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Characterization of an abandoned pastoral area in the Northern Apennines, Italy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 387-396 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0385-0030387
Published: Sep 20, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Research Articles

Guest Editors: 5° SISEF Congress (Grugliasco, TO - 2005)
« Forests and Society - Changes, Conflicts, Sinergies »
Collection/Special Issue: E. Lingua, R. Marzano, G. Minotta, R. Motta, A. Nosenzo, G. Bovio

Abstract

This paper reports the first results of an investigation carried out within the research project “Study and improvement of woods and shrubbery derived from abandoned agricultural areas” (RiSelvItalia Project). Changes occurred in the past 50 years in the pastoral area of S. Paolo in Alpe (Appennino Romagnolo, Northern Apennines, Italy) were described on the grounds of photo-interpretation of three sets of aerial photos (1955, 1976, 1997). A high reduction of the surface of sowable lands and pastures (from 80% to 33%) was pointed out, together with an increase of shrubbery (from 5% to 18%) and woods (from 0 to 42%). The characterization of woods, shrubbery and pastures was performed through structural transects and phyto-sociological investigations. Thus it was possible to reconstruct the dynamic series of vegetation, from grasslands belonging to the association Centaureo bracteatae-Brometum erecti (Festuco-Brometea) to woods referable to the association Aceri obtusati-quercetum cerridis (Querco-Fagetea). Investigations on meadows revealed also a good quality of pastures, not only in open grasslands (mean pastoral value - VP - of 30), but even in partially shrubby areas (VP 21). Some guidelines for a multi-purpose exploitation of the site are suggested, taking into account not only economic aspects, but also the conservation of environment and landscape.

Keywords

Abbandono colturale, Pascolamento estensivo, Boschi di neoformazione, Successioni secondarie

Introduzione 

Le cause dell’abbandono di terreni agricoli e pascoli sono da ricercarsi nei cambiamenti socio-economici, avvenuti in modo determinante in Italia a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, che hanno portato a profonde trasformazioni dell’uso del territorio. Il processo di colonizzazione di queste aree da parte della vegetazione spontanea è avvenuto con meccanismi e tempi diversi, che hanno portato ad una composizione specifica delle formazioni di post coltura diversificata a seconda delle condizioni stazionali, dell’uso del suolo precedente e della struttura del paesaggio agro-forestale ([14], [18]). Per quanto riguarda la situazione italiana, nelle Alpi e nelle Prealpi prevale una colonizzazione diretta di specie arboree ([20], [1], [15]), mentre nell’Appennino e nell’area mediterranea si assiste generalmente ad una dinamica più graduale e lenta, spesso caratterizzata da una fase intermedia ad arbusti ([24], [4], [8], [5], [23], [17], [16]). Anche nei casi di sola riduzione delle attività pastorali, si innescano fenomeni di ricolonizzazione da parte di specie arbustive ed arboree che, evolvendosi, vanno a ricostituire i boschi che si identificano con gli stadi maturi della serie della vegetazione ([3], [21]). Conseguentemente, oltre alla perdita di superficie, si assiste anche al decadimento qualitativo del cotico a causa della comparsa di specie non appetite dal bestiame che possono diventare dominanti. Queste, essendo poco utilizzate dagli animali, creano disparità fra offerta di fitomassa e consumo e, allo stesso tempo, anche perdita dei patrimoni genetici delle specie erbacee tipiche ([11], [13]).

Il presente lavoro è parte integrante di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (Progetto RiSelvItalia) riguardante lo studio del processo di ricolonizzazione delle aree abbandonate realizzato in tre aree nell’Appennino tosco-romagnolo, su una superficie complessiva di 6201 ettari.

Nel presente lavoro si analizza un’ampia area rurale in fase di abbandono (S. Paolo in Alpe) interessata dalla ricolonizzazione di specie arbustive ed arboree, che attualmente viene utilizzata in modo estensivo. L’obiettivo della ricerca è quello di analizzare le variazioni di copertura delle diverse tipologie di uso del suolo presente nell’area, di ricostruire le tendenze dinamiche in atto nella vegetazione e di valutare l’effetto del reingresso della componente legnosa sui principali parametri delle risorse pastorali.

Materiali e metodi 

L’area di studio è situata all’interno del Parco Nazionale “Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna” in località San Paolo in Alpe. L’indagine è stata condotta su una superficie di circa 214 ettari, situata tra 650-1100 m s.l.m., caratterizzata dalla presenza di pascoli aperti, arbusteti, boschi di neoformazione e boschi con un maggiore grado di maturità. Durante il periodo estivo, vengono portati al pascolo bovini, prevalentemente di razza Romagnola, allevati per la produzione di carne. Oltre al carico di animali domestici, è presente un elevato numero di animali selvatici, cinghiali e daini, e in misura minore cervi e caprioli, che contribuiscono al consumo della massa vegetale.

Il periodo di pascolamento varia a seconda dell’andamento stagionale dal mese di giugno ad ottobre.

Il clima della zona è di tipo temperato, caratterizzato da scarse precipitazioni in inverno ed estate e da piogge in autunno (più consistenti) e in primavera. L’area fa parte della sottoregioneipomesoxerica dell’Appennino, che si estende dai primi rilievi collinari fino a circa 800 m s.l.m., con piovosità compresa fra 700 - 1200 mm. Dalla quota di 800 m s.l.m. al crinale si sviluppa la variante temperata della regione axerica fredda, caratterizzata da elevata piovosità (1200 - 2000 mm) e da basse temperature ([22]).

Analisi dell’uso del suolo

L’analisi multitemporale dell’uso del suolo è stata effettuata utilizzando foto aeree realizzate negli anni 1955, 1976 e 1997 (riportate in scala 1:10000), riferendosi quando possibile ad un’unità cartografabile di 3.000 m2.

Sono state utilizzate le seguenti serie di foto aeree:

  • 1955: foto B/N; volo GAI; scala media fotogramma 1:33.000;
  • 1976: foto colori; Regione Emilia-Romagna; scala media fotogramma 1:12000;
  • 1997: ortofoto AIMA e foto IR-FC; volo Transitalia; scala 1:12000.

Per l’individuazione delle principali categorie d’uso del suolo si è fatto riferimento a Corine Land-cover III livello, secondo il metodo usato da altri autori ([6]). Nei due voli più recenti, per le categorie boschi e arbusteti, è stato possibile stimare il grado di copertura e una tipologia provvisoria, successivamente verificata con controlli diretti in campo. Infine, l’ausilio di un software GIS (ESRI-Arcview 3.2) ha permesso di confrontare e associare le informazioni derivanti dalla cartografia e dai rilievi in campo, per arrivare alla valutazione delle variazioni d’uso del suolo ed individuare le aree di recente espansione del bosco.

Caratterizzazione vegetazionale e pastorale dell’area di studio

All’interno dei 214 ha considerati, sono state individuate quattro aree caratterizzate da diversi usi del suolo e da diverse situazioni ambientali quali esposizione, pendenza e altitudine, denominate S. Paolo 1 (SP1, 28.03 ha), S. Paolo 2 (SP2, 67.76 ha), S. Paolo 3 (SP3, 41.39 ha) e S. Paolo in Alpe (SPA, 76.82 ha), ritenute rappresentative dell’intera area indagata. I primi tre casi, SP1, SP2, SP3 sono caratterizzati dalla presenza di superfici a pascolo, arbusteto e bosco, mentre in SPA prevale la superficie a pascolo e la componente legnosa della vegetazione è presente con singoli individui di Crataegus monogyna e Rosa canina.

Per quanto riguarda l’analisi vegetazionale, sono state distinte preliminarmente quattro tipologie sulla base della fisionomia della vegetazione (tenendo conto di struttura, copertura e forma di crescita dominante); le differenti tipologie individuate sono indicate con le seguenti sigle: boschi (BO), boschetti di neoformazione (BL), arbusteti (ARB), pascoli (P). Successivamente, sono stati eseguiti rilievi fitosociologici in cenosi rappresentative di ciascuna tipologia. Come indici di abbondanza sono stati utilizzati i valori stimati di classe di copertura, secondo una scala compresa tra 1 e 10 (1 = copertura da 1-10%; 2 = 11-20%; ecc.); con “r” sono state indicate le specie presenti con copertura inferiore all’1%.

Ai fini dell’inquadramento fitosociologico delle diverse tipologie vegetazionali, sono stati eseguiti 31 rilievi distribuiti nelle diverse aree.

I rilevamenti, raggruppati per tipologie fisionomiche, sono stati riuniti in una tabella grezza da cui, seguendo la procedura consueta delle indagini fitosociologiche, è stata ricavata una tabella strutturata (non riportata), sulla base della valenza floristico-ecologica delle specie e dell’affinità floristica tra i rilievi.

Sulla base dei dati raccolti e di quanto riportato in letteratura ([2]), è stato proposto un inquadramento fitosociologico (sintassonomico) delle diverse tipologie vegetazionali rilevate ed è stata ipotizzata la serie dinamica della vegetazione a cui riferirle.

Per ricavare ulteriori informazioni sulle dinamiche in atto, è stata presa in considerazione anche l’abbondanza relativa delle specie appartenenti alle diverse classi fitosociologiche. Per far questo, le singole specie sono state riferite alle classi fitosociologiche di appartenenza, secondo l’impostazione adottata da Mucina ([12]) e i valori di abbondanza di ciascuna specie (corrispondenti a classi di copertura) sono stati convertiti attribuendo a ciascuna classe un valore di copertura corrispondente a quello medio della classe stessa (1 = 5%; 2 = 15%, ecc.). Successivamente, è stata calcolata la copertura media per ogni specie e per ogni classe, tenendo conto del numero di rilievi effettuati nelle diverse tipologie vegetazionali.

L’analisi fitopastorale è stata condotta sui 31 rilevamenti utilizzati per l’indagine fitosociologica e su altri 9 rilevamenti eseguiti ad hoc. La caratterizzazione delle risorse pascolive è stata eseguita mediante l’analisi fitopastorale ([9], [10]). Di ogni singola specie rilevata è stato calcolato il contributo specifico Csi (ossia l’apporto percentuale di una specie alla composizione della vegetazione) e poi il valore pastorale con la seguente formula (eqn. 1):

\begin{equation} VP = \frac {\sum (CS_i \cdot IS_i)}{5} \end{equation}

dove ISi è un indice di bontà foraggera secondo una scala di valori variabili da 0 (specie di nessun interesse pabulare) a 5 (specie di ottima qualità e produttività). Il valore pastorale è invece un indice quali-quantitativo che esprime in percentuale lo stato del cotico rispetto al massimo teorico ([7]). Con questa formulazione il VP può variare da 0 a 100 e permette, attraverso opportuni coefficienti, anche il calcolo del carico animale potenziale. Per la determinazione del valore pastorale si è fatto riferimento ai più recenti indici specifici delle specie erbacee reperibili in letteratura ([7], [19]). Per questa parte dell’indagine, la tipologia fisionomica dei boschi di neoformazione (BL) è stata riferita all’unica categoria dei boschi (BO), perché la differenza tra questi due tipi di formazione, importante da un punto di vista vegetazionale, è stata ritenuta di scarso rilievo da un punto di vista pastorale.

Per meglio caratterizzare la dinamica relativa all’avanzamento degli arbusti e del bosco sulle superfici abbandonate, sono stati realizzati 3 transect di struttura all’interno delle aree precedentemente individuate escludendo l’area maggiormente interessata dall’attività pascoliva (SPA). I transect, di circa 500 m2 di superficie (T1: 6 x 72 m; T2: 9 x 73 m; T3: 9 x 50 m), sono localizzati ad un’altitudine compresa tra 800-900 m s.l.m. e presentano esposizioni variabili (NE e S). Nella loro realizzazione si è orientato il lato maggiore secondo la linea di massima pendenza, partendo da nuclei di bosco in modo da analizzare meglio le fasce ecotonali fra pascolo, arbusteto e bosco. Per quanto riguarda i rilievi strutturali facciamo riferimento alla metodologia già esposta da Pelleri et al. ([16]), in relazione allo scopo del lavoro e al minor rilievo dato a quest’aspetto.

Risultati e discussione 

Variazioni dell’uso del suolo

L’analisi multitemporale dell’uso del suolo di S. Paolo in Alpe evidenzia una progressiva riduzione delle superfici a pascolo e la scomparsa delle aree legate all’attività agricola, quali seminativi e prati stabili (Tab. 1). La scelta di considerare solo le superfici, che nel 1955 non erano boscate, ci ha permesso di studiare in modo specifico il fenomeno della ricolonizzazione di quest’area destinata in passato prevalentemente ad un’attività agricolo-pastorale.

Tab. 1 - Area di S.Paolo, confronto multi-temporale dell’uso del suolo (il codice è riferito alle categorie CORINE Land-cover).

Codice Uso del suolo 1955 1976 1997
ha % ha % ha %
21-23 seminativi-prati stabili 18 9 -- -- -- --
311 boschi di latifoglie -- -- 43 20 69 33
312 boschi di conifere -- -- 8 4 16 8
313 boschi misti -- -- -- -- 0 0
321 pascoli 151 71 111 52 70 33
322 arbusteti 11 5 31 15 38 18
331 affioramenti rocciosi 15 7 15 7 13 6
332 improduttivi (cop. 10-40%) 17 8 4 2 4 2
- Totale 213 100 213 100 213 100

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Da tale analisi, si osserva una sostanziale diminuzione dei pascoli, che dai 151 ha del 1955 passano ai 70.2 ha del 1997, arrivando a rappresentare solo il 33% dell’intera superficie. Nello stesso periodo, gli arbusteti hanno incrementato la loro presenza in maniera più consistente nei primi 20 anni rispetto al periodo 1976-1997. I boschi, assenti nel 1955 per le motivazioni inizialmente esposte, arrivano a rappresentare nel 1997 il 42% dell’intera superficie, ripartiti in boschi di latifoglie (33%) e rimboschimenti di conifere (8%). Tale aumento è causato sia dalla colonizzazione diretta dei pascoli naturali, che si è verificata principalmente in zone caratterizzate da una maggiore umidità del suolo ubicate in vicinanza di impluvi, sia dall’evoluzione delle aree colonizzate inizialmente dagli arbusteti.

Analizzando più nel dettaglio i mutamenti degli ultimi 20 anni (Tab. 2), si può notare come dei 111.6 ha di pascolo presenti nel 1976, solo 64 ha siano rimasti tali nel 1997, mentre le restanti superfici si sono trasformate in boschi di latifoglie (22.4 ha), arbusteti (20.7 ha) e solo 1.4 ha in boschi di conifere (rimboschimenti). Nel 1997, il 92% della superficie a pascolo è rimasta stabile rispetto al 1976, mentre solo per il 6% è derivata da arbusteti. Inoltre, dei 31.3 ha di arbusteto del 1976, 17.3 ha sono rimasti tali nel 1997 e 9.7 ha sono evoluti in bosco di latifoglie.

Tab. 2 - Area di S.Paolo, tabella incrociata di confronto dell’uso del suolo fra gli anni 1976-1997 (il codice è riferito alle categorie CORINE Land-cover).

Uso del suolo 1997 Codice Uso del suolo 1976 (superficie in ha)
311 312 313 321 322 331 332 Totale
1997
boschi di latifoglie 311 36.0 - - 22.4 9.7 0.3 1.4 69.8
boschi di conifere 312 6.3 8.4 - 1.4 0.6 - - 16.7
boschi misti 313 0.6 - 0.0 - - - - 0.6
pascoli 321 0.0 - - 64.1 3.8 1.5 0.8 70.2
arbusteti 322 0.0 - - 20.7 17.3 - - 38.0
affioramenti rocciosi 331 0.3 - - - - 13.4 - 13.7
improduttivi (cop. 10-40%) 332 0.0 - - 3.0 - - 1.8 4.8
- Totale 1976 43.2 8.4 0.0 111.6 31.4 15.2 4.0 213.8

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A conferma di quanto accennato prima per il pascolo, i 38.0 ha di arbusteto del 1997 derivano in parte dalla componente stabile, appena evidenziata, e in parte dalla colonizzazione di pascoli (20.7 ha). Dall’analisi delle foto del 1997 e dal controllo a terra, è stata rilevata la composizione delle formazioni di post-coltura presenti nell’area: tra gli arbusteti dominano quelli a prevalenza di rosacee (69%), seguiti dai ginepreti (20%) ed in misura minore dai ginestreti-pteridieti (11%). Tra i neo boschi prevalgono quelli riconducibili agli ostrio-querceti (61%), seguono i rimboschimenti (19%), i popolamenti a prevalenza di faggio (14%) ed altre formazioni arboree (6%).

Caratterizzazione vegetazionale

Nei 31 rilevamenti fitosociologici eseguiti sono state censite 245 specie, così ripartite nelle diverse tipologie fisionomiche: 88 nei boschi, 90 nei boschetti di neoformazione, 154 negli arbusteti e 173 nei pascoli.

Come riportato in Tab. 4, le formazioni erbacee risultano essere dominate (36%) da specie della classe Festuco-Brometea (praterie aride e semiaride centroeuropee e submediterranee). Seguono a distanza (22.7%) le entità riferibili alla classe Molinio-Arrhenatheretea (pascoli e prati secondari su suoli più o meno umidi e fertili). Le specie di questa classe possono, essere considerate indici di condizioni più mesofile rispetto alle specie della classe Festuco-Brometea.

Tab. 4 - Percentuali delle coperture medie calcolate per ogni classe fitosociologica nelle diverse tipologie fisionomiche della serie dell’aceri-cerreta.

Classi fitosociologiche P ARB BL BO
Festuco-Brometea 36 20 14 8
Molinio-Arrhenatheretea 22 14 5 3
Quercetea pubescentis 2 3 21 36
Querco-Fagetea 1 5 28 40
Rhamno-Prunetea 6 29 19 4
Trifolio-Geranietea 2 4 3 2
Altro 29 21 7 5
Totale 100 100 100 100

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Sulla base dei rilievi effettuati, è possibile ipotizzare un inquadramento fitosociologico dello stadio iniziale della serie nell’associazione Centaureo bracteatae-Brometum erecti, inquadrabile nell’alleanza Bromion erecti e nella classe Festuco-Brometea.

La serie dinamica prosegue con formazioni arbustive in cui predominano le specie della classe Rhamno-Prunetea, cioè specie di arbusteti, mantelli forestali e siepi (29.1%). Nei rilevamenti degli arbusteti, le specie delle classi di vegetazione erbacea prima citate sono presenti con una percentuale rispettivamente del 20.7% (Festuco-Brometea) e del 14.8% (Molinio-Arrhenatheretea): la minore distanza tra le due classi ben si spiega con la maggiore copertura esercitata dalle specie arbustive a livello del suolo. La presenza non trascurabile di specie riconducibili alla classe Trifolio-Geranietea della vegetazione degli orletti forestali (4.9%) e alle classi di vegetazione forestale delle Querco-Fagetea (5.6%) e delle Quercetea pubescentis (3.9%) è da mettere in relazione con un maggior grado di evoluzione della vegetazione verso cenosi più mature.

Nella tipologia corrispondente al successivo stadio di evoluzione (boschetti di neoformazione), diventano dominanti (28.7%) le specie della classe Querco-Fagetea (boschi caducifogli mesofili), seguite (21.8%) da quelle della classe Quercetea pubescentis (foreste submediterranee termofile e più o meno xerofile) e dalle specie arbustive ricolonizzatrici della classe Rhamno-Prunetea (19.8%). Parallelamente, le specie erbacee prative subiscono un ulteriore calo, con una presenza rispettivamente del 14.2% (Festuco-Brometea) e del 5% (Molinio-Arrhenatheretea): seppure in diminuzione, la loro non trascurabile presenza testimonia la passata esistenza di cenosi prative.

L’aumento delle specie nemorali a discapito di quelle prative si accentua nelle cenosi boschive più mature, dove le specie della classe Querco-Fagetea aumentano il loro grado di copertura (40%), così come quelle della classe Quercetea pubescentis (36.1%), mentre le percentuali relative alle specie degli arbusteti e dei prati diminuiscono rispetto agli stadi precedenti: Rhamno-Prunetea 4.6%, Molinio-Arrhenatheretea 3.4%, Festuco-Brometea 8.3%.

Sulla base dei dati raccolti, lo stadio finale della serie può essere riferito all’associazione Aceri obtusati-quercetum cerridis, inquadrata nell’alleanza Ostryo-Carpinion orientalis e descritta da Allegrezza ([2]) come bosco misto mesofilo a dominanza di Quercus cerris su litologie calcareo-silicee e marnoso-arenacee.

Nel complesso, la serie dell’aceri-cerreta appare caratterizzata dalla tendenza verso una maggiore mesofilia col procedere verso stadi più maturi. Gli stadi iniziali sono rappresentati da formazioni prative relativamente termo-xerofile, mentre con il procedere della serie si assiste ad una progressiva diminuzione delle specie prative (Festuco-Brometea, Molinio-Arrhenatheretea) e alla comparsa dapprima di specie tipiche degli arbusteti di ricolonizzazione (Rhamno-Prunetea) e poi di specie nemorali (Querco-Fagetea e Quercetea pubescentis). Negli stadi intermedi di arbusteto e prebosco, non è trascurabile la presenza di specie erbacee degli orletti forestali (Trifolio-Geranietea).

Nei boschetti di neoformazione, il carattere di transizione è rivelato da valori di copertura ripartiti principalmente tra specie delle classi Querco-Fagetea, Quercetea pubescentis e Rhamno-Prunetea. Fisionomicamente, il carattere di transizione è evidenziato dalla codominanza di specie arboree (Acer campestre, Ostrya carpinifolia, Fraxinus ornus, Quercus cerris) ed arbustive (Crataegus monogyna, Rosa canina, Cornus mas, Cornus sanguinea, Prunus spinosa).

Col passaggio a cenosi boschive più mature, diventano dominanti specie arboree quali Quercus cerris, Acer obtusatum, Ostrya carpinifolia e specie arbustive ed erbacee dei boschi mesofili (Querco-Fagetea); specie relativamente termofile come Acer campestre e Fraxinus ornus, seppur presenti, sono meno rappresentate rispetto ai boschetti di neoformazione.

Indagine strutturale

I risultati dell’indagine strutturale saranno oggetto di un prossimo contributo finalizzato a caratterizzare le varie fasi delle serie dinamiche riscontrate in tutte le aree indagate con il progetto RiSelvItalia. Nel presente lavoro si forniscono solo alcuni elementi descrittivi per meglio evidenziare l’ambito in cui sono stati realizzati gli studi vegetazionali e per valutare l’effetto del reingresso della componente legnosa sui principali parametri delle risorse pastorali.

Vengono di seguito descritti i transect analizzando il contributo delle singole specie secondo il grado di copertura (Tab. 3).

Tab. 3 - Copertura (espresso in percento sul totale) delle specie arboree ed arbustive presenti all’interno dei 3 transect di struttura (con “altre” si raggruppano le specie con una copertura inferiore all’1%).

Transect Specie
arboree
Copertura
(%)
Specie
arbustive
Copertura
(%)
T1 Acer campestre 14.6 Rosa canina 37.2
Quercus cerris 7.5 Crataegus monogyna 25.7
Acer pseudoplatanus 2.1 Prunus spinosa 9.7
Fraxinus excelsior 1.6 Juniperus communis 3.9
Pyrus pyraster 1.3 - -
altre 0.2 - -
T2 Quercus cerris 7.6 Crataegus monogyna 14.2
Malus sylvestris 2.2 Prunus spinosa 5.6
altre 0.7 Rosa canina 3.9
- - altre 0.6
T3 Pyrus pyraster 8.8 Crataegus monogyna 21.7
Fraxinus ornus 5.2 Rosa canina 6.6
Acer campestre 3.2 altre 0
Acer pseudoplatanus 1.6 - -

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  • Il transect 1 è stato realizzato nell’area SP1, partendo dal margine di un bosco a prevalenza di cerro, ed è ubicato in un basso versante esposto a nord-est dove si riscontra un’evidente rottura di pendio. La parte alta è caratterizzata da una pendenza elevata (35°) e da un suolo superficiale; la parte bassa, ubicata in vicinanza dell’impluvio, presenta pendenze minori (15°) e una maggiore profondità del suolo. La componente arbustiva è caratterizzata dalla rosa canina e dal biancospino e in misura minore dal prugnolo e dal ginepro; quest’ultimo è presente prevalentemente nella parte alta del transect, ancora scarsamente invasa dagli arbusti. Tra le specie arboree dominano l’acero campestre ed il cerro. Le migliori condizioni stazionali della parte bassa rendono possibile anche la colonizzazione da parte di specie arboree più mesofile come il frassino maggiore, l’acero montano e l’acero opalo.
  • Il transect 2 è stato effettuato nell’area SP2, partendo da un piccolo boschetto di cerro, in medio versante con esposizione sud e pendenza uniforme di 23°. La componente arbustiva è rappresentata principalmente dal biancospino, dal prugnolo e dalla rosa canina. Tra le specie arboree, dominano il cerro ed il melo selvatico; la presenza di quest’ultimo è probabilmente favorita anche dalla vicinanza di un frutteto abbandonato.
  • Il transect 3 è stato realizzato nell’area SP3, partendo da un boschetto in vicinanza di un impluvio, ubicato in basso versante su un pendio esposto a sud e con pendenza di 18°. Anche in questo caso la componente arbustiva è dominata dal biancospino e dalla rosa canina, mentre tra le specie arboree dominano il perastro, l’orniello e l’acero campestre. La presenza di portasemi in prossimità dell’impluvio rendono possibile la colonizzazione anche da parte di specie più esigenti come il frassino maggiore, l’acero opalo e l’acero montano.

Dall’indagine strutturale è stato riscontrata una relativa omogeneità della composizione dei mantelli arbustivi, rappresentati da specie delle Rhamno-Prunetea; mentre si osserva una maggiore variabilità nella composizione della componente arborea, che sebbene caratterizzata da specie a temperamento prevalentemente termofilo e comportamento pioniero (acero campestre, orniello, perastro) si arricchisce di altre specie al variare delle condizioni ecologico-stazionali e del precedente uso del suolo.

Caratterizzazione pastorale

Dall’analisi dei dati raccolti si evidenzia, per quanto riguarda la componente erbacea, la presenza di specie interessanti da un punto di vista pastorale. Nelle tipologie fisionomiche a pascolo (P) e ad arbusteto (ARB) le specie con contributo specifico (CS) medio più elevato sono, fra le graminacee: Bromus erectus, Brachypodium rupestre, Cynosurus cristatus ed in misura minore Anthoxanthum odoratum e Dactylis glomerata; fra le leguminose: Trifolium pratense, Ononisspinosa e Lotuscorniculatus, diffuso ovunque anche se con contributo specifico minore rispetto alle altre specie della sua famiglia. Fra le specie appartenenti alle altre famiglie, Achillea millefolium e Thymus pulegioides sono caratterizzate da CS elevati. Nella tipologia fisionomica a bosco (BO) si nota un netto cambiamento della composizione floristica: tra le graminacee aumenta il CS medio di Brachypodium rupestre, già presente negli arbusteti, e di Brachypodium sylvaticum. Le leguminose sono rappresentate con bassi contributi dai trifogli. Fra le specie delle altre famiglie permane, anche se con contributo specifico ridotto, Achillea millefolium e compaiono specie tipiche del sottobosco come ad esempio Polysticum setiferum e Daphne laureola.

In Fig. 1 è rappresentata la distribuzione del contributo specifico delle diverse famiglie botaniche (graminacee, leguminose e altre famiglie) nelle tipologie fisionomiche individuate. Si può notare come i CS più elevati siano quelli relativi alle altre famiglie, fatta eccezione per il caso di SPA, dove prevalgono le graminacee. Passando dalla tipologia a pascolo a quella a bosco, si assiste ad una netta riduzione del CS medio delle leguminose, con scomparsa di tali specie nel caso di SP3. Per le graminacee si osserva un andamento diverso a seconda dei casi; nel bosco, in SP1 e SP2, si verifica un aumento del loro contributo specifico, dovuto alla presenza di Brachypodium spp. e alla persistenza di Bromus erectus. Infine, le specie appartenenti alle altre famiglie sono presenti in tutte le situazioni con contributi specifici elevati.

Fig. 1 - Distribuzione del contributo specifico delle diverse famiglie botaniche nelle tipologie fisionomiche individuate nelle 4 aree di studio.

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Il fattore che sembra influenzare negativamente la composizione e la qualità del cotico erboso è senza dubbio la componente arbustiva ed arborea. In Tab. 5 sono riportate le variazioni del contributo specifico delle specie legnose, delle leguminose e del VP per le tre tipologie fisionomiche nelle quattro aree di prova.

Tab. 5 - Variazioni del contributo specifico di specie legnose (LS), leguminose (LE) e del valore pastorale della componente erbacea (ER) per le tre tipologie fisionomiche nelle quattro aree di prova.

Tipo SP1 SP2 SP3 SPA
CS VP CS VP CS VP CS VP
LS LE ER LS LE ER LS LE ER LS LE ER
P 7 20 24 10 16 30 0 14 32 1 13 33
ARB 34 16 25 37 9 24 34 1 13 --- --- ---
BO 34 2 22 63 1 15 47 0 10 --- --- ---

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Si può notare come all’aumentare del contributo specifico delle legnose, cioè passando dalla tipologia fisionomica a pascolo a quella a bosco, corrisponda una diminuzione del contributo specifico delle leguminose erbacee e di conseguenza del valore pastorale. Le leguminose infatti riducono la loro presenza sotto la copertura di specie legnose a causa della notevole sensibilità nei confronti dell’ombreggiamento. Di conseguenza, si assiste ad un decadimento della qualità della componente erbacea da imputare alla scarsa presenza di leguminose. Fa eccezione il caso di SP1, nel quale ad un basso contributo specifico di leguminose corrisponde un discreto valore pastorale. Tale dato è da mettere in relazione, come accennato in precedenza, alla persistenza di Bromus erectus, che ha influenzato positivamente il valore pastorale.

Si può affermare che da un punto di vista qualitativo i pascoli presenti a San Paolo sono da considerarsi buoni; infatti, il valore pastorale nella tipologia fisionomica a pascolo è in media di 30, con valore massimo di 33 nel caso SPA e minimo di 24 nel caso SP1, sicuramente a causa delle più difficili condizioni stazionali. In tale area, la maggiore pendenza e la presenza di terreno superficiale e di roccia affiorante (come illustrato in precedenza, a proposito dell’indagine strutturale) hanno contribuito ad un impoverimento della vegetazione erbacea che presenta numerose specie adattate a questo tipo di ambiente e poco appetite dagli animali domestici. Nelle aree arbustive il valore pastorale presenta valori minori (21), che però indicano ancora una discreta qualità della componente erbacea. Gli arbusti, infatti, non avendo raggiunto un’altezza elevata ed essendo concentrati in piccoli gruppi, non modificano negativamente le condizioni idonee all’insediamento della vegetazione erbacea tipica delle zone a pascolo aperto. Nelle formazioni a bosco, il VP diminuisce nettamente in quanto le specie più gradite agli animali tendono a scomparire, ad eccezione di qualche sporadica graminacea che permane sotto copertura.

Conclusioni 

Le indagini condotte fino ad ora hanno permesso di evidenziare nella zona di S. Paolo le fasi del processo di ricolonizzazione da parte della vegetazione arbustiva ed arborea, che a partire dalla metà del secolo scorso, ha interessato le superfici precedentemente utilizzate a pascolo e in minor misura a seminativo. Nel corso di quattro decenni, queste sono passate dall’80% della superficie complessiva al 33%. Nonostante ciò, nella zona sono presenti attualmente aree a pascolo e aree con invasione arbustiva caratterizzate da un cotico erboso con un valore pastorale buono e perciò in grado di sostenere l’attività zootecnica anche se estensiva. Per quanto riguarda la loro gestione, sarà necessario sostituire l’attuale forma di pascolamento brado con una forma più razionale, come il pascolamento turnato, in grado di sfruttare al meglio la produzione erbacea durante il periodo di permanenza degli animali in queste aree. Ciò sarà utile, non solo per contrastare l’avanzamento delle specie legnose nelle aree maggiormente vocate per l’allevamento, ma anche per mantenere in queste una buona qualità dei cotici erbosi. Inoltre, per definire correttamente la tecnica di pascolamento sarà necessario venire a conoscenza del carico dei selvatici che gravitano in quest’area.

Le restanti superfici, caratterizzate dall’avanzamento degli arbusteti e del bosco, potranno essere lasciate all’evoluzione naturale; in alcuni casi, la presenza di specie arboree di pregio quali il frassino maggiore, l’acero di monte, l’acero opalo potrà giustificare interventi selvicolturali localizzati di tipo puntuale in grado di avvantaggiare queste specie.

Le proposte di gestione sopra esposte dovranno essere necessariamente pensate tenendo conto della multifunzionalità del parco nazionale e affiancando all’aspetto produttivo quello paesaggistico-ambientale. In questa prospettiva, è auspicabile che in alcune aree siano conservati anche tratti di vegetazione arbustiva, con funzione di corridoi ecologici e rifugio per l’avifauna.

Note al lavoro 

Lavoro realizzato nell’ambito del Progetto finalizzato RiSelvItalia finanziato dal MiPAF (Ricerca 3.1.8 - Studio e valorizzazione dei boschi e dei cespuglieti di neoformazione originatisi nelle aree agricole abbandonate). L’indagine multitemporale dell’uso del suolo e la caratterizzazione fisionomico-strutturale delle formazioni di post-colura sono state curate da Giulietti e da Ferretti, Milandri e Pelleri. La caratterizzazione vegetazionale è stata curata dalla Signorini e da Romagnoli e Venturi. La caratterizzazione pastorale è stata curata dalla Bianchetto e da Argenti.

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