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Resilience, plasticity and dynamics of Aleppo pine forests

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 20, Pages 48-51 (2023)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0045-019
Published: Apr 02, 2023 - Copyright © 2023 SISEF

Short Communications

Abstract

Post-fire natural regeneration of Aleppo pine forest in the Gargano promontory (Southern Italy) is documented by means of photographs taken soon after fire and some years later. The potential of pine for adaptation to climate change and fire disturbance through its phenotypic plasticity is highlighted, and future dynamics of Aleppo pine forests and management perspectives are considered.

Keywords

Wildfire, Natural Regeneration, Climate Change, Forest Management

Resilienza 

Il pino d’Aleppo (Pinus halepensis Mill.) è fra le principali specie della vegetazione forestale mediterranea ([5], [14]). In Italia le pinete di maggior rilievo, di origine naturale, si trovano sulla costa ionica (per la maggior parte in provincia di Taranto) e sul litorale del Gargano (in provincia di Foggia); degne di nota anche le popolazioni che vegetano in Umbria nella fascia del querceto a roverella; in Liguria il pino d’Aleppo lo si ritrova per lo più a piccoli nuclei ([10]). Specie dal comportamento pioniero, frugale nei confronti del suolo, con notevole resistenza alla siccità, il pino d’Aleppo è dotato di efficaci meccanismi di risposta al passaggio del fuoco ([15], [3], [9]).

Attraverso fotografie prese subito dopo l’incendio e a distanza di anni, documentiamo qui un caso di rinnovazione naturale post-incendio in pinete di pino d’Aleppo che vegetano lungo le coste del promontorio del Gargano (provincia di Foggia). Si tratta di un caso che testimonia la resilienza della pineta a un disturbo, presente da secoli nel bacino del Mediterraneo, che tende a diventare più frequente e intenso in seguito al riscaldamento climatico. Una resilienza che sconsiglia, nella maggior parte dei casi, di procedere con interventi di ricostituzione artificiale del bosco dopo il passaggio del fuoco (Fig. 1, Fig. 2).

Fig. 1 - La pineta di pino d’Aleppo nella zona della baia dell’Arco di San Felice sul Gargano (Comune di Vieste, provincia di Foggia). Nel pannello a sinistra, la pineta com’era prima dell’incendio dell’estate del 2007 (foto: Roberto Del Favero); in quello mediano, come si presentava qualche giorno dopo l’incendio (foto: Vittorio Leone); in quello a destra, com’era a fine autunno 2022: in piena fase di ricostituzione grazie alla rinnovazione naturale post-incendio (foto: Nicola Moretti).

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Fig. 2 - Il 24 luglio del 2007 un grande incendio devastò il litorale del Gargano nel Comune di Peschici (Foggia). Ci furono vittime umane, danni alle infrastrutture e buona parte della vegetazione forestale, rappresentata soprattutto dalla pineta di pino d’Aleppo, venne distrutta. Le fotografie documentano la situazione alla spiaggia di Calalunga: a sinistra (foto: Orazio La Marca) l’insenatura da ripresa aerea poco dopo l’incendio del 24 luglio 2007. È ancora evidente, in mare, la cenere scura prodotta dalla combustione della biomassa; nell’immagine di mezzo e in quella a sinistra (foto: Nicola Moretti, fine autunno 2022) il versante dell’insenatura ricoperto dal popolamento di pino d’Aleppo derivante dalla rinnovazione naturale post-incendio. Qualche giorno dopo l’incendio ci fu un temporale molto violento. Lo scorrimento superficiale che ne seguì trascinò molto del seme disperso dalle piante di pino dopo l’incendio. Per questo motivo la rinnovazione naturale si presenta spesso più fitta nelle zone di impluvio rispetto a quelle di versante.

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Plasticità 

Le specie forestali possono rispondere in diversi modi al cambiamento climatico. Una possibilità, che richiede tempi lunghi, è quella della selezione genetica. Nel corso delle generazioni, all’interno delle popolazioni si selezionano individui con caratteristiche funzionali e strutturali compatibili con il nuovo ambiente ([7]). In confronto ad altre specie forestali, il pino d’Aleppo è però caratterizzato da una variabilità non elevata all’interno delle popolazioni. Questa condizione sarebbe la conseguenza di fenomeni di deriva genetica avvenuti durante l’ultima glaciazione e di un’espansione post-glaciale partita da poche aree rifugio ubicate nella parte meridionale della penisola balcanica ([13]).

Un altro modo di rispondere al cambiamento climatico è quello della migrazione: una “fuga” delle popolazioni arboree, generazione dopo generazione, dalle zone che stanno diventando inospitali verso quelle con un clima ancora favorevole. Anche questa è una risposta che richiede parecchio tempo se avviene in modo esclusivamente naturale, mentre può essere più rapida se viene favorita dall’uomo attraverso le tecniche della migrazione assistita ([2]).

Vi è poi la risposta che consiste nell’acclimatazione fisiologica e strutturale. Questa è resa possibile dalla plasticità fenotipica delle specie arboree. Si tratta di una risposta più rapida in quanto avviene a scala di individuo. Gli alberi modificano la loro struttura e il loro funzionamento per adattarsi alle nuove condizioni climatiche ([11]). Il pino d’Aleppo mostra una notevole capacità di acclimatazione. Ad esempio, è in grado di modificare la struttura del sistema di trasporto idraulico per far fronte a condizioni di stress idrico e anche di modulare, nel corso della stagione, la resistenza alla cavitazione dei condotti xilematici. Anche i tassi di assimilazione fotosintetica e di traspirazione possono essere adattati a condizioni climatiche molto contrastanti fra loro. Questi processi di acclimatazione garantiscono sia la conservazione dell’acqua sia il suo uso efficace a fini produttivi ([8], [16], [6]). Degno di nota il fatto che, nella risposta alla siccità e alle alte temperature, la plasticità fisiologica della specie appaia dominante rispetto agli effetti della variabilità ecotipica ([1]).

Dinamiche e gestione 

Dalle conoscenze disponibili e da quanto si osserva in natura, quali dinamiche si possono prevedere per le pinete di pino d’Aleppo? E quali possono essere le conseguenze sul piano gestionale? Facciamo qualche ragionamento riguardo a questi aspetti.

Come effetto del cambiamento climatico c’è da aspettarsi che siano avvantaggiate le specie termo-mediterranee della macchia bassa e della gariga (rosmarino, cisti, ginepri, ecc.), rispetto a quelle meno xero-tolleranti della macchia-foresta (mirto, leccio, corbezzolo, ecc.). Si tratta di specie del sottobosco con minor potere di competizione nei confronti della rinnovazione naturale di una specie eliofila come il pino. Per questo motivo, la successione della pineta d’Aleppo verso la macchia sempreverde dominata dal leccio ([5], [14]) potrebbe risultare rallentata o anche bloccata. Da formazione pioniera con caratteri di transitorietà, la pineta potrebbe assumere un assetto più stabile in consociazione con le specie xerofile della macchia bassa.

Il riscaldamento del clima esporrà a crescenti condizioni di siccità la fascia di vegetazione forestale sopra-mediterranee e sub-montana. Specialmente i querceti potrebbero trovarsi in condizioni di difficoltà, con possibili regressioni verso boschi lacunosi a fisionomia arboreo-arbustiva. Nel passato, il pino d’Aleppo è stato frequentemente impiegato, sui versanti collinari della regione mediterranea, per il rimboschimento a scopo di protezione idrogeologica. In condizioni di ridotta competizione da parte delle latifoglie, si potrebbe assistere a una diffusione naturale del pino all’interno di querceti che si trovino in crisi a causa delle ondate di siccità e calore. Si tratta di un processo che può anche essere accelerato artificialmente, nel quadro di una gestione forestale di adattamento al cambiamento climatico. La diffusione assistita del pino d’Aleppo (che può essere programmata e attuata con i metodi della selvicoltura di precisione) nell’ambito di boschi sopra-mediterranei può rappresentare una strategia per conservare la fisionomia forestale e per contrastare i processi di degradazione del suolo. Ci sarebbe così un ampliamento, in parte naturale e in parte favorito dall’uomo, della distribuzione del pino d’Aleppo, che potrebbe spingersi a quote più alte di quelle attuali, come si osserva sui rilievi del nord-Africa.

Nelle pinete di pino d’Aleppo, sia quelle naturali sia quelle derivate da rimboschimento, dovrebbe trovare applicazione una selvicoltura di adattamento alla siccità ([4]), così come una selvicoltura di prevenzione dell’incendio. La realtà delle pinete di pino d’Aleppo è stata, in molti casi, quella dell’abbandono colturale. Lo si scriveva in anni lontani ([10]), e in seguito la situazione non è molto cambiata. Alcuni lavori mettono in evidenza l’importanza della gestione forestale per migliorare il bilancio idrico stazionale. In particolare, l’effetto positivo dei diradamenti sulla resilienza allo stress idrico della pineta e sulla sua produttività ([17], [12]).

Di fronte al cambiamento climatico e al rischio d’incendio, il tipo di pineta più resiliente è quella che si ottiene con trattamenti selvicolturali che diano origine a una fustaia disetanea a gruppi, nella quale sia sempre presente un’aliquota di piante in grado di disseminare ([10]).

I popolamenti (spessine) da rinnovazione post-incendio che abbiamo esaminato sono molto densi: dalle 3 alle 5 mila piante per ettaro, con diametri del fusto fino a 8 cm e altezze fino a 6 metri (Fig. 3). In queste spessine è opportuno intervenire con gli sfollamenti. La riduzione della competizione per la luce determina infatti un’accelerazione dei processi riproduttivi, con la formazione di una banca del seme nella chioma ([18]) (Fig. 4). In questo modo si aumenta la resilienza della popolazione al passaggio del fuoco.

Fig. 3 - Relazione fra diametro del fusto a 1.3 m (D) e altezza delle piante (H) nel popolamento (spessina) derivante da rinnovazione naturale post-incendio. Le misure sono state fatte su una sessantina di piante campionate con criteri casuali. L’altezza è stata misurata con un’asta graduata, il diametro del fusto con un cavalletto dendrometrico.

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Fig. 4 - Nel popolamento (spessina) post-incendio, diverse piante di pino portano strobili sulla chioma. La riduzione della competizione attraverso interventi di sfollamento può stimolare ulteriormente i processi riproduttivi, aumentando così la resilienza della popolazione al passaggio del fuoco.

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