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Forest management guidelines to promote the conservation of Apennine brown bear in Italy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 16, Pages 66-73 (2019)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3194-016
Published: Oct 10, 2019 - Copyright © 2019 SISEF

Progress Reports

Abstract

Forests provide a wide range of important ecosystem services and, among these benefits, biodiversity and wildlife habitat. Forest management (including no active control) deeply affects wildlife management, since it can alter habitat structure and productivity, speed-up evolution of ecosystems, and impact on wildlife ability to survive and reproduce. Unfortunately still very often, practitioners, forest planners and policy-makers fail to understand this opportunity. Forest management can maintain and enhance quality, quantity and availability of natural resources for wildlife, and therefore it is a valuable management tool long recognized in the wildlife practice. This is particularly true for species associated to forest ecosystems which are threatened or endangered, such as the Apennine brown bear (Ursus arctos marsicanus). Based on an extensive literature review on forest management-bear interactions, we report recommended management actions and associated working techniques, hereby illustrated and discussed in order to define a set of forest management guidelines meant to promote and encourage the adoption of adequate silviculture practices in Apennine forests, as well as to facilitate and support the range expansion of Apennine brown bear beyond its current core distribution. Our aim is also to present these guidelines to a wider scientific audience and decision-makers to foster their implementation into management practices, especially within protected areas. Finally, our ultimate goal is to fill the gap between disciplines such as silviculture and animal ecology, with the aim of stimulating the multidisciplinary approach requested not only for the conservation of the Apennine brown bear but for the integrated and enhanced management of wildlife in general.

Keywords

Forest Management, Forest Planning, Habitat, Wildlife Forestry, Ursus arctos marsicanus

Introduzione 

Le presenti Linee Guida (LLGG) sono state sviluppate nell’ambito del progetto “Gestione forestale per la conservazione della biodiversità: esempi di interventi strutturali finalizzati alle specie minacciate e linee guida per gli Enti territoriali” (attività cofinanziata dal PSR Abruzzo 2007-2013 - LEADER, PSL GAL Gran Sasso Velino) e devono essere considerate come il prodotto finale di un percorso articolato e condiviso che ha riunito in un Tavolo Tecnico diverse figure professionali, Istituzioni, tecnici delle aree protette e mondo della ricerca.

Attraverso l’interrogazione di banche dati (Web of Science®, Scopus®, Google Scholar®), e tramite combinazione di parole chiave, è stata eseguita una revisione bibliografica delle caratteristiche degli habitat forestali selezionati dall’orso (Ursus arctos) in risposta alla gestione forestale. Sulla base delle evidenze emerse sono state prodotte diverse proposte operative, discusse e condivise all’interno del Tavolo Tecnico. Le LLGG che ne sono derivate non devono essere considerate protocolli operativi o prontuari di selvicoltura: esse vogliono piuttosto rappresentare alcune linee di indirizzo mirate a promuovere e implementare modalità di gestione forestale innovative, con particolare riguardo al mantenimento e al miglioramento della produttività degli habitat forestali per l’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus, Altobello 1921) nel lungo periodo. Il presente documento non intende avere valore prescrittivo, poiché non è stato formalmente recepito all’interno di strumenti di pianificazione istituzionali, né tradotto in norme cogenti dagli enti preposti alla gestione forestale. In questo senso non possiamo tuttavia non rilevare come le LLGG siano coerenti con l’Azione B6 (“Gestione degli ambienti forestali”) del Piano d’Azione per la Tutela dell’Orso Bruno Marsicano (PATOM - [1]), sviluppato e sottoscritto da tutte le amministrazioni locali, provinciali e regionali sotto l’egida ed il coordinamento del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Con la presente pubblicazione si intende sottoporre le LLGG alla valutazione di un più vasto consesso scientifico e decisionale, auspicando che possano servire da stimolo, nonché essere valutate ed approvate dagli enti preposti e diventare strumento cogente di indirizzo all’interno dell’areale dell’orso. Le presenti LLGG devono essere considerate il prodotto di un percorso valutativo di evidenze scientifiche avvenuto attraverso una sorta di “contaminazione culturale” tra professionisti forestali e biologi della conservazione. Riteniamo che tale contaminazione debba costituire il presupposto di ogni pianificazione territoriale e auspichiamo rappresenti la base, nell’immediato futuro, di una migliore collaborazione tra le diverse figure che si occupano, a vario titolo, della gestione delle risorse naturali.

Orso bruno marsicano e gestione forestale 

L’orso bruno marsicano sopravvive con una popolazione residua e isolata nell’Appennino Centrale. La porzione storica e centrale della sua distribuzione è essenzialmente costituita dal Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e dalle aree circostanti per una superficie complessiva di circa 5400 km2 ([12]). Le stime più recenti ([10]) valutano la popolazione pari a circa 50 individui nelle aree centrali della distribuzione rivelando, negli ultimi decenni, l’assenza di un incremento numerico e di areale auspicato da tempo, fenomeno dovuto con ogni probabilità all’elevata mortalità causata dall’uomo e ad uno scarso tasso di reclutamento ([16]), nonostante una discreta produttività della popolazione ([27]).

Gli ambienti forestali montani costituiscono l’habitat primario dell’orso, assolvendo non solo alle esigenze alimentari, ma anche alla necessità di riparo e sicurezza (Fig. 1). L’orso bruno marsicano è un animale essenzialmente onnivoro, con una dieta largamente composta da specie vegetali e ampiamente diversificata in funzione della stagionalità delle risorse naturali di cui si nutre ([9]). Di conseguenza, la produttività elevata, diversificata e diffusa di risorse alimentari naturali, e non quindi di natura antropogenica, è presupposto imprescindibile per garantire alla popolazione di orso bruno marsicano adeguate condizioni di conservazione nel lungo termine. Risulta quindi chiaro come gli interventi di gestione forestale, in grado di modificare sostanzialmente la struttura degli habitat forestali e di conseguenza la produttività dell’habitat dell’orso, rappresentino un momento delicatissimo ai fini della pianificazione territoriale, sia nell’areale attuale di presenza che su più vasta scala appenninica, nella quale si auspica che la popolazione di orso bruno marsicano possa presto espandere e rafforzare il suo areale ([11]). Gli interventi selvicolturali, se opportunamente pianificati e realizzati, possono essere non solo compatibili con la tutela dell’orso ma particolarmente indicati per mantenere, se non aumentare, la qualità, la quantità e l’accessibilità delle risorse naturali fruibili da parte dell’orso, e quindi migliorare la produttività e l’idoneità ambientale nel medio e lungo periodo.

Fig. 1 - L’orso è una specie fortemente legata agli ecosistemi forestali nei quali trova nutrimento e protezione. Una gestione forestale idonea dovrebbe quindi corrispondere, nel lungo periodo, al mantenimento di un’elevata produttività delle principali fonti di nutrimento su base stagionale e, al contempo, a garantire requisiti critici dell’habitat per l’orso come i siti di svernamento e di rifugio. Foto di Francesco Culicelli.

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Dal punto di vista strutturale, le foreste che vegetano nell’area di distribuzione sia attuale che potenziale dell’orso marsicano ([24], [14]) sono il risultato di una passata gestione selvicolturale tradizionalmente orientata allo sfruttamento economico delle risorse e alla massimizzazione del reddito ricavabile, rispondendo alle istanze di ordine sociale che alle foreste hanno sempre fatto riferimento. I forti cambiamenti economici e sociali (l’aumento dei costi, la riduzione dei prezzi del legname e l’abbandono delle zone montane rurali) avvenuti negli ultimi decenni e una crescente preoccupazione generale sulla sostenibilità ambientale hanno determinato una riduzione del prelievo complessivo, la ripresa essenzialmente spontanea della copertura forestale ([13], [5]) e l’abbandono della gestione attiva della maggior parte delle foreste. Come conseguenza la struttura è cambiata ([21]) determinando un’ampia diffusione di soprassuoli invecchiati e irregolari la cui gestione rappresenta una questione ancora scarsamente affrontata dal punto di vista selvicolturale.

In questo contesto, la tutela assoluta dei boschi, da una parte, o l’assenza di piani di assestamento che tengano conto delle conseguenze in termini di idoneità ambientale per tutte le specie di interesse comunitario, dall’altra, si traducono di fatto nella mancata valorizzazione degli interventi selvicolturali come strumenti efficaci di gestione e miglioramento dell’habitat, per l’orso e per altre specie di fauna selvatica. Anche all’interno delle aree a regime di stretta tutela della biodiversità, come appunto le aree protette, la protezione integrale delle foreste potrebbe non sempre coincidere con un raggiungimento ottimale degli obiettivi di conservazione. La progressione delle successioni ecologiche, infatti, comporta nel medio e lungo periodo una sostanziale modificazione degli ecosistemi e delle comunità vegetali ed animali in essi rappresentati con il rischio che, mentre alcune specie maggiormente legate agli stadi maturi della foresta ne possano trarre beneficio, molte altre, maggiormente legate a stadi più giovanili o ad una maggiore eterogeneità e disetaneità delle foreste, ne potrebbero risentire negativamente. È per questo motivo che la scelta del non intervento selvicolturale coincide, spesso inconsapevolmente, con una precisa scelta gestionale che avrà comunque effetti tangibili sulle strutture forestali e sulla ricchezza e diversità di specie negli anni a venire.

Linee guida per una gestione forestale compatibile con la conservazione dell’orso bruno marsicano: logica, obiettivi e indicazioni gestionali 

Alla luce dello stato di conoscenze sulle esigenze ecologiche dell’orso bruno e in considerazione delle caratteristiche che, dal punto di vista strutturale, meglio descrivono i boschi dell’Appennino centrale, il gruppo di lavoro ha individuato 5 obiettivi prioritari (Tab. 1), ciascuno dei quali raggiungibile attraverso l’implementazione di azioni specifiche.

Tab. 1 - Obiettivi, logica ed azioni per una strategia innovativa di pianificazione forestale compatibile con le esigenze di conservazione dell’orso bruno marsicano e di mantenimento della produttività degli ecosistemi forestali in cui la specie vive.

Obiettivo generale Logica Azioni specifiche
(1) Migliorare la qualità degli habitat forestali in relazione alle esigenze trofiche dell’orso Le foreste forniscono le risorse necessarie alla sopravvivenza dell’orso; una loro produzione ottimale nel tempo e nello spazio, è garanzia di conservazione della specie - garantire una produzione ottimale di frutti secchi
- garantire un livello idoneo di diffusione e mescolanza delle specie che producono frutti secchi
- valorizzare e aumentare la quota di specie arboree che producono frutti carnosi- garantire la presenza di vegetazione erbacea appetita dall’orso e di frutti carnosi provenienti da specie non arboree
- migliorare i requisiti di habitat per favorire la colonizzazione e l’aumento degli insetti,
con particolare riferimento alle formiche
(2) Riqualificare dal punto di vista strutturale ed ecologico i soprassuoli irregolari Gestione proattiva delle foreste non più gestite, come garanzia di produttività trofica nel lungo periodo - migliorare i cedui invecchiati e le fustaie irregolari
(3) Adottare strumenti di pianificazione su vasta scala delle risorse forestali Conoscenza delle informazioni relative alle caratteristiche ecologiche e alla storia selvicolturale dei soprassuoli forestali come presupposto necessario per una corretta pianificazione nel tempo su vasta scala - acquisire dati e dotarsi di relativo sistema coerente, aggiornato e funzionale di natura tipologico-strutturale su larga scala
- pianificare la gestione delle risorse forestali a livello comprensoriale
- implementare un sistema GIS a vasta scala sulle utilizzazioni forestali
(4) Mitigare l’impatto delle attività forestali sull’orso in risposta alle sue esigenze stagionali La gestione forestale ha degli effetti potenzialmente negativi che devono essere ridotti - modulare in base a criteri spaziali e temporali le attività selvicolturali nel pieno rispetto dei requisiti ecologici dell’orso
- regolamentare l’accesso delle strade e piste aperte per operazioni selvicolturali, limitando durante tutto l’anno l’accesso ai soli aventi diritto
(5) Aumentare lo stato delle conoscenze sulle dinamiche tra orso e selvicoltura e il livello di informazione del pubblico La conoscenza specifica delle relazioni tra gestione forestale e qualità dell’habitat dell’orso bruno marsicano come base di azioni fondate su evidenze scientifiche comprese ed accettate dal pubblico - valutare il risultato delle scelte colturali adottate sulla base di evidenze empiriche
- promozione di attività di ricerca che misurino la risposta dell’orso alla gestione forestale in termini di uso e selezione e di produttività
- valutare tecniche alternative di esbosco e di post-utilizzazione
- promuovere e monitorare l’applicazione, la valutazione, la condivisione e la diffusione delle buone pratiche forestali su vasta scala
- comunicare e divulgare al pubblico significato e funzioni della gestione forestale adottata

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OS 1: Migliorare la qualità degli habitat forestali in relazione alle esigenze trofiche dell’orso

Da recenti ricerche ([9]) è emerso come la dieta dell’orso bruno marsicano sia costituita da una varietà di alimenti soprattutto di origine vegetale. Gli habitat forestali forniscono le risorse trofiche necessarie, che variano in funzione della fenologia, come frutti secchi (faggiole e ghiande), carnosi e la vegetazione erbacea. È necessario quindi garantire una produzione ottimale di tali risorse, grazie all’adozione di adeguate tecniche selvicolturali. Per quanto riguarda la gestione delle faggete, i modelli coetanei trovano ampi riscontri bibliografici in virtù delle caratteristiche ecologiche del faggio (Fagus sylvatica L.) e di prove sperimentali ([2]). I modelli disetanei e i trattamenti relativi (taglio saltuario e tagli successivi per piccoli gruppi) sono in genere applicati e consigliati nelle situazioni al limite o fuori dell’optimum climatico stazionale del faggio o per finalità di protezione del suolo e aumento della mescolanza specifica. L’indicazione di un unico modello colturale da perseguire non appare, in questa sede, una scelta opportuna non solo per la complessità della realtà forestale e la varietà di situazioni presenti, ma soprattutto per l’impossibilità di fornire a supporto dati e risultati di studi condotti nelle foreste appenniniche. È bene però ricordare come il criterio colturale che dovrebbe guidare l’adozione di una precisa scelta gestionale dovrebbe essere quello di creare soprassuoli in grado di garantire la massima disponibilità di faggiola (e delle altre risorse chiave) nel lungo periodo. Per fare questo per prima cosa bisogna disegnare la programmazione forestale su ampia scala e diversificare in tal modo l’offerta trofica anche attraverso scelte colturali diverse. Ogni modello colturale deve però essere applicato in un’ottica di gestione adattativa, che preveda quindi un processo sistematico di raccolta e analisi di dati al fine di verificare la rispondenza dei risultati all’obiettivo di gestione e formulare eventualmente ipotesi alternative di gestione. Così facendo, seppure ragionando a causa delle peculiarità biologiche delle foreste, in tempi lunghi, si potranno avere dati a supporto per la scelta di un sistema gestionale preciso e finalizzato all’ottimizzazione della produzione trofica.

Dal punto di vista degli obiettivi delle presenti LLGG la conversione dei cedui di faggio è sempre auspicabile in particolar modo nelle situazioni di maggiore fertilità. È importante, anche in questo caso, promuovere ed agevolare tutte le specie di interesse trofico per l’orso creando il giusto spazio di sviluppo delle chiome per la fruttificazione. Per far fronte alle naturali fluttuazioni della produzione di faggiola è importante garantire un livello idoneo di mescolanza delle specie che producono frutti secchi. Ragionando su una scala di riferimento quale l’home range medio di un orso bruno marsicano (alcune decine di km2), la compenetrazione tra faggeta e querceto avviene già, in particolar modo nella fascia submontana e a livello puntuale laddove le specie occupano posizioni diverse in funzione dei versanti: quelli esposti a mezzogiorno occupati dalle querce, quelli freschi e gli impluvi dal faggio. La promozione della mosaicatura naturalmente già presente può avvenire, nel rispetto delle condizioni stazionali, ad esempio in quei contesti nei quali si sovrappongono formazioni dominate da cedui di carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.). L’invecchiamento di questi cedui, nel lungo termine provoca la scomparsa del carpino che non riesce più a rinnovarsi. La diffusione delle querce può essere favorita soprattutto negli ostrieti meso-xerofili nei quali sovente avviene la consociazione con cerro (Quercus cerris L.) e roverella (Quercus pubescens Wild) e lo strato arbustivo è costituito da specie come sorbi (Sorbus spp.) e ciliegio (Prunus avium L.).

Anche i frutti carnosi rappresentano un’importante fonte nutritiva da valorizzare e aumentare. La scarsa presenza di queste specie, definite “sporadiche”, deve essere attribuita soprattutto all’eliminazione delle piante porta seme avvenuta in passato mediante le utilizzazioni forestali che ne hanno compromesso il potenziale riproduttivo. Inoltre le caratteristiche ecologiche proprie e l’elevata concorrenza esercitata ad esempio dal faggio, contribuiscono a rendere del tutto occasionale la presenza di queste specie.

Per incrementare la diffusione di specie sporadiche e valorizzare quelle presenti, è necessario regolare i meccanismi di competizione e dispersione che avvengono al livello dei singoli individui o di gruppi di individui. La tecnica selvicolturale che sta alla base, la selvicoltura d’albero ([6]), prevede l’adozione di un sistema di diradamenti da eseguirsi in funzione delle tipologie di governo e dei trattamenti applicati. Il prerequisito fondamentale è la conoscenza della distribuzione e della localizzazione delle specie target nel territorio. Intorno a tali specie deve essere creato lo spazio biologico idoneo alla formazione di una chioma espansa e profonda. Il diradamento potrà essere dall’alto ed eliminare tutte le piante che ostacolano lo sviluppo delle chiome delle piante target intorno ad una fascia variabile in funzione della densità, fertilità e dalla specie dominante ([22]). Dal punto di vista economico appare evidente come l’implementazione di un tale sistema richieda forme di finanziamento integrative alla gestione ordinaria delle foreste. Tra le specie target che producono frutti carnosi ci sono anche quelle specie tipiche delle radure e degli ecotoni o che non possono comunque essere considerate specie di bosco, come quelle che appartengono ai pruneti (Pyrus communis L., Amelanchier ovalis Medik., Pruns spinosa L., Crataegus spp., Cornus mas L., ecc.). Tra queste, una specie molto importante per l’orso dal punto di vista trofico è il ramno (Rhamnus alpina L.). Una loro valorizzazione passa necessariamente attraverso il controllo delle dinamiche di ricolonizzazione dei boschi di quelle aree che, cessato il disturbo prodotto dalle attività umane (e con condizioni pedogenetiche più evolute, nel caso del ramno), tendono a scomparire con l’avanzata del bosco ([3]). Possono essere eseguiti diradamenti e tagli marginali o, nel caso si privilegi un approccio maggiormente cautelativo, semplici alleggerimenti delle chiome (prodotte anche attraverso la cercinatura). Una successiva possibilità di integrazione della quota di specie target è dato dall’arricchimento dei cedui di querce, ad esempio con il ciliegio. O ancora attraverso il recupero dei fruttiferi abbandonati, tramite operazioni che rivitalizzino le capacità riproduttive delle specie come le ripuliture e le potature. È importante che nella pianificazione degli interventi di riqualificazione dei frutteti sia debitamente considerata la loro localizzazione, evitando di eseguire qualsiasi operazione di miglioramento in quelle aree caratterizzate da un’elevata probabilità di mortalità dovuta a cause antropiche (trappole ecologiche - [14]). Infine per garantire la presenza di specie erbacee appetite dall’orso e di frutti carnosi provenienti da specie non arboree, può essere adottato un sistema selvicolturale che preveda la presenza simultanea di patch di bosco di età diversa. In questo modo variano nel tempo e nello spazio le tipologie di vegetazione, in cui si alternano piante generaliste tipiche delle fasi iniziali dopo il taglio, a piante legate agli ecotoni, fino ad arrivare a quelle specie che sono considerate di bosco e quindi tolleranti condizioni di scarsa luce. Particolarmente idoneo allo scopo può rivelarsi il governo a ceduo ([18], [8]), caratterizzato da cicli di tagli e regimi di disturbo scalabili nello spazio, nel quale la quota di vegetazione erbacea può essere mantenuta pressoché costante, mentre nelle fustaie può rivelarsi interessante l’apertura di “buche”. Nelle faggete, ad esempio, aperture di superficie fino a 2000 m2 potrebbero favorire l’insediamento della vegetazione erbacea senza comprometterne la rinnovazione. La dinamica della vegetazione che si afferma dopo l’apertura di una “buca” non è ancora definitivamente chiarita in ambiente mediterraneo. Sarebbe quindi auspicabile inquadrare tali interventi in un’ottica di gestione adattativa, attraverso un protocollo di monitoraggio.

L’orso bruno marsicano consuma anche insetti, soprattutto formiche. Il legno morto e la densità di alberi rappresentano i parametri strutturali maggiormente legati alla presenza di formiche ([4], [17]). Sebbene non esistano interventi selvicolturali direttamente correlati alla presenza di formiche, si ritiene che per migliorare i requisiti di habitat e favorirne la colonizzazione si possa adottare una selvicoltura basata sulle aperture di gap e sull’incremento della quota di ecotoni ([26]). Poiché non sono ancora del tutto note le dinamiche di selezione da parte dell’orso bruno marsicano degli habitat in relazione alla presenza di questi insetti, non ha molto senso definire soglie diametriche o volumetriche di legno morto. In linea generale però si può affermare che, per promuovere la quota di legno morto, sia opportuno rilasciare in bosco non solo piante morte, secche e deperenti ma anche i residui di lavorazione, quelli accumulati come conseguenza di fenomeni atmosferici o meccanici e le ceppaie, frazione particolarmente idonea alla colonizzazione da parte delle formiche ([28]).

OS 2: Riqualificare dal punto di vista strutturale ed ecologico i soprassuoli irregolari

L’abbandono della selvicoltura attiva in gran parte delle foreste appenniniche ha generato soprassuoli con struttura irregolare composti da più piani, corrispondenti probabilmente a piante appartenenti a più cicli, derivanti da interventi selvicolturali di difficile catalogazione ([2]). L’evoluzione di questi soprassuoli è una questione ancora non completamente risolta, anche in termini di produttività trofica nel lungo periodo. Sulla base delle evidenze attualmente disponibili ([25]) la produzione media di biomassa di ghianda e faggiola nei soprassuoli irregolari è minore rispetto agli altri tipi colturali, anche se valutazioni di questo tipo andrebbero fatte su una serie temporale che permetta di confrontare anche le produzioni minori, ad esempio, in alcune fasi della fustaia coetanea. In considerazione dell’elevato grado di incertezza sull’evoluzione naturale di questi soprassuoli e nell’ottica di conservazione dell’orso è importante che gli interventi siano inquadrati all’interno di un processo adattativo che preveda, attraverso la raccolta e l’analisi dei dati, la possibilità di migliorare scelte rivelatesi non idonee. Per quel che riguarda i cedui invecchiati di faggio, la conversione ad alto fusto rimane la scelta più praticabile a fronte della sostanziale inadeguatezza della specie per questa forma colturale, scelta tanto più opportuna quanto più vecchi sono i soprassuoli. Le modalità di conversione sono ovviamente in funzione dello stadio di sviluppo e dell’età, richiedendo a volte solo semplici sfolli. Nel caso si adotti un sistema di tagli di avviamento e diradamenti è opportuno intervenire non solo in corrispondenza dei migliori esemplari ma anche di piante target per l’orso, adottando il sistema ad albero e selezionando un numero maggiore di piante dominanti e sporadiche ([20]). Nei cedui invecchiati di roverella, l’evoluzione favorisce le grandi matricine che tendono a chiudere le chiome e portare a morte le ceppaie ([7]). Il ritorno alla forma di ceduo è possibile solo se si interviene prima che la copertura delle matricine si completi, eseguendo un taglio ed evitando una matricinatura intensa. Può essere inoltre valutata l’opportunità di procedere con piantagioni di arricchimento laddove si possono preferire specie che producono frutti eduli. Nel caso delle fustaie, a causa del temperamento eliofilo delle querce, si possono riscontrare problemi a carico della rinnovazione, risolvibile mediante l’apertura di buche. Nelle cerrete ad esempio, con lo sviluppo del popolamento, si può insediare un piano inferiore di altre latifoglie, che nel tempo è destinato a scomparire. Per questo motivo nel bosco maturo (o comunque quando la copertura delle chiome è colma) possono essere realizzati dei tagli a buche a carico del cerro per consentire l’ingresso della luce nel piano inferiore. Tali buche possono avere una superficie inferiore a 1000 m2 ([23]) e frequenza variabile in funzione del piano dominato già presente.

OS 3: Adottare strumenti di pianificazione delle risorse forestali su vasta scala

La conoscenza delle informazioni sulle caratteristiche dei soprassuoli forestali rappresenta il presupposto necessario per una corretta pianificazione su vasta scala. Tali conoscenze sono purtroppo spesso carenti nel panorama nazionale attuale. È necessario quindi sviluppare un sistema permanente di acquisizione di dati per le principali caratteristiche qualitative e quantitative dei boschi e di consultazione degli stessi. Un aiuto in tal senso possono fornirlo le recenti innovazioni in campo tecnologico nell’acquisizione di dati, quali, ad esempio, le applicazioni LiDAR (LIght Detection And Ranging - [15], [29]) ampiamente utilizzati in molti paesi per diverse applicazioni forestali, in particolare per la stima dei parametri dendrometrici, la realizzazione di inventari nazionali e regionali e per caratterizzare gli habitat. La conoscenza dei dati e delle informazioni sulle attività selvicolturali si configura come un importante strumento di ausilio alla pianificazione delle risorse forestali, di controllo dello stato ecologico strutturale dei boschi e di controllo delle utilizzazioni. Un importante contributo in tal senso potrebbe essere fornito dall’acquisizione di informazioni a livello regionale sulle attività selvicolturali, attraverso un sistema snello e funzionale di raccolta dati, che ne preveda l’elaborazione e la divulgazione. Ci si riferisce in particolar modo a dati organizzati per cantiere di taglio, relativi alle caratteristiche strutturali e provvigionali (superfici di taglio, masse asportate, governo, composizione etc.) e alle operazioni di taglio ed esbosco del materiale.

Un sistema permanente e disponibile di dati su vasta scala permetterebbe di pianificare le risorse forestali nel rispetto delle peculiarità biologiche dell’orso e ponendosi su una scala di azione superiore a quella tradizionale aziendale o comunque di compresa. La chiave di lettura di un’adeguata pianificazione su scala di paesaggio è l’adozione del principio della rotazione per cui nel tempo e nello spazio si avvicendano stadi successionali cronologici diversi e funzionali al raggiungimento della diversificazione dell’offerta trofica per l’orso. Particolare considerazione dovrà essere posta nella distribuzione cronologica delle formazioni che producono frutti secchi, nella mosaicatura delle zone di bosco maturo e di rinnovazione, di zone aperte e zone di bosco, laddove comprensori omogenei per età possono portare a disequilibri nella produzione di frutti per mancanza di fasi mature o di rinnovazione; o la mancanza di aree aperte il venir meno di risorse trofiche quali le specie erbacee o arboree che producono frutti carnosi.

OS 4: Mitigare l’impatto delle attività forestali sull’orso in risposta alla sue esigenze stagionali

Le attività forestali possono provocare nell’orso differenti livelli di disturbo in funzione delle diverse fasi biologiche e del tipo di intervento eseguito (taglio, esbosco ecc.). In primo luogo le operazioni selvicolturali possono precludere l’accessibilità, seppure temporanea, alle risorse trofiche e ostacolare il passaggio verso siti critici. Particolarmente importante poiché può potenzialmente causare l’interruzione del letargo, è il disturbo ai siti di svernamento. La modulazione delle utilizzazioni forestali deve avvenire su scala locale, previa valutazione di quale aspetto dell’habitat dell’orso si va ad influenzare e in quale misura. In linea generale possono, comunque, essere individuati alcuni periodi particolarmente sensibili. Buona norma, ad esempio, sarebbe quella di evitare le operazioni di taglio in zone di svernamento nel periodo che va da novembre ad aprile, e all’interno di faggete e querceti nel periodo di iperfagia, in particolare tra ottobre e dicembre. Inoltre, sebbene la viabilità forestale sia la premessa necessaria per una selvicoltura razionale e sostenibile, è indubbio che possa generare un impatto sull’orso che non può essere trascurato. Le strade forestali facilitano infatti le interazioni con l’uomo e causano un aumento della mortalità indotta dalle attività antropiche o in conflitto con queste. È necessario quindi provvedere alla regolamentazione del traffico veicolare delle strade forestali riservando durante tutto l’anno il passaggio ai soli aventi diritto per attività ordinarie, produttive o di servizio e sono da evitare tutte le trasformazioni strutturali permanenti come ad esempio l’asfaltatura o la bitumatura delle stesse.

OS 5: Aumentare lo stato delle conoscenze sulle dinamiche tra orso e selvicoltura e il livello di informazione al pubblico

Poche informazioni sono al momento disponibili sullo stato delle relazioni tra gestione forestale e qualità dell’habitat per la popolazione di orso bruno marsicano e sul livello di utilizzazione e selezione delle diverse strutture forestali. Tali conoscenze specifiche possono evidenziare le caratteristiche composizionali, strutturali e produttive che maggiormente influenzano la presenza dell’orso e il diverso livello di utilizzazione. Una banca dati su base GIS della struttura e della storia di intervento selvicolturale delle foreste nelle aree di presenza dell’orso, avrebbe in tal senso un’importante funzione, soprattutto se affiancata da studi a carattere telemetrico su orsi muniti di collari satellitari che permettano di valutare le dinamiche di selezione delle diverse strutture forestali, la disponibilità e la qualità delle risorse trofiche su base stagionale e a scala di home range. Nonostante in questi ultimi anni siano stati acquisiti copiosi dati di natura telemetrica sulla presenza e sui movimenti degli orsi ([12]), non è stato possibile condurre analisi di uso e selezione dell’habitat che prendessero in considerazione struttura, produttività o gestione delle foreste proprio per la mancanza di dati forestali, sia in formato digitale sia, molto spesso, in formato cartaceo; di conseguenza, l’analisi della selezione operata dall’orso all’interno degli ecosistemi forestali si è limitata a considerare le foreste su base tipologica e non strutturale ([14], [19]). Un passo in avanti in questo senso si sta comunque compiendo sulla base di stime della struttura forestale a partire da immagini satellitari, la cui disponibilità in ambiente GIS (Geographycal Information System) permetterà di analizzare la selezione dell’habitat da parte dell’orso a un maggiore livello di risoluzione ecologica (P. Ciucci, comunicazione personale).

Un aumentato livello di conoscenze sulla risposta dell’orso è il presupposto per sviluppare protocolli di monitoraggio che valutino l’efficacia dei modelli colturali adottati e che rappresentino la base sulla quale adottare una gestione forestale proattiva, basata quindi su evidenze empiriche e scientifiche e non dettate dalla consuetudine o dall’opinione di Autori, seppure accreditati. Il maggiore ostacolo allo sviluppo di una gestione proattiva basata sulle evidenze scientifiche è la disponibilità di dati. Per superare questo ostacolo, accanto alle iniziative sopra enunciate, è necessario valutare e promuovere la diffusione delle buone pratiche di gestione forestale. È indispensabile quindi che le esperienze più virtuose condotte nell’ambito della gestione forestale finalizzata alla conservazione dell’orso e/o al miglioramento dei requisiti di habitat relativi, diventino patrimonio e un valido supporto al lavoro di tutti. La raccolta e la diffusione delle buone pratiche non devono essere episodiche ma programmate attraverso un sistema di acquisizione dei dati, di valutazione dei risultati ottenuti e di monitoraggio delle dinamiche sviluppate nel medio e lungo periodo. Per tradurre in chiave operativa i risultati delle molteplici esperienze di gestione forestale (non solo italiane) può essere promosso l’istituzione di un Tavolo permanente. Il Tavolo deve farsi promotore dell’individuazione dei criteri di definizione delle pratiche di gestione forestale virtuose dal punto di vista della qualificazione degli habitat forestali per l’orso attraverso un’analisi dettagliata delle esperienze di gestione selvicolturale. Infine affinché tutte le azioni specifiche siano efficaci, è importante comunicare e divulgare il significato e le funzioni della gestione forestale di volta in volta adottata, anche qualificando ogni intervento nel raggiungimento di un obiettivo di conservazione dell’orso. Infatti, la selvicoltura è percepita, spesso sulla scorta di politiche passate erronee e ancora più spesso per scelte acritiche, come la prima forma di perdita e degradazione degli habitat. È necessario invece comunicare come la gestione forestale possa configurarsi come utile strumento di conservazione dell’orso (e della biodiversità in genere) nel momento in cui può provvedere al miglioramento dell’habitat dal punto di vista delle esigenze di cibo, riparo e tane.

Considerazioni conclusive 

La disponibilità di risorse alimentari naturali (quindi non di natura antropogenica) è il presupposto imprescindibile per garantire alla popolazione di orso bruno marsicano condizioni di conservazione il più possibile adeguate nel lungo termine. Gli interventi di gestione forestale, in grado di modificare sostanzialmente la produttività dell’habitat dell’orso nel medio e lungo periodo, rappresentano un momento delicatissimo ai fini della pianificazione territoriale sull’intera area appenninica in cui si auspica che la specie possa presto espandere e rafforzare il suo areale.

È chiaro che l’orso, sebbene rappresenti nella prassi della conservazione una specie “ombrello”, i cui requisiti si esprimono quindi su scale spaziali ed ecologiche tali da includere molte altre specie di fauna e flora, non possa necessariamente rispecchiare le condizioni di conservazione ideali di tutte le specie animali di interesse conservazionistico. In queste circostanze, sta agli enti territorialmente competenti tenere conto dei requisiti ecologici delle specie considerate priorità a livello locale, attraverso una pianificazione di miglior compromesso tra esigenze ecologiche potenzialmente divergenti e che preveda anche la presenza di foreste a protezione integrale. Poiché l’orso usa un’ampia gamma di habitat che variano d’importanza in funzione della stagionalità delle risorse di cibo, è importante che la pianificazione avvenga sempre a livello di paesaggio regolando nella scala opportuna la presenza di boschi e di strutture forestali diversi e tali da promuovere il giusto grado di eterogeneità. È importante inoltre che tutti gli interventi siano pianificati in considerazione della diffusa presenza di aree ad elevato rischio di mortalità. Appare ovvio, infatti, come non sia auspicabile aumentare l’idoneità dell’habitat in zone dove non si riesce a prevenire e controllare l’elevato rischio di mortalità causata dall’uomo ([14]).

Ci si rende conto come vi sia una serie di criticità, politiche ed amministrative, insite nella realtà forestale italiana, tali da rendere anche solo pensabile l’implementazione di queste LLGG. Questo tipo di approccio selvicolturale non è particolarmente sviluppato nel nostro paese, anche come conseguenza della scarsità di studi e di applicazioni sperimentali in tal senso. È bene però considerare che le sfide poste dall’obiettivo di promuovere e disseminare principii innovativi di gestione forestale finalizzate alla conservazione della fauna, sia all’interno sia all’esterno delle aree protette, siano essenzialmente di carattere culturale. In questo contesto, si auspica quindi che questo lavoro possa rappresentare un importante punto di riferimento per iniziative atte a tradurre e integrare funzionalmente i concetti qui esposti all’interno dell’ambito amministrativo, con l’intento di tradurre queste linee generali in prassi gestionale. Una prospettiva a livello di programmazione e pianificazione su vasta scala potrebbe essere rappresentata dai nuovi strumenti introdotti dal “Testo Unico in materia di Foreste e filiere Forestali” nell’ambito della Strategia Forestale Nazionale. In coerenza con tale Strategia, infatti, è compito delle Regioni predisporre Programmi forestali e linee di indirizzo (anche in accordo tra più Regioni) che potrebbero accogliere e trasporre in fase normativa prima e gestionale poi, i concetti e i contenuti delle presenti LLGG.

Infine, si auspica che gli enti preposti si facciano finalmente carico delle responsabilità previste dall’azione B6 del PATOM ([1]) e che, a tal fine, quanto realizzato dal Tavolo di cui al presente documento, possa rappresentare un importante stimolo.

Ringraziamenti 

Attività cofinanziata dal PSR Abruzzo 2007-2013, Fondo FEASR; Asse 4 - LEADER, PSL GAL GRAN SASSO VELINO - UN’IDENTITA’ MASSICCIA; Misura 4.1.2 - Azione 3c1 - Progetto: “Gestione forestale per la conservazione delle biodiversità. Esempi di interventi strutturali finalizzati alle specie minacciate e linee guida per gli Enti territoriali”. Gli autori desiderano ringraziare in particolar modo il Dott. Giovanni Hausmann e la Dott.ssa Manuela Cozzi.

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