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The Pollino national park in between ecology and development

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 310-314 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0398-0003
Published: Sep 20, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

The Pollino national park covers an area of 192500 ha across Calabria and Basilicata regions (Southern Italy) and includes three main mountain ranges: “Massiccio del Pollino”, “Monti di Orsomarso” and “Monte Alpi”. Pinus leucodermis is the most important forest tree species, covering an area of 5678 ha, 62% of which is located on the “Massiccio del Pollino” and 38% along the two regional coastlines. Moreover, the very rich and various wildlife living within the park is of remarkable interest, though it has been depauperated through time by the intervention of man. Forest management and planning are fundamental for the preservation of the park, since local forest exploitation is often in contrast with conservation purposes. Management strategies should be applied within the protected areas with the aim of preserving the actual and potential biodiversity of the forests, which often is a priority habitat for the flora and fauna. The establishment of protected areas like the Pollino national park may be a neat example of how to counterbalance local economic growth and development with nature protection purposes.

Keywords

Pollino national park, Forest management, Conservation, Southern Italy

Premessa 

La diversità biologica, a tutti i livelli, da quello sottospecifico a quello di specie, di comunità e di ecosistema, è di fondamentale importanza per la continuità della vita sul nostro pianeta ([13], [15]). Essa consente agli ecosistemi ed alle specie che li costituiscono di superare i cambiamenti e le avversità ambientali, adattandosi alle mutate condizioni. La diversità biologica è una risorsa fondamentale e insostituibile anche per il genere umano e solo di recente (Convenzione di Rio 1992) il problema è diventato d’interesse mondiale e si è posto al centro dell’opinione pubblica e delle scelte politiche che i vari governi sono chiamati a fare. Negli ultimi decenni l’impatto antropico sugli ambienti naturali, e sulle foreste in particolare, è diventato sempre più pressante in conseguenza dell’aumento della popolazione, delle nuove esigenze che il vivere moderno ci impone e dell’uso della tecnologia. Gli effetti di queste azioni sono note a tutti: deforestazione, erosione dei suoli, desertificazione, perdita di biodiversità a tutti i livelli con la scomparsa di specie, sottospecie, habitat ed ecosistemi ([6]). Si impone, quindi una attenta valutazione degli interventi sull’ambiente attraverso una corretta azione di valorizzazione e conservazione del patrimonio naturalistico di cui le foreste ne rappresentano la parte più importante per il nostro territorio ([7]). In questo senso per la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali grande importanza assume l’istituzione di Parchi e Aree Protette. La legge quadro sulle Aree Protette (L. 394/91), adottata in Italia nel 1991, ha previsto l’istituzione di nuovi Parchi Nazionali in aggiunta ai 6 storici: Parco Nazionale d’Abruzzo, Parco Nazionale del Gargano, Parco Nazionale del Gran Paradiso, Parco Nazionale dello Stelvio, Parco Nazionale del Circeo e il Parco Nazionale del Pollino. Nella presente nota verranno descritti i caratteri più salienti di uno dei Parchi più grandi d’Italia, il Parco Nazionale del Pollino.

Il Parco Nazionale del Pollino e i suoi boschi 

Il Parco Nazionale del Pollino è situato tra Calabria e Basilicata, è esteso per 192.500 ha ed è costituito da tre gruppi montuosi principali: il Massiccio del Pollino, i Monti di Orsomarso e il Monte Alpi. Il Massiccio del Pollino presenta le più alte montagne dell’Appennino meridionale: Serra Dolcedorme (2267 m), Monte Pollino (2248 m), Serra del Prete (2181 m) e Serra di Crispo (2053 m - [5]). I Monti di Orsomarso si elevano nella parte sud occidentale del Parco e sono caratterizzati da una spettacolare presenza di monoliti e di particolari forme rocciose come Pietra Campanara, Pietra Portusata e Tavola dei Briganti. I rilievi montuosi sono caratterizzati da spettacolari gole originate dall’erosione dei corsi d’acqua presenti in quest’area come le famose Gole del Raganello, dove molti rapaci, trovano il loro ambiente ideale per nidificare. L’intero territorio del Parco si può suddividere in quattro fasce ideali denominate orizzonti o fasce di vegetazione: termomediterranea, mesomediterranea, supramediterranea e supratemperata ([11], [9], [14]). È opportuno sottolineare che la zonazione in fasce altitudinali ha un significato orientativo poiché le diverse condizioni locali, edafiche e microclimatiche rendono la composizione floristica e vegetazionale così ricca e varia da essere difficilmente “costretta” in schemi e limiti ben definiti. La fascia termomediterranea (da 0 a 200-300m) è caratterizzata da un clima di tipo mediterraneo decisamente caldo e arido con prolungate estati siccitose, la vegetazione forestale è rappresentata principalmente dalla macchia mediterranea. Il tipo di macchia più diffusa è quella a Lentisco (Pistacia lentiscus L.) e Mirto (Myrtus communis L.), ai quali si associano l’Olivastro (Olea europea L.) e l’Ilatro comune (Phillyrea latifoglia L.). In questo contesto la macchia rappresenta una formazione primaria in equilibrio con i fattori climatici o edafici e non suscettibile di ulteriore evoluzione. Salendo di quota si passa alla fascia mesomediterranea (da 200-300 a 1000-1100m) caratterizzata da un clima fresco e umido con estati meno siccitose. Le formazioni forestali che caratterizzano il paesaggio di questa ampia fascia di territorio sono i querceti mediterranei a dominanza di sclerofille sempreverdi. Si tratta in primo luogo di boschi di Leccio (Quercus ilex L.), espressione del mondo mediterraneo a cui si associano a seconda dei differenti contesti ecologici l’Orniello (Fraxinus ornus L.) e l’Acero minore (Acer monspessulanum L.). La fascia supramediterranea (da 1000-1100 a 1200-1400m), caratterizzata da un clima di tipo mediterraneo nettamente più freddo e umido rispetto alle due fasce precedenti, si distingue per la presenza di querceti caducifogli composti da Cerro (Quercus cerris L.), Farnetto (Q. farnetto Ten.) e Roverella (Q. pubescens Willd.). Formazioni forestali di estrema rilevanza naturalistica sono le Acerete del Monte Sparviere (1713m), nel versante ionico, che adunano in una straordinaria convivenza arborea, cinque specie di acero: Acero campestre (Acer campestre L.), Acero di monte (A. pseudoplatanus L.), Acero di Lobel (A. lobelii L.), Acero di Ungheria (A. obtusatum L.) e Acero riccio (A. platanoides L.). Il cambiamento dei parametri termopluviometrici tra cui la diminuzione della temperatura, l’aumento delle precipitazioni (anche nevose) determinano il passaggio alla fascia supratemperata (da 1000-1100 a 1900-2000m). Questo bioclima di tipo temperato è caratteristico dell’Europa media e penetra nel cuore del Mediterraneo attraverso le catene montuose che in esso si protendono come quella appenninica e permette la discesa di specie e formazioni vegetali tipiche dell’Europa media come le faggete (Fagus sylvatica L.). Queste formazioni sulle montagne mediterranee si arricchiscono di specie particolari così il loro corteggio floristico risulta sostanzialmente diverso da quello che presentano nell’Europa media ([3]). Su limitate aree del Pollino localizzate tra 1500 e 1700 m è presente l’Abete bianco appenninico (Abies alba Mill.), nuclei estesi di questa conifera sono presenti sul Massiccio del Pollino, soprattutto nel versante nord-orientale sotto la Serra di Crispo, estremamente particolari in quanto l’Abete bianco forma dei boschi misti con il Faggio e il Pino loricato (Pinus leucodermis A.) specie quest’ultima che rende unico sotto l’aspetto vegetazionale il suddetto Parco ([17]).

Il Pino loricato: ecologia e distribuzione 

Il Pino loricato è il protagonista indiscusso del Parco Nazionale del Pollino, è una specie forestale europea ad areale circoscritto all’Italia e alla porzione centro-occidentale della Penisola Balcanica (Fig. 1). In Italia la specie, che un tempo doveva occupare nel piano sub-montano e montano dell’Appennino calcareo meridionale un’estensione notevolmente superiore rispetto a quella attuale, è ora presente in quattro distinti gruppi naturali di vegetazione: due a distribuzione appenninica (Alpi-Spina-Zàccana; in Basilicata e Pollino in Calabria e Basilicata) e due a distribuzione costiera (Palanuda-Pellegrino e Montéa in Calabria - [2]). Complessivamente l’area di distribuzione italiana del Pino loricato è di 5.678 ha, ricadenti per il 62% nel Massiccio del Pollino, per il 38% nei due settori costieri. Riguardo alle esigenze edafiche e stazionali è una specie eliofila, xerofila e calcicola, molto resistente al clima d’altitudine e alla aridità estiva mediterranea, capace di vegetare su suoli, litosuoli e rocce calcaree e/o dolomitiche di ere geologiche diverse ([10]). Nei gruppi naturali, le migliori formazioni si trovano nel piano montano inferiore, a un’altitudine compresa tra i 1200-1300 m e i 1700-1800 m, con preferenza per le esposizioni calde dei quadranti ovest e sud-ovest, i dolci pendii soleggiati le zone di difficile esbosco e lontane dalle aree pascolive. Dai 1800 ai 2000 m del piano montano superiore di Monte Alpi, Cozzo del Pellegrino e del Massiccio del Pollino, il Pino loricato si trova a vegetare allo stato naturale in competizione col Faggio e con poche altre latifoglie mesofile. Le migliori formazioni di Pino loricato si trovano sul Massiccio del Pollino, dove domina incontrastato sulle pareti rocciose e sulle creste esposte ai venti più impetuosi, rivelando come già detto la sua forte adattabilità alle orografie più accidentate conferendo all’ambiente effetti paesaggistici di straordinaria bellezza, tali da eleggere la specie a simbolo del Parco ([1], [3]). Le pinete di loricato presenti sul Massiccio del Pollino, rivestono particolare importanza perché rappresentano i resti della foresta primordiale d’alta quota dell’Appennino meridionale. La presenza di questi alberi eccezionalmente vecchi è di notevole importanza perché gli alberi sono i più vecchi esseri viventi conosciuti e vi è un crescente interesse culturale e scientifico per le numerose informazioni che sono immagazzinate in queste “banche dati biologiche” ([18], [16]). L’azione negativa legata all’uomo, che si manifesta soprattutto col calpestio del pascolo transumante estivo-autunnale, col fuoco d’origine dolosa, con il taglio e la slupatura delle piante più grosse di Pino loricato, è ancora oggi molto forte tanto da rendersi necessaria, in prossimità delle aree naturali più significative del prezioso endemismo arboreo una maggiore disciplina del rapporto bosco-attività pastorale, un puntuale controllo dei tagli e una diligente azione di prevenzione contro gli incendi ([19]).

Fig. 1 - Individui di Pino loricato all’interno del parco nazionale del Pollino.

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La fauna selvatica del Parco 

Il Pino loricato seppur fondamentale per l’immagine di questo importante Parco del sud Italia, non è l’unica bellezza presente in quest’area ([11]). Di notevole interesse è anche il patrimonio faunistico in passato molto ricco e vario, oggi ridotto dall’azione dell’uomo. Fra i grandi ungulati sono da ricordare il capriolo (Capreolus capreolus) presente nei Monti di Orsomarso con una piccola popolazione di non più 60-70 individui protetta e monitorata e il cervo rosso (Cervus elaphus) che è stato reintrodotto di recente. Fra i grandi erbivori non possiamo dimenticare il cinghiale (Sus scrofa) fortemente attratto dalla ricchezza di risorse dei querceti e dei pascoli e un grosso roditore, l’istrice (Hystrix cristata) perseguitato sia per i danni che provoca agli orti che per l’appetibilità delle carni. Fra i grandi predatori c’è da ricordare il lupo (Canis lupus) che ha trovato un suo habitat naturale all’interno del Parco in cui è rappresentato da numerosi branchi. La sopravvivenza di questo canide, è legata sia ad una migliore accettazione del suo ruolo da parte degli allevatori, e sia alla ripresa del bosco e della fauna spontanea. L’aumento del cinghiale e dei caprioli unitamente al ridimensionamento della pastorizia, possono portare al ripristino degli equilibri ecologici di un tempo. Grande importanza rivestono i rapaci che sono rappresentati da ben 12 specie diurne nidificanti, tra questi vanno ricordati l’Aquila reale (Aquila chrysaetos), il Falco pellegrino (Falco peregrinus), il Nibbio reale (Milvus milvus), il Gufo reale (Bubo bubo), ed il Capovaccaio (Neophron percnopterus). Altra fonte di attrazione è la presenza di interessanti insetti, tra questi si distinguono due coleotteri: il buprestide Buprestis splendens, e la Rosalia alpina, insetto molto appariscente per il suo colore azzurro con macchie nere. Il Pino loricato del Pollino ospita le uniche popolazioni italiane di Buprestis splendens perché la larva necessita per lo sviluppo di tronchi secolari di Conifere. Come molti, anzi tutti i parchi italiani, quello del Pollino non è però solo caratterizzato da un prezioso patrimonio naturalistico e faunistico. Ma anche da testimonianze storico-culturali, presenti sul territorio, e da tradizioni e saperi locali che si traducono ancora oggi in attività artigianali, risorse enogastronomiche tipiche, produzioni di qualità legate strettamente al contesto naturale in cui si svolgono.

Considerazioni gestionali 

Per la conservazione del Parco la pianificazione forestale rappresenta uno strumento fondamentale, le utilizzazioni forestali presentano problematiche complesse, infatti la conservazione di un bosco si rivela quasi sempre in antitesi con il suo sfruttamento economico. È necessario che il Parco elabori una propria strategia di politica forestale garantendo forme differenziate di gestione in base al valore di biodiversità reale e potenziale dei boschi, che spesso costituiscono habitat prioritari per specie animali e vegetali. Nel Parco Nazionale del Pollino risultano presenti 40 Siti di Importanza Comunitaria (SIC) ai sensi della Direttiva 92/43/CEE e 5 Zone di Protezione Speciali (ZPS) ai sensi della Direttiva 79/409/CEE, per un estensione complessiva di 44 mila ettari ([4]). Per la tutela dei SIC e delle ZPS i principali rischi derivano dal flusso turistico incontrollato, dagli incendi e dal pascolo che possono sia compromettere irreversibilmente la presenza di alcune specie simbolo del Parco, quali il lupo e il capriolo, che alterare la qualità delle biocenosi vegetazionali. In particolare per il pascolo sono necessarie soluzioni di carico capaci di tutelare i beni agro-silvo-pastorali orientandoli verso un uso tradizionale e non distruttivo degli ecosistemi ([8]). Al fine di garantire la tutela dei boschi inclusi nel perimetro del Parco sarebbe necessaria la redazione di un Inventario Forestale del Parco, con l’indicazione dei terreni soggetti a vincolo idrogeologico, degli immobili, delle alberature monumentali, delle aree di interesse forestale per la biodiversità ([12]). Una corretta gestione forestale deve però contemperare la necessità di utilizzare i boschi, con le esigenze di tutela e miglioramento degli stessi. Tale esigenza deve indurre il Parco ad elaborare una strategia capace di produrre un modo differenziato ed integrato di approccio alla questione, che garantisca legittimi interessi, ma ponga l’esigenza che la tutela non può essere affidata a mere enunciazioni di principio o ad inapplicati obblighi previsti dalla legge. Individuato il patrimonio forestale d’interesse del Parco (Inventario Forestale del Parco), è importante prevedere le forme di gestione più oculate ed attente tese: alla riqualificazione e al ripristino dei boschi d’interesse del Parco, a piani di riconversione da ceduo a fustaie in aree individuate dall’Inventario Forestale del Parco e a programmi specifici da individuare di concerto con le Amministrazioni Comunali e le Comunità Montane. Bisognerebbe creare, anche grazie ad idonei piani di assestamento, le condizioni per costituire dei soprassuoli efficienti in modo da aumentare le provvigioni legnose, i capitali capaci di fornire reddito ed assicurare al bosco la possibilità di assolvere le funzioni proprie salvaguardando quindi la valenza ecologica ed il pubblico interesse. Bisognerebbe proiettare il Parco, rispettando l’idoneità delle diverse zone, verso i mercati europei mediante gli assortimenti maggiormente richiesti dalle industrie di trasformazione dei prodotti legnosi. Appare comunque evidente che tale politica non deve rappresentare un espediente per diminuire le attuali e già scarse provvigioni nel tempo ma deve portare una normalizzazione delle strutture sulla base di un attivo dinamismo biologico delle varie formazioni forestali. Il Parco Nazionale del Pollino deve essere considerato dalle popolazioni locali come un’opportunità di sviluppo economico dovuta all’innescarsi di quel “valore aggiunto” che è rappresentato dall’intreccio di natura, cultura, attività tradizionali e arte nell’ambito di un lungimirante ed oculato piano di salvaguardia delle risorse naturali. La gestione del Parco deve essere perseguita pertanto attraverso un intervento globale per il quale è necessario predisporre una strategia che consideri tutte le componenti e le indirizzi verso l’obiettivo della tutela e salvaguardia attraverso azioni capaci di coinvolgere in modo non conflittuale i diversi soggetti operanti sul territorio nell’ottica del riordino di competenze e funzioni, oggi purtroppo disarticolate e frammentate.

Considerazioni conclusive 

Il Parco Nazionale del Pollino costituisce un modello di gestione ecologico-naturalistica, e rappresenta una sede privilegiata per un incontro e un confronto sul campo fra varie professionalità operanti sull’ambiente creando sinergie preziose per la migliore conoscenza degli ecosistemi naturali. La creazione dei Parchi e il Parco Nazionale del Pollino ne è un esempio, indica la volontà di ricercare un equilibrio tra la tendenza dell’uomo alla crescita e allo sviluppo, e la necessità di tener conto del concetto di limite applicato allo sviluppo. Non si può e non si deve utilizzare una qualsiasi risorsa se non si garantisce alle generazioni future che gliene sarà lasciata almeno una parte in eredità. Questa è la responsabilità della nostra generazione. L’aria, l’acqua, il suolo, gli animali, le piante, sono un capitale prezioso che dobbiamo custodire per la nostra salute innanzi tutto, ma anche per il piacere che ce ne deriva e per chi abiterà il pianeta dopo di noi.

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