 1 se il punto è contenuto in un area appartenente ad una certa categoria di uso del suolo (per esempio le formazioni forestali) ed è uguale a 0 altrimenti. Infine, il parametro incognito da stimare è la superficie complessiva di quella classe di uso del suolo (quindi nel caso dell’esempio precedente la superficie complessiva occupata dalle formazioni forestali) che si ottiene matematicamente come l’integrale della variabile dicotomica esteso a tutto il territorio nazionale.

Una volta definite le unità, la popolazione e i parametri, si deve scegliere uno schema di campionamento, ovvero una procedura randomizzata per la selezione di un sottoinsieme di unità, detto campione, dall’insieme di unità che costituiscono la popolazione. Lo schema di campionamento determina inoltre quello che nella terminologia statistica è noto come disegno campionario, ovvero il collettivo di tutti i possibili campioni che possono essere estratti tramite lo schema utilizzato con le rispettive probabilità di estrazione. A sua volta la determinazione del disegno campionario rende possibile il calcolo delle probabilità di inclusione, ovvero le probabilità che le singole unità hanno di entrare a far parte del campione. Tali probabilità giocano infatti un ruolo fondamentale nel processo di stima dei parametri di interesse.

Nel caso dell’INFC occorreva quindi scegliere una procedura per la selezione di un campione di punti da tutti i punti costituenti il territorio nazionale. Al fine di ottenere una buona rappresentatività spaziale si è ritenuto opportuno utilizzare uno schema di campionamento in due fasi[2], utilizzando nella prima fase quello che nella letteratura anglosassone è noto come unaligned systematic sampling ([9]). Tale schema consiste nel sovrapporre all’area di studio un reticolo di poligoni regolari e nel selezionare casualmente in ogni poligono un punto. In particolare, nel caso dell’INFC, al territorio nazionale è stato sovrapposto un reticolo di quadrati di lato pari ad un (1) chilometro, ottenendo in tal modo un campione di prima fase costituito da oltre 301000 punti. Questi sono stati classificati sulla base delle ortofoto digitali in dodici strati, seguendo le procedure di fotointerpretazione descritte nel paragrafo successivo.

Una volta ottenuti gli strati, un campione di punti è stato selezionato da ciascuno strato ’ e per ogni Regione e Provincia autonoma - tramite il comune schema di campionamento noto come campionamento casuale semplice senza ripetizione. Ovviamente l’intensità di campionamento utilizzata in ogni strato è stata di diversa entità, a seconda dell’importanza dello strato, ottenendo infine un campione di 30000 unità. Ogni punto campionato è stato poi visitato a terra e classificato correttamente. Si noti che questo equivale a rilevare per ogni punto del campione la variabile dicotomica che assume valore 1 se il punto appartiene alla classe di uso del suolo di cui si intende stimare l’estensione e 0 altrimenti. L’insieme dei valori rilevati costituisce l’informazione campionaria da utilizzare in fase di stima. Il disegno campionario generato da tale schema di campionamento ha permesso di poter ottenere le probabilità di inclusione dei 30000 punti selezionati al termine della seconda fase.

A questo punto l’informazione campionaria (ovvero l’insieme dei valori della variabile di interesse rilevati in corrispondenza di ogni unità campionata) deve essere sintetizzata tramite una funzione che nella terminologia statistica è detta stimatore, il quale dà luogo a un unico valore che costituisce la stima del parametro. Lo schema di campionamento utilizzato - unito allo stimatore adottato per sintetizzare l’informazione campionaria in una stima del parametro - è detto strategia campionaria. Evidentemente ognuno dei possibili campioni del disegno dà luogo ad una diversa stima, per cui la validità di una strategia deve essere valutata sulla base delle caratteristiche del collettivo di stime ottenibili da tutti i campioni possibili. In genere, si impone che il collettivo delle stime possibili sia centrato attorno al vero valore del parametro da stimare (in questo caso lo stimatore si dice corretto, ovvero la strategia non tende a sottostimare o sovrastimare il parametro). Nell’ambito poi degli stimatori corretti si tende a utilizzare strategie che abbiano le varianze di entità numerica bassa, perché questo assicura errori di stima mediamente piccoli.

Tuttavia, dal momento che la varianza dipende sempre dai valori della variabile nella popolazione, essa risulta un parametro incognito e come tale deve essere stimata sulla base dell’informazione campionaria. Di solito si utilizzano strategie che siano in grado di stimare la varianza in modo corretto o in modo conservativo (ovvero strategie che tendano a fornire delle sovrastime). Lo stimatore che viene utilizzato più comunemente è lo stimatore di Horvitz-Thompson (HT), la cui applicazione necessita della conoscenza delle probabilità di inclusione delle unità campionate. Tale stimatore è infatti corretto qualunque sia lo schema di campionamento utilizzato e permette sempre di ottenere stimatori corretti o conservativi della varianza. Quindi, dal momento che lo schema di campionamento a due fasi utilizzato nell’INFC - per la stima delle superfici - permette il calcolo delle probabilità di inclusione dei punti campionati, è sembrato opportuno utilizzare lo stimatore HT per ottenere le stime delle ampiezze delle varie classi di uso del suolo insieme alle stime conservative delle loro varianze.

Un’analisi teorica di tale strategia ([10]) ha permesso di evidenziare come la sua precisione dipenda in maniera critica dalla accuratezza della procedura di fotointerpretazione. In particolare se la fotointerpretazione fosse effettuata senza errori la seconda fase di campionamento non comporterebbe nessun aumento della varianza [3], ovvero le stime effettuate sui soli n punti di seconda fase avrebbero la stessa precisione delle stime che si sarebbero ottenute se fosse stato possibile visitare al suolo tutti gli N punti selezionati in prima fase. Data la precisione e la qualità delle ortofoto utilizzate per la fotointerpretazione, sembra allora abbastanza ovvio riporre fiducia sulla strategia campionaria adottata, come del resto provato dai valori soddisfacenti delle stime delle varianze osservati in occasione di una elaborazione preliminare condotta con circa i tre quarti del campione di seconda fase.

Nella loro nota critica, Mollicone & Federici ([19]) propongono un diverso schema di campionamento che prevede la selezione non di un solo punto per quadrato ma di tutti i punti all’interno di un cerchio di raggio prefissato, senza tuttavia dare nessuna indicazione riguardo allo stimatore che deve essere adottato in questo caso, alle sue caratteristiche di precisione e al modo di stimare le varianze campionarie. Per esempio, nel caso che detti autori volessero utilizzare lo stimatore HT, essi avrebbero sicuramente delle difficoltà nel quantificare le probabilità di inclusione di quei punti che si trovano ai bordi dei quadrati in cui è suddiviso il territorio nazionale. Sembrerebbe quindi opportuno che, nel momento in cui si avanza una proposta alternativa diversa per alcuni aspetti del campionamento probabilistico, venissero forniti anche maggiori dettagli teorici riguardo a tale proposta, possibilmente corredati da un’analisi sufficientemente approfondita su come affrontare e gestire i problemi di maggiore evidenza.

Le procedure di fotointerpretazione 

Come già accennato, la classificazione dell’uso del suolo nei punti di campionamento di prima fase dell’INFC è stata condotta mediante fotointerpretazione di ortofoto digitali in bianco e nero (fonte AGEA), datate fra il 2000 e il 2003, messe a disposizione dal Sistema Informativo della Montagna del Corpo Forestale dello Stato. A questo rilevamento hanno partecipato circa cinquanta fotointerpreti, in servizio presso il CFS o i Servizi Forestali delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome. Trattandosi di un’indagine relativa ad un territorio molto esteso e dalle caratteristiche molto diverse, si rendeva necessario coinvolgere numerosi fotointerpreti, ciascuno con conoscenze specifiche sui propri territori, e curare con molta attenzione la loro preparazione. Si evidenziava dunque l’esigenza di garantire la massima uniformità possibile nell’applicazione delle regole di classificazione da parte dei diversi rilevatori.

Tale obiettivo è stato perseguito mediante la definizione di un sistema di regole di classificazione chiare e fra loro coerenti (integrato con una trattazione specifica di molteplici casi particolari che sono stati ricondotti alle regole generali) e la preparazione di un manuale di fotointerpretazione dettagliato e corredato da diagrammi di flusso sulle operazioni di classificazione e da un’ampia rassegna di immagini esemplificative dei diversi casi ([11]). La procedura di classificazione è stata illustrata in occasione di un corso di formazione destinato ai rilevatori, organizzato in tre diverse sessioni, di circa venti allievi ciascuna, e che prevedeva anche una giornata di esercitazioni. La formazione dei fotointerpreti è stata poi completata da un’attività di assistenza e controllo in corso d’opera della classificazione da parte dei ricercatori e tecnici dell’ISAFA, garantita attraverso un collegamento intranet al server centrale che permetteva di visualizzare sia il database dei punti di campionamento sia l’archivio delle ortofoto digitali utilizzate; limitatamente alle sole attività di controllo in corso d’opera, sono stati riclassificati oltre 7000 punti per confrontare i risultati della classificazione di controllo con quelli ottenuti dai rilevatori di I fase.

La procedura di classificazione seguita è sintetizzata nei punti sotto riportati.

  1. Individuazione del poligono omogeneo in termini di uso del suolo, individuato dai caratteri di tono, tessitura e struttura delle ortofoto, in cui ricade il punto di campionamento.
  2. Valutazione del superamento da parte del poligono delle soglie critiche dimensionali. Le soglie sono quelle della definizione di bosco FRA 2000, ossia estensione e 5.000 m2 e larghezza e 20 m. Se il poligono supera tali valori minimi, il punto di sondaggio che vi ricade viene attribuito all’uso del suolo del poligono, altrimenti viene attribuito all’uso del suolo del poligono più vicino che superi le stesse soglie.
  3. Misura del grado di copertura arboreo-arbustiva: quando l’uso del suolo del poligono appartiene alla classe degli ambienti naturali e seminaturali (che comprende i boschi, gli arbusteti, le praterie, gli incolti, i pascoli e le aree nude o a vegetazione rada - spiagge, rocce, ghiacciai), va valutato il grado di copertura della vegetazione arboreo-arbustiva, allo scopo di verificare il superamento della soglia del 10% su di una porzione del poligono osservato (di almeno 5000 m2) contenente il punto di campionamento. In caso positivo il punto viene classificato come formazione forestale.
  4. Misura del grado di copertura erbacea: analogamente al punto 3 occorre stimare anche la copertura della vegetazione erbacea, al fine di discriminare la sottoclasse delle ’Praterie, pascoli e incolti’, definiti da una copertura erbacea > 40%, dalla sottoclasse ’Zone aperte con vegetazione rada o assente’.

Per agevolare la fotointerpretazione e in particolare la stima dell’estensione e della larghezza dei poligoni e del grado di copertura della vegetazione si è proposto l’impiego di un oggetto grafico denominato intorno di analisi costituito da un quadrilatero composto da nove quadrati contigui di lato pari a 50 m e superficie pari a 2.500 m2, di cui quello centrale centrato nel punto di campionamento; attraverso l’intorno è possibile infatti stimare a vista l’estensione del poligono e la sua larghezza per confronto con le dimensioni dei singoli quadrati. All’intorno di analisi è stata inoltre associata una griglia di punti, distanti tra loro 10 m ([6]); il conteggio dei punti della griglia che intercettano chiome di alberi o arbusti ha consentito di stimare il grado di copertura e di verificare il superamento delle soglie fissate nel quadrato centrale e nei quadrati circostanti. In Fig. 1 è riportata una porzione di ortofoto con intorno di analisi e griglia per la stima della copertura.

Fig. 1 - Punto di campionamento INFC come appare sull’ortofoto utilizzata per la fotointerpretazione di prima fase; sono visualizzati l’intorno di analisi e la griglia di punti per la valutazione del grado di copertura.

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In realtà l’uso della griglia si è reso indispensabile solo per le formazioni forestali molto aperte (e quindi con copertura vicina alla soglia del 10%), mentre quando i limiti delle formazioni forestali erano chiaramente identificabili la verifica del raggiungimento della copertura minima risultava facilmente valutabile a vista. Nel caso delle formazioni più rade, essendo la delimitazione dei loro confini soggetta a molta incertezza, risultava più difficile valutare in modo oggettivo e ripetibile il grado di copertura e l’estensione del poligono a cui riferire tale copertura. Per questi casi sono stati pertanto definiti dei criteri per il tracciamento dei limiti del bosco, ove possibile, o per una verifica convenzionale del raggiungimento dell’estensione minima di 5000 m2. Per il tracciamento dei limiti del bosco si è previsto di congiungere tra loro le piante distanti meno di 20 m, in modo simile a quanto previsto dall’inventario nazionale svizzero che fissava però una distanza massima fra le piante di margine di 25 m ([3]). In formazioni molto rade poteva però verificarsi che una copertura superiore alle soglie fosse determinata anche da soggetti arborei molto distanti fra loro (alberi sparsi in aree naturali o seminaturali): in questi casi, anziché tracciare il limite del bosco, si è indicato di misurare la copertura attraverso la griglia di punti in più quadrati dell’intorno di analisi, utilizzando così in modo combinato griglia e intorno di analisi ([11]).

Le contestazioni avanzate 

La questione dell’omogeneità

Il primo problema che viene analizzato dall’articolo di Mollicone & Federici ([19]) riguarda il criterio di omogeneità seguito per individuare il poligono a cui assegnare ciascun punto di campionamento. Nel testo dell’articolo si riporta a questo proposito una citazione errata (“il punto di campionamento definisce il poligono omogeneo al cui interno il punto stesso ricade”) e viene data un’interpretazione del criterio di omogeneità non conforme a quanto previsto dalla procedura di fotointerpretazione effettivamente applicata nell’INFC.

Come detto nel paragrafo precedente, la procedura richiede di individuare il poligono omogeneo per struttura, tessitura e tono, nel quale il punto ricade e di valutarne successivamente il superamento delle soglie dimensionali richieste al fine di poter attribuire il punto all’uso del suolo del poligono stesso. Tale omogeneitàè ovviamente un concetto relativo e può essere intesa diversamente in relazione alla scala di osservazione e al livello di omogeneità stessa che si vuole raggiungere. Il manuale, così come gli esempi forniti e l’attività di assistenza svolta dall’ISAFA durante lo svolgimento della prima fase di campionamento, hanno teso a chiarire e uniformare progressivamente la procedura da seguire per la classificazione. E così un’area urbana, pur presentando una notevole eterogeneità al suo interno, con l’alternanza di aree residenziali, capannoni industriali, grande e piccola viabilità, giardini e tanti altri elementi, veniva identificata come un continuum, con una semplificazione indispensabile in ogni processo di classificazione del territorio, ed attribuita ad un’unica classe. Allo stesso modo un’area agricola veniva considerata nel suo insieme, anche se presentava al suo interno frutteti, seminativi e viabilità interpoderale. Ovviamente non sono state fatte eccezioni per il bosco: si trattava di valutare un’omogeneità relativa, senza osservare nel dettaglio la variabilità dei caratteri del bosco stesso. Un’unica verifica era però indispensabile: che nel poligono osservato fosse superata la soglia di copertura minima del 10%, e per questo carattere era richiesta effettivamente un’uniformità.

Fatte queste premesse dovrebbe risultare evidente che il caso presentato da Mollicone & Federici nella Fig. 1 del loro articolo non è stato risolto dai rilevatori dell’inventario nel modo in cui i due autori hanno riferito. Si tratta di un esempio in cui il punto è ricaduto in un’area boscata di dimensioni inferiori alla soglia di 5000 m2, a copertura colma, adiacente ad un’area molto più estesa a copertura più rada, ma pur sempre superiore al 10%. Per tale esempio i due Autori sostengono che la procedura INFC non avrebbe portato a classificare il punto come bosco, non essendo il poligono osservato omogeneo per grado di copertura. In realtà la procedura prescriveva per quel caso di classificare il punto come bosco (più precisamente come formazione forestale), così come propongono Mollicone e Federici, ed in questo modo è stato fatto per i tanti punti inventariali ricaduti in situazioni simili.

I limiti di una definizione

Un secondo caso discusso, che viene definito dagli stessi Autori come caso limite, riguarda un insieme di numerosi piccoli rimboschimenti, inseriti in un contesto di aree incolte, ciascuno dei quali rispetta le soglie di larghezza e di copertura della definizione FAO ma non quelle di estensione, distribuiti sul territorio in modo tale da non poter essere accorpati poiché risultano distanti sempre più di 20 m l’uno dall’altro (vedi Fig. 3 in [19]). Gli Autori lamentano che questo caso non possa essere classificato come area boscata, pur avendo il territorio un forte carattere di omogeneità. Occorre far notare che il carattere di omogeneità può essere valutato da diversi punti di vista: se si pone l’attenzione sui lotti di rimboschimento, l’area può apparire omogeneamente boscata, se invece si sposta l’oggetto di osservazione agli incolti si potrebbe affermare che si tratta di un’area incolta.

In aree ad elevata frammentazione può in effetti verificarsi una giustapposizione di piccoli poligoni, ciascuno di estensione insufficiente ad essere classificato autonomamente, appartenenti a diversi usi del suolo. Per limitare la soggettività della classificazione nell’INFC, sono state definite in questi casi alcune regole per l’accorpamento dei poligoni descritte nell’appendice del manuale di I fase, al capitolo “Approfondimenti sulla procedura per la classificazione dei punti” ([11]). In generale il criterio guida è stato quello di congiungere sempre i poligoni boscati distanti fra loro non più di 20 m, nel rispetto della regola per il tracciamento dei limiti del bosco sopra citata. Nel caso discusso dagli Autori tale condizione non era verificata e dunque non risultava possibile accorpare i diversi lotti di rimboschimento.

Una situazione simile viene presentata da Mollicone & Federici ([19]) nella Fig. 4 del loro testo in cui due poligoni boscati, rispettivamente di 0.45 ha e 0.7 ha, sono separati da una fascia non boscata. Analogamente la possibilità di accorpare i due poligoni di bosco va valutata in funzione della distanza tra i due poligoni, dato non riportato dagli Autori nel commento alla figura. Se questa si mantenesse minore di 20 m per un tratto sufficientemente lungo (più di 20 m), i due poligoni di bosco potrebbero essere considerati come un’unica area boscata. In caso contrario l’accorpamento non sarebbe possibile così come riferito dagli Autori e i punti ricaduti nel corpo boscato più piccolo non potrebbero essere classificati come bosco.

Le considerazioni appena enunciate potrebbero apparire contraddittorie, ma sono il frutto della necessità di applicare un’unica definizione che risolva in modo omogeneo tutti i casi. Non sarebbe corretto infatti modificare le regole caso per caso allo scopo di conquistare al bosco la maggiore estensione di territorio possibile. Sono stati pertanto fissati dei criteri chiari da seguire nei casi particolari, rispettando nello stesso tempo la definizione di bosco adottata. Con questi criteri si voleva ottenere una classificazione il più possibile oggettiva e ripetibile, anche se alcune delle soluzioni adottate possono non soddisfare - in qualche particolare situazione - il punto di vista del forestale o quello di altri studiosi del territorio. E’ evidente che qualsiasi classificazione basata su criteri booleani, dove allo scattare di una soglia si passa dall’appartenenza ad una classe all’esclusione dalla stessa, costituisce uno schema rigido in cui si è costretti ad inquadrare la realtà naturale. In prossimità delle soglie critiche queste regole non sempre funzionano al meglio e possono risultare meno soddisfacenti, ma per fortuna non si tratta delle situazioni più frequenti; l’adozione di criteri il più possibile oggettivi e codificati per l’applicazione delle regole può consentire di risolvere in modo chiaro e ripetibile questi casi.

Classificazione per punti o per aree

Un’ulteriore questione riguarda la proposta di adottare un’area di osservazione fissa (quella che da Mollicone & Federici ([19]) viene definita suggestivamente "il vero intorno" del punto) e di basare ogni valutazione su tale area senza estendere l’analisi all’esterno e soprattutto senza affidare alla posizione del punto di campionamento la sua classificazione (vedi Fig. 5, in [19]).

Occorre far notare innanzitutto che questa soluzione non tiene conto della necessità di applicare rigorosamente la definizione di bosco adottata. L’osservazione di un’area circolare di 5000 m2, centrata sul punto di sondaggio, non assicura infatti la possibilità di verificare che il poligono boscato superi la soglia di estensione minima in tutti i casi in cui il punto sia situato in prossimità del margine del bosco, così come un numero limitato di pixel associabili alla copertura arborea all’interno dell’area fissa di osservazione non garantisce la presenza di un poligono con le dimensioni e le caratteristiche richieste dalla definizione di bosco.

Nell’ipotesi inoltre di voler utilizzare il cosiddetto “campionamento puntuale dimensionato”, si verificherebbe l’esigenza di tracciare manualmente i limiti del bosco ogni volta che il punto sia posizionato in prossimità del margine e di rilevare in questo modo il valore dell’area coperta dal bosco. Tale operazione renderebbe più lunga e gravosa la procedura di classificazione e comporterebbe l’introduzione di una fonte di notevole incertezza nella stima della percentuale di bosco presente sull’area di osservazione dovuta agli errori di tracciamento del margine che si propagherebbero lungo tutto il confine tracciato. Se poi la stessa procedura va utilizzata per individuare e stimare l’estensione delle diverse frazioni delle aree boscate in funzione dei vari attributi qualitativi di interesse inventariale (composizione specifica, proprietà, tipo colturale, ecc.), è facile intravedere le difficoltà operative e le approssimazioni indotte operando per aree piuttosto che per punti di sondaggio.

In sostanza, Mollicone & Federici ([19]) propongono una procedura operativa che, da una parte, non interpreta sempre correttamente e compiutamente la definizione di bosco adottata per l’inventario forestale nazionale, con la conseguenza di delineare una popolazione statistica di riferimento diversa da quella dichiarata di interesse inventariale, e che, dall’altra, manifesta difficoltà operative largamente evitabili con l’approccio per punti di sondaggio.

La presunta inadeguatezza

Considerando infine l’affermazione circa l’inadeguatezza del procedimento inventariale seguito nell’INFC di consentire la tracciabilità nel tempo dei cambiamenti di uso e di copertura del suolo, tanto da renderlo inadatto ad una delle sue funzioni principali, quale la produzione di informazioni da impiegare nelle rendicontazioni previste da precisi impegni sovranazionali, non si può non constatare che tale opinione è avanzata in assenza di qualsiasi specifica argomentazione.

Il rilevamento campionario condotto per l’INFC potrà sempre essere ripetuto e quindi fornire, su base probabilistica, le stime delle variazioni di estensione delle diverse categorie di uso e di copertura del suolo previste. Ovviamente è necessario impiegare le stesse regole e procedure proposte, codificate e sperimentate nella prima occasione inventariale.

Per quanto attiene invece alle procedure di campionamento adottabili nella ripetizione futura dell’indagine, diverse sono le soluzioni a disposizione, potendo utilizzare uno schema a panel, nel quale sono impiegati nel tempo sempre gli stessi punti di sondaggio, piuttosto che uno schema a campioni indipendenti, nel quale i punti di osservazione delle occasioni successive sono completamente rinnovati rispetto a quelli di partenza, o uno schema intermedio, detto a campioni ruotati, in cui una parte dei punti di sondaggio rimane la stessa dell’occasione precedente mentre una parte viene rinnovata.

Ad un contesto di campionamento per panel afferiscono, ad esempio, sia l’indagine condotta da Corona et al. ([5]) per la stima delle variazioni della superficie forestale nella regione Abruzzo sia quella condotta da De Natale et al. ([7]) con analoghe finalità per il territorio della provincia di Trento. Per quanto riguarda gli aspetti comuni all’INFC, in entrambe le esperienze citate non sono state segnalate difficoltà operative o procedurali o relative all’approccio campionario.

Conclusioni 

Sulla base dell’illustrazione sintetica di alcuni aspetti metodologici del nuovo inventario forestale nazionale italiano e della discussione dei casi problematici indicati da Mollicone & Federici ([19]), risulta del tutto evidente che le segnalazioni di incertezze metodologiche, così come le preoccupazioni sulla qualità e la difendibilità dei risultati inventariali, appaiono infondate. Alcune delle contestazioni rivolte alla procedura di classificazione dei punti di prima fase sembrano il frutto di una non accurata lettura della documentazione del progetto, mentre altre derivano da considerazioni teoriche e valutazioni personali che risultano sostanzialmente estranee al disegno inventariale adottato.

Per quanto attiene alla procedura operativa proposta in alternativa, non sembra che essa sia formulata tenendo nella dovuta considerazione né l’esigenza di assicurare un’applicazione effettiva della definizione di bosco adottata né la necessità di garantire la coerenza fra le diverse parti di un progetto di inventario nazionale, dall’individuazione della popolazione statistica di interesse inventariale alle procedure operative di fotointerpretazione, dal disegno di campionamento alle modalità di formulazione degli stimatori.

Nel corso dell’impegnativa attività di progettazione generale e di realizzazione della prima fase dell’inventario forestale, sono state sicuramente poche le occasioni di confronto con i colleghi della comunità scientifica su alcune importanti e delicate scelte metodologiche. I tempi ristretti per la realizzazione dell’inventario imposti dalle scadenze internazionali e la gravosità dell’impegno hanno inoltre impedito ai diversi ricercatori e tecnici coinvolti nella progettazione inventariale di dedicare la necessaria attenzione alla divulgazione dei contenuti del progetto dell’INFC.

La necessità di rispondere alle osservazioni di Mollicone & Federici ([19]) è stata pertanto di stimolo per illustrare ad un pubblico più vasto i principi seguiti in questa parte del lavoro inventariale e per chiarire le motivazioni delle principali scelte metodologiche fatte, integrando così il non trascurabile insieme di documenti di progetto resi disponibili, nel corso delle attività inventariali, agli operatori e ai lettori interessati.

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In occasione del FRA 1990 ([8]), i parametri utilizzati per definire cosa dovesse essere considerato ’foresta’ erano limitati al grado di copertura del suolo da parte delle chiome degli alberi e all’altezza da questi raggiungibile a maturità nelle stazioni osservate; inoltre, le soglie impiegate erano diverse per i paesi sviluppati e per quelli in via di sviluppo. Nel nostro Paese, i concetti di estensione e di copertura minima erano già da tempo accettati e utilizzati per la statistica forestale nazionale ([15]) e, pur con valori di soglia diversi, sono stati anche adottati, unitamente a quelli di altezza e di larghezza minime, per il primo inventario forestale nazionale italiano ([16], [27]).
[2]
Complessivamente il disegno inventariale si articola in tre fasi campionarie, delle quali le prime due sono necessarie per l’ottenimento delle stime di superficie dell’area boscata e delle sue ripartizioni, mentre la terza è dedicata all’osservazione degli attributi quantitativi di interesse inventariale.
[3]
Diversa è la questione per quanto riguarda le classificazioni e le stime di estensione delle diverse ripartizioni delle aree boscate stabilite in funzione della composizione della vegetazione e degli attributi qualitativi osservati per i soli punti di seconda fase. In questi casi è infatti necessario combinare l’incertezza campionaria dovuta alla prima fase con quella dovuta alla seconda.
 
 
 

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