Forest fires are increasing in all developed temperate countries and especially in Southern Europe. An unprecedented forest transition is more and more due to land abandonment on one side and, on the other side, to the lack of awareness in urban culture about ecological processes and dynamics. Wildland Urban Interfaces are growing and could represent potential traps in terms of security for people especially where fuel is not monitored and assessed, urban areas are not planned at all and landscape is not properly managed in an integrated way.
Quello degli incendi è l’unico tema forestale ricorrente che, con l’estate, diventa di attualità e balza agli onori della cronaca. È un problema che tocca sempre più da vicino anche chi vive in aree urbane e di interfaccia e che non si risolve d’estate. La percezione dei cambiamenti climatici e dell’uso del territorio si comprende infatti all’improvviso dopo un tragico incendio, un po’ come una grave malattia che ad un certo momento risulta quasi impossibile da fermare. Si deve invece riflettere sulla politica forestale da cui primariamente dipende lo “stato di salute” del patrimonio boschivo del nostro Paese (e non solo), verificato ormai da tempo che un’economia rurale sviluppata è negativamente correlata agli incendi (ovvero previene gli incendi).
Gli incendi boschivi sono dunque un grave problema globale che genera ogni anno enormi costi economici, sociali, ambientali, con perdita crescente di vite umane. Sempre più parti del continente europeo (fin oltre il circolo polare artico anche quest’anno) e di USA e Russia sperimentano temperature e siccità record che portano con sé ondate di calore e di fuochi, fino talvolta a creare ed autoalimentare uno specifico sistema meteorologico a livello di mesoscala, come in California (cosiddetti
Nell’Unione Europea (UE) ogni anno in media vengono bruciati circa 500.000 ettari (il 95% dei focolai è dovuto ad attività dell’uomo), ancora prevalentemente nell’Europa meridionale ed in particolare quella Mediterranea che sta assistendo ad una transizione forestale senza precedenti nella storia recente, dove il 2017 è stato il peggiore anno registrato finora dalle statistiche, con più di 1 milione di ettari bruciati. In Italia, le superfici del 2017 si avvicinano a quelle dell’
Fino a pochi decenni fa, il paesaggio era diverso e le comunità rurali, peraltro demograficamente più giovani e dinamiche, sapevano dove andare e cosa fare in caso di pericolo, e conoscevano l’uso di tecniche anche difficili come il controfuoco. Oggi abbiamo bisogno di più Europa e più cooperazione regionale per tutte le sfide globali e questa lo è, dalla prevenzione alla lotta. Dobbiamo aggredire le cause profonde di questi nuovi scenari che si presentano, senza aspettare ancora che si presentino tragicamente, incluse le scelte istituzionali di trasferire competenze che si sono rivelate veri errori in Grecia (1998) e Portogallo (2008), e che anche da noi possono evidenziare criticità. Non si può accettare la definitiva separazione del soccorso emergenziale dalla gestione dei boschi, né il perdurare dell’assenza di pianificazione territoriale integrata e su basi ecologiche soprattutto nei paesi sviluppati. Le situazioni di interfaccia urbano-rurale e spesso urbano-foresta si moltiplicano e, come dimostrano anche i recentissimi tragici episodi, non raramente si configurano come potenziali trappole a causa della non gestione del combustibile, del disordine urbanistico e dell’assenza di pianificazione e gestione territoriale.
I tristi eventi che si sono verificati in Grecia con cui è iniziata la stagione incendi del 2018, i drammatici focolai lusitani del 2017 e i grandi incendi della penisola scandinava, confermano la necessità di adottare nuove strategie di mitigazione del rischio incendi, soprattutto nelle estese aree urbane a contatto con foreste non gestite altamente infiammabili. Proviamo a riflettere sulle principali lezioni apprese e su quale quadro politico e di quali misure abbiamo bisogno per affrontare tale sfida, come discusso in due
È ampiamente riconosciuto che anni con incendi estremi come il 2003, 2005, 2007, 2012, 2017 e ormai purtroppo anche il 2018, non possono essere più considerati episodi isolati, ma piuttosto il segnale di una ampia tendenza influenzata dai cambiamenti in atto, dell’uso del suolo e climatici. L’aumento delle temperature (soprattutto in estate) e la riduzione delle precipitazioni medie annue, assieme ad una maggiore frequenza degli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità e piogge eccezionalmente intense), interagiscono con l’abbandono dello spazio rurale, creando condizioni predisponenti la generazione di grandi incendi (
Il regime pirologico dell’area mediterranea è dunque cambiato con effetti immediati sul rischio incendi soprattutto in queste zone di interfaccia (WUI -
Il costo del controllo e della mitigazione degli impatti degli incendi in Europa ammonta dunque a diversi miliardi di euro ogni anno (
Le foreste e le altre terre boscate nell’UE rappresentano circa 180 milioni di ettari (circa il 40% della superficie totale dell’Europa) e vi sono circa 16 milioni di proprietari di foreste. In termini socio-economici, il settore forestale fornisce occupazione a circa 3.5 milioni di persone, la maggior parte delle quali situate ancora nelle aree rurali. In questo contesto, l’emergente bioeconomia basata sulle foreste, ancora poco sviluppata nell’Europa meridionale, mostra promettenti opportunità per ridurre il rischio di incendi boschivi o l’entità dei danni provocati dagli stessi, aumentando nel contempo il potenziale economico delle foreste e la sostenibilità della vita nelle zone rurali (
Un altro aspetto cruciale è la convergenza tra le agende di prevenzione incendi e conservazione della natura. Bisogna considerare che una parte considerevole della superficie percorsa dagli incendi nel 2017 ricade all’interno di Aree Natura 2000, la più grande rete mondiale di aree a preminente funzione conservativa istituita dalla legislazione sulla natura dell’UE. L’agenda di azioni programmate tra le misure di conservazione, come la gestione attiva di sistemi e habitat a determinismo antropico, l’uso regolamentato del fuoco rurale, l’aumento di specie autoctone e latifoglie, il controllo e lo sradicamento di specie aliene invasive, la reintroduzione degli erbivori selvatici e del pascolamento domestico per taluni ambienti, la creazione di discontinuità nella foresta e di mosaici di ecosistemi, è tanto un programma di gestione degli habitat prioritari e di interesse comunitario quanto un programma di prevenzione dei grandi incendi boschivi. È anche un’agenda per le infrastrutture verdi e per la riduzione del rischio di catastrofi naturali. La scala e la tempistica della sfida portata dal veloce cambiamento del regime degli incendi non permette l’assenza di gestione nelle aree rurali e in quelle semi-naturali, paradigma applicato a lungo, più o meno consapevolmente, che ha però dimostrato in molti casi risultati discutibili, come nelle Aree Protette duramente colpite dagli incendi nell’estate del 2017.
Abbiamo quindi bisogno di fare e far sapere dell’importanza di:
riportare le persone nei territori rurali offrendo reali opportunità per un’economia legata alle foreste. Solo in questo modo possiamo contrastare in modo efficace l’abbandono delle foreste e la promozione dei servizi ecosistemici, soprattutto con iniziative associative (anche tra proprietari privati di foreste) e gestione attiva e responsabile per la retribuzione dei servizi ecosistemici, l’ecoturismo e i prodotti forestali spontanei;
misure integrative e trasversali che si prendano cura dell’intero ecosistema forestale affrontando: prevenzione dei disturbi, protezione della biodiversità, miglioramento del paesaggio, pagamenti dei servizi ecosistemici, sostegno a prodotti innovativi. Per esempio, far convergere in un dato territorio il programma di prevenzione degli incendi con le misure del PSR per il settore agro-silvo-pastorale e l’agenda di conservazione della natura; ovvero, incentivare le attività agricole, pastorali e forestali, e gli interventi di conservazione della natura, nelle aree a rischio incendi, pianificando la distribuzione dei progetti da finanziare lì dove la pianificazione forestale ha individuato punti strategici di prevenzione. In questo senso, l’attuale spinta alla pianificazione forestale multilivello data dal TUF (D.lgs. 34/2018) con l’introduzione dei “piani forestali di indirizzo territoriale” è una grande opportunità per integrare le attività che mirano a valorizzare le risorse silvo-pastorali con quelle necessarie alla loro tutela, come la prevenzione dei grandi incendi;
coinvolgimento e sostegno delle comunità locali, che un tempo attuavano autonomamente le misure per difendersi e prevenire gli incendi, e conoscevano bene il loro territorio;
informazione per le persone e l’opinione pubblica, soprattutto nelle città, e di una comunicazione più ampia e corretta sui temi delle foreste nelle comunità urbane e rurali (prima di tutto: il fuoco è un fattore ecologico e può aiutare a preservare la diversità se ben gestito; non possiamo evitarlo, ma possiamo governarlo per ridurre i danni sulle aree percorse da incendi di elevata severità e mitigarne gli impatti negativi sui servizi ecosistemici);
una semplificazione delle misure amministrative da un lato e di maggiori contributi diretti agli Stati membri e alle amministrazioni regionali dall’altro;
più ricerca scientifica, innovazione nelle procedure e trasferimento tecnologico a supporto della bioeconomia possibile ma non ancora emergente.
La bioeconomia basata sulle foreste non è ancora molto diffusa nell’Europa meridionale ma ha un ampio margine di sviluppo. Se basata anche sulle foreste offrirà nuove opportunità per governare gli incendi boschivi attraverso investimenti privati e pubblici. La politica e il quadro finanziario
Livello di consumo della biomassa dopo il grande incendio del Vesuvio. (a): consumo totale del suolo organico; (b): consumo totale della chioma e dei rami fino a diametri di 1 cm.