The study deals with the criteria used to define forest typologies based on several stands located in the Southern Apennines. Aspects of floristic analysis, structure and functions of 19 forest types were examined and recognized in stands with a predominance of
Gli studi di tipologia forestale hanno assunto nell’ultimo decennio un’importanza sempre maggiore nella pianificazione forestale e, più in generale, ogni qualvolta si deve fare riferimento a uno schema di classificazione dei boschi con significato ecologico e gestionale. L’approccio tipologico, distinguendosi dal tradizionale approccio di carattere fisionomico basato sulle specie arboree principali, consente di collegare la gestione selvicolturale alla variabilità ecologica e dinamica di popolamenti e stazioni, elemento importante per sistemi selvicolturali che si orientano verso pratiche di tipo naturalistico.
Varie regioni italiane, soprattutto del centro-nord, dispongono di studi tipologici che, sebbene sviluppati in tempi e con intenti diversi, mantengono fra loro alcune scelte di fondo comuni, come la struttura gerarchica (ripartita in categorie forestali, tipi forestali e varianti) e una certa affinità dal punto di vista nomenclaturale. Per i boschi delle regioni meridionali esistono per lo più solamente inquadramenti di carattere locale o primi schemi assai generali di classificazione della vegetazione forestale (
A differenza degli studi pubblicati su questo argomento e condotti in territori affini (per vegetazione e vicinanza geografica) a quelli dell’indagine (
Nello studio sono stati presi in esame circa 500 rilievi fitosociologici (per un totale di oltre 600 specie), in parte reperiti da diverse fonti bibliografiche ed in parte effettuati
Una prima suddivisione dei boschi è stata effettuata seguendo il criterio fisionomico: i rilievi sono stati ripartiti in base alla specie arborea a copertura prevalente in unità riferibili concettualmente alle categorie forestali. Quindi, sulla base di procedure di classificazione e ordinamento automatico dei rilievi, sono stati individuati i tipi forestali. La procedura, qui omessa per brevità, è stata effettuata separatamente per ogni categoria.
Per fornire un’interpretazione della tipologia elaborata, è stata fatta un’analisi sulla presenza di gruppi di specie ecologicamente affini nei diversi tipi forestali: le specie più frequenti nei rilievi delle diverse categorie, circa 160, sono state per questo suddivise, sulla base del loro comportamento sinecologico di medio dettaglio (
specie dei prati (specie afferenti a
specie degli orli boschivi e degli arbusteti (
specie dei boschi sempreverdi termofili, delle macchie e delle garighe (
specie dei boschi termofili caducifogli (
specie dei boschi mesofili caducifogli, escluse le faggete (
specie dei boschi montani, in particolare faggete (
In secondo luogo, è stata esaminata la somiglianza floristica fra i tipi forestali individuati, seguendo la procedura utilizzata da
In aggiunta ai dati floristici, in oltre 100 aree di studio (province di Foggia, Bari, Taranto, Matera, Potenza, Salerno, Benevento, Avellino e Cosenza) sono stati effettuati rilievi di carattere speditivo, orientati alla raccolta di alcune informazioni di base per ogni tipo forestale (caratteristiche stazionali, composizione specifica, parametri dendrometrici, funzioni più rilevanti) ed alla verifica in campo della tipologia elaborata in forma provvisoria.
Il tipo forestale viene definito da
la categoria è un’unità fisionomica che prende nome dalla dominanza delle specie costruttrici (leccete, querceti di roverella, ostrieti, ecc);
il tipo è l’unità di base, omogenea sotto l’aspetto floristico ed ecologico, nella cui denominazione ricorrono indicazioni sulle caratteristiche ecologiche, floristiche, stazionali o fitogeografiche che ne permettano un più agevole riconoscimento;
il sottotipo distingue in genere, all’interno del tipo, variazioni ecologiche e vegetazionali di minore importanza, le quali tuttavia possono influire in qualche modo sulla variazione di potenzialità o funzionalità dell’unità principale;
la variante viene distinta quando, in assenza di variazioni importanti delle caratteristiche ecologiche e floristiche, cambi in modo sensibile la composizione dello strato arboreo a causa della diversificata e significativa presenza di specie arboree accompagnatrici o secondarie nello strato arboreo principale o di altre variazioni fisionomiche nella struttura arborea del popolamento
Va infine rilevato che è possibile distinguere due differenti metodologie tipologiche a seconda del contenuto e del dettaglio (Varese, in
tipologia forestale: concerne generalmente gli aspetti del popolamento forestale (fisionomia e/o struttura) incrociati con alcuni caratteri fitoecologici e floristici: è applicabile a scale di medio dettaglio (cartografie > 1:10.000);
tipologia stazionale: concerne generalmente gli aspetti fitoecologici e stazionali ed in particolare la relazione suolo-vegetazione in funzione dei diversi caratteri morfo-topografici presenti: è applicabile a scale di grande dettaglio (cartografie < 1:10.000, di solito < 1:5.000).
Nello studio si è fatto riferimento ai livelli superiori delle unità (categoria e tipo) ed al concetto di tipologia forestale come definiti sopra, in considerazione del carattere interregionale dell’indagine, che non consente, in prima battuta, un’analisi di eccessivo dettaglio. In altri termini, si è focalizzata l’attenzione soprattutto sugli aspetti floristici e sinecologici dei boschi
In questo senso il lavoro rappresenta un contributo iniziale per lo studio ulteriore di unità forestali che vengono intese come “astrazioni”, a cui riferire la grande variabilità ecologica dei boschi reali. Queste unità, in analogia con l’impostazione di altri lavori (ad esempio,
Nel complesso, per le categorie esaminate, sono stati individuati 19 tipi forestali (elencati nel
Le leccete si sviluppano nell’area oggetto dell’indagine dalle coste fino a oltre 1000 m. Pur nella varietà delle situazioni stazionali, risultano formazioni piuttosto stabili dal punto di vista dinamico. Sono stati descritti quattro tipi: lecceta in evoluzione, termofila, mesoxerofila e mesofila. Nello strato arboreo prevale il leccio, con tendenza ad essere predominate nel tipo termofilo ed in evoluzione, mentre si mescola con la roverella nel tipo mesoxerofilo, con il carpino nero, l’orniello e, in misura minore, con altre specie (acero a foglie ottuse ed altri aceri, roverella) nel tipo mesofilo. Le specie di prato superano il 20% nel tipo in evoluzione, dove rappresentano l’aspetto più caratteristico. Il gruppo di specie dei boschi sempreverdi termofili è l’elemento più caratteristico, invece, del tipo termofilo. Nel tipo mesoxerofilo vi è un certo equilibrio fra la componente di specie dei boschi sempreverdi e quella dei boschi caducifogli. Infine, il tipo mesofilo presenta anche una piccola componente di specie delle faggete e la componente dei boschi sempreverdi è ridotta al minimo, a testimoniare che si tratta già di boschi in transizione con ostrieti o altre formazioni boschive più mesofile.
I boschi di roverella si presentano sempre con un abbondante strato arbustivo e uno strato erbaceo quasi continuo, con buone condizioni di illuminazione nel sottobosco. Si tratta di formazioni molto comuni sull’Appennino meridionale, dove costituiscono consorzi piuttosto estesi da 500 a 1000 m, soprattutto laddove, a causa del substrato più arido, la roverella riesce a vegetare meglio rispetto al cerro, come sui rilievi calcarei, sui versanti soleggiati e non troppo ripidi. Sono boschi che sono stati sempre sfruttati intensamente (ceduo, pascolo, raccolta di fascina e frasche) e quindi spesso si presentano lacunosi e con una copertura densa di
I boschi di carpino nero vengono considerati a carattere non finale, tendenti a cenosi miste a querce (
I boschi di farnetto sono presenti sull’Appennino meridionale dalle quote basse delle pianure vicino alla costa fino a 800-1000 m di altezza. Il bosco presenta quasi sempre sia il farnetto che il cerro, anche se i tipi descritti in questa categoria hanno una prevalenza di farnetto nello strato arboreo (le differenze floristiche spesso sono limitate). L’azione intensa antropica del passato (boschi usati come ricovero estivo per i bovini) ha spesso portato a degrado, con espansione di specie nitrofile ed eliofile, ma attualmente vi sono processi di recupero verso condizioni di maggiore naturalità. Sono stati descritti tre tipi, querceto di farnetto e cerro termofilo, mesoxerofilo e mesofilo. Il farnetto, specie prevalente in tutti i tipi, tende a mescolarsi col cerro soprattutto nel tipo termofilo e mesoxerofilo. La componente dei boschi mesofili caducifogli aumenta progressivamente l’importanza passando dal tipo termofilo a quello mesofilo, parallelamente alla riduzione di quella delle specie dei boschi termofili sempreverdi (di impronta più mediterranea).
Le cerrete rappresentano i boschi più caratteristici dell’Appennino meridionale, con associazioni generalmente finali su arenarie e calcari a quote fra 500 e 1200 m. Il cerro si può presentare puro o mescolato con farnetto, roverella ed altre specie. Anche le cerrete hanno spesso subito una forte azione di sfruttamento antropico, sebbene siano frequenti ancora i boschi di alto fusto in ottime condizioni. Sono stati descritti quattro tipi: cerreta in evoluzione (a copertura rada, spesso in contatto con leccete di tipo mesofilo), xerofila, mesofila e submontana. Il cerro è specie prevalente in tutti i tipi, con presenza più discontinua di altre specie, come l’acero a foglie ottuse, roverella, carpino nero, soprattutto nel tipo mesoxerofilo. I gruppi di specie più rappresentati, in termini di frequenza, sono quelli dei boschi di caducifoglie, termofili e mesofili, mentre la componente di specie delle faggete è massima nei tipi mesofilo e submontano.
I boschi di castagno sono diretta conseguenza dell’attività antropica che ha favorito questa specie nelle stazioni più fertili (spesso occupate dai carpini o da querce) a partire dal Medioevo fino ai primi decenni del Novecento. Oggi in parte manifestano fenomeni di ricolonizzazione da parte delle specie mesofile, soprattutto dove la coltura per il frutto o la legna (paleria) è venuta a perdere di rilevanza, anche a seguito delle malattie che hanno colpito la specie. Sono stati descritti due tipi, mesoxerofilo e mesofilo, che vedono entrambi il castagno prevalere nello strato arboreo. Nel tipo mesoxerofilo, a maggiore partecipazione di specie di impronta mediterranea nel sottobosco, le specie arboree accompagnatrici sono poche, mentre il soprassuolo nel tipo mesofilo è nettamente più ricco si specie (carpini, aceri, faggio), a rappresentare ormai una netta tendenza verso consorzi misti dove il castagno verrà ad assumere nel tempo minore rilevanza.
Nel diagramma in
Dai rilievi effettuati nei casi di studio rappresentativi, sulla base della copertura arborea e della ripartizione percentuale delle classi di diametro riportate in
Boschi radi - Presentano una copertura arborea inferiore al 50% e generalmente non sono gestiti con regolarità, ma lasciati all’evoluzione naturale. Rientrano in questo gruppo i tipi denominati “in evoluzione”, descritti per leccete, querceti di roverella, cerrete e orno-ostrieti. Il numero di piante o polloni può essere elevato (oltre 3000/ha) e prevalgono i diametri inferiori a 10 cm.
Cedui matricinati - Con una copertura arborea elevata (85%, in media), presentano 3-4 polloni per ceppaia (oltre 5000/ha) e una ripartizione dei diametri che vede prevalere anche qui nettamente i diametri inferiori a 10 cm. Rientrano in questo gruppo cerrete mesoxerofile, leccete (mesoxerofile e mesofile), ostrieti (mesoxerofili e mesofili) e querceti di roverella mesoxerofili, soprassuoli attualmente gestiti a ceduo. Presentano spesso buone potenzialità produttive e per lo più scarsa rinnovazione nel sottobosco.
Cedui in evoluzione naturale (talvolta cedui composti) - Anche questi con copertura arborea elevata, e un numero di 2-3 polloni per ceppaia (circa 2300 polloni/ha), presentano, al contrario dei precedenti, un maggiore equilibrio fra le classi diametriche medie e basse, che assieme superano comunque il 90%. Nei rilievi effettuati, praticamente tutti i tipi forestali presentavano casi assimilabili a questo tipo di struttura. Si tratta per lo più di cedui non più gestiti regolarmente, non di rado abbandonati alla evoluzione naturale. La rinnovazione da seme in genere non si presenta abbondante.
Fustaie giovani - Si tratta per lo più di fustaie originate da preesistenti cedui, per libera evoluzione del ceduo invecchiato o, più frequentemente, per intervento antropico di avviamento all’alto fusto. La densità resta in media elevata (oltre 1300 piante/ha) e prevalgono le classi intermedie di diametro, fra 10 e 30 cm. I soprassuoli esaminati erano anche in questo caso riconducibili a vari tipi forestali, ma in particolare a cerrete mesoxerofile, castagneti (mesoxerofili e mesofili), leccete mesofile, boschi di farnetto e querceti di roverella termofili.
Fustaie stratificate - Queste fustaie presentano ancora una densità elevata (circa 900 piante/ha), ma si presentano più stratificate, con una prevalenza delle classi diametriche medie e alte. Sono state attribuite a questo tipo alcune cerrete (mesofila e mesoxerofila) e alcuni casi di lecceta mesofila. La potenzialità della rinnovazione naturale, in genere, in questa situazione è piuttosto buona.
Fustaie poco stratificate - Con una densità inferiore ai tipi precedentemente descritti (in media, copertura arborea intorno al 70%), questi boschi vedono la prevalenza della classi diametriche più alte e scarsa stratificazione, con numero di piante in media di circa 300/ha. Buona presenza di rinnovazione naturale e boschi riconducibili a cerrete (mesofile e mesoxerofile), boschi di farnetto mesofili e querceti di roverella mesofili. Talvolta si presentano anche come pascoli arborati.
Il diagramma in
I tipi definiti “in evoluzione” non seguono sempre questo schema generale. Ciò si spiega, almeno in parte, con l’attribuzione a questo tipo di situazioni non ben definite dal punto di vista dinamico e stazionale (popolamenti aperti, antropizzati, degradati dal pascolo, ecc.), verosimilmente il più delle volte da considerare come popolamenti di transizione verso stadi più maturi, a maggiore copertura arborea o legati a condizioni stazionali particolari e quindi a diversa composizione specifica del sottobosco. Uno studio di maggior dettaglio potrà chiarire in futuro se questi casi sono ricollegabili a delle varianti o a dei sottotipi di unità più chiaramente definite dal punto di vista ecologico e floristico.
Nel complesso non emergono discrepanze evidenti fra la definizione del tipo e la composizione floristica dello stesso, ma si può ovviamente rilevare che all’interno di una stessa categoria le differenze floristiche fra i tipi possono essere poco marcate (esempio dei boschi a prevalenza di carpino, con tipo posizionati vicini sul diagramma) o maggiori (esempio delle cerrete o delle leccete, appartenenti a due gruppi diversi). Nelle
L’analisi statistica, evidenziando le similitudini fra le unità individuate, facilita anche l’interpretazione fitosociologica dei tipi individuati. Le principali associazioni, descritte in altri studi, a cui riferire i tipi forestali sono le seguenti:
Va sottolineato che la tipologia delineata presenta solamente grandi unità di carattere ecologico generale, primo passo verso una strutturazione più dettagliata che descriva fasi di transizione e pioniere, così come stadi più o meno durevoli di formazioni particolari (popolamenti di forra, arbusteti e macchie). Tali unità saranno inquadrabili talvolta come tipi autonomi, in altri casi come sottotipi (per variazioni minori ecologiche o floristiche, ma importanti dal punto di vista delle potenzialità funzionali) o varianti (per variazioni significative nella componente arborea accompagnatrice). Parimenti i gruppi di specie indicatrici, con l’aumentare del dettaglio della strutturazione tipologica e con l’applicazione a territori più ristretti, potranno essere affinati ad uso diagnostico nell’identificazione di tali unità di maggior dettaglio.
Una trattazione esauriente della problematica delle funzioni dei boschi esaminati può essere fatta solo a seguito di specifiche analisi che comprendano l’esame di situazioni locali nei diversi contesti territoriali, considerando il fatto che una funzione viene attribuita anche in relazione alla posizione del bosco nel territorio, alla presenza di infrastrutture, al contesto socio-economico, ecc. Un particolare aspetto da considerare è anche il diverso grado di tutela del territorio, che incide in maniera determinante sulla possibilità di esercitare le attività selvicolturale, e la presenza di fattori “di consuetudine” legati storicamente al bosco mediterraneo (
Tuttavia, in considerazione della scala di indagine di questo studio, è possibile discutere il rapporto fra tipi forestali e principali funzioni, nei casi in cui queste ultime assumono un valore di carattere generale: la funzione della biodiversità, ad esempio, ha assunto un crescente e generale valore negli ultimi anni, a prescindere dal contesto locale. In questi casi, il tipo forestale può essere valutato considerando le specie che lo compongono e le loro potenzialità rispetto a singole funzioni o alla complessa interazione di più funzioni, secondo un approccio recentemente adottato anche in altri paesi (
L’importanza di questa funzione è da vedere in relazione alla creazione di nuove aree protette, o comunque di aree a gestione speciale, il cui numero ed estensione sono aumentati negli ultimi anni. Come prima approssimazione la biodiversità, pur essendo un concetto piuttosto ampio, può trovare un riscontro nella ricchezza specifica già della sola componente arborea, che come si è visto può variare da tipo a tipo.
Limitandosi alle specie arboree, nella maggior parte dei casi, opportuni interventi selvicolturali possono favorire un arricchimento di specie, così come attraverso altre operazioni possono determinare una scomparsa, ad esempio, di specie più esigenti. Nei tipi potenzialmente poveri di specie (ad esempio, lecceta termofila), la biodiversità può essere incrementata a livello di sviluppo degli strati di vegetazione. Nei casi esaminati, questa funzione assume una notevole rilevanza, particolarmente nelle fustaie più o meno stratificate, dove, al contrario dei cedui a regime tradizionale, può essere relativamente più facile costituire dei soprassuoli più ricchi di specie, in sintonia con le potenzialità elevate (in termini di ricchezza specifica) dei boschi mediterranei. In tal senso, nell’ambito delle rispettive categorie forestali, il tipo mesofilo per le leccete (dove si mescolano elementi del bosco sempreverde a quelli caducifogli), i querceti di roverella e i castagneti, e il tipo mesoxerofilo per cerrete, boschi di farnetto e ostrieti, sembrano a prima vista offrire le potenzialità migliori. Nel tipo “in evoluzione” il valore di biodiversitàè invece riconducibile per lo più alla ricchezza della vegetazione erbaceo-arbustiva.
Più significativi sono certamente gli aspetti qualitativi della biodiversità, relativi agli habitat e alle specie associate ai tipi o habitat forestali. Riguardo alla flora è stato redatto un elenco preliminare di un’ottantina di specie da studiare, potenzialmente presenti nell’ambito dei cedui qui individuati: molte di queste specie sono in realtà tipiche di ambienti aperti (per es. molte orchidacee), ma possono incontrarsi anche in boschi radi e radure. Particolare rilievo hanno gli habitat associati al bosco (zone umide, affioramenti rocciosi, ecc.) ed i microhabitat per la fauna, nonché le situazioni ecotonali reperibili all’interno o ai margini del bosco: più che il sottobosco vero e proprio sono queste situazioni microstazionali a presentare il maggior numero di specie contenute negli allegati della Direttiva Habitat o nelle liste rosse nazionali o regionali. Per quanto riguarda la fauna sono state prese in considerazione le specie animali elencate negli allegati II e IV della Direttiva Habitat 43/92/CEE e nell’allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/CEE (e successive modifiche), tra quelle potenzialmente presenti in ambiente forestale. Nel complesso dei Siti di Interesse Comunitario delle Regioni Campania, Basilicata, Puglia e Calabria risultano segnalate 13 specie di Uccelli elencati nell’All. I della Direttiva “Habitat”, 8 specie di Anfibi, 13 di Rettili, 33 specie di Mammiferi (di cui 7 Chirotteri) che potenzialmente possono essere influenzate dalla gestione forestale. È in fase di valutazione l’elenco di 74 invertebrati protetti, rari o endemici, al fine di evidenziare le specie più strettamente legate agli ambienti boschivi.
Nell’ambito della Rete Natura 2000 per le regioni oggetto di studio risultano individuati circa 300 SICp (Siti d’Interesse Comunitario proposti) in cui è presente almeno uno degli habitat forestali d’interesse comunitario elencati nella
Gli aspetti legati alla ricreazione assumono in tempi recenti una rilevanza molto maggiore che in passato, grazie alla maggior richiesta di “naturalità” da parte di gente che normalmente vive nelle città. Si sviluppano per questo attività di tipo agrituristico anche in contesti forestali, come recentemente evidenziato da
A livello generale, popolamenti che presentano una struttura ad alto fusto sono privilegiati rispetto ai cedui (particolarmente nelle prime fasi di sviluppo dopo il taglio di questi ultimi). Casi tipici, di situazioni a notevole rilevanza ricreativa sull’Appennino meridionale si hanno per cerrete mesofile e boschi di farnetto mesofili in situazioni di montagna o collina, o, in pianura, per le leccete e boschi di farnetto e cerro termofili, con struttura riconducibile a fustaia, talvolta originata per conversione del ceduo.
Questa funzione, la cui rilevanza è piuttosto evidente in molti contesti presi in esame anche per la prevalente ubicazione montana dei boschi, vede la sua priorità assoluta nelle situazioni geopedologiche e topografiche più difficili (ad esempio, suoli con componenti argillose o sabbiose incoerenti, facilmente erodibili). In questi casi un abbandono del soprassuolo alla lenta evoluzione naturale oppure ceduazioni condotte secondo criteri particolari (piccole tagliate, matricinatura intensa o a gruppi), può rappresentare una scelta che soddisfa le esigenze di protezione del terreno. Casi di questo genere si possono riscontrare nei tipi a copertura arborea discontinua (descritti come tipi “in evoluzione”), oppure nella lecceta mesofila sui pendii esposti a sud o nei tipi di orno-ostrieto e ostrieto.
La legna da ardere ha assunto negli ultimi anni in particolari contesti locali una notevole importanza, collegata anche ad un impiego in nuovi tipi di caldaie per riscaldamento o ad altri usi minori. Forniscono questo prodotto soprattutto boschi comunali e dei privati, gestiti per lo più a ceduo matricinato. Non necessariamente questo tipo di funzione si presenta in alternativa alle altre, precedentemente ricordate, ma piuttosto in molti contesti andrebbe vista in maniera complementare. Nei casi esaminati, riconducibili un po’ a tutti i tipi forestali, questa funzione è rilevante oltre che nei cedui matricinati, anche per le fustaie transitorie, mentre si riduce nelle fustaie più mature, anche per la maggiore difficoltà di impiego degli assortimenti ritraibili (legname da lavoro).
Il tema della produzione legnosa si lega anche alla problematica dell’utilizzazione in situazioni difficili, della necessità di salvaguardare l’ambiente, dei costi crescenti delle utilizzazioni e della tecnologia disponibile. In condizioni di pendenza superiore al 20%, l’esbosco per via aerea (gru a cavo mobili, risine) produce ad esempio impatti al suolo inferiori che a soma (con animali o trattore), ma nella realtà esaminata è ancora praticamente assente (
La tipologia forestale presentata in questo studio non va considerata esaustiva della varietà presente nei boschi dell’Appennino meridionale, mancando da un lato l’analisi dettagliata della variabilità presente all’interno dei tipi principali, dall’altro l’esame di formazioni anche rilevanti per l’area di indagine (ad es., faggete, boschi umidi ecc.), o di particolare interesse naturalistico (ad esempio, habitat di interesse comunitario).
Esaminando contesti locali specifici, tuttavia, non dovrebbe essere troppo difficile utilizzare la tipologia proposta come punto di partenza per individuare altre unità di significato ecologico e gestionale, e formare un quadro completo delle situazioni presenti. Un ulteriore approfondimento delle potenzialità dei vari tipi in relazione alle funzioni, potrà infine completare meglio il significato delle unità individuate, descritte per ora su base essenzialmente floristica.
Nel dettaglio, si possono definire due tipi di variante: (a) la variante con: indica presenza significativa, ma non predominante, della specie in questione con una percentuale compresa fra il 25 ed il 50%. Per esempio in una cerreta mesofila, la variante con carpino bianco indica un popolamento a predominanza di carpino nero (50-75% di copertura) accompagnata dal 25-50%
È stato seguito l’approccio classico della tipologia forestale, nel quale la vegetazione, nella sua composizione e struttura, è diretta derivazione dei fattori e fenomeni ecologici (Hofmann 1969).
Principali specie arboree e frequenze dei gruppi di specie nei diversi tipi forestali. Connotazione ecologica del tipo: E = in evoluzione, T = termofilo, X = mesoxerofilo, M = mesofilo, S = submontano.
Diagramma di ordinamento PCA a tre dimensioni (sono riportati i tre assi - PCA1, PCA2, PCA3, che spiegano, rispettivamente, il 32, 12 e 9% della variazione totale presente nei dati), ottenuto dall’elaborazione dei dati di presenza/assenza delle specie a maggior frequenza nei diversi tipi forestali (160 su oltre 600). Le abbreviazioni relative ai tipi forestali sono riportate nella didascalia in
Chiave dicotomica per la classificazione dei tipi forestali afferenti a boschi a prevalenza di querce. Per individuare la zona si può fare riferimento a intervalli approssimativi di quota: 0-300 m (costiera e pianura), 300-700 (collinare), oltre 700-800 m (montana, submontana fino a circa 1000 m).
Chiave dicotomica per la classificazione dei tipi forestali afferenti a boschi a prevalenza di carpini o castagno.
Parametri dendrometrici e strutturali indicativi (valori medi) raccolti in aree di studio rappresentative, raggruppate per tipi di popolamento.
Parametro | Boschi radi | Cedui matricinati | Cedui invecchiati | Fustaie giovani | Fustaie stratificate | Fustaie poco stratificate |
---|---|---|---|---|---|---|
Copertura arborea | 40 | 85 | 85 | 80 | 80 | 70 |
Classe diametro bassa(< 10 cm) in % | 70 | 80 | 45 | 19 | 10 | 0 |
Classe diametro media(10-30 cm) in % | 20 | 17 | 48 | 74 | 50 | 7 |
Classe diametro alta(>30 cm) in % | 10 | 3 | 7 | 7 | 40 | 93 |
Numero piante/polloni | 3300 | 5400 | 2300 | 1300 | 900 | 300 |
Numero ceppaie | 950 | 1700 | 1100 | 1000 | 850 | 300 |
Altezza mediapiante dominanti | 10 | 14 | 15 | 17 | 23 | 20 |
Diametro medio piante dominanti | 18 | 21 | 33 | 30 | 42 | 49 |
Incremento medio annuo (indicativo) | 2.9 | 4.9 | 4.2 | 3.8 | 3.5 | 3.4 |
Area basimetrica(indicativa) | 14 | 24 | 25 | 27 | 29 | 28 |
Rinnovazione(piante m-2) | 0.9 | 0.6 | 1.0 | 0.6 | 2.4 | 2.8 |
Habitat forestali d’interesse comunitario in relazione più o meno stretta con le formazioni oggetto di questo studio, e relativo numero di siti di conservazione proposti.
Codice Natura 2000 | Tipi di habitat | Basilicata | Calabria | Campania | Puglia | Totale |
---|---|---|---|---|---|---|
Habitat forestali arbustivi | ||||||
5230 | Arbusteti arborescenti con |
1 | - | 5 | - | 6 |
Habitat forestali arborei | ||||||
9250 | Boschi di |
1 | - | - | 6 | 7 |
9260 | Castagneti di |
2 | 13 | 28 | 1 | 44 |
9280 | Boschi di |
3 | 4 | - | 1 | 8 |
92A0 | Boschi a galleria di |
1 | 30 | 12 | 5 | 48 |
9320 | Boschi di |
2 | 15 | 45 | 1 | 63 |
9330 | Boschi di |
- | 3 | - | 2 | 5 |
9340 | Boschi di |
4 | 54 | 25 | 21 | 104 |
9350 | Boschi di |
- | - | - | 3 | 3 |
Totale | 15 | 119 | 115 | 40 | - |
Tipi forestali con specie maggiormente frequenti
Gruppi di specie