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The emission of methane by plants modifies the role of forest ecosystems in mitigating climate change

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 6-8 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0355-0003
Published: Mar 17, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

A recent paper published in Nature ([4]) reports the remarkable discovery that terrestrial plants emit CH4 under aerobic conditions. This interesting paper raised an intensive discussion on whether these emissions could significantly change the role of forest ecosystems in mitigating climate change. By critically revising the methodology applied, we conclude that the approach of scaling up emissions from the leaf level to the globe is scientifically questionable and tends to overestimate considerably the global estimates, especially for forest biomes. In any case, the CH4 plant emissions would reduce the climatic benefit of afforestation/reforestation programs by only a few percent as maximum. Finally, the controversial role of scientific journalism in the relationship between science and society is briefly discussed.

Keywords

Methane, Plant, Green-house effect, Scaling up, Nature

 

“Le foreste? Aiutano l’effetto serra”. Così titolava il Corriere della Sera, e la stampa di mezzo mondo, lo scorso 12 gennaio, riprendendo con grande risalto un articolo appena apparso su Nature. L’articolo in questione ([4]) riportava la clamorosa scoperta che le piante terrestri emettono considerevoli quantità metano (CH4, un gas serra 23 volte più “potente” della CO2) in condizioni aerobiche. Lo studio, pur non avendo individuato il processo fisiologico coinvolto, attraverso una serie di diversi esperimenti su diverse specie (quasi esclusivamente erbacee) ha fornito numerose evidenze circa l’emissione di CH4 dai tessuti vegetali, sia intatti che (in misura minore) staccati. Tale emissione, di origine non enzimatica e non microbica (ma forse legata alla pectina), è risultata positivamente correlata sia alla luce sia alla temperatura. Fino ad ora, questo processo era sconosciuto, e le emissioni di metano di origine naturale venivano sostanzialmente ricondotte alla decomposizione batterica di materiale vegetale in condizioni anaerobiche. Se l’aspetto fisiologico di questo studio ha destato grande sorpresa tra gli specialisti (com’è possibile aver finora ignorato un processo così rilevante?), ancor più clamore ha suscitato il tentativo di stimare a scala globale l’entità di tali emissioni. Attraverso una serie di assunzioni (vedi dopo per i dettagli) Keppler et al. sono giunti, come “prima stima”, a quantificare in 62-236 Tg CH4 /anno (media 149) le emissioni complessive da parte delle piante, gran parte delle quali provenienti dalle foreste.

Tali cifre, rappresentando il 10-40% delle emissioni globali di CH4, se confermate avrebbero un enorme impatto sia sul bilancio complessivo di questo gas sia sul ruolo delle foreste nell’ambito dei cambiamenti climatici.

Per quanto riguarda il primo aspetto, sembrerebbe che solo una parte di tali emissioni (non più di 100 Tg CH4/anno) siano conciliabili con le attuali, consolidate, conoscenze sul bilancio globale di metano ([1], [2]).

Circa il ruolo delle foreste, le interpretazioni prevalenti sui mass-media (spesso forzando quanto espresso dagli autori dello studio) hanno duramente messo in discussione il benefico effetto esercitato dalle foreste nei confronti del clima. Alcuni giornali stranieri, ad esempio, si sono spinti a definire come ormai “chiaramente inutili” le strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso attività di afforestazione/riforestazione del Protocollo di Kyoto.

E` davvero così? Il contributo delle foreste ai problemi climatici va davvero radicalmente rivisto alla luce di questa sorprendente scoperta? Cerchiamo di capirci qualcosa di più.

Estrapolazioni ardite, interpretazioni forzate 

Nel far questo, non entriamo nello specifico delle misure effettuate - pur soggette a numerose critiche (ad esempio, il fatto di aver effettuato gran parte delle misure in atmosfera priva di metano ha alterato i risultati?) - né dei possibili meccanismi fisiologici coinvolti. In altre parole, assumiamo per buona la correttezza delle misure effettuate e dei risultati presentati, concentrandoci invece su due domande:

  1. L’estrapolazione di questi dati a scala globale è stata fatta in modo corretto, o quanto meno scientificamente difendibile?
  2. Qual’è la rilevanza di queste emissioni per il ciclo del carbonio e, più in generale, per il ruolo delle foreste nella lotta ai cambiamenti climatici?

Partiamo dall’estrapolazione. Le assunzioni fatte da Keppler et al. sembrano davvero ardite anche per una “prima stima”. Ad esempio, si è assunto che le misure fatte su poche specie (8 per le emissioni dalla biomassa intatta, di cui 7 erbacee) fossero rappresentative di tutti i biomi. Si è presa dunque la media di tutte queste misure (n = 33) ed utilizzando la NPP (Net Primary Production) dei diversi biomi si è estrapolata l’emissione di CH4 dalle singole foglie all’intero globo. Abbiamo provato a rifare i calcoli utilizzando altri approcci per l’estrapolazione. Dato che i risultati cambiano a seconda della scala e dall’ambito analizzato, abbiamo deciso di concentrarci nell’ambito forestale a una scala europea (EU-25).

Brevemente, abbiamo confrontato i risultati dell’approccio di Keppler (che per tale ambito e scala fornirebbe un’emissione di 1.7 Tg CH4/anno) con due approcci “alternativi”. Nel primo, utilizzando gli stessi dati di NPP usati da Keppler, abbiamo calcolato le emissioni di CH4 dei biomi forestali utilizzando solo i dati misurati su specie forestali (abbiamo cioè escluso i dati provenienti da specie erbacee): così facendo, le emissioni sono calate dell’80%. Nel secondo approccio, abbiamo utilizzato la “densità di biomassa fogliare” (procedura adottata per analoghe estrapolazioni globali di emissioni di VOCs - [5]) anziché la NPP per estrapolare all’intero globo: le emissioni si sono quasi dimezzate. Combinando entrambi questi approcci alternativi (a nostro avviso scientificamente più difendibili), le emissioni si ridurrebbero di oltre il 90%.

Passiamo alla seconda domanda. Se si considera l’impatto di queste emissioni rispetto al bilancio di carbonio realizzato nel lungo periodo (Net Biome Production, NBP) dalle foreste europee ([3]), si conclude che circa il 9% (o l’1% se si combinano gli approcci alternativi per l’estrapolazione) del beneficio derivante dall’accumulo di CO2 verrebbe vanificato dalle emissioni di metano. Ma se si vuole analizzare l’impatto di dette emissioni sulle attività di afforestazione/riforestazione (rilevanti nell’ambito del Protocollo di Kyoto), il riferimento più corretto è probabilmente la Net Ecosystem Production (NEP, superiore alla NBP). In questo caso, l’effetto delle emissioni di metano diverrebbe quasi insignificante rispetto al corrispondente accumulo di carbonio.

In conclusione, lo studio di Keppler et al. si presenta come un lavoro ben fatto ed estremamente interessante. Se confermato, rivela un processo finora ignoto, e può aiutarci a capire meglio le complesse interazioni tra biosfera e atmosfera. Tuttavia, riteniamo che la fase di estrapolazione a tutto il globo - fortemente criticabile sia per l’esiguità delle misure di partenza che per l’approccio utilizzato - abbia considerevolmente esagerato il contributo di tale processo al bilancio di gas serra del sistema biosfera-atmosfera. Inoltre, constatiamo come tale estrapolazione, anche per la modalità e l’enfasi con cui è stata presentata e commentata dalla stessa rivista, sia stata malamente interpretata dalla stampa non specializzata. Curiosamente, a quest’ultima conclusione sono giunti gli stessi Autori dello studio in un comunicato stampa del 18 gennaio ([6]). Le emissioni dalle piante, viene giustamente chiarito, sono una fonte naturale di metano che in quanto tale non è responsabile del riscaldamento globale in atto (di origine antropica). In secondo luogo - viene sottolineato nel comunicato - una corretta interpretazione delle stime globali (di cui gli autori stessi sottolineano la “grossolanità”) porta a concludere che le emissioni di metano potrebbero “diminuire tra l’1 ed il 4% i benefici climatici derivanti da attività di riforestazione”. I numeri possono cambiare leggermente in base alle assunzioni di partenza, ma l’ordine di grandezza è corretto (e molto simile ai nostri calcoli fatti in modo indipendente). Questo chiarimento non sarebbe stato necessario se gli stessi dati fossero stati presentati, fin da subito, nella loro giusta prospettiva. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. Ma alcune preoccupazioni restano.

I pericoli del “sensazionalismo” scientifico 

Chi è responsabile dei dati pubblicati in una rivista scientifica? Se da un lato la responsabilità formale ricade sul ricercatore - certo non immune da ansie di visibilità (e di fondi) e comunque soggetto a errori come tutti - a nostro avviso è fondamentale il ruolo di controllo che dovrebbe esercitare la rivista, soprattutto ai più alti livelli. Riviste come Nature e Science godono da sempre di un grandissimo (e generalmente ben meritato) prestigio. Per chi fa ricerca sono sempre state viste come il meglio del meglio su cui poter pubblicare. Per i non addetti ai lavori, sono il tempio della scienza, una sorta di fonte della verità da cui poter attingere (dimenticando però che la scienza non produce verità, ma solo un lento - e spesso accidentato - avanzamento delle conoscenze).

Qualsiasi rivista scientifica avrebbe pubblicato con grande risalto, così come Nature ha fatto, la scoperta che le piante emettono metano, di per sé abbastanza sensazionale (se confermata) da guadagnarsi un posto nella storia della fisiologia vegetale. Ma una rivista scientifica di tale reputazione, e così influente, avrebbe anche dovuto usare maggiore cautela nel pubblicare l’estrapolazione di tali misure a tutto il globo. Difatti, come messo in evidenza, le enormi incertezze e le assunzioni ’grossolane’ svuotano il valore scientifico dei ’numeri’ forniti, che con ogni probabilità rappresentano un’elevata sovrastima del fenomeno.

Peraltro, che Nature abbia alcuni argomenti “preferiti” non dovrebbe scandalizzare (ultimamente, ad esempio, colpisce l’abbondanza di articoli sul fatto che gli ecosistemi terrestri non solo non risolvono il problema climatico - cosa piuttosto ovvia tra gli addetti ai lavori - ma per certi versi lo possono aggravare). Ma ci sembra lecito ipotizzare che, almeno in determinate occasioni, questa rivista abbia enfatizzato più di quanto sarebbe stato auspicabile i risultati di certe ricerche, senza preoccuparsi troppo delle (quasi inevitabili) esagerate interpretazioni che sono poi apparse nei mass-media. Il fatto che il chiarimento di Keppler e colleghi sia apparso solo su una conferenza stampa e non, come sarebbe stato auspicabile, su Nature, non fa che rinforzare questa ipotesi. Tutto ciò dovrebbe preoccupare almeno un po’ la comunità scientifica. I titoli dei giornali, con il loro messaggio semplificato e sostanzialmente scorretto, sono rimasti nella memoria della gente e dei politici. Diversamente, il chiarimento di Keppler e colleghi è rimasto confinato nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Certo, con il tempo la comunità scientifica ristabilirà le giuste proporzioni, rinnovando l’interesse su ciò che di buono contiene questo studio e dimenticando le esagerazioni. Ma intanto, le estrapolazioni ardite e le interpretazioni forzate hanno causato incertezza e confusione. E questo, crediamo, non facilita di certo il rapporto - già travagliato - tra scienza e società.

References

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