Appropriate procedures for appointing professors, efficient evaluation and control procedures, the respect of the responsibility principle and the competitive selection of students are key points to which the Italian Universities should pay great attention and prompt action to avoid decline.
Dopo avere letto l’articolo di Ferdinando Boero recentemente apparso su Forest@ (
È opportuno iniziare il discorso dal sistema attuale che, a parere di chi scrive, è assimilabile a un
In accordo con l’analisi di Boero, l’origine del problema è la mancanza del
Insomma, con il sistema vigente nessuno paga per errori di reclutamento e nemmeno per inefficienza lavorativa. Del resto, se in un dipartimento universitario il personale docente è inadeguato, la responsabilità non ricade sul direttore del dipartimento o sul Rettore, bensì su una serie di commissioni esterne le cui colpe sono difficili da identificare.
Ciò rende possibile la selezione dei docenti in base non tanto a qualità scientifico-didattiche, quanto a logiche clientelari. Si aggiunga che, una volta entrato in ruolo, un docente non deve rendere conto del proprio operato scientifico-didattico se non in modo formale, con relazioni triennali che nessuno si sogna di valutare seriamente: in altre parole, un docente di ruolo non va incontro a nessun tipo di sanzione, indipendentemente dal suo operato.
In che modo si può uscire da questo circolo vizioso
Questa realtà possiamo chiamarla
Un primo passo verso il mercato potrebbe essere proprio l’abolizione del valore legale della laurea. La laurea diventerebbe così un titolo il cui prestigio è legato alla sede di conferimento: ciò aprirebbe l’Università italiana
Un circolo virtuoso in cui tutti sarebbero indotti a dare il meglio di sé. Con questo sistema si risolverebbero molti casi imbarazzanti: tornando all’esempio di Boero, se il figlio di un professore dovesse vincere un concorso a dispetto delle sue scarse qualità, l’Università che lo ha scelto perderebbe non solo prestigio, ma anche fondi legati alla ricerca, studenti, con loro i fondi delle iscrizioni e così via. Questo sarebbe un vero mercato.
Per chiudere, una considerazione che spazzi il campo da facili demagogie.
Dal momento che, con il sistema proposto, la scelta dello studente non ricadrebbe più sull’ateneo “facile” ma su quello che fornisce un’offerta formativa di valore, gli incentivi alle sedi non arriverebbero più dallo Stato (che oggi premia chi seleziona meno), bensì dagli studenti stessi, con le loro iscrizioni. Infatti, in un quadro così legato alla competizione, anche le tasse universitarie finirebbero per essere liberalizzate. Università più prestigiose, ovviamente, corrisponderebbero a tasse più salate. E se qualcuno pensa che si tratti di una proposta “classista”, ebbene si rifletta sul fatto che la cosiddetta Università di massa non può certo essere definita “democratica” solo perché consente - in perfetta autonomia delle sedi, come no - accordi locali e clientelari che niente hanno a che fare con un sano mercato e che finiscono, inevitabilmente, per penalizzare soprattutto gli studenti. Nei confronti dei quali l’Università ha un dovere: garantire non la laurea a tutti, bensì una formazione seria a chi se la merita.