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Considerations on uncertainties and inconsistencies in the dendrometric terminology

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 11, Pages 149-155 (2014)
doi: https://doi.org/10.3832/efor1208-011
Published: Jun 17, 2014 - Copyright © 2014 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

In the italian forestry literature, the adjective “cormometric” combined with the noun volume or its equivalent, is used with three different meanings which are respectively linked to the stem, to the trunk or large timber. To find the origins and also the reasons for these different meanings of the term, we need to go back in history. The first definition is by Alfonso Di Berenger first director of the Vallombrosa Forest, the first seat of higher Forestry education in Italy between 1869 and 1951. He defined cormometric the volume of the “legname sociale” (industrial timber), or the trunk. Follows the definition of Vittorio Perona that, in the wake of the German concept of Derbholz, considers cormometric volume as including also portions of branches above seven centimeters. Giuseppe Di Tella, Professor of forest mensurations and forest management in Florence between 1916 and 1937 is the author of a large general volume table for fir where the cormometric volume is defined as the “stem including the top”, but also, following the doctrine, as a measure expressing the volume of the part of the stem that can provide wood for building or industry. Subsequently, with the definitions of the Professors Generoso Patrone and Guglielmo Giordano confirming the doctrinal meaning of Di Tella, the sense of the term remains unchanged. In 1986 Hellrigl called cormometric mass, the aboveground woody tree mass limited to trunk and limbs to be determined; however, this definition did not find any application. Alternative definitions by Roberto Del Favero and Orazio La Marca consider cormometric volume including top and cormometric volume excluding top. In the forest literature, instead, there were more changes in 2007, when the Forestry Research Portal published a notation regarding cubing of forest stands, stating “in the cubing of forest stands, woody volume estimated for conifers is, in general, cormometric (i.e., volume of the stem including bark)” which gave rise to the present note. Alongside, and again in connection with the meaning of the term cormometric, certain combinations of terminology reported in two multilingual glossaries of IUFRO are highlighted.

Keywords

Stem Volume, Derbholz, Cormometric Volume

 

Recentemente un laureando del Corso di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali a Padova ci ha segnalato una discordanza terminologica notata per caso in una ricerca bibliografica a tutt’altro indirizzata. Nel vocabolario multilingue della IUFRO del 1990 ([11]) fra i corrispondenti del termine italiano “cormometrico” ha trovato un bois fort in francese e, ancora più puntuale, timber (above 7 cm diameter) in inglese. Ciò non gli poteva non apparire in contrasto con una più recente definizione del 2007, leggibile sul portale Ricerca Forestale (RF - [16]) curato dall’ex DISAFRI dell’Università della Tuscia con la seguente dizione: “Nella cubatura dei soprassuoli forestali il volume legnoso stimato per le conifere è, in genere, di tipo “cormometrico (volume del fusto con corteccia)”.

Un primo chiarimento per lo studente: la differenza fra le due fonti richiamate 

Come prima cosa siamo andati a vedere il predetto vocabolario della IUFRO e abbiamo potuto riscontrare che per le specifiche voci del bois fort e del timber above 7 cm diameter contrapposte al volume del fusto della RF, lo studente aveva perfettamente ragione, perché ogni fusto per grande o piccolo che sia, non può non comprendere anche legno minuto, cioè di diametro inferiore ad un certo limite. La discordanza c’è, e risiede in primo luogo nel fatto che i due documenti cui fa riferimento il giovane sono di natura fondamentalmente diversa.

Quella della RF è una definizione attribuita a un ben conosciuto sistema descrittivo che divide il volume epigeo complessivo dell’albero, detto dendrometrico, in cormometrico - che si riferisce al fusto - e blastometrico che comprende tutti i rami dall’attacco al fusto fino ai loro apici vegetativi. E’ una lettura organotipica dell’insieme arboreo epigeo nel quale non viene praticata alcuna differenziazione dimensionale, relativa o assoluta che sia; una stilizzazione del soggetto arboreo monocormico. Il documento della IUFRO, invece, è un glossario multilingue nel quale per ogni voce richiamata è riportata una lista di termini o formulazioni che nelle diverse lingue dovrebbero esprimere lo stesso concetto. Usiamo il condizionale perché almeno per la fattispecie in oggetto ciò non si verifica in quanto a due voci imperniate sul termine tedesco Derbholz dal significato di legno più grosso di sette centimetri e con ruolo di lessema - simbolo internazionale della categoria dendrometrica del seven-up, fanno congruamente capo non solo il timber above 7 cm inglese e l’adimensionale bois fort francese, ma pure una ben diversa madera de fustal spagnolo nonché per l’italiano, un letteralmente trascritto “legno grosso - massa cormometrica”, intrinsecamente contraddittorio.

Il fusto o il tronco, ovvero la questione cimale 

In ragione di questo nostrano doppio uso del termine ci siamo messi un po’ a “studiare le carte” per cercare l’origine dei due significati attribuiti alla parola, iniziando dalla definizione di Adolfo Di Berenger trovata alla pagina 747 della sua Selvicoltura ([5]), dove a proposito dei coefficienti di riduzione si può leggere che: … “sono da distinguersi i coefficienti dendrometrici dai coefficienti cormometrici. Quelli portano a conoscere la cubicità complessiva di un albero, compreso il ramaggio; questi la sola cubicità del fusto, escluso il cimale immercantile, il ramaggio e la corteccia. Il metodo di cubazione con coefficienti dendrometrici si adotta per stimare gli alberi e boschi da combustibile; quello con coefficienti cormometrici per stimare gli alberi e boschi da legname sociale (da opera o da costruzione)”. È, quella dell’Autore della monumentale “Archeologia forestale” del 1863 che aveva studiato a Monaco e a Vienna, una definizione tutta nazionale che liberava l’allora dominante classificazione del Derbholz dal vincolo dei sette centimetri e dal peso del blastometrico grosso per conferire centralità dominante al fusto mercantile.

Dello stesso periodo di consolidamento dell’attività dell’Accademia di Vallombrosa ma affidata alla stampa solo nel 1914, è pure la definizione che Vittorio Perona riporta alla pagina 132 della sezione di dendrometria della sua “Economia Forestale” ([15]) con le seguenti parole: ”I coefficienti di riduzione si possono distinguere in dendrometrici, se si riferiscono al volume di tutta la pianta, e coefficienti cormometrici, se si riferiscono al volume del solo fusto, esclusi i rami fino alla grossezza di 7 cm. La differenza fra questi e quelli ci dà il volume dei rami stessi; oppure questo viene espresso con una percentuale del volume sia del fusto come dell’albero intero”. A proposito di questa definizione storicamente importante che verosimilmente ha subito una storpiatura al momento della stampa, si annota che in precedenza, a pagina 128, nella didascalia di una tavola di coefficienti di riduzione alsometrici di tipo cormometrico e dendrometrico per fustaia adulta e matura di abete, picea, pino silvestre, faggio e rovere, aveva riportato la medesima definizione con un leggera differenza, scrivendo: quello della sola massa grossa, esclusi i rami non aventi più di 7 cm di diametro. Comunque, il richiamo del limite diametrico di sette centimetri fa chiaramente riferimento al concetto del Derbholz conosciuto dall’autore durante i suoi studi all’Accademia sassone di Tharant.

Un Derbholz vallombrosiano dunque, che si distinguerebbe da quello tedesco solo per il fatto di includere apparentemente anche la massa del cimale, che con larga indipendenza dalle dimensioni del fusto vale sempre pochi decimetri cubi. La differenza rispetto alla definizione di Di Berenger sta però non tanto nella questione cimale, quanto nell’inclusione delle porzioni grosse dei rami che - se conta poco nel caso degli abeti e di altre conifere - è di fondamentale importanza nelle fustaie di latifoglie poco dense o palesemente rade oppure nelle vecchie matricine dei cedui composti.

Di Giuseppe Di Tella, professore di assestamento e di dendrometria dal 1916 al 1937 e traghettatore degli studi superiori forestali da Vallombrosa a Firenze, non siamo riusciti a trovare le “Lezioni di dendrometria” del 1933. In compenso, di questo tenace molisano di Capracotta abbiamo potuto leggere due presentazioni del suo lavoro sperimentale più importante, la sua grande tavola generale per l’abete bianco, basata sui volumi di oltre 7000 alberi modello cubati per sezioni nel corso di utilizzazioni eseguite nelle foreste demaniali di Vallombrosa, Camaldoli, Boscolungo e Cansiglio, pubblicata rispettivamente nella storica rivista l’Alpe, nell’annata 1919, e nell’Annale del 1932 del Regio Istituto Superiore Agrario e Forestale ([6]). In due punti del secondo di questi documenti si può cogliere bene l’atmosfera del periodo in cui si sviluppa la discordanza tra i due significati del nostro sfortunato aggettivo che si presenta nella sua più palese evidenza.

Infatti, da un canto nella parte introduttiva generale della pubblicazione si legge che si dicono cormometriche le tavole che danno dell’albero soltanto la massa della parte del fusto capace di fornire legname che serve per le costruzioni civili, navali, ferroviarie, ecc. oppure come legname da opera o da industria, mentre dall’altro, sulla copertina del fascicolo si trova scritto in bella evidenza tavola cormometrica generale dell’abete bianco (fusto compreso il cimale). Un modo per dire che la dottrina dice una cosa, circostanze di luogo e di tempo possono indurre ad operare diversamente. Nel contesto storico però, la ragione del divario tra la definizione dottrinale e l’esecuzione operativa è facilmente spiegabile in quanto risiede anche nel fatto che il lavoro della costruzione della tavola era stato assegnato dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste al proprio dipendente ispettore Giuseppe Di Tella, con precise direttive rigorosamente ispirate da Perona prima del suo passaggio alla docenza a Vallombrosa.

Prammatica e adattativa con il suo riferimento al tronco da lavoro è la definizione affidata da Generoso Patrone - il concludente ingegnere irpino con i piedi in terra e la testa nell’economia, professore di assestamento forestale a Firenze dal 1938 al 1972 ([7]) - alle diverse edizioni delle sue “Lezioni di dendrometria” ([14]). In quella più facilmente reperibile, del 1963, a pagina 83, è riportato che il volume legnoso è detto:

  • dendrometrico, se si riferisce a tutta la massa dell’albero, cimale e rami compresi,
  • cormometrico, se si riferisce al solo tronco da lavoro,
  • blastometrico, se si riferisce alla legna e alla fascina.

Essenzialmente assortimentale nei suoi riferimenti al tronco da lavoro e alla legna, questa definizione mette in bella evidenza anche la singolarità mercantile della fascina.

Identica definizione è stata insegnata, come alcuni ancora ricordano, da Luigi Benassi, il “Piemontese”, incaricato di dendrometria a Firenze negli anni ’€˜50, di cui è giusto ricordare per la sua esemplare chiarezza terminologica la tavola di cubatura del 1954 ([3]) per la pseudotsuga degli impianti allora ancora giovani di Vallombrosa riportata a pagina 217 del primo volume della Raccolta Castellani dell’allora ISAFA di Villazzano di Trento. In essa, anche nell’esplicito della dizione, il volume cormometrico è quello del fusto privato del cimale, di cui è pure evidenziato il volume che risulta nella media delle sei classi diametriche considerate, pari a venti decimetri cubi.

Formulazioni identiche a quelle di Patrone si ritrovano anche nella definizione riportata da Guglielmo Giordano, il grande enciclopedico italiano del legno, anche lui costruttore - in gioventù - di tavole alsometriche. Esse sono riportate a pagina 157 del suo dizionario “I legnami del mondo” ([8]), dove alla voce “volume effettivo di un albero” a proposito del coefficiente di riduzione si legge che esso… “sarà detto dendromerico se ci si riferisce al volume dell’intero albero (con cimale e ramaglia); e cormometrico se ci si riferisce al solo fusto utilizzabile da lavoro; la differenza tra i due costituisce il coefficiente blastometrico e si riferisce a cimale e ramaglia.”

Benchè assolutamente chiara se letta con sufficiente attenzione, in questa definizione disturba un po’ il “fusto utilizzabile da lavoro” che poteva essere definito più puntualmente come “parte del fusto utilizzabile da lavoro”, nonché l’impiego del termine ramaglia per l’intero insieme dei rami - ovvero della chioma - che lessicalmente sa un po’ di “minutaglia”.

Tre sostanzialmente identiche definizioni nazionali organotipico-assortimentali di un passato ancora recente dovute a tre autorevoli esperti della materia alle quali più tardi segue la secca dizione “il volume del tronco da lavoro è detto volume cormometrico” riportata da Orazio La Marca a pagina 207 del suo testo “Elementi di Dendrometria” ([13]), previo opportuno richiamo del concetto-termine altezza cormometrica che, di regola, viene intesa come lunghezza del tronco da lavoro. Per quest’ultimo, però, ricorda anche essere ammissibile la spesso usata ma poco elegante locuzione di “volume cormometrico cimale escluso”. Alla stessa stregua per il fusto (intero) annota “volume cormometrico cimale compreso”.

Formulazioni dello stesso tipo ma con espressioni più dirette e senza richiamo al coefficiente di riduzione erano già state impiegate da Roberto Del Favero nella sua docenza di dendrometria a Padova dal 1978 al 1993 nel contesto dell’illustrazione della “nota Derbholz” della quale si dirà tra poco, impiegando le dizioni alternative fusto con cimale e fusto senza cimale. Rimanendo nell’argomento, di questo versatile cadorino che più tardi si farà un nome nell’introduzione e nello sviluppo in Italia delle tipologie forestali su base ecologica, si può ricordare pure un’indagine condotta su oltre 300 alberi modello di abete del centro Cadore ([4]), intesa a quantificare la differenza dei volumi dei fusti prima e dopo la cimatura eseguita a sette centimetri di diametro.

Ancora per le formulazioni alternative nell’insegnamento, si può citare come esempio la curata presentazione riproposta nel 2013 del corso di dendrometria di Antonio Saracino all’Università di Napoli ([18]), nella quale in due schermate distinte viene presentato dapprima il coefficiente di riduzione al tronco da lavoro (o cormometrico cimale escluso) e poi quello di riduzione al fusto intero (o cormometrico comprensivo del cimale).

Risulta così evidente la differenza oggettiva tra le cinque concordi definizioni della seconda metà del secolo scorso ora evidenziate e la notazione riportata in RF per la quale è però opportuno ricordare che essa ha avuto un primo impiego cento anni fa nella grande tavola cormometrica generale per l’abete bianco di Di Tella e in seguito è stata adottata in 51 tavole stereometriche per le fustaie di conifere riportate nella Raccolta Castellani ([3]) con inequivocabili dizioni del tipo “volume cormometrico cimale compreso”.

Inoltre, passando dai problemi particolari a uno di natura generale è opportuno non dimenticare che oltre e accanto a incasellamenti in sistemi più o meno rigidi esiste anche il criterio della denominazione assortimentale della quale danno buona prova le tre tavole per faggete di regioni centromeridionali, dovute rispettivamente a Patrone, Cantiani e Famiglietti ([3]) che dividono la dendromassa epigea in tronchi, tronchetti, legna e fascina. E’ una divisione merceologica basata sull’uso o impiego del prodotto che coinvolge senza rigidità di misura diametrica anche la dimensione degli assortimenti. Questi, infatti, nel fusto sono dati, in senso ascendente, da tronchi, tronchetti, legna nonché - sempre - un cimaletto che va in fascina, mentre nei rami si succedono in senso centripeto, fascina e legna seguite - all’occasione - da tronchetti. I tre assortimenti minori (tondelli, legna e fascina) sono presenti tanto nel fusto quanto nei rami e la provenienza organotipica dei loro singoli elementi non dà luogo ad alcuna distinzione merceologica. Questo buon esempio di descrizione assortimentale dimostra quanto abbia ragione l’ultimo grande eclettico Giovanni Bernetti quando nel suo purtroppo poco spesso ricordato “Atlante di Selvicoltura” ([1]), alla voce volume cormometrico dice che per i casi non troppo semplici, ai sistemi di incasellamento sono da preferire le descrizioni verbali ad hoc.

Dalla differenziazione organotipica alla distinzione dimensionale 

Chiarita così la “questione cimale” che costituisce il punto dolente dell’interpretazione dei volumi e delle masse esposte nelle tavole stereometriche e alsometriche della Raccolta Castellani, possiamo - sempre ancora nei riguardi dell’aggettivo in causa - rivolgere l’attenzione a due contributi del coautore anziano di questo studio, intesi a illustrare il sistema tedesco del Derbholz e a proporre per le inventariazioni un simile, ma più libero, sistema di distinzione dimensionale anch’esso su base diametrica.

Il primo contributo è una nota di due pagine nell’Italia Forestale e Montana del 1962 ([9]) intitolata “Terminologia dendrometrica tedesca” - al tempo poco o nulla considerata in Italia ma ripresa, con tanto di figura nell’importante Holzmesslehre di Michail Prodan ([17]) - nella quale Hellrigl, allora volontario alla cattedra di assestamento forestale di Firenze, rimembrando la definizione di coefficiente di riduzione cormometrico di Di Berenger, traduce Schaftderbholz (= Derbholz del fusto) in massa cormometrica del fusto e non in legno grosso del fusto come sarebbe stato lessicalmente e fattualmente giusto fare.

Il secondo contributo è costituito da un sottocapitoletto titolato: “Caratteristiche e differenziazioni della massa legnosa”, situato a pagina 405 del compendio “Nuove metodologie nella elaborazione dei piani di assestamento dei boschi” ([10]) nel quale - con particolare riferimento per le conifere - è definita cormometrica “la massa epigea con corteccia che supera una certa dimensione diametrica in punta o che risulta indicata ad un certo tipo di impiego o di lavorazione”.

È un cormometrico chiaramente da tronco che però include nel suo numero anche l’eventuale porzione di legno dei rami che supera il diametro (in punta) richiesto per il tronco mercantile. Ha trovato e trova applicazione nella costruzione e nell’impiego di tavole di cubatura che evidenziano il diametro di svettatura del tronco di cui riportano il volume “tabulare”.

Comunque, abbiamo così per la nostra terminologia, nero su bianco e per giunta in un documento promosso dal Ministero, un terzo significato per l’aggettivo cormometrico, stavolta di tipo esclusivamente dimensionale. Tre accezioni che significano: del fusto, del tronco e grosso.

Un’incertezza che non può non creare smarrimento in numerosi casi di necessità di interpretazione del nostro troppo polivalente aggettivo.

Un esempio autonomo ed inedito di applicazione in Italia di una distinzione esclusivamente dimensionale su base diametrica è riscontrabile nel lavoro di Tabacchi et al. ([19]) in cui sono presentate le equazioni di previsione del volume e della fitomassa arborea per le specie di interesse forestale italiane. Le equazioni approntate forniscono sia la stima del volume del fusto e dei rami grossi, tutti svettati a 5 cm e quindi escludendo anche il cimale, sia la stima del peso secco delle diverse componenti della massa arborea epigea (fusto e rami svettati a 5 cm, ramaglia comprensiva del cimale con diametro inferiore a 5 cm, ceppaia). Le previsioni di volume sono dunque limitate alla parte legnosa con dimensioni uguali o superiori alla soglia di considerazione diametrica di 5 cm, senza alcuna distinzione di carattere organotipico o assortimentale, mentre le previsioni di peso secco sono estese anche a quella parte della massa arborea epigea per la quale l’espressione volumetrica risulta priva di significanza assortimentale propria e certamente non adatta per le frazioni di biomassa di minori dimensioni o di biomassa non legnosa, quali soprattutto i rametti, le foglie e gli aghi.

Con questa articolazione, dette equazioni sono state adottate anche nella stima della massa arborea epigea nell’ambito dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio ([20]).

Le incongruenze nei glossari della IUFRO 

Come già accennato nella nostra risposta allo studente, anche nel glossario multilingue della IUFRO del 1990 non tutto è così univoco o congruente come dovrebbe essere in elenchi di parole che nelle diverse lingue richiamate dovrebbero avere identico significato. In questo glossario, come pure in uno successivo del 1998 ([12]), che pure abbiamo preso in visione, si tratta di brevi liste che fanno riferimento al termine-simbolo tedesco Derbholz che viene definito come “volume legnoso epigeo > 7 cm con corteccia senza volume della ceppaia”.

Senza entrare in questa sede in un argomento che non riguarda direttamente il nostro lessico dendrometrico, a proposito di queste incongruenze, sembra sufficiente aggiungere le seguenti quattro osservazioni:

  • i lemmi madera de fuste e volume fustal non possono corrispondere al Derbholz in quanto includono la massa minuta del cimale ed escludono per definizione l’eventuale blastomassa grossa;
  • per gli aggettivi merchantable e commercial non è chiaro se essi indicano - di caso in caso - un assortimento principale oppure se si riferiscono all’insieme degli assortimenti vendibili ricavabili dall’albero;
  • la discriminante diametrica dei 7 cm propria del Derbholz ufficiale germanico è esplicitata solo una volta nei 23 lemmi riportati nei due glossari, considerando però che essa può essere istituzionalmente compresa nel termine o nell’aggettivo, come avviene per il francese bois fort;
  • nel caso specifico dell’italiano la dizione Derbholzformzahl assimilata a coefficiente di forma cormometrico e lo Derbholzzuwachs assimilato a incremento di legno grosso; incremento di massa cormometrica, destano non poche perplessità; infatti la prima e la terza locuzione rappresentano un palese disconoscimento del DNA lessicale dell’aggettivo, e nel secondo una generica distinzione dimensionale priva pure di indicazione organotipica.

Queste mancanze di vera corrispondenza e di congruenza non sono però sintomi di confusione nel senso comune della parola, bensì - tra l’altro - una dimostrazione del fatto che la categorizzazione e la classificazione delle porzioni e degli assortimenti ricavabili da un albero sono questioni nazionali se non addirittura locali che derivano dalla nascita e dallo sviluppo del mercato dei prodotti legnosi forestali. Questi sono prodotti destinati ad un certo uso o ad una data lavorazione o trasformazione come tronchi da sega, da trancia oppure - una volta - per traverse, derivati dalla sezionatura dei rispettivi figurativi “tronchi da lavoro” delle definizioni, che per motivi tecnologici debbono avere un diametro in punta non inferiore a una certa misura che oggi spesso supera i 20 cm oppure tronchetti per cassette o da cartiera, tondelli o squartoni per legna da stufa e così via, per i quali valgono minimi diametrici minori.

Assortimenti, nel complesso, per i quali è richiesta una dimensione e una qualità formale ma non anche - ad eccezione di quelli del primo gruppo - una precisa provenienza organologica la quale così diventa aspetto negli assortimenti minori appena nominati.

Osservazioni conclusive 

Da questa succinta disanima di termini, definizioni ed accessioni risulta che fra i lemmi del lessico dendrometrico italiano quello che nella sua storia si è caricato di più incertezze è l’aggettivo cormometrico. Coniato a suo tempo per contraddistinguere ciò che riguarda la totalità del fusto di un albero - dalla ceppaia fino alla gemma apicale - è stato contraddetto nero su bianco già da Di Berenger nel 1887 con una definizione che indicava il coefficiente di forma cormometrico come strumento di stima per gli alberi e i boschi da legname sociale (da opera o da costruzione), il che equivale a dire: stimare il volume della porzione di maggior valore del fusto. Accezione, questa, presto disconosciuta tanto da Perona che incluse nella massa cormometrica anche quella delle porzioni grosse dei rami, quanto anche, almeno nella sua grande tavola generale per l’abete bianco, da Di Tella, nella quale il temine cormometrico sta per “fusto con cimale compreso”.

Un susseguirsi di variazioni del significato del termine che ha lasciato un segno nelle consuetudini lessicali che neppure il periodo di autorevole calma introdotto da Patrone, Benassi e Giordano con i loro concordi “si dice cormometrica la massa del tronco da lavoro” è riuscito a cancellare, come dimostra il fatto che anche oggi si ritiene necessario insegnare ancora dizioni del tipo “cormometrico cimale escluso” e “cormometrico comprensivo di cimale” rispettivamente per tronco e fusto.

Su questa confusa e riaggiustata situazione del sistema organotipico-assortimentale spira poi ogni tanto - con Perona, Di Tella e Hellrigl per la precisione - un vento del nord che spinge la barca dell’inquadramento tipologico pure nella direzione della distinzione dimensionale propria del Derbholz che però non ha avuto concreto apprezzamento e applicazione in Italia.

Come regolarsi per il futuro? Non certo mettendo all’indice la parola, il che tra l’altro avrebbe effetto solo nelle sedi istituzionali e nelle pubblicazioni referenziate. Piuttosto invece chiarire il problema nella didattica, levare ogni accento di incertezza nei vocabolari e glossari di nuova pubblicazione, pensare più al cangevole e cangiante mercato dei prodotti che non all’anatomia dell’albero, evitare dove possibile i due grecismi differenzianti, in un tempo nel quale solo pochi dei nuovi laureati provengono da studi classici e perciò non li sentono propri. Inoltre, nella costruzione di nuove tavole di cubatura guardare più al futuro, anche oltre all’assortimento oggi dilagante, quel legno da triturazione che, assolutamente marginale ai tempi di Patrone e Giordano, negli ultimi venti anni ha determinato la scomparsa dai bandi d’asta delle foreste demaniali di diversi assortimenti del tipo tondello da cartiera, botoli, sottomisure e così via.

Nella costruzione di nuove tavole, eventualmente anche con il recupero di materiale archiviale riguardante alberi modello, sembra essenziale orientarsi verso funzioni di previsione stereometrica discriminanti sul tipo di quelle sperimentate da Bianchi et al. ([2]) per le faggete della Toscana. Equazioni che permettono di evidenziare volumi di sezioni inferiori o superiori a certi valori di soglia, anzitutto nel fusto ma nel futuro anche per i rami, direzione nella quale sembrano avviati studi promettenti in itinere. Attraverso siffatte funzioni sarebbe possibile tra l’altro, calcolare il volume di un determinato “vettone”, ovvero della eventuale porzione di fusto interposta tra la fine del tronco e l’inizio del cimale, come illustrato a pagina 274 dell’”Atlante di Selvicoltura” di Bernetti.

Tale distinzione merceologica riuscirebbe ad illustrare meglio, indirettamente, il fatto che nella variabilità delle specie legnose e dell’assortimentazione che viene fatta il fusto può risultare “svettato” tanto attorno ai 10 cm quanto al di sopra dei 20, il che nel secondo caso almeno negli alberi non grandissimi, il così individuato cimale non corrisponde al concetto che nel lessico comune la parola richiama.

Questa ultima osservazione rende palese anche il fatto che nell’ampia realtà del mercato dei prodotti legnosi, nei quali la terminologia dendrometrica viene ad operare, cercare di creare rigide gabbie terminologiche risulta fattivamente inappropriato.

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