Scientific publishing: the ambiguities of open-access policies
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 16, Pages 77-78 (2019)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0065-016
Published: Nov 24, 2019 - Copyright © 2019 SISEF
Editorials
Abstract
Science must be open to all. This is the consideration behind the tendency of public research funding agencies (EU first of all) to “force” researchers to publish their results in open-access journals, or pay to ensure that articles are freely readable. Even the most remote researcher must be able to read a scientific article. Everything seems good, but is it really true? We see some side effects: (i) whoever reads no longer pays, but obviously someone has to pay, otherwise how publishing companies will survive? In fact, large groups are already organized, going towards open access fees, although more elegantly they speak of article processing charge (APC, mandatory); (ii) should this situation become general (all open-access journals with APC mandatory), researchers from a disadvantaged area could read, but they would have trouble publishing. It is true that journals could reduce or remove APCs in such cases, but these are always concessions to be negotiated on a case by case basis; (iii) as the most sensitive aspect: the balance of each journal will depend on how many APCs are collected, and editorial decisions are likely to be influenced by the ambition to increase journals’ budget; (iv) in the end, one may think that the tendency towards this kind of “open science” was appreciated by large publishing groups, which could see APC as a business richer than subscriptions. Some proposals in this regard: (i) if you have a good scientific “story” to tell, at present there is no need to resort to journals that apply APC mandatory, especially if managed by groups clearly oriented to business; rather, use your resources to buy free access to your work after acceptance; (ii) the funding agencies themselves could support free access to the most significant papers, after their publication, and scientific societies could play an important role in this respect; (iii) journals may require public data repository, and funding agencies may support open publications in these journals; to me, this seems one of the most important steps towards a truly open and increasingly credible science.
Keywords
Scientific Publishing, Open-access Journals, Article Processing Charge, Public Data Repository
La scienza deve essere aperta a tutti: fino adesso lo è stata tranne che nella fase di pubblicazione dei suoi risultati, si dice con un fondo di verità. È questa la considerazione alla base della tendenza, da parte delle agenzie pubbliche di finanziamento (EU su tutte), a “forzare” i ricercatori a pubblicare i loro risultati su riviste ad accesso libero o a pagare per rendere liberamente leggibili gli articoli pubblicati.
Anche il ricercatore più remoto, estraneo ai laboratori istituzionali, deve poter accedere ai risultati che la scienza produce. Giustissimo, ma proviamo a vedere, seguendo i movimenti di quella coda che si diverte a mettere sottosopra le buone intenzioni, qualche possibile effetto collaterale di una evoluzione in questa direzione:
- chi legge non paga più, ma ovviamente qualcuno deve pagare, altrimenti come stanno in piedi le imprese editoriali? Percorso da destra o da sinistra, il cerchio rimane comunque tondo. Difatti, i grandi gruppi editoriali si sono già organizzati, andando verso l’open access a pagamento, anche se elegantemente si parla di article processing charge (APC, obbligatorio). Quindi non paga più chi legge, ma chi scrive, cosa abbastanza strana: fate conto di andare in libreria, comprare un libro e mandare il conto a chi l’ha scritto, qualcosa non torna;
- qualora la situazione diventasse generale (tutte riviste open-access con APC obbligatorio), il ricercatore di una zona svantaggiata, sconnesso dalle istituzioni, potrebbe sì leggere, ma farebbe fatica a scrivere. È vero che le riviste potrebbero ridurre o togliere l’APC in questi casi, ma si tratterebbe di “paternalistiche” concessioni da contrattare caso per caso. Non si farebbe prima ad assicurare il diritto di leggere ai ricercatori “svantaggiati”, mantenendo gli abbonamenti per gli altri?
- dicevo prima: pagherà chi scrive, in realtà non sarà così. Pagheranno sempre le agenzie che finanziano la ricerca, o le istituzioni di appartenenza dei ricercatori, quindi alla fine cosa cambia? Qualcosa in realtà cambia, ed è questo l’aspetto più delicato: il bilancio della rivista dipenderà da quanti APC entreranno, e le decisioni editoriali rischiano di essere influenzate dall’aspirazione ad incrementare il budget;
- pertanto, facendo peccato per il cattivo pensiero, si arriva a sospettare che la tendenza all’accesso libero sia gradita ai gruppi editoriali, che potrebbero vedere nell’APC un business più ricco rispetto a quello degli abbonamenti. Che le buone intenzioni possano veicolare verso lo Stige non è peraltro una sorpresa; avremo modo di vedere se la “simpatica” coda si muove davvero in quella direzione.
Qualche considerazione/proposta:
- se avete una bella “storia” scientifica da raccontare, non c’è bisogno di ricorrere a riviste che applicano un APC obbligatorio, soprattutto se gestite da gruppi evidentemente orientati al business; piuttosto, se avete risorse, investite dopo l’accettazione del lavoro per “aprirlo” alla comunità scientifica;
- le agenzie di finanziamento mettano a disposizione specifiche risorse per garantire l’accesso libero ai lavori più significativi: o direttamente o attraverso le società scientifiche, molte delle quali mantengono la loro impronta sui comitati editoriali e potrebbero essere coinvolte in questo compito;
- le riviste richiedano di rendere disponibili i data set in un public repository, e le agenzie di finanziamento supportino il costo della pubblicazione “aperta” nelle riviste che adottano questa politica; questo mi sembra uno dei passi più importanti da compiere per una scienza veramente aperta e sempre più credibile.
Può sembrare strano che il sottoscritto faccia queste considerazioni. La rivista iForest - Biogeosciences and Forestry (⇒ https://iforest.sisef.org) che più di 10 anni fa ho fondato, insieme a Gabriele Bucci, è da sempre ad accesso libero: con un particolare, è anche APC-esente. Il segreto? Per ora basta quello di Pulcinella, ma nel medio termine le cose potrebbero complicarsi.