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Development of the tree and shrub component and recovery techniques in a burnt pine forest, Castel Fusano, Rome

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 4, Pages 131-141 (2007)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0435-0040131
Published: Mar 21, 2007 - Copyright © 2007 SISEF

Research Articles

Guest Editors: 5° SISEF Congress (Grugliasco, TO - 2005)
« Forests and Society - Changes, Conflicts, Sinergies »
Collection/Special Issue: E. Lingua, R. Marzano, G. Minotta, R. Motta, A. Nosenzo, G. Bovio

Abstract

A five-year study (2000-2005) was established in a part of Castel Fusano (Rome) pinewood burned in 2000. The aims of the research were: i) to analyse the behaviour of the coenoses after fire; ii) to verify the post-fire growth and canopy recovery of the Mediterranean maquis; iii) to evaluate natural regeneration of italian stone pine (Pinus pinea L.); iv) to verify the effectiveness of italian stone pine plantation in enhancing the establishment of the forest cover. Permanent research plots were established to evaluate features and dynamics of the Mediterranean maquis as well as mortality and development of 1-year-old italian stone pine (ca.500 ha-1) seedlings. Two different plantation systems were applied: blocks of three seedlings at 8x8 m distance; one seedling at 5x5 m distance. After five growing seasons from the fire, only 700 stools ha-1 have resprouted, mainly holm oak (48%), whose only 38% of good vigour. Canopy cover of the broad-leaved species is not enough to assure a quick forest establishment. Combined pine plantation with the maquis species, has given satisfactory results, though the mortality was quite high because of the game damages. The block planting performed better for growth and survival of seedlings. This last plantation system could be a rational choice to assure, in a relative short time, forest recovery and mixed stands characterised by a considerable presence of natural vegetation.

Keywords

Coastal pinewoods, Italian stone pine, Burnings, Forest recovery

Introduzione 

La pineta di Castel Fusano, situata a pochi chilometri dalla capitale e inserita nella “Riserva Naturale Statale del Litorale Romano”, è uno degli esempi più conosciuti di pineta litoranea nel nostro paese. La sua origine risale a interventi di rimboschimento eseguiti progressivamente dagli inizi del ’700 fino all’immediato secondo dopoguerra ([20], [27]). Come altre pinete essa svolge una importante funzione protettiva alla quale si è sovrapposta negli ultimi decenni una crescente rilevanza sotto il profilo paesaggistico e ricreativo. Purtroppo, l’evento che più di altri l’ha resa famosa è stato il disastroso incendio del 4 luglio 2000 che ha interessato ca. 270 ha di pineta ([1], [8], [3]).

La ricorrenza degli incendi è uno degli aspetti che influenza maggiormente le dinamiche degli ecosistemi del bacino del Mediterraneo e molte specie hanno sviluppato nel tempo efficienti strategie di sopravvivenza, di adattamento e di risposta all’azione del fuoco ([22]). Particolarmente colpite risultano le pinete di pini mediterranei ([11], [25], [28], [10], [14], [26], [29]). Tra questi il pino domestico non ha sviluppato efficienti strategie di rinnovazione post - incendio: la maturazione triennale e non troppo precoce, il peso dei semi e la mancanza di serotinìa lo rendono particolarmente suscettibile all’azione reiterata del fuoco ([28]). Per tali ragioni le formazioni a pino domestico rappresentano un sistema estremamente delicato e, in molte stazioni, fortemente a rischio ([10]).

La scarsa capacità di adattamento del pino domestico agli incendi è quindi uno dei fattori da valutare attentamente nei programmi di recupero delle aree percorse dal fuoco nell’area mediterranea. L’interesse nell’ambito delle discipline ambientali per le iniziative di ripristino delle aree incendiate è ben documentato ([23], [21], [13], [4], [6], [26]) ma il consenso relativo agli obiettivi e alle tecniche da utilizzare non è unanime ([21], [6]). Le linee operative che potrebbero essere adottate si inseriscono all’interno di un ampio intervallo che va dall’evoluzione naturale al rimboschimento con tecniche tradizionali.

I vantaggi dell’evoluzione naturale sono di carattere ecologico-ambientale dovuti alla maggiore naturalità dei sistemi che si andrebbero a costituire; si profilerebbe inoltre il recupero delle aree a costo zero, confidando sulle capacità omeostatiche insite nell’ecosistema. La natura estremamente stocastica degli incendi ([12]) e la variabilità dell’ambiente mediterraneo rendono però difficile arrivare a conclusioni generalizzabili su questo aspetto. L’evoluzione delle specie della macchia può essere a volte lenta o insufficiente, in funzione della stazione, della densità di ceppaie ante-incendio, dello stato vegetativo delle piante ricaccianti, della sufficiente presenza di seme capace di germinare, delle caratteristiche fisico-chimiche del suolo e della stagione, intensità, tipologia e periodicità del fuoco ([24], [16], [5], [12]).

Il rimboschimento con metodi tradizionali, pur garantendo il ripristino della pineta in tempi brevi, presenta tutti i limiti di un impianto puro di conifere, primo tra tutti l’elevato rischio di incendio, soprattutto nel caso non si applichi un’opportuna selvicoltura di prevenzione ([17]). I nuovi orientamenti selvicolturali rendono fra l’altro poco proponibile l’adozione di tali tecniche su ampie superfici ([14], [26]).

Nei processi decisionali dovrebbero essere considerati, oltre agli aspetti di cui sopra anche fattori sociali, storici e culturali che spesso prevedono finalità e tempi di recupero in contrasto con quelli previsti dalla natura. È il caso dell’area di Castel Fusano nella quale, per le sue peculiarità, è necessario predisporre iniziative colturali indirizzate al ripristino della pineta in tempi relativamente brevi ([4]).

Una modalità di intervento alternativa, che integra i due approcci, è rappresentata dalla piantagione localizzata di semenzali di pino frammisti alle specie della macchia. Questa opzione, che in un certo senso si ricollega a quanto proposto da Pausas et al. ([26]) per i terreni degradati della penisola iberica, pur presentando una certa complessità gestionale, può configurarsi come una possibilità concreta per garantire il ripristino in tempi brevi di una adeguata copertura forestale e preservare la biodiversità, sfruttando al contempo il rapido accrescimento delle conifere e l’alta resilienza al fuoco delle specie della macchia.

In questo contesto si inserisce il presente contributo con il duplice obiettivo di analizzare la dinamica post incendio e testare interventi alternativi di piantagione. In particolare si intende: (i) analizzare il comportamento della cenosi dopo il passaggio del fuoco; (ii) verificare la capacità di resilienza delle specie della macchia in termini di crescita e di recupero della copertura; (iii) valutare la presenza della rinnovazione naturale di pino domestico; (iv) testare differenti tecniche di piantagione del pino domestico per accelerare la ricostituzione della copertura forestale.

Materiale 

I rilievi sperimentali sono iniziati nell’autunno del 2001 in una porzione della pineta di Castel Fusano e percorsa dall’incendio del 4 luglio 2000. Il soprassuolo prima dell’incendio era strutturato in un piano superiore costituito da una pineta di 50 anni di età a densità colma con sporadici individui di leccio e in un piano sottoposto caratterizzato da una buona presenza di leccio e delle altre specie della macchia (Tab. 1). La peculiare modalità di semina adottata (semina andante) e l’assenza di pratiche selvicolturali avevano condizionato fortemente la struttura del popolamento e la morfologia dei fusti del pino domestico: la struttura orizzontale si presentava aggregata per ciuffi o per gruppi compatti con fusti spesso sciabolati e chiome compresse e asimmetriche. La distribuzione del leccio risultava discontinua, la specie era principalmente presente nelle zone adiacenti ai sentieri dove, al momento della semina, la vegetazione originaria era stata preservata in modo quasi integrale e si rarefaceva progredendo verso l’interno. La maggior parte delle ceppaie era costituita da un adeguato numero di polloni, in buono stato vegetativo, di discreto sviluppo e con chiome relativamente ampie che talvolta raggiungevano il piano dominante. La mancanza di colturalità, oltre a condizionare fortemente struttura e morfologia, aveva innescato una forte competizione interindividuale con elevata mortalità e conseguente notevole accumulo di necromassa indecomposta ([2]). L’incendio del 4 luglio è stato di notevoli proporzioni e di forte intensità ([7]); l’elevata velocità del vento e la notevole massa combustibile presente hanno contribuito a rendere il passaggio del fuoco estremamente devastante distruggendo contemporaneamente il piano arboreo superiore, quello inferiore e gli strati arbustivi ed erbacei, provocando il denudamento del suolo.

Tab. 1 - Principali parametri dendrometrici del soprassuolo prima dell’incendio.

Specie Numero
n ha-1
Area basimetrica
m2 ha-1
Diametro medio
cm
Altezza media
m
Pino domestico 328 32.1 35.3 15.4
Leccio 722 5.8 10.1 9.5
Fillirea ssp. 168 0.5 6.4 4.8
Altre 23 0.1 6.6 5.1
Totale latifoglie 913 6.4 - -
Totale 1241 38.5 - -
% Leccio 58 15 - -

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Nell’area sopra descritta sono state delimitate e rese permanenti due parcelle sperimentali di 3600 m2 (45 x 80 m) ciascuna dove monitorare l’evoluzione della macchia e la rinnovazione naturale del pino.

Parallelamente sono state effettuate prove comparative di piantagione di pino domestico ad integrazione della vegetazione esistente, con l’obiettivo di accelerare la ricostituzione della copertura forestale e costituire un popolamento misto leccio e pino. L’assunzione di tale scelta è scaturita da due diversi fattori: da una parte la scarsa capacità di ricaccio delle ceppaie di latifoglie registrata nell’area di studio nell’inverno immediatamente successivo l’incendio, dall’altra l’insufficiente copertura osservata in aree limitrofe percorse dal fuoco negli anni ’70 (Fig. 1).

Fig. 1 - Immagine satellitare con parziale veduta della superficie incendiata nel luglio 2000. L’area evidenziata nel rettangolo è invece relativa agli incendi degli anni ’70.

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Metodo 

Dinamica post-incendio

Il primo rilievo sui ricacci delle specie della macchia e sull’eventuale presenza di rinnovazione naturale di pino, è stato effettuato nell’autunno 2001 individuando, in tutta l’area (7200 m2), le ceppaie morte e classificando quelle vive in base ad una valutazione sintetica-comparativa (A = buona, B = media, C = scadente) attribuita in funzione del numero, vitalità e sviluppo dei ricacci. I rilievi successivi, di maggior dettaglio, sono stati effettuati all’interno di un transetto di 1600 m2 (20 x 80 m) posto a cavallo tra le due aree. I rilievi sono stati effettuati nei mesi di marzo 2004, marzo 2005 e novembre 2005, così da considerare le stagioni vegetative 2004 e 2005.

All’interno del transect è stata rilevata la posizione topografica di tutte le ceppaie presenti e dei semenzali di pino di origine naturale, la specie, la vigoria, l’altezza massima della ceppaia e i diametri ortogonali della chioma per la determinazione dell’area di insidenza.

L’analisi dei dati ha previsto la restituzione grafica del profilo orizzontale, la determinazione del grado di copertura nei tre inventari e il calcolo del volume della chioma. Per valutare se le classi di vigoria - stabilite con criterio soggettivo - definivano realmente gruppi omogenei e diversificati di ceppaie, è stata effettuata l’analisi della varianza a una via ANOVA con il software STATISTICA (StatSoft, Inc. Tulsa, OK, USA) considerando come variabili indipendenti i parametri di altezza, diametro e volume della chioma nei tre inventari.

Piantagione di pino domestico

Il protocollo sperimentale applicato prevedeva due tesi (D1 e D2) diversificate per sesto di impianto e struttura dei nuclei di piantagione (Fig. 2). La prima integrazione di pino domestico è stata effettuata, con semenzali forniti dalla Tenuta Presidenziale di Castelporziano, nel novembre 2002. A causa di una elevata mortalità post-impianto da imputare presumibilmente alla prolungata siccità estiva del 2003 (dalla metà di febbraio alla fine di agosto la precipitazione è stata di soli 54 mm in 12 giorni piovosi), la piantagione è stata ripetuta nell’inverno dello stesso anno. Sono stati utilizzati semenzali di 1 anno, provenienti sempre dalla Tenuta Presidenziale di Castelporziano, collocati individualmente a distanza di 5x5m nella tesi D1 (400 piante ad ettaro) e in gruppi di tre e con sesto d’impianto di 8x8m in quella D2 (468 piante ad ettaro). La collocazione spaziale dei gruppi e dei semenzali singoli non ha seguito un criterio esclusivamente geometrico ma si è adattata alla presenza e allo sviluppo della vegetazione naturale.

Fig. 2 - Schema del protocollo sperimentale in cui sono indicate le due tesi di piantagione del pino e il transect per i rilievi di dettaglio sul ricaccio delle specie della macchia mediterranea.

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Il controllo dell’attecchimento, della mortalità e della vitalità individuale - in base allo sviluppo e allo stato vegetativo dei semenzali (vigorosi e scadenti) - sono stati realizzati annualmente con cadenza analoga ai rilievi effettuati sulla vegetazione naturale (marzo 2004, marzo 2005, novembre 2005); nell’ultimo inventario è stata inoltre rilevata l’altezza totale di ciascun semenzale di pino. I valori di altezza relativi alle due modalità di piantagione e alla vitalità dei semenzali sono stati comparati (t-test) per individuare le eventuali differenze tra le tesi di impianto.

Risultati 

Dinamica post-incendio

I rilievi sulle modalità di ricaccio della macchia mediterranea hanno permesso di valutare la capacità di ricaccio e di sviluppo nel tempo sia del leccio che delle altre latifoglie e di quantificare il numero di ceppaie la cui capacità generativa è stata compromessa dall’incendio. La fisionomia strutturale è risultata intimamente correlata alla situazione precedente l’incendio nella quale il contingente di specie arboree e arbustive risultava in condizioni di forte aduggiamento per l’estrema densità del piano superiore (Tab. 2). Allo stato attuale la superficie risulta occupata, per la componente arboreo-arbustiva, soprattutto da latifoglie sempreverdi capaci di rinnovarsi agamicamente quali il leccio, le due filliree (Phyllirea angustifolia L., Phyllirea latifolia L.), il lentisco (Pistacia lentiscus L.) e l’erica (Erica arborea L.). In tutta l’area è stata poi osservata una diffusa colonizzazione del cisto (Cistus sp.p.).

Tab. 2 - Numero di ceppaie ad ettaro e valori percentuale per specie e per classe di vigoria (A = buona; B = media; C = scandente) negli inventari successivi.

Specie Rilievo Numero di ceppaie ad ettaro Mortalità Classi di vigoria %
A B C Totale (%) A B C
Leccio Ottobre 01 124 120 90 334 - 37 36 27
Marzo 04 75 100 156 331 1 23 30 47
Marzo 05 75 88 169 331 - 23 26 51
Novembre 05 63 81 188 331 - 19 24 57
Fillirea ssp. Ottobre 01 131 97 65 293 - 45 33 22
Marzo 04 38 50 150 238 19 16 21 63
Marzo 05 38 56 144 238 - 16 24 60
Novembre 05 31 31 175 238 - 13 13 74
Altre Ottobre 01 13 23 37 73 - 18 31 51
Marzo 04 19 0 44 63 14 30 0 70
Marzo 05 19 0 44 63 - 30 0 70
Novembre 05 19 0 44 63 - 30 0 70
Totale Ottobre 01 268 240 192 700 - 38 34 28
Marzo 04 131 150 350 631 10 21 24 55
Marzo 05 131 144 356 631 - 21 23 56
Novembre 05 113 113 406 631 - 18 18 64

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Le classi di vigoria definite soggettivamente identificano realmente gruppi di ceppaie caratterizzati da uno sviluppo diversificato. I risultati dell’analisi della varianza nei tre inventari, hanno evidenziato valori di F per l’altezza (62.33, 76.52 e 98.26) e per l’area di insidenza delle chiome (116.25, 80.55 e 86.36) tutti altamente significativi (p < 0.01).

Il primo inventario (2001), ha evidenziato una buona capacità di ricaccio (circa il 20% delle ceppaie di latifoglie è risultato completamente distrutto dal fuoco) ma una scarsa vigoria delle ceppaie; complessivamente hanno ricacciato 700 ceppaie ad ettaro di cui solo il 38% mostra una buona vitalità (classe A), le potenzialità delle ceppaie risultano invece compromesse nel 28% dei casi censiti (classe C). Tra le specie presenti prevalgono il leccio (48%) e le filliree (42%), mentre scarsa è risultata la presenza di lentisco e di erica arborea (Tab. 2).

Nel marzo 2004 è stata registrata una limitata mortalità delle ceppaie ma una notevole perdita di vigoria evidenziata dalla consistente riduzione della classe A in tutte le specie presenti. Successivamente le ceppaie mantengono più o meno lo status raggiunto. Nell’ultimo inventario il leccio rimane la specie prevalente anche se le ceppaie di buon sviluppo risultano essere una quota limitata (19%).

I parametri analizzati, altezza, area di insidenza e volume della chioma delle ceppaie, mostrano una netta e significativa differenza (p < 0.01) tra le tre classi di vigoria considerate (Fig. 3), per entrambe le specie principali e in tutti gli inventari. Il leccio presenta, rispetto alla fillirea, una maggiore capacità di accrescimento(p < 0.01); tale differenza si incrementa nel tempo e identifica il ruolo principale che potrebbe avere il leccio nel futuro soprassuolo. L’andamento nel tempo dei parametri di accrescimento ha poi evidenziato una sempre più marcata differenziazione tra le classi di vigoria; le ceppaie migliori, appartenenti alla classe A, hanno mostrato un ritmo di accrescimento più sostenuto e si sono caratterizzate per un maggior dinamismo, reso evidente dall’aumento della variabilità interna nel tempo. Le potenzialità di sviluppo di ciascuna ceppaia sembrano quindi definite già pochi anni dopo il ricaccio. In Fig. 4 sono riportati i valori medi per classe di vigoria dell’incremento di area di insidenza delle chiome. Le ceppaie di buona vigoria, caratterizzate da un elevato accrescimento nella fase iniziale, mantengono e addirittura incrementano tale vantaggio rispetto alle ceppaie più scadenti. L’analisi della varianza ha individuato che solo le ceppaie di buona vigoria si differenziano significativamente dalle altre due classi. Questo fattore risulta di estrema importanza in quanto permette di individuare precocemente su quante e su quali ceppaie è possibile fare affidamento per la ricostituzione della copertura a seguito dell’incendio. Nel caso esaminato la ricostituzione della copertura in tempi relativamente brevi è assicurata da circa il 20% delle ceppaie presenti.

Fig. 3 - Andamento nel tempo dei valori medi (± es) dei parametri analizzati (H = altezza; A = area di insidenza; V = volume della chioma) per classe di vigoria (cerchi bianchi = A; cerchi grigi = B; cerchi grigi = C), nelle due specie maggiormente rappresentate. Tra parentesi il numero delle ceppaie presenti in ciascuna classe.

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Fig. 4 - Incremento di area delle chiome (IpA ± es) registrato in due stagioni vegetative (2004 e 2005) in relazione all’area di insidenza delle stesse (A ± es) rilevata nel primo inventario, per classi di vigoria (cerchi bianchi = A; cerchi grigi = B; cerchi neri = C), per le due specie principali. Sono riportati i risultati dell’analisi della varianza, del test di Tukey e il numero delle ceppaie presenti.

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La distribuzione orizzontale (Fig. 5) si presenta estremamente discontinua. Progredendo dal sentiero che limita l’area sperimentale verso l’interno è stata osservata una diminuzione del numero, della dimensione e della vigoria delle ceppaie; inoltre la parte finale del transect, una zona di depressione oltre i 60 m, appare quasi completamente sprovvista di ceppaie idonee alla ricostituzione del soprassuolo. La copertura del terreno, dopo 5 stagioni vegetative, risulta ancora insufficiente, nonostante l’incremento consistente della copertura ascrivibile soprattutto al leccio. All’interno del transect è stata censita una diffusa presenza da parte del cisto distribuita a macchia di leopardo con 502 gruppi contigui (3138 ad ettaro), un’area di insidenza media di 0.74 ± 0.53 m2, un’altezza media di 0.69 ± 0.21 m e un grado di ricoprimento totale al 2005 lievemente più basso rispetto al 2004.

Fig. 5 - Restituzione grafica della distribuzione orizzontale nel marzo del 2004 e dopo due stagioni vegetative. Sono riportati anche il grado di copertura (C) e quello di ricoprimento (R) totale e per specie.

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La rinnovazione naturale del pino è scarsissima, praticamente inesistente. Nell’ultimo inventario sono stati censiti solo 13 semenzali, distribuiti casualmente nell’area di studio (7200 m2), di buona vigoria e con un’altezza media di 0.86 ±0.18 m.

Piantagione di pino domestico

La percentuale di attecchimento, verificata nella primavera successiva all’impianto (2004), è risultata elevata in entrambe le tesi (Tab. 3) e pari al 90 e 98% rispettivamente in D1 e D2.

Tab. 3 - Numero di semenzali all’impianto e negli inventari successivi, percentuale di individui vigorosi (V) e scadenti (S) e andamento della mortalità (% M) nel tempo nelle due tesi di piantagione.

Rilievo Piantagione di semenzali singoli (D 1) Piantagione a gruppi (D 2)
semenzali presenti % M semenzali presenti % M
N. % V % S N. % V % S
Novembre 2003 (impianto) 153 - - - 198 - - -
Marzo 2004 138 74 26 10 194 88 12 2
Marzo 2005 61 61 39 56 123 85 15 37
Novembre 2005 52 40 60 15 111 85 15 10

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La mortalità registrata dopo due stagioni vegetative è stata consistente nella tesi D1 (66%) e più contenuta nella D2 (44%); si è verificata principalmente nel corso della prima stagione vegetativa (56% in D1 e 37% in D2) e può essere attribuita essenzialmente a danni da selvaggina (cinghiale). L’andamento pluviometrico della stagione vegetativa 2004 (Fig. 6) è stato infatti tale da assicurare una discreta disponibilità idrica anche in estate (137 mm in primavera, 49 mm in estate e 176 in autunno). Nel corso del primo anno è stata registrata anche una consistente perdita di vigoria individuale soprattutto nella tesi D1 dove sono stati riscontrati numerosi semenzali cimati. L’ultimo inventario ha infine evidenziato una limitata mortalità in entrambe le tesi (15% in D1 e 10% in D2) e ancora una progressiva perdita dello status di vigoria dei semenzali nella tesi D1.

Fig. 6 - Andamento della temperatura media e della precipitazione mensile dal gennaio 2003 al novembre 2005. (Dati meteorologici dal sito: www.meteoostia.it).

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L’accrescimento in altezza dei semenzali, a due anni dall’impianto, non è risultato differenziato nelle due modalità di piantagione mentre le differenze sono statisticamente significative tra le classi di vitalità considerate (Fig. 7), come del resto era lecito aspettarsi.

Fig. 7 - Distribuzione del numero dei semenzali in funzione dell’altezza per classe di vigoria, principali statistiche descrittive e risultati del t-test.

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Discussione 

In seguito all’incendio è stata osservata una significativa variazione nell’assetto floristico della zona sia dal punto di vista strutturale che compositivo. La situazione ante incendio è riconducibile a quella descritta e osservata nei lembi di pineta adiacenti all’area incendiata: un soprassuolo biplano caratterizzato da una pineta di elevata densità nel piano superiore con associati sporadici individui di leccio e da un sottopiano a macchia mediterranea in cui predominano il leccio e le filliree.

Il passaggio del fuoco ha determinato la completa distruzione della vegetazione e innescato un processo di successione secondaria in cui attualmente dominano le specie della macchia mediterranea e un mosaico di nuclei di cisto. Il cisto, non osservabile nella pineta indisturbata, ha un seme molto longevo che si conserva per lungo tempo nel suolo allo stato dormiente e riesce a germinare a seguito della rottura del tegumento causata dalle alte temperature ([30], [9]). Allo stato attuale la copertura del cisto risulta consistente ma si può ipotizzare che sia già in fase recessiva come messo in evidenza dalla diminuzione dei valori di ricoprimento. Alla base del processo di contrazione sono la limitata longevità ([24], [16], [19]) e la scarsa tolleranza dell’ombra ([15]). In uno studio condotto in un popolamento di pino bruzio ([31]) è stato dimostrato che la densità del cisto, in quel caso il C. salvifolius L. e C. creticus L., è risultata rilevante il secondo anno successivo all’incendio per poi decrescere linearmente e divenire irrilevante, in assenza di altri incendi, dopo qualche decennio.

La zona oggetto di studio si configura, rispetto ad altre aree frequenti nella pineta incendiata in cui dominano esclusivamente il cisto e le specie erbacee, come una situazione favorevole in cui la presenza del leccio e della macchia mediterranea appare numericamente consistente. Nonostante ciò il grado di ricoprimento ascrivibile alle latifoglie rappresenta, dopo cinque stagioni vegetative, solo il 18% e quindi insufficiente a garantire una idonea ricostituzione della copertura forestale per via naturale e in tempi brevi. Nel caso in esame, gli elementi che limitano e condizionano tale processo possono essere ricondotti sia a un fattore spaziale - presenza e dislocazione sul terreno delle ceppaie di latifoglie - sia a caratteristiche qualitative legate alle modalità di sviluppo delle specie presenti.

In merito al primo punto il monitoraggio eseguito sulla modalità di ricaccio e sullo sviluppo della macchia mediterranea ha messo in evidenza una distribuzione orizzontale discontinua che si estrinseca nella diminuzione del numero, della dimensione e della vigoria delle ceppaie procedendo da terra a mare. La dislocazione spaziale delle ceppaie di latifoglie risente della modalità di piantagione adottata per l’impianto della pineta negli anni ’50 (lavorazione andante del terreno ma salvaguardia della vegetazione preesistente adiacente ai sentieri) e della totale assenza di colturalità (densità e copertura eccessiva) che si è protratta fino all’evento perturbante del luglio del 2000 ([8]). In merito al secondo punto il leccio, pur rappresentando la specie principale e il punto di forza del futuro soprassuolo, non manifesta una buona capacità di sviluppo in quanto le ceppaie migliori, caratterizzate da un buon ritmo di accrescimento, sono presenti in numero limitato e quindi non sufficiente a garantire la ricostituzione della copertura a seguito dell’incendio.

In aggiunta, la rinnovazione naturale del pino, benché vigorosa e affermata, risulta estremamente scarsa per assicurare il ritorno della pineta di pino domestico nell’area, avvalorando lo scarso adattamento e le inadeguate strategie di risposta al fuoco da parte della specie ([28]).

Le dinamiche naturali in atto avvantaggiano le specie delle macchia mediterranea rappresentative della vegetazione potenziale della zona ([4]) ma non consentono la rapida e consistente copertura del suolo per il lento accrescimento delle latifoglie e l’assenza di rinnovazione naturale del pino.

La ricostituzione di una adeguata copertura forestale, in tempi brevi e tale da assicurare un alto valore ecologico unitamente al ruolo storico, ricreativo e paesaggistico che da sempre rivestono le pinete del litorale romano, rende perseguibile l’opzione di effettuare interventi colturali di piantagione finalizzati alla costituzione di un soprassuolo misto in cui agli elementi della macchia mediterranea si associa il pino domestico. A tale scopo la piantagione di giovani semenzali di pino, preservando allo stesso tempo le specie della macchia, rappresenta una ragionevole possibilità di ripristino che associa il maggiore accrescimento del pino e l’alta resilienza al fuoco delle latifoglie ([26]).

L’analisi dei dati, a due anni dall’impianto, ha evidenziato una buona percentuale di attecchimento e un buon accrescimento longitudinale in entrambe le tesi ma anche un’elevata mortalità registrata principalmente nella piantagione con semenzali singoli nel corso del primo anno, attribuibile essenzialmente a danni da selvaggina. Quest’ultimo fattore unitamente all’andamento climatico e in particolar modo alla piovosità estiva, rappresentano le cause determinanti che possono vanificare gli sforzi ed i costi effettuati per l’impianto. La prolungata siccità estiva registrata nel 2003, in mancanza di irrigazione di soccorso ovviamente non ipotizzabile su estese superfici, ha infatti portato al completo fallimento del primo tentativo di piantagione.

Dai risultati fino ad ora acquisiti emerge come tecnica meno impattante per la reintroduzione del pino in casi come questo dove la macchia mediterranea abbia una presenza non sporadica, la piantagione a gruppi. Con questa modalità la mortalità naturale è compensata dal numero maggiore di semenzali in ciascuna posta e quindi la sopravvivenza di almeno un semenzale garantisce una uniforme distribuzione delle piante destinate a partecipare al soprassuolo definitivo a pino domestico e macchia mediterranea. Al contrario la piantagione con semenzali singoli, oltre ad un evidente impatto visivo negativo per la maggior regolarità dell’impianto ([18]), presenta il rischio concreto di creare buche anche estese per la coesistenza di elevata mortalità ed assenza di vegetazione naturale.

Le diverse modalità di piantagione implicano due diversi schemi di gestione del futuro popolamento. La piantagione individuale permette di ritardare l’età del primo intervento di diradamento e di raggiungere la densità definitiva (circa il 50% delle piante) attraverso l’esecuzione di 1 o 2 tagli intercalari. La piantagione in nuclei di tre semenzali implica, al contrario, interventi precoci per regolare i processi di competizione interindividuale.

Conclusioni 

Da questo studio è emerso che, in condizioni analoghe a quelle esaminate, la composizione e lo sviluppo delle ceppaie, appaiono insufficienti a garantire un recupero della copertura e l’insediamento di una formazione di tipo forestale nel breve periodo.

Dove la macchia mediterranea si presenta uniformemente distribuita, l’evoluzione naturale e quindi l’opzione del non intervento può rappresentare una scelta percorribile e con evidenti ricadute positive di carattere ecologico e naturalistico. Al contrario, a fronte di insufficiente riscoppio della vegetazione naturale e qualora si intenda ripristinare in tempi brevi un soprassuolo forestale, è plausibile adottare tecniche anche tradizionali di piantagione di pino domestico su superfici limitate.

In condizioni analoghe al caso considerato in cui si voglia accelerare le dinamiche evolutive naturali e orientarle verso la ricostituzione di un soprassuolo misto a carattere transitorio, la piantagione localizzata a gruppi di semenzali di pino frammisti alle specie della macchia potrebbe rappresentare un’ipotesi da prendere seriamente in considerazione.

L’adozione di una bassa densità di impianto, qualora anche in futuro venissero confermate le osservazioni di questa prima fase di monitoraggio, può assicurare un adeguato sviluppo della macchia, differire le cure colturali e facilitare la costituzione di un soprassuolo in linea con i caratteri di multifunzionalità, tipici delle formazioni forestali mediterranee.

Ringraziamenti 

Ricerca finanziata dal Comune di Roma, Dipartimento X - Politiche Ambientali e Risorse Agricole. Si ringrazia sentitamente il dott. Alessandro De Michelis, direttore della Tenuta Presidenziale di Castelporziano, per la disponibilità assicurata nel corso della ricerca e per aver messo a disposizione il postime prodotto nel vivaio della Tenuta. Si ringrazia altresì il personale del CRA - Istituto Sperimentale per la Selvicoltura che a vario titolo ha collaborato alla realizzazione della ricerca.

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