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Comparison among different schemes and plant densities in oak plantations (Quercus petraea [Matt.] Liebel.): a case study in Umbria, Central Italy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 16, Pages 40-47 (2019)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3130-016
Published: Jul 17, 2019 - Copyright © 2019 SISEF

Research Articles

Abstract

The results of tree farming plantation, aged 20 years, characterized by three different planting designs are reported. The plantation designs differ in planting densities and by the presence/absence of N-fixing nurse trees and shrubs. The plantations intercropped with N-fixing trees and shrubs (B 33% and C 66%) showed superior increment in dbh and height. The plantation C characterized by valuable tree planted at definitive distances (8 m), lower tree density and higher percentage of N-fixing trees and shrubs (C) showed the best growth performance and no thinning need, but showed the worst stems quality. In plantation (C) the vigorous development of shrubs and brambles hindered the management, making the plantation not suitable for tourist and recreational activities, though more attractive for local wildlife. The plantation with high tree density characterized mainly by sessile oak (A) was more sensitive to insect attacks and needed to be early thinned, thus it is more suitable for tourist and recreational activities. The plantation B with high tree density and intercropped with N-fixing nurse shrubs showed higher growth, needed to be tinned and can be used for tourist and recreational activities too.

Keywords

Sessile Oak, Nitrogen Fixing Species, Thinning, Planting Layout

Introduzione 

In Italia l’impiego di specie quercine a legname di pregio quali farnia (Quescus robur L.) e rovere (Quercus petraea [Matt.] Liebel.) ha trovato diffusione prevalentemente negli imboschimenti volti a ricostituire boschi di pianura nelle regioni settentrionali. Queste sono generalmente piantagioni miste con messa a dimora di alberi e arbusti, caratterizzate da densità da medie ad elevate (da 1700 a 4000 piante ha-1) e sesti d’impianto regolari dove, per mascherare la regolarità della piantagione, le file seguono andamento sinusoidale ([23], [25]). Queste piantagioni vengono gestite con un approccio naturalistico che mira a ridurre gli input energetici e che sfrutta nei primi anni i meccanismi naturali di competizione intraspecifica e interspecifica al fine di favorire, nella fase di qualificazione, l’autopotatura delle piante e l’individuazione di quelle che raggiugeranno la fine del ciclo.

Nettamente inferiore è stato l’impiego di queste due specie quercine negli imboschimenti di terreni agricoli, realizzati in seguito ai finanziamenti del Reg. 2080/92 e del PSR, dove sono state prevalentemente impiegate altre latifoglie di pregio considerate più interessanti dal punto di vista economico e produttivo quali noce (Juglans regia L.) e ciliegio (Prunus avium L.).

La progettazione delle piantagioni di arboricoltura pure o miste ha avuto nel corso degli anni un’evoluzione verso impianti a densità ridotta rispetto all’origine. Si è passati da sesti d’impianto di 3 × 3 m a sesti dove le piante di pregio sono state messe a 5-6 m, fino a piantagioni dove le piante principali a legname pregiato sono state messe a dimora a distanze definitive di 8-10 m, intervallate con piante accessorie ([10]). Più di recente si è diffusa un’altra tipologia di piantagione, le piantagioni policicliche, nelle quali vengono impiegate piante di pregio caratterizzate da cicli colturali e ritmi di crescita diversificati ([11], [12]).

La pratica di consociare piante di pregio con piante accessorie azotofissatrici arboree e arbustive ha permesso di ridurre i costi di gestione ed è risultata fondamentale negli interventi di riqualificazione ambientale per il recupero delle aree minerarie, favorendo la rapida evoluzione dell’attività biologica e di miglioramento dei suoli delle discariche minerarie sia in Italia che all’estero ([7], [13], [6], [33]). L’impiego della consociazione con specie azotofissatrici ha spesso determinato un maggiore accrescimento delle piante di pregio sia in diametro che in altezza ed un miglioramento della qualità del fusto ([4], [14], [5]). Recenti indagini hanno anche riscontrato, in ambienti dove le disponibilità idriche possono risultare un fattore limitante, una migliore efficienza nell’utilizzo dell’acqua degli impianti misti di farnia con specie azotofissatrici rispetto a quelli puri ([3]).

Nei paesi centro europei gli impianti con specie quercine di pregio vengono spesso realizzati a densità elevate e con sesti regolari (3000-5000 piante ha-1) per garantire e integrare la rinnovazione dei boschi naturali, per ricostituire aree forestali danneggiate da eventi catastrofici o per riforestare nuove superfici. Questi metodi di rimboschimento, tradizionali in centro Europa, attualmente non sono più sostenibili dal punto di vista economico anche se erano in grado di fornire tronchi di ottima qualità caratterizzati da accrescimenti piccoli e costanti, particolarmente idonei per la produzione di tranciati. Più di recente in Europa per ridurre i costi di gestione si stanno affermando nuove modalità di piantagione dove le specie di pregio (querce in particolare) vengono piantate a gruppi. Generalmente sono realizzati 70-100 gruppi ad ettaro costituiti da una o più specie formati da 15-30 semenzali messi a dimora a distanza di 1-2 m. Gli spazi tra i vari gruppi sono lasciati all’evoluzione naturale permettendo così di creare soprassuoli caratterizzati da strutture più irregolari, con maggiore stabilità e biodiversità ([28], [29]). Esperienze simili sono state realizzate anche in Italia, sia per favorire l’introduzione di specie di pregio in soprassuoli artificiali sia per integrare la rinnovazione di aree danneggiata da eventi catastrofici ([16], [20], [26], [15]).

In Italia per quanto riguarda le modalità di gestione ed in particolare i diradamenti sono stati applicati, sia nelle piantagioni di arboricoltura caratterizzate da specie quercine a legname di pregio, sia in quelle realizzate per la ricostituzione dei boschi planiziali, diradamenti di tipo geometrico, geometrico-selettivo e selettivo ([23], [24], [14], [25], [27]). Lo scopo finale di questo tipo di gestione, nelle piantagioni di arboricoltura da legno, è quello di ottenere a maturità 60-100 alberi ad ettaro in grado di produrre assortimenti di pregio di circa 40 cm con turni di 30-40 anni. Obiettivi diversi hanno invece le piantagioni finalizzate alla ricostituzione dei boschi planiziali per le quali sono più indicati interventi gestionali graduali e orientati ad ottenere, con turni più lunghi, assortimenti di grosse dimensioni.

Anche in Europa, nei soprassuoli di querce a legname di pregio, l’obiettivo selvicolturale finale più diffuso era quello di ottenere 60-80 alberi di almeno 60 cm con turni molto lunghi (intorno 140-200 anni), adottando regimi di diradamento differenziati in funzione della densità, della fertilità stazionale e degli assortimenti che si volevano produrre ([30], [32], [31], [2]).

Assortimenti di pregio e di grosse dimensioni possono essere prodotti anche con turni inferiori a 100 anni mediante l’applicazione di frequenti e intensi diradamenti liberi, riconducibili alla “selvicoltura d’albero”. Questo innovativo approccio selvicolturale consente, da un lato, di produrre assortimenti sempre richiesti dal mercato e dall’altro, di ridurre i costi di gestione concentrando l’attenzione del selvicoltore su un limitato numero di piante. Questo approccio si sta diffondendo in vari paesi europei in quanto coniuga sia una maggiore convenienza finanziaria degli investimenti, sia la possibilità di migliorare la stabilità individuale delle piante su cui è concentrata la produzione, riducendo così il rischio di eventuali danni dovuti a eventi climatici catastrofici attualmente sempre più frequenti ([18], [17], [1], [19], [21]).

Nel presente lavoro si riporta l’esperienza dell’azienda Selvamar s.s. ubicata tra i comuni di Piegaro (PG) e Città della Pieve (PG); l’azienda gestisce circa 160 ettari di bosco ceduo caratterizzato dalla presenza sporadica di rovere (Quercus petraea [Matt.] Liebl.), specie a legname pregiato da sempre al centro dell’attività imprenditoriale della proprietà per la produzione di pavimenti in legno. Facendo tesoro dell’esperienza forestale maturata in Francia, la proprietà ha realizzato nel febbraio 1999, grazie a un finanziamento del Regolamento CEE 2080/92, un impianto di arboricoltura da legno di circa 10 ettari di superficie. In questa piantagione sono state messe a confronto due modalità a differente densità d’impianto: la piantagione a maggior densità è caratterizzata da 2 varianti progettuali descritte più avanti, quella a minore densità d’impianto è invece caratterizzata da piante principali a legname di pregio poste a distanza definitiva di 8 metri e consociate con piante accessorie azotofissatrici, seguendo le indicazioni fornite dal CREA FL (Centro di Ricerca foreste e legno).

L’obiettivo del lavoro è quello di confrontare, a 20 anni di distanza dalla messa a dimora, le diverse tipologie d’impianto, evidenziandone sia le capacità produttive che le possibili ricadute in termini di fruibilità turistico/ricreativa. Vengono sottolineati gli aspetti positivi e le criticità che si sono incontrate nella gestione della piantagione e analizzate le performance, in particole della rovere, specie di pregio presente in tutto l’impianto.

Materiali e metodi 

Descrizione della piantagione

L’impianto è stato realizzato nel febbraio 1999 in terreni precedentemente destinati a uso agricolo ubicati in un’area collinare a circa 400 m s.l.m. Il terreno è di tipo alluvionale con depositi lacustri e fluvio-lacustri, con pH da 5.5 a 7.0. Il clima della zona è caratterizzato da una temperature media annua di 14 °C, precipitazioni annue di 800 mm, precipitazioni del periodo estivo di 140-150 mm.

Nella realizzazione della piantagione sono state messe a confronto le seguenti tipologie:

  • (A) piantagione mista a media densità a prevalenza di rovere (67%) con altre specie di pregio (38%) ma senza specie azofissatrici;
  • (B) piantagione mista con accessorie a media densità a prevalenza di rovere (33%) con altre specie di pregio (38%) con il 33% di arbusti azotofissatori umbellata (Elaeagnus umbellata Thunb.);
  • (C) piantagione mista con accessorie con piante a legname di pregio (principali) poste a distanza definitiva 8 m (rovere 11% e altre latifoglie di pregio 6%), con il 66% di piante accessorie azotofissatrici (umbellata e ontano napoletano (Alnus cordata Loisel.) e con il 17% di carpino bianco (Carpinus betulus L.).

(A) Piantagione mista a media densità a prevalenza di rovere

L’impianto è caratterizzato da piante disposte in gruppi di tre di file (denominate triplette) separati, da corridoi di 3.6 m. All’interno delle triplette le piante sono poste secondo un sesto quadrato con distanza tra le piante di 1.8 metri. Nello schema originario le file laterali sono caratterizzate da rovere, mentre nella fila centrale una pianta di ciliegio viene alternata ogni tre piante di farnia (Fig. 1). La densità complessiva al momento dell’impianto risultata di 2315 piante ad ettaro.

Fig. 1 - Schema e immagine impianto modalità A. In grigio viene evidenziato il modulo d’impianto.

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(B) Piantagione mista con accessorie a media densità a prevalenza di rovere con arbusti azoto fissatori

Ripete lo schema precedente con inserzione nelle file laterali della tripletta di eleagno umbellata alternato con la rovere (Fig. 2).

Fig. 2 - Schema e immagine impianto modalità B. In grigio viene evidenziato il modulo d’impianto.

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(C) Piantagione mista con piante accessorie azotofissatrici e piante principali poste a distanza definitiva

In questo schema d’impianto le piante a legname di pregio (rovere, ciliegio, noce, ciavardello - Sorbus torminalis L. - e perastro - Pyrus piraster [L.] Burgsd.) sono alternate lungo la fila con umbellata e carpino bianco a queste file si intercalano file di ontano napoletano (Fig. 3). Le piante di pregio sono poste secondo uno schema a settonce con distanza di 8 m. Per le piante di rovere è stata adottata la tecnica della doppia pianta, sono state infatti messe a dimora una coppia di querce, al posto di una, piantate ad una distanza di un metro l’una dall’altra in modo da poter eseguire, dopo pochi anni, la selezione del miglior soggetto della coppia ([8], [9]). La densità complessiva dell’impianto è di 1071 piante ad ettaro con 179 piante di pregio.

Fig. 3 - Schema e immagine impianto modalità C. In grigio viene evidenziato il modulo d’impianto.

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Modalità di gestione dell’impianto

Nei primi anni dopo l’impianto il controllo delle infestanti, favorito anche dall’uso di pacciamatura in polietilene, ha interessato solo i corridoi laterali delle triplette nell’impianto A e B e tutte le file dell’impianto C.

A partire dal 2007/2008 sono stati avviati gli interventi di potatura; negli impianti A e B, questi hanno interessato solo un limitato numero di soggetti di specie a legname di pregio, selezionandoli ogni 6-10 m in base alla vigoria e alla qualità del fusto. Nel modulo C le potature hanno invece interessato tutte le piante a legname pregiato. Con la potatura si è mirato ad ottenere un fusto di almeno 2.5-3.0 metri privo di rami attraverso graduali interventi di tipo progressivo.

Nel marzo del 2015 è stato necessario realizzare un primo diradamento selettivo nelle due tipologie di impianto a media densità (A e B) favorendo le migliori piante candidate. L’intensità del diradamento è stata di modesta entità con prelievo del 18% e 20% di area basimetrica rispettivamente per A e B. Il diradamento ha interessato solo i più immediati competitori delle piante candidate, lasciando all’evoluzione naturale la restante porzione del soprassuolo. In media sono stati abbattuti 2 competitori per pianta candidata, mantenendo un’adeguata copertura, al fine di favorire ulteriormente lo sviluppo in altezza degli alberi selezionati e contenere contemporaneamente lo sviluppo di rami epicormici.

Inventari

Nel novembre del 2012 e nel marzo 2015 le caratteristiche della piantagione sono state rilevate in 3 aree di saggio di superficie variabile da 1600 a 3800 m2 in modo da avere un sufficiente numero di piante candidate di rovere. Il numero minimo di piante candidate è di 30 nelle tipologie di impianto A e B mentre in C il numero è inferiore, dato il maggior numero di specie di pregio presenti. All’interno di queste aree è stato condotto un inventario di tutte le piante a partire da una soglia di 3 cm di diametro, misurando il fusto più vigoroso delle specie arbustive.

Monitoraggio e confronto delle piante candidate

All’interno delle aree di saggio (A e B) sono state selezionate e numerate le candidate, su queste piante è stato rilevato annualmente il diametro e periodicamente (nel 2012, 2015, 2017) l’altezza totale, l’altezza di inserzione della chioma, il diametro della chioma e la qualità del fusto secondo la metodologia proposta per gli impianti di arboricoltura ([22]). Il numero di piante selezionate varia in funzione, dell’evoluzione e del tipo di piantagione; complessivamente sono state selezionate 263, 185 e 95 piante ad ettaro rispettivamente per A, B, e C.

Elaborazione statistica dei dati

Il confronto tra gli impianti sulla base dei parametri rilevati nelle piante candidate è stato condotto mediante l’analisi della varianza (ANOVA) confrontando i valori medi mediante il test HSD di Turkey per valori diseguali. Le differenze in termini di distribuzioni in classi di qualità del fusto sono state valutate mediante il test del χ2 di Pearson.

Risultati e discussione 

Il monitoraggio della piantagione ha evidenziato una fase di attecchimento piuttosto lunga; in limitate superfici, caratterizzate da peggiori condizioni del suolo, le piante presentano uno sviluppo stentato e non saranno in grado di raggiungere gli obiettivi stabiliti in fase di progettazione.

Inventari

Il confronto dei dati rilevati nei due inventari (2012 e 2015) evidenzia una maggiore area basimetrica negli impianti più densi A e B che si ripercuote sull’incremento di area basimetrica, pari a 1.37 e 1.65 m2 ha-1 anno-1, mentre nell’impianto C, a minore densità, l’incremento è risultato inferiore (0.66 m2 ha-1 anno-1) rispetto alle altre due tipologie (Tab. 1). La minore densità e la presenza di azotofissatrici hanno influenzato positivamente l’accrescimento individuale delle latifoglie di pregio; in particolare nel 2015 la rovere ha raggiunto valori di diametro medio di 7.0, 8.3 e 10.5 rispettivamente negli impianti A, B e C. Questa tendenza si è evidenziata anche per le piante candidate di rovere con diametri medi di 10.4, 11.7, 13.1 cm rispettivamente in A, B e C.

Tab. 1 - Principali caratteristiche delle aree di saggio al momento dell’inventario 2012 (14 anni) e 2015 (17 anni) prima del diradamento. (*): Il dmg di B e C considera tutte le specie arboree e arbustive; (**): la densità superiore rilevata nel 2015 nell’impianto A e B deriva dalle nuove piante dominate che hanno superato la soglia di cavallettamento.

Impianto Superficie (m2) Inventario (anno) Densità
(n ha-1)
G tot
(m2 ha-1)
Dmg*
(cm)
Dm* latif. nobili (cm) Dm Rovere (cm) Dm cand. Rovere (cm) Candidate rovere (%)
A 0% N 1600 2012 1798 6.16 6.6 6.3 ± 2.1 6.4 ± 2.0 7.9 ± 1.6 97
B 33% N 2000 2012 1590 5.06 6.0 6.7 ± 2.3 6.7 ± 2.3 8.4 ± 1.3 89
C 66% N 3800 2012 821 3.79 5.2 8.9 ± 2.6 8.8 ± 2.0 9.4 ± 1.4 63
A 0% N 1600 2015 1819 ** 8.89 7.9 7.1 ± 2.7 7.0 ± 2.6 10.4 ± 2.1 97
B 33% N 2000 2015 1680 ** 8.36 8.0* 8.3 ± 2.9 8.3 ± 2.8 11.7 ± 1.7 89
C 66% N 3800 2015 726 5.10 9.5* 10.8 ± 3.4 10.5 ± 2.8 13.1 ± 1.4 63

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Monitoraggio e confronto delle piante candidate

Un primo confronto è stato realizzato tra le piante candidate di rovere e ciliegio presenti in tutte e tre le modalità di piantagione. I valori medi evidenziano, in funzione delle caratteristiche della specie, un maggiore accrescimento del ciliegio nelle fasi iniziali rispetto alla rovere; successivamente, a partire dal 2012, si è manifestato un positivo effetto della consociazione con azotofissatrici sull’accrescimento diametrico e sull’altezza. L’effetto sul diametro risulta positivamente influenzato dalla presenza di piante azotofissatrici e risulta costante nel tempo; tale effetto è meno evidente e duraturo sull’accrescimento in altezza (Fig. 4).

Fig. 4 - Accrescimento, in D e H, delle piante scelte di rovere e ciliegio negli anni 2012 e 2017.

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Un’indagine di maggior dettaglio è stata condotta tra le piante candidate di rovere. L’analisi dei principali parametri dendrometrici rilevati sulle piante di rovere evidenzia un significativo effetto della consociazione con specie azotofissatrici che ha condizionato l’accrescimento in diametro e lo sviluppo in altezza delle piante candidate determinando una progressiva differenziazione tra le modalità di piantagione (Tab. 2).

Tab. 2 - Principali caratteri delle piante candidate di rovere a fine 2012 e 2017. (DS): deviazione standard; (HSD): confronto tra le medie mediante il test HSD di Tukey per campioni diseguali.

Impianto Anno Piante
scelte
Diametro
(cm)
Altezza
(m)
Diam. chioma
Dch (m)
Rapporto
H/D
n Media DS HSD Media DS HSD Media DS HSD Media DS HSD
A 0% N 2012 36 7.9 1.6 A 6.2 0.7 A - - - 80 10 A
B 33% N 2012 31 8.4 1.3 A 6.5 0.6 AB - - - 78 9 A
C 66% N 2012 9 9.4 1.4 A 7.1 1 B - - - 76 12 A
A 0% N 2017 36 11.7 2.4 A 8.6 1.1 A 3.6 0.7 A 75 10 A
B 33% N 2017 31 13.5 1.9 B 9.6 0.9 B 4.1 0.7 B 72 7 A
C 66% N 2017 9 15.7 1.5 B 10.3 0.6 B 4.8 0.7 B 66 6 A

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Nel 2012 le differenze di accrescimento in diametro delle piante selezionate di rovere non sono risultate significative, mentre già in quell’anno si sono riscontrate differenze significative tra i valori medi di altezza rilevate nell’area A e C. Nel 2017 le piante candidate, selezionate nelle aree consociate con piante azotofissatrici (area B e C), risultano in generale significativamente differenti per gran parte dei parametri dendrometrici rilevati rispetto all’area A. In particolare, le piante selezionate nell’area C e B presentano diametri medi superiori del 51% e del 15% rispetto a quelli rilevati in A. Anche per le altezze medie si riscontra un andamento simile con valori prossimi a 10 metri, superiori di 1-1.7 m rispetto ad A. La maggiore densità della piantagione, caratterizzante le aree A e B, ha determinato un rapporto H/D delle candidate superiore (H/D= 75 e 72 rispettivamente per A e B) rispetto a quello riscontrato nell’area C (H/D= 66) anche se statisticamente non significativo.

Nell’area C la minore densità dell’impianto e la presenza di arbusti ha esercitato una minor competizione rispetto alle specie arboree consentendo un maggior sviluppo in diametro della chioma (Dch). Tale parametro presenta differenze significative tra l’impianto A senza arbusti e gli impianti B e C caratterizzati dalla presenza di umbellata.

La ripartizione delle piante candidate in classi di qualità del fusto non risulta omogenea tra le varie modalità di impianto (Tab. 3). Il test χ2 (13.79, p<0.01), applicato solo alle modalità A e B che presentavano un sufficiente numero di osservazioni, conferma una disomogeneità di distribuzione delle classi di qualità del fusto. Nell’area B l’elevata densità d’impianto associata con il 30% di arbusti azotofissatori ha permesso di ottenere una percentuale più elevata di piante appartenenti alle prime due classi (A e B) idonee per la produzione di legname di pregio (Tab. 3). Infatti, nell’area B la maggioranza dei fusti delle candidate appartiene alle prime due classi (87%); tale percentuale scende nell’area A al 58% e a solo il 44 % nell’area C, nonostante l’impiego della doppia pianta.

Tab. 3 - Ripartizione dei fusti delle piante candidate di rovere in classi di qualità.

Area Rovere: classi di qualità del fusto 2017 Tot.
rovere
A B C D
A 0% N 2 19 13 2 36
B 33% N 8 19 1 3 31
C 66% N - 4 5 - 9
Totale 10 42 19 5 76

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Il monitoraggio annuale degli accrescimenti diametrici delle piante candidate di rovere ha evidenziato una progressiva riduzione dell’incremento corrente di diametro (IcD) prima del diradamento a cui è seguita una ripresa dell’accrescimento negli anni successivi all’intervento nonostante l’effetto di annate siccitose (Fig. 5). Accrescimenti diametrici intorno a 1-1.5 cm si sono ottenuti nelle tesi consociate con le azotofissatrici mentre, valori più bassi, generalmente inferiori a 1 cm, si sono verificati in assenza di queste (tesi A).

Fig. 5 - Andamento dell’incremento corrente di diametro delle piante candidate di rovere nelle tre modalità di piantagione.

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Per valutare meglio l’effetto del diradamento sull’accrescimento diametrico delle piante candidate di rovere, sarà necessario proseguire il monitoraggio per più anni in modo da ridurre l’influenza di annate particolarmente sfavorevoli (Tab. 4) che si sono verificate in questi ultimi anni (2015 e 2017) e che hanno mascherato l’effetto del diradamento.

Tab. 4 - Andamento delle precipitazioni rilevate nella stazione di Piegaro (⇒ http:/­/­piegarometeo.altervista.org/­site/­).

Precipitazioni 2013 2014 2015 2016 2017 2018
P. estive 164 292 235 288 164 369
P. primaverili 67 263 115 211 67 119
P. medie annua 1162 1109 677 915 478 957

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I tre tipi di piantagione si differenziano per alcuni aspetti che hanno condizionato le modalità di gestione (Tab. 5). La consociazione con le specie azotofissatrici ha sicuramente migliorato le caratteristiche del terreno permettendo alle piante di pregio di accrescersi in modo più sostenuto in diametro e in altezza ([4], [13], [3]). La maggiore densità degli impianti nelle modalità A e B e la possibilità di eseguire una selezione dei migliori soggetti su un più ampio numero di individui di rovere e farnia si è ripercossa sulla qualità del fusto delle piante candidate e ha stimolato l’accrescimento longitudinale, determinando rapporti H/D più elevati. Inoltre, la maggiore densità d’impianto ha determinato un minor sviluppo delle infestanti, rendendo più agevoli le cure colturali e dunque più facilmente utilizzabili queste porzioni della piantagione anche per un uso turistico-ricreativo, favorito dalla presenza dei corridoi larghi 3.6 m intervallati alle triplette, alcuni dei quali sono stati anche identificati come sentieri e valorizzati con la presenza di segnaletica.

Tab. 5 - Principali aspetti che differenziano le modalità gestionali delle diverse tipologie di piantagione.

Impianto Velocità di crescita Effetto della densità Accessibilità Diradamenti e qualità fusto Diversità
arborea
Multifunzionalità attuale
A L’accrescimento in diametro e in altezza è minore La maggiore densità causa nelle piante rapporti H/D più alti La maggiore densità determina un più lento sviluppo delle erbe infestanti (rovo, ecc.) e rende più facile il loro controllo I diradamenti sono necessari. La qualità del fusto è favorita dall’elevata densità Composizione specifica semplice caratterizzata da solo 3 specie. Struttura monoplana Più fruibile per un uso turistico-ricreativo grazie al controllo delle infestanti
B L’accrescimento in diametro e in altezza è intermedio La maggiore densità causa nelle piante rapporti H/D più alti La presenza degli arbusti ostacola in parte l’accessibilità della piantagione I diradamenti sono necessari. La qualità del fusto è favorita dall’elevata densità e dalla presenza delle accessorie Composizione specifica semplice caratterizzata da 4 specie. Struttura biplana Fruibile per un uso turistico-ricreativo e potenzialmente utilizzabile per la produzione di frutti di eleagno
C L’accrescimento in diametro e in altezza è superiore La minore densità causa nelle piante rapporti H/D più bassi, e quindi superiore stabilità individuale La bassa densità e l’elevata disponibilità di azoto favorisce lo sviluppo di rovo. È necessaria una maggiore tempestività delle cure colturali. L’accessibilità della piantagione risulta ostacolata I diradamenti non sono necessari. La qualità del fusto nonostante le piante accessorie e la doppia pianta è peggiore. È possibile fare solo la selezione all’interno della coppia Composizione specifica complessa caratterizzata da 10 specie. Struttura articolata su più piani Meno fruibile per un uso turistico-ricreativo. Utilizzabile per la produzione di frutti di eleagno; più attrattivo per la fauna locale

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Nell’impianto C la minore densità della piantagione ha determinato un notevole sviluppo delle chiome di eleagno che hanno progressivamente ostacolato il passaggio dei mezzi meccanici. Queste difficoltà associate agli apporti di azoto, forniti dalle specie azotofissatrici, hanno favorito un rapido sviluppo di specie nitrofile come il rovo rendendo attualmente l’impianto difficilmente accessibile e creando forti limitazioni non solo per gli interventi colturali ma anche per la fruizione turistico-ricreativa.

I criteri di progettazione adottati nella modalità C, caratterizzata dalla messa a dimora a distanze più o meno definitive, non prevedono la realizzazione di diradamenti; questi dovranno essere realizzati solo se l’obbiettivo sarà quello di ottenere assortimenti di grosse dimensioni. Il carpino bianco, specie tollerante dell’ombra di lenta crescita, per il momento non ha ostacolato lo sviluppo delle piante di pregio, la sua utilizzazione è consigliabile solo quando sarà possibile produrre legna da ardere.

Nelle altre due modalità il primo diradamento si è reso necessario già a 16 anni e dovrà essere ripetuto più volte nel tempo ([23], [4], [14], [27]). Dato il limitato prelievo, questo è risultato a macchiatico negativo e ha rappresentato un costo per l’azienda. Nell’arco di 5-7 anni sarà necessario eseguire una selezione delle piante candidate, riducendone il numero a 70-80 piante ad ettaro, e realizzare un secondo diradamento di più forte intensità.

La composizione specifica più ricca nell’impianto C e la struttura più irregolare rendono questa modalità di piantagione più attrattiva per la fauna locale che predilige sicuramente strutture più articolate e ricche in biodiversità.

Anche da questa esperienza si ribadisce il positivo effetto delle specie azotofissatrici che in suoli non particolarmente fertili hanno stimolato l’attecchimento e l’accrescimento delle piante a legname di pregio. Elevate densità di umbellata possono però rappresentare un ostacolo per la realizzazione di cure colturali e per la fruizione turistica della piantagione. Nel caso specifico la tipologia B sembra rappresentare per il momento la migliore soluzione per conciliare gli aspetti produttivi, di gestione e multifunzionali dell’impianto.

Conclusioni 

Nei boschi di pianura e di collina farnia e rovere erano un tempo frequenti tanto nel ceduo che nella fustaia, caratterizzando specifiche formazioni quali i querco-carpineti. Nel XX secolo in seguito alla forte richiesta di terreni per uso agricolo, alle opere di bonifica e alla semplificazione della gestione delle foreste, prevalentemente orientata alla produzione di legna da ardere, la presenza di queste specie si è notevolmente ridotta tanto da essere considerate, allo stato attuale, specie sporadiche e per questo motivo meritevoli di essere protette e reinserite in questi ambienti. Per tale motivo l’impiego di farnia e rovere negli imboschimenti è sicuramente una scelta positiva sia per assicurare buoni risultati dal punto di vista produttivo sia per la riqualificazione ambientale di aree rurali di pianura e collina.

Le esperienze fin qui condotte hanno dimostrato come l’impiego di piante accessorie azotofissatrici (arboree e arbustive) possa favorire l’insediamento e il primo sviluppo delle querce di pregio che si avvantaggiano del rapido miglioramento della fertilità del suolo. Tale fenomeno risulta particolarmente evidente quando le specie azotofissatrici sono messe a dimora in suoli poco evoluti, non particolarmente favorevoli alle querce, come quello che si riscontra in terreni agricoli o nelle aree di discarica mineraria. Tra le specie azotofissatrici sono da preferire quelle possibilmente autoctone e a rapida crescita iniziale, ma poco competitive e poco invadenti, che possono essere facilmente controllate con adeguati interventi gestionali.

L’impiego di elevate percentuali di piante accessorie azotofissatrici può rendere difficile la gestione per l’eccessivo sviluppo di specie nitrofile (Rubus spp.) che ostacolano la meccanizzazione degli interventi. Al contrario l’impiego di specie arbustive, come il nocciolo, con buona capacità di copertura del suolo e maggiore produttività in termini di biomassa, possono svolgere, se associate a specie azotofissatrici del genere Alnus a rapida crescita e poco competitive nei confronti delle querce, un’azione di facilitazione in grado di favorire l’educazione delle piante di pregio, di controllare le infestanti e, in un secondo momento, di proteggere il fusto delle querce destinate alla produzione di pregio. Ciò potrebbe garantire anche una maggiore fruibilità di questi imboschimenti per uso turistico ricreativo.

In quest’area di studio, caratterizzata da terreni poco fertili e poveri di azoto, la realizzazione di impianti misti a densità media (tipo B) con circa 2315 piante ha-1, caratterizzati da un numero elevato di piante a legname di pregio e dal 33% di piante azotofissatrici, è risultata la migliore opzione sia rispetto al tipo A senza azotofissatrici, che al tipo C, caratterizzato da piante a legname di pregio poste a distanze definitive e dal 66% azotofissatrici. Quest’ultimo schema può risultare troppo complicato per i piccoli proprietari che non dispongono di idonee attrezzature e che si servono di mezzi extraziendali per la realizzazione degli interventi colturali. La possibilità di condurre la selezione tra un maggiore numero di individui può risultare un vantaggio per ottenere una qualità finale superiore dei fusti; ciò risulta evidente, in particolare, in assenza di materiale vivaistico selezionato, anche se determina sicuramente un aumento dei costi di gestione, in particolare di potature e diradamenti.

Al momento di progettare una piantagione, prima di scegliere le specie da impiegare e il modulo di impianto, è necessario sempre valutare accuratamente le caratteristiche stazionali, la composizione dei boschi limitrofi, gli obiettivi della proprietà, la situazione del mercato locale, le caratteristiche del materiale vivaistico disponibile, le esigenze della società e il tipo di gestione realmente applicabile. Ciò risulta fondamentale per soddisfare le aspettative della proprietà e produrre assortimenti potenzialmente richiesti dal mercato. Più difficile risulterà prevedere le tendenze future del mercato e di conseguenza la redditività della piantagione. A tale riguardo la realizzazione di piantagioni miste, con più specie a legname di pregio, saranno da preferire rispetto alle piantagioni pure. L’impiego di querce come farnia e rovere è sicuramente da favorire sia per un mercato più stabile del legname, sia per il loro valore naturalistico-ambientale e sia per la loro longevità che le rende particolarmente adatte anche a soddisfare gli altri servizi ecosistemici sempre più richiesti dalla società.

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