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Arboriculture for quality timber production with hardwood: results after 20 years from planting

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 7, Pages 268-281 (2010)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0640-007
Published: Dec 02, 2010 - Copyright © 2010 SISEF

Research Articles

Guest Editors: 7° SISEF Congress (Pesche, IS - 2007)
« Development, adaptation, naturality and conservation »
Collection/Special Issue: Marco Marchetti, Roberto Tognetti

Abstract

In the last decades, production forestry plantations has been developed using typical forest tree species, or species of agricultural interest, such as walnut and cherry. The use of these species in a context different than the traditional one put a number of problems not easy to solve. The present study has considered some timber-quality plantations of hardwoods species (Acer pseudoplatanus L., Prunus avium L., Fraxinus excelsior L., Juglans regia L.) established on the Serre Catanzaresi (VV), with the aim of assessing the achievements obtained both in quantitative (growth) and qualitative (shape of the stems, degree of branching) terms. The results of the analyses carried out revealed that the studied plantations are an interesting example of possibilities and limits of cultivation of commonly used hardwoods in relation to the practices adopted. The observed differences are mainly related to the different species used. Some of them (sycamore and wild cherry) guaranteed satisfactory results, others (ash and walnut) showed severe limitations, due to the poor quality of planting material, the incompatibility between the species needs and site characteristics, or because these species usually constitute mixed populations.

Keywords

Arboriculture for quality timber production, Sycamore, Cherry, Walnut, Ash, Calabria

Introduzione e finalità della ricerca 

Negli ultimi decenni l’arboricoltura da legno si è sviluppata impiegando, per lo più allo stato puro, specie forestali che usualmente partecipano alla costituzione di popolamenti misti, oppure specie di interesse prevalentemente agrario, quali noce e ciliegio. L’uso di queste specie in popolamenti artificiali, in sostituzione delle colture agrarie, pone una serie di problematiche di non facile soluzione.

La scelta di specie comunemente definite a legname pregiato è stata determinata inizialmente dalla grave carenza di legname di pregio e con specifiche caratteristiche, particolarmente richiesto dall’industria del mobile. A questa motivazione di fondo, si sono aggiunti in seguito gli incentivi della Unione Europea che ha concesso significativi contributi per la realizzazione di piantagioni da legno fuori foresta utilizzando soprattutto latifoglie a legname pregiato. Negli ultimi anni, al fine di ridurre gli effetti del global change, a questi impianti è stato attribuito anche l’importante ruolo di contribuire allo stoccaggio della CO2, dando un contributo al perseguimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto, sottoscritto anche dall’Italia.

Con riferimento ad Agenda 2000, per il periodo 2000-2006, sono stati previsti interventi a sostegno dello sviluppo rurale e, in particolare, aiuti al settore forestale per quanto attiene le azioni di imboschimento di superfici agricole.

Questi interventi, soprattutto nelle aree del nostro Mezzogiorno, assumono un significato di grande importanza in quanto creano occasioni di lavoro stabile in realtà dove l’occupazione è uno degli elementi di maggiore preoccupazione, favorendo la permanenza delle popolazioni nelle aree rurali a presidio e difesa del territorio, riducendo anche i problemi legati all’esodo delle campagne verso le città.

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di valutare i risultati ottenuti in alcuni interventi di arboricoltura da legno mediante l’impiego di latifoglie a legname pregiato, realizzati in un’area di particolare interesse forestale qual è l’altopiano delle Serre Catanzaresi in provincia di Vibo Valentia. In queste aree il bosco è stato distrutto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo per ricavare terre da coltivare. In seguito, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, queste stesse aree sono state abbandonate. Nel 1989, usufruendo dei contributi concessi dalla UE e dallo Stato Italiano, l’ex Azienda di Stato Foreste Demaniali di Mongiana (VV) ha effettuato alcune piantagioni di latifoglie a legname pregiato (acero montano, ciliegio, frassino maggiore, noce comune) con l’obiettivo di ottenere in tempi brevi legname di pregio. Le analisi condotte hanno mirato a valutare la potenzialità produttiva in termini quantitativi (accrescimento) e qualitativi (forma dei fusti) di queste piantagioni a 20 anni dal loro impianto, così da ampliare il grado di conoscenza sulla possibilità di impiego di queste specie nell’ambito di interventi di arboricoltura da legno mediante l’impiego di latifoglie a legname pregiato in piantagioni pure o quasi.

Materiali e metodi 

Ambiente

Il territorio dove è stato condotto il presente studio ricade nel versante occidentale delle Serre Catanzaresi, in provincia di Vibo Valentia, un vasto complesso montano interposto tra la Sila a nord e l’Aspromonte a sud. Questa regione della Calabria, dal punto di vista orografico, è costituita da una dorsale montuosa che raggiunge la sua quota più elevata a Monte Pecoraro con 1423 m s.l.m. Essa è composta da rocce granitiche e granodioritiche risalenti al Paleozoico, mentre sui fondovalle si hanno depositi di detriti mobili o fissati riferibili al Quaternario. Vi è la presenza di scisti, micascisti e filladi nelle zone marginali, mentre sporadiche sono le formazioni calcaree dolomitiche mesozoiche. Dal punto di vista geologico vi è una forte trasformazione delle rocce delle Serre, ed infatti è possibile verificare la presenza di litotipi con scarsa coesione dovuta all’azione erosiva causata da agenti atmosferici. Per questa ragione i graniti delle Serre hanno perso una buona parte della loro resistenza e favorito la formazione di suoli acidi sui quali si è insediata una vegetazione acidofila.

Dal punto di vista pedologico, l’elemento che accomuna gran parte dei suoli presenti sull’altopiano delle Serre Vibonesi è la presenza di un orizzonte superficiale di colore bruno scuro, ricco di sostanza organica, soffice e con basso grado di saturazione in basi. Lo spessore dell’epipedon umbrico varia in funzione della morfologia locale. La differenziazione di questo orizzonte è da ricondursi al processo di accumulo di sostanza organica favorito dalle elevate condizioni di umidità. I suoli sono caratterizzati da buona disponibilità di acqua durante il periodo vegetativo ([3]).

Dal punto di vista tassonomico i suoli appartengono al grande gruppo dei Dystrudept secondo la Soil Taxonomy, riferibili alle terre brune. Si tratta di suoli da moderatamente profondi a profondi, a tessitura da media a moderatamente grossolana, con scheletro generalmente comune, ben drenati, con pH acido (4.5-5 - [2]). Sono, inoltre, caratterizzati dalla presenza di un orizzonte superficiale di colore bruno scuro, ricco di sostanza organica, favorito dall’accumulo di sostanza organica per le elevate condizioni di umidità. Hanno una buona disponibilità di acqua durante il periodo vegetativo ([3]) e anche quando le piogge nel periodo estivo sono piuttosto scarse l’umidità nel suolo è sempre superiore al punto di appassimento ([18]). L’umidità dell’aria è elevata durante tutto l’anno e, in estate, nelle giornate più calde è compresa tra 80 e 100% ([18]) e contribuisce a ridurre le perdite per evapotraspirazione. Inoltre sono molto frequenti le piogge occulte e le nebbie.

Il clima che contraddistingue il territorio delle Serre Vibonesi, secondo De Martonne, con le integrazioni di De Philippis ([14]), rientra tra i clima temperato-freddo, varietà con estate temperata ma sempre siccitosa. Secondo la classificazione fitoclimatica di Pavari, la zona rientra nella sottozona calda del Fagetum. Per una più puntuale descrizione delle caratteristiche generali di queste aree è possibile fare riferimento alle registrazioni termo pluviometriche effettuate nelle stazioni di Serra San Bruno, Santa Maria e Mongiana (Tab. 1). Mediamene, le precipitazioni annuali ammontano a 1851 mm e sono concentrate soprattutto nel periodo autunno - inverno. La temperatura media annua oscilla tra i 9.4 °C di Mongiana e i 10.8 °C di Serra San Bruno.

Tab. 1 - Principali valori termo-pluviometrici medi delle stazioni di Serra San Bruno, Santa Maria e Mongiana.

Parametri Serra San Bruno Santa Maria Mongiana
Temp. media annua (°C) 10.8 9.6 9.4
Temp. media del mese più freddo (°C) 3.1 2.6 2.2
Temp. media del mese più caldo (°C) 21.9 17.7 17.2
Temp. minima del mese più freddo (°C) -0.6 - -
Temp. massima del mese più caldo (°C) 26.3 - -
Escursione termica annua (°C) 18.8 15.1 15
Media precipitazioni annuali (mm) 1846 1801 1906

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Le aree sperimentali

Nel presente studio sono stati presi in considerazione due impianti: (1) Impianto Tre Arie, nel Comune di Arena; (2) Impianto Certosa, nel Comune di Serra San Bruno.

Il primo impianto si trova a 1100 m di quota ed è un impianto dimostrativo realizzato dal Corpo Forestale dello Stato nel 1989, in attuazione delle direttive del Piano Forestale Nazionale (legge 8/11/1986 n. 752). Interessa una superficie di 22 ettari, di cui il 70% pianeggiante e il restante 30% in leggera pendenza con esposizione sud-ovest. Precedentemente l’esecuzione dell’impianto l’area era interessata da una giovane abetina, anch’essa di origine artificiale, piantata negli anni trenta. Dopo il passaggio del fuoco il terreno era stato prontamente occupato da ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius L.), erica arborea (Erica arborea L.) e felce aquilina (Pteridium aquilinum L.). Il modulo colturale adottato ha previsto, preliminarmente, l’allontanamento delle piante di abete bruciate, cui ha fatto seguito la lavorazione del suolo mediante frese meccaniche in modo da triturare e interrare gli arbusti presenti sulla superficie. In un secondo momento sono state eseguite delle lavorazioni profonde, con aratro monovomere fino a una profondità di 1.00-1.50 m con lo scopo rimescolare tra loro gli strati del terreno. Quindi sono state messe a dimora le piantine in buche di 50 x 50 x 50 cm, con un sesto in quadrato e con una distanza fra le piantine di 4.5 m.

Lungo il perimetro dell’area per difendere le giovani piantine messe a dimora dall’azione del vento, è stato piantato un filare di ontano napoletano, con distanza sul filare di soli 2 metri per favorire una rapida chiusura delle chiome.

Sono stati utilizzati semenzali allevati in fitocella di acero montano e ontano napoletano (1 anno di età), di ciliegio e noce comune (2 anni di età) e di frassino maggiore (4 anni di età). I semenzali utilizzati, provenienti dalle foreste Casentinesi (Toscana), sono stati prodotti nel vivaio Alto Tevere (AR) gestito dal Corpo Forestale dello Stato e a detta del personale del vivaio stesso, non si trattava di materiale di prima qualità. Nei primi anni dopo la piantagione sono state eseguite le tradizionali cure colturali. Per quanto riguarda le potature, da osservazioni dirette e da comunicazioni dell’ex Azienda di Stato Foreste Demaniali di Mongiana, è risultato che esse sono state eseguite in modo non corretto. Infatti oltre ad essere state effettuate con ritardo (a 7-8 anni dall’impianto), molti tagli sono stati effettuati su rami di grosso diametro con evidenti ferite non ben cicatrizzate. Per le specie considerate invece, secondo la letteratura ([1], [8], [12], [19], [11], [7], [13]) per ottenere materiale di qualità, le potature di formazione andrebbero eseguite già dal secondo anno dalla piantagione, mentre quelle di produzione a partire dal quarto anno, o comunque quando le piante raggiungono i 3 metri di altezza.

All’interno dell’area è stato possibile distinguere tre tipologie di impianto: (i) piantagione pura di ciliegio comune; (ii) piantagione mista acero montano e frassino maggiore, con prevalenza di acero montano, e con uno schema distributivo delle piante sul terreno di una fila pura di acero montano alternata a una sulla quale una pianta di acero si alternava a una di frassino; (iii) piantagione mista di acero montano e noce comune, con uno schema distributivo delle piante sul terreno analogo a quello della situazione precedente.

Il secondo impianto, quello nel comune di Serra San Bruno, è posto a 820 m s.l.m. Anche in questo caso si tratta di un impianto dimostrativo realizzato nel 1989 con gli stessi obiettivi del precedente. Complessivamente interessa una superficie di 7 ettari, tutti pianeggianti. In passato l’area era coltivata a cereali.

Il terreno è stato sottoposto a un’aratura profonda (60-80 cm). L’impianto, misto, è stato realizzato mediante l’impiego di semenzali di noce di 2 anni di età, di acero montano e di ciliegio comune di 1 anno di età, tutti provenienti dalle foreste Casentinesi e prodotti nel Vivaio Alto Tevere (AR). È stato adottato un sesto quadrato con distanza 4.5 m. In seguito però, a causa della elevata mortalità che aveva interessato quasi esclusivamente le piante di noce comune, sono stati effettuati risarcimenti con ciliegio selvatico e sorbo montano. Oggi il soprassuolo è quindi misto (acero, noce comune, ciliegio selvatico, sorbo montano) e il grado e le modalità di mescolanza fra le specie è legata essenzialmente all’andamento della mortalità iniziale del noce comune.

Negli anni successivi la piantagione sono state eseguite le tradizionali cure colturali. Anche in quest’area le potature sono state eseguite in modo non corretto e in ritardo, così come fatto nell’area Tre Arie.

Metodologie di rilievo

Negli impianti in località Tre Arie sono stati condotti i rilievi in 14 aree di saggio, di cui 9 nelle piantagioni miste di acero montano e frassino maggiore, di forma quadrata, con superficie di 1640 m2 (lato 40.5 m) e 3 nelle piantagioni pure di ciliegio, sempre di forma quadrata ma con una superficie di 1296 m2 (lato 36 m) e 2 aree di saggio nelle piantagioni miste di acero montano e noce, di forma rettangolare e di 1280 m2 di superficie (31.5 x 40.5 m). Negli impianti in località Certosa i rilievi sono stati effettuati in 8 aree di saggio, di forma rettangolare e di 1280 m2 di superficie (31.5 m x 40.5 m). In entrambe le località i rilievi sono stati effettuati tra gennaio e febbraio del 2009.

In ogni area di saggio, i rilievi sono consistiti nella misurazione di due diametri ortogonali tra loro a m 1.30 da terra su tutte le piante e, solo sulle piante presenti al centro dell’area di saggio (su circa 30 piante), dell’altezza totale e quella di inserzione della chioma, sulla quale sono stati misurati anche i quattro raggi perpendicolari fra di loro, secondo le direzioni est-ovest e nord-sud. Di tutte le piante, è stata anche presa nota di eventuali difetti, quali nodi, ferite, ecc, presenti a livello del fusto.

Sulla base dei dati rilevati è stato possibile determinare, per ciascuna area di saggio, la composizione specifica del soprassuolo e alcuni parametri biometrici, distinti per specie, quali il diametro medio di area basimetrica media (dg), l’altezza media corrispondente alla pianta di diametro medio (hg), l’altezza media di inserzione della chioma, nonché l’ampiezza della chioma stessa.

Infine i dati riguardanti i diametri e le altezze sono stati sottoposti ad analisi statistica (analisi della varianza a una via, ponendo come fonte di variazione la specie) al fine di verificare l’esistenza di eventuali differenze significative nell’accrescimento delle singole specie. In particolare i dati sottoposti ad analisi statistica sono stati gli incrementi medi annui di diametro e di altezza, ottenuti dal rapporto tra i valori misurati al momento dei rilievi e l’età degli alberi. Nel caso di differenze significative, i confronti post-hoc tra le medie sono stati effettuati tramite il test HSD di Tukey.

Risultati e discussione 

Impianto Tre Arie

Le piantagioni di gran lunga prevalenti in questa stazione sono costituite dagli impianti misti di acero montano e frassino maggiore (Fig. 1), dove la specie dominante è rappresentata dall’acero montano. La densità di impianto è stata di 493 piante a ettaro, di cui 341 di acero e 152 di frassino.

Fig. 1 - Località Tre Arie (Arena). Piantagione mista di acero montano e frassino maggiore.

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All’età di 19 anni (Tab. 2), mediamente sono presenti 486 piante a ettaro, di cui 339 di acero e 147 di frassino, valori che evidenziano come la mortalità sia stata molto bassa: appena lo 0.5% per l’acero e il 3.3% per il frassino.

Tab. 2 - Località Tre Arie (Arena) - Principali parametri dendrometrici nelle piantagioni di acero montano e frassino maggiore.

ADS Specie N. Piante
ha-1
Mortalità
(%)
Dg
(cm)
Hg
(m)
G
(m2 ha-1)
1 Acero 341 0 15.3 9.7 6.26
Frassino 146 3.9 4.6 4.5 0.24
2 Acero 341 0 14.6 9.5 5.71
Frassino 152 0 5.6 5.1 0.37
3 Acero 329 3.5 14.1 9.3 5.17
Frassino 134 11.8 6.2 5.4 0.4
4 Acero 348 0 17.1 10.3 8
Frassino 146 3.9 7.6 6 0.66
5 Acero 341 0 14.6 9.5 5.75
Frassino 152 0 5.4 5 0.34
6 Acero 341 0 11.8 8.3 3.7
Frassino 152 0 4.7 4.7 0.27
7 Acero 329 3.5 13.9 9.2 4.96
Frassino 152 0 6.4 5.5 0.49
8 Acero 341 0 15.9 9.9 6.78
Frassino 146 3.9 5.1 4.9 0.3
9 Acero 341 0 14.9 9.6 5.98
Frassino 140 7.9 4 4.1 0.17
Media Acero 339 0.5 14.7 9.5 5.87
Frassino 147 3.3 5.5 5 0.36

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Mediamente, i parametri dendrometrici presi in considerazione sono molto simili tra le diverse aree di saggio (Tab. 2), a testimonianza di una buona omogeneità della stazione. Valori diversi emergono invece tra le due specie, con l’acero che presenta dimensioni sempre superiori rispetto al frassino.

La distribuzione delle piante in classi di diametro (Fig. 2) evidenzia in modo molto evidente questo andamento. La curva del frassino interessa quasi totalmente le prime classi diametriche, da 2 a 13 cm, mentre l’acero presenta un campo di variazione più ampio, con oltre l’80% delle piante situato a partire dalla classe di 12 cm.

Fig. 2 - Località Tre Arie (Arena) - Piantagione di acero montano e frassino maggiore. Distribuzione delle piante in classi di diametro.

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Più in particolare, per quanto riguarda l’acero, la pianta di dimensioni medie misura 14.7 cm di diametro e 9.5 m di altezza. L’area basimetrica, mediamente, è uguale a 5.87 m2 ha-1. L’altezza di inserzione della chioma è mediamente 3.5 m, altezza alla quale sono state effettuate nel passato le spalcature. I rami più bassi nel punto di inserzione sul tronco presentano ingrossamenti piuttosto evidenti, per cui la qualità degli assortimenti ne risulterà, in parte, compromessa. Il diametro della chioma, in media, è 6.2 m cui corrisponde una superficie di 29.7 m2. Complessivamente l’acero esercita una copertura al suolo di 8952 m2 ha-1.

Il frassino presenta tutti i parametri biometrici, sia a livello di singole piante che di pianta di dimensioni medie, nettamente inferiori a quelli ricordati a proposito dell’acero. La pianta di dimensioni medie ha un diametro di 5.5 cm e un’altezza di 5.0 m. L’area basimetrica è di 0.36 m2 ha-1. L’altezza di inserzione della chioma è strettamente legata all’esecuzione delle potature. Le dimensioni dei rami nel punto di inserzione sul tronco sono inferiori a quelle osservate a proposito delle piante di acero. Le chiome sono piuttosto piccole e le dimensioni sono nettamente inferiori a quelle dell’acero. Il diametro delle chiome varia da 1.4 m per le piante di 4-5 cm di diametro a 4.6 m per quelle di 12 cm. Complessivamente il grado di copertura al suolo assicurato dal frassino è 393 m2 ha-1, il 4% rispetto a quello dell’acero con un numero di piante che è, però, il 43% di quelle dell’acero.

Infine, a causa delle potature eseguite in ritardo, su molte piante si registra la formazione di sezioni di taglio piuttosto grandi che non ha favorito una pronta cicatrizzazione delle ferite, con conseguente deprezzamento del legname.

Per quanto riguarda le piantagioni pure di ciliegio, sono emerse due tipologie di soprassuolo legate a differenti condizioni di fertilità della stazione (Tab. 3). Nella stazione più fertile (Fig. 3), all’età di 19 anni, il numero di piante a ettaro è pari a 340, con una mortalità rispetto alla densità iniziale di 38 piante, pari al 10% circa di quelle messe a dimora inizialmente (378 piante a ettaro). La pianta di dimensioni medie misura 12.2 cm di diametro e 8.0 m di altezza. L’area basimetrica è 3.99 m2 ha-1. Il diametro medio della chioma è 4.3 m e l’area di insidenza ammonta a 4325 m2 ha-1.

Tab. 3 - Località Tre Aree (Arena). Principali parametri dendrometrici nelle piantagioni pure di ciliegio.

ADS Specie N. Piante
(ha-1)
Mortalità
(%)
Dg
(cm)
Hg
(m)
G
(m2 ha-1)
12 Ciliegio 340 10 12.2 8.0 3.99
13 Ciliegio 216 43 6.7 6.2 0.76
14 Ciliegio 216 43 8.6 6.7 1.26
Media - 257 32 9.2 7.0 2.00

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Fig. 3 - Località Tre Arie (Arena). Piantagione di ciliegio selvatico di buona fertilità.

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La distribuzione delle piante in classi di diametro (Fig. 4) evidenzia come le piante in quest’area di saggio abbiano valori sempre superiori rispetto alle altre due aree di saggio caratterizzate da condizioni di fertilità mediocri (Fig. 5).

Fig. 4 - Località Tre Arie (Arena). Piantagioni di ciliegio selvatico. Distribuzione delle piante in classi di diametro.

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Fig. 5 - Località Tre Arie (Arena). Piantagione di ciliegio selvatico di scarsa fertilità.

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In queste due aree sono presenti 216 piante a ettaro, con una mortalità rispetto alla densità iniziale del 43%. Mediando i dati tra le due aree di saggio, la pianta di dimensioni medie ha un diametro di 7.7 cm e un’altezza di 6.5 m. L’altezza di inserzione della chioma, nonostante gli interventi di potatura effettuati, è bassa e i rami inferiori nel punto di inserzione sul tronco, presentano dimensioni piuttosto elevate e questo potrebbe compromettere la qualità degli assortimenti ritraibili. Mediamente l’area basimetrica è appena 1.01 m2 ha-1. L’area di insidenza delle chiome è circa 1500 m2 ha-1.

Anche le piantagioni miste di acero e noce comune (Fig. 6), con prevalenza di acero, scarsamente rappresentata nell’area campione, forniscono utili indicazioni sull’opportunità di effettuare piantagioni miste nell’ambito degli interventi di arboricoltura da legno. Gli elementi biometrici caratteristici sono mostrati nella Tab. 4.

Fig. 6 - Località Tre Arie (Arena). Piantagione mista di acero montano e noce comune.

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Tab. 4 - Località Tre Arie (Arena) - Principali parametri dendrometrici nelle piantagioni di acero montano e noce comune.

ADS Specie N° Piante
(ha-1)
Mortalità
(%)
Dg
(cm)
Hg
(m)
G
(m2 ha-1)
10 Acero 336 1.5 11.9 8.4 3.75
Noce 148 2.6 5.8 4.8 0.39
11 Acero 336 1.5 10 7.5 2.63
Noce 141 7.2 5.4 4.6 0.32
Media Acero 336 1.5 11 8 3.19
Noce 145 4.9 5.6 4.7 0.36

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L’acero anche in questo caso presenta caratteristiche biometriche analoghe a quelle riscontrate nei popolamenti misti con frassino. La distribuzione delle piante in classi di diametro manifesta un andamento sostanzialmente analogo a quello osservato nei precedenti popolamenti, così come pure il campo di variazione dei diametri (Fig. 7). Tuttavia le classi di diametro superiori, quelle dopo la moda, manifestano una certa irregolarità che non è presente nella prima parte dell’istogramma. Il noce comune, analogamente a quanto osservato per le altre specie consociate con l’acero, presenta accrescimenti molto contenuti e anche le piante maggiormente sviluppate non hanno diametri superiori a 10 cm e le altezze non superano mai 6.5 m (Fig. 8).

Fig. 7 - Località Tre Aree (Arena) - Piantagioni di acero montano e noce comune. Distribuzione delle piante in classi di diametro.

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Fig. 8 - Località Tre Arie (Arena). Piantagione mista di acero montano e noce comune. Differenza di sviluppo tra le due specie.

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Nel caso dell’acero la pianta di dimensioni medie presenta un diametro di 11.0 cm e una altezza media di 8.0 m. L’area basimetrica supera, seppure di poco, i 3 m2 ha-1.

Le dimensioni della chioma in termini di diametro e di superficie sono analoghe a quelle riscontrate nei popolamenti misti con frassino. L’altezza di inserzione della chioma (circa a 3 m), essendo legata alle potature, non manifesta differenze con le altre tipologie. In modo analogo anche i rami nel punto di inserzione sul tronco hanno un diametro piuttosto elevato e tale da generare, probabilmente, nodi che saranno evidenti nei futuri assortimenti da lavoro.

Il noce comune presenta caratteristiche nettamente inferiori. Al di là di quelle che sono le dimensioni del diametro, la forma dei fusti è molto scadente, parecchie piante manifestano segni evidenti di recenti rotture del fusto sostituito da rami secondari che si sono portati in posizione assurgente. Anche le dimensioni della chioma sono contenute. I diametri della chioma variano da 3.1 m per le piante di 5-6 cm di diametro a m 1.30, fino a 5.2 m per quelle di 10 cm di diametro a m 1.30. Complessivamente la proiezione al suolo delle piante di noce comune raggiunge 1068 m2 ha-1, appena l’11% di quelle di acero, sebbene le piante siano il 43% di quelle di acero montano.

Mediamente, la pianta di noce comune di dimensioni medie ha un diametro di 5.6 cm e un’altezza di 4.7 m. L’area basimetrica a ettaro è di 0.36 m2 ha-1.

La Tab. 5 mostra i risultati dell’analisi della varianza effettuata sugli incrementi medi annui di diametro e altezza e dai risultati è emersa la presenza di differenze significative tra alcune delle specie presenti. In particolare, tramite confronti post hoc tra le medie (test HSD di Tukey) è emerso che non sussiste alcuna differenza significativa tra noce e frassino (entrambe le specie presentano incrementi diametrici e ipsometrici assai modesti). L’acero e il ciliegio, oltre a presentare differenze significative con il noce e il frassino, presentano differenze significative anche tra loro, con incrementi diametrici e ipsometrici significativamente maggiori a favore dell’acero, come mostrato in Fig. 9, dove per ogni specie è indicato anche l’errore standard del parametro preso in considerazione, oltre al suo valore medio. Gli incrementi medi di diametro e di altezza dell’acero sono stati rispettivamente di 0.82 cm anno-1 e di 0.54 m anno-1.

Tab. 5 - Località Tre Arie (Arena). Analisi della varianza effettuata sui valori incrementali di diametro e altezza ponendo come fonte di variazione la specie.

Variabile Fonte Somma dei
quadrati
df Media dei
quadrati
F Prob.
Incremento
di diametro
Fra gruppi 1.375 3 0.458 41.122 <0.0001
Entro gruppi 0.234 21 0.011 - -
Totale 1.609 24 - - -
Incremento
di altezza
Fra gruppi 0.344 3 0.115 64.484 <0.0001
Entro gruppi 0.037 21 0.002 - -
Totale 0.381 24 - - -

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Fig. 9 - Incrementi medi annui di diametro e altezza in località Tre Aree.

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Questi risultati, come già messo in evidenza da Mercurio & Modica ([20]), confermano che l’acero trova le condizioni ideali su terreni bruni e con pH acido ([16]), come si verifica appunto nelle stazioni dove sono state realizzate le piantagioni. Anche il ciliegio sembra trovare condizioni abbastanza favorevoli su suoli a pH acido ([22], [10]), testimoniate da un incremento medio annuo in altezza di 0.41 m e di 0.54 cm in termini di diametro. Diversi autori ([19], [20]) hanno comunque evidenziato che le differenze in termini di crescita tra le due specie, sono dovute al fatto che nei primi anni l’acero ha una crescita più veloce rispetto al ciliegio.

Invece gli incrementi di noce e frassino risultano modesti, e significativamente più bassi non solo nei confronti dell’acero e del ciliegio, ma anche di quelli registrati in piantagioni della stessa specie dell’Italia centrale ([21], [9], [5]). Probabilmente in queste stazioni le due specie non hanno trovato le condizioni ideali, come già evidenziato da Mercurio & Modica ([20]), a seguito delle basse temperature primaverili, dell’azione del vento, unitamente a un basso valore di pH e a suoli poveri di elementi nutritivi ([17], [6]). I valori di diametro e altezza del frassino riscontrati a 19 anni di età (rispettivamente di circa 5.5 cm e di 4.9 m) sono significativamente più bassi di quelli evidenziati in Italia centrale da Bagnaresi et al. ([5]) in piantagioni della stessa età dove sono stati misurati 9.0 cm diametro e 7.9 m altezza.

Per quanto riguarda il frassino, è probabile che i bassi incrementi siano dovuti a diverse cause, quali la mancanza di buone condizioni del suolo sia nei confronti del pH sia dell’umidità. Per questa specie infatti, le stazioni ottimali sono quelle su suoli ben drenanti e strutturati ([15]) e con pH di 5.7-7 ([23], [16], [4]). Inoltre vi sono stati attacchi di Lytta vesicatoria che spesso hanno provocato la defogliazione completa delle piante di frassino.

Impianto Certosa

L’unica tipologia di impianto qui presente è riconducibile a una piantagione mista di acero montano, ciliegio, noce e sorbo montano (Fig. 10).

Fig. 10 - Località Certosa (Serra San Bruno). Piantagione mista acero montano, noce comune, ciliegio selvatico e sorbo montano.

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Nella Tab. 6 sono riportati i principali parametri dendrometrici rilevati nelle varie aree di saggio. Dall’esame dei rilievi emergono chiaramente alcuni elementi di fondo: a) la mortalità estremamente contenuta delle piante di acero, analogamente a quanto osservato in località Tre Arie e un accrescimento leggermente inferiore rispetto a quello osservato in questa località; b) le dimensioni sempre contenute delle piante di noce, ma leggermente superiori in termini di diametro e altezza a quelle evidenziate nell’impianto nel comune di Arena.

Tab. 6 - Località Certosa (Serra San Bruno). Principali parametri dendrometrici nella piantagione di acero montano, noce comune, ciliegio selvatico e sorbo montano.

ADS Specie N. Piante
(ha-1)
Mortalità
(%)
Dg
(cm)
Hg
(m)
G
(m2 ha-1)
1 Acero 313 6.6 14.2 9.4 4.96
Noce 78 57.6 7.1 5.3 0.31
Ciliegio 31 - 9.9 7.2 0.24
2 Acero 320 4.5 11.9 8.4 3.59
Noce 78 57.6 7 5.3 0.3
Ciliegio 23 - 6.2 5.5 0.07
Sorbo 23 - 3.9 - 0.08
3 Acero 313 6.6 14.9 9.6 5.43
Noce 70 62 9.6 6.1 0.51
Ciliegio 55 - 10.9 7.5 0.51
Sorbo 16 - 5.5 - 0.04
4 Acero 336 0 11 8 3.18
Noce 102 44.6 5.2 4.5 0.22
Ciliegio 23 - 7.2 6 0.09
Sorbo 8 - - - -
5 Acero 328 2.1 11.7 8.3 3.52
Noce 133 27.7 7.7 5.5 0.62
6 Acero 320 4.5 9.9 7.5 2.49
Noce 117 36.4 9.3 6 0.8
Ciliegio 16 - 6.5 5.7 0.05
7 Acero 320 4.5 10 7.5 2.49
Noce 133 27.7 7 5.2 0.51
Ciliegio 16 - 9.9 7.2 0.12
8 Acero 320 4.5 12.3 8.6 3.79
Noce 109 40.8 8.7 5.8 0.65
Ciliegio 47 - 10.5 7.4 0.4
Media Acero 321 4.2 12 8.4 3.68
Noce 103 44 7.7 5.5 0.49
Ciliegio 30 - 8.7 6.7 0.21
Sorbo 16 - 4.7 - 0.06

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La distribuzione delle piante in classi di diametro (Fig. 11) presenta un andamento sostanzialmente analogo a quella osservata in Località Tre Arie (Arena). Per quanto riguarda l’acero il campo di variazione dei diametri è leggermente più ampio e nelle classi di diametro più elevate manifesta una certa irregolarità che non si riscontra negli altri casi. La moda cade nella classe di 12 cm. La pianta di dimensioni medie misura 12.0 cm di diametro e 8.4 di altezza. Il numero di piante a ettaro è pari a 321, con una mortalità rispetto alla densità iniziale di 14 piante, pari al 5% di quelle messe a dimora inizialmente. L’altezza di inserzione della chioma è mediamente di 3.2 m, mentre il diametro è di 5.3 m. Ne consegue che il grado di copertura esercitato dalle piante di acero è di 7125 m2 a ettaro. I rami nel punto di inserzione sul fusto presentano degli ingrossamenti per cui anche la qualità del legname sarà generalmente scadente.

Fig. 11 - Località Certosa (Serra San Bruno). Piantagione mista di acero montano, noce comune, ciliegio selvatico e sorbo montano. Distribuzione delle piante in classi di diametro.

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Le piante superstiti di noce presentano una forma dei fusti piuttosto scadente a seguito dei forti danni (rotture della freccia di allungamento sostituita da rami laterali che danneggiano gravemente la forma del fusto) verificatisi nei primi anni dopo la messa a dimora.

Mediamente si hanno 103 piante a ettaro con una mortalità rispetto al numero di piante a ettaro messe a dimora di ben il 44%. La pianta di dimensione media misura 7.7 cm di diametro e 5.5 m di altezza. Il diametro delle piante di noce comune è inferiore rispetto a quelle dell’acero montano e l’84% dei soggetti presenta dimensioni inferiori a 11 cm. L’area basimetrica a ettaro misura 0.49 m2.

L’altezza di inserzione della chioma è mediamente di 2.65 m, il diametro della chioma della pianta di dimensioni medie misura m 3.37 e la copertura del suolo esercitata dalle piante di noce è appena di 1345 m2 a ettaro.

Le piante di ciliegio comune e di sorbo montano sono state messe a dimora in momenti successivi alla realizzazione dell’impianto, hanno in parte subito anche la concorrenza delle altre piante già presenti. Il ciliegio, comunque, ha evidenziato una buona capacità di accrescimento mentre il sorbo montano, presente solamente allo stato sporadico, presenta diametri sempre molto limitati, inferiori a 10 cm.

L’analisi della varianza (Tab. 7) sui valori incrementali di diametro e altezza ha evidenziato la presenza di differenze significative per quanto riguarda i parametri presi in considerazione, ben evidenziate nella Fig. 12. L’acero presenta gli incrementi più elevati (0.71 cm anno-1 di diametro e 0.49 m anno-1 di altezza) e significativamente diversi dalle altre specie messe a confronto, mentre gli incrementi più modesti sono stati registrati nel caso del sorbo (0.15 cm anno-1 di diametro e 0.16 m anno-1 di altezza). Per quanto riguarda il ciliegio e il noce non sono risultate differenze significative nei confronti dell’incremento di diametro, mentre sono risultate significative le differenze in altezza. In tutti i modi sembra che anche in questa stazione il ciliegio evidenzia incrementi, soprattutto di altezza, superiori al noce comune, che conferma di non aver qui trovato condizioni ideali.

Tab. 7 - Località Certosa (Serra San Bruno). Analisi della varianza effettuata sui valori incrementali di diametro e altezza ponendo come fonte di variazione la specie.

Variabile Fonte Somma dei
quadrati
df Media dei
quadrati
F Prob.
Incremento di
diametro
Fra gruppi 0.820 3 0.273 21.366 <0.0001
Entro gruppi 0.294 23 0.013 - -
Totale 1.114 26 - - -
Incremento di
altezza
Fra gruppi 0.323 3 0.108 55.324 <0.0001
Entro gruppi 0.045 23 0.002 - -
Totale 0.368 26 - - -

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Fig. 12 - Incrementi medi annui di diametro e altezza in località Certosa.

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Conclusioni 

Le piantagioni da legno fuori foresta realizzati sulle Serre Catanzaresi in aree nel passato interessate da popolamenti miti a prevalenza di faggio e abete, con tasso e il tipico corteggio di latifoglie (aceri, olmi, tigli, frassini, ciliegio selvatico), distrutti in tempi piuttosto recenti per ricavare terre da coltivare e poi abbandonate dopo la seconda guerra mondiale con la crisi dell’agricoltura e l’abbandono delle aree marginali interne, rappresentano un esempio estremamente interessante delle possibilità e limiti di coltivazione di alcune di queste specie in purezza o quasi.

I risultati conseguiti a 19 anni dalla piantagione evidenziano come ci siano differenze significative in termini di mortalità e accrescimento e, più in generale, sulle condizioni generali delle varie specie impiegate. L’acero e, in misura leggermente inferiore il ciliegio selvatico, assicurano risultati soddisfacenti in termini dimensionali, anche se le caratteristiche tecnologiche del legname non saranno probabilmente all’altezza delle aspettative. Il frassino per attacchi di agenti defogliatori e il noce comune hanno invece mostrato dei gravi limiti.

L’insuccesso del noce comune può avere varie cause. In questo caso specifico l’aver impiegato materiale non autoctono, inidoneo per il particolare ambiente delle Serre Catanzeresi si è dimostrata, come spesso accade, una scelta sbagliata. Anche i danni da neve nella fase iniziale di accrescimento hanno determinato malformazioni al fusto e rallentato l’accrescimento. Infine l’impiego di materiale ottenuto da piante destinate prevalentemente alla produzione di frutto non ha giovato al successo della piantagione. Questo materiale infatti ha privilegiato l’ampliamento della chioma sulla dominanza apicale, contribuendo a limitare l’accrescimento in altezza. Si sono così ottenute piante piuttosto tozze caratterizzate da un inserimento della chioma in basso e con rami piuttosto grossi.

Per conseguire risultati positivi in termini di produzione di assortimenti di pregio, è forse necessario ripartire dall’individuazione di soggetti con caratteristiche fenotipiche di pregio ai fini della produzione di legname, di provenienza locale, ed è sempre necessario effettuare un’accurata e rigorosa selezione del materiale d’impianto prima della messa a dimora. Insieme a questi aspetti, al fine di aumentare il valore tecnologico degli assortimenti legnosi, è assolutamente necessaria una esecuzione tempestiva delle potature, quando i rami sono ancora sottili e non presentano vistosi ingrossamenti nel punto di inserzione sul fusto. Inoltre, i popolamenti misti hanno anche problematiche gestionali più complesse rispetto agli impianti puri e necessitano, soprattutto nei primi anni, di essere seguiti con continuità da personale preparato. E ciò probabilmente, non è avvenuto nel caso degli impianti realizzati sulle Serre Catanzaresi.

Infine è utile ricordare che le cosiddette latifoglie di pregio sono specie tipicamente forestali che, in natura, edificano popolamenti misti a struttura complessa, relativamente densi, per cui risulta ottimale anche la forma del fusto, rientranti nel cingolo Quercus-Tilia-Acer e, subordinatamente, Fagus-Abies di Schmidt. I tronchi risultano diritti, la chioma è contenuta e raccolta in alto. Difficilmente edificano popolamenti puri, anche su piccole superfici. L’aver voluto coltivare queste specie allo stato puro e al di fuori del bosco, non sempre ha portato a risultati soddisfacenti. In molti casi, come illustrano chiaramente le esperienze condotte sulle Serre Catanzaresi, i risultati non hanno corrisposto alle aspettative nonostante l’immissione nel sistema di grandi quantità di energia.

Molto probabilmente la via più sicura per ottenere materiale di pregio e in tempi relativamente brevi, sfruttando le favorevoli condizioni ecologiche presenti sulle Serre Catanzaresi, sarebbe quella di reintrodurre nei boschi mediante piantagione a piccoli gruppi, le specie a legname pregiato che l’uomo nel tempo con una gestione non corretta ha contribuito a eliminare. Questi gruppi nel tempo oltre a produrre materiale di pregio potrebbero anche fungere da centri di diffusione nelle aree limitrofe contribuendo a ricostituire, almeno dal punto di vista fisionomico, le cenosi che fino ad alcuni decenni fa caratterizzavano le montagne delle serre Serre Catanzaresi e più in generale di tutto l’Appennino. Complessivamente negli impianti di Tre Arie e di Certosa si può affermare che solo l’acero e, in misura leggermente inferiore, il ciliegio hanno dato risultati parzialmente positivi, mentre è stata negativa l’introduzione del noce comune, del frassino e del sorbo montano.

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