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A new ecological parameter: the maximum rain-use efficiency

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 1, Pages 11-11 (2004)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0193-0001
Published: Oct 12, 2004 - Copyright © 2004 SISEF

Commentaries & Perspectives

 

Un recente articolo comparso sulla rivista Nature “Convergence across biomes to a common rain-use efficiency” (Huxman TE e coll., Nature 429, 651, 2004), solleva interessanti questioni che riguardano la ricerca ecologica e forestale. Attraverso la metanalisi di 14 esperimenti di lungo termine condotti in 9 diversi biomi del continente americano, in cui è stato alterato il regime pluviometrico, gli autori propongono un modello concettuale in cui la massima efficienza d’uso della pioggia (PUEmax), calcolata come rapporto tra produttività primaria netta della parte vegetale aerea (ANPP) e piovosità annua degli anni più siccitosi (PAmin), sarebbe una caratteristica conservata e quindi costante anche lungo un gradiente molto ampio di precipitazioni (100-3000 mm di piovosità media annua). Una tale affermazione presenta ricadute sulla ricerca scientifica di ordine teorico, applicato e strategico.

Innanzitutto, questo modello contraddice l’ipotesi che una selezione specifica per maggiori efficienze d’uso dell’acqua (WUE) negli ambienti aridi porti a migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua dell’intero ecosistema. Altri fattori, correlati alla composizione della comunità vegetale e ai cicli biogeochimici vengono indicati come elementi in grado di spiegare le relazioni causali tra produttività primaria netta e regimi pluviometrici nei diversi biomi terrestri. Una seconda importante conclusione deriva dall’applicazione di questa ipotesi agli scenari climatici futuri che prevedono un aumento della variabilità interannuale della piovosità e della frequenza di annate siccitose. Anche biomi considerati poco sensibili alla diminuzione delle precipitazioni (foreste) subirebbero riduzioni nella produttività primaria netta superiori a quelle attese in quanto la riduzione di produttività nelle annate siccitose non verrebbe compensata dall’aumento in quelle più piovose. L’incidenza degli altri fattori limitanti (azoto, fotorespirazione, ecc.) porterebbe a un ulteriore riduzione della produttività primaria aumentandone la sensibilità alla riduzione della disponibilità idrica. Ad esempio, l’atteso aumento di produttività in seguito all’aumento della concentrazione di CO2 atmosferica, renderebbe i biomi più produttivi molto più sensibili alla variabilità interannuale della piovosità. In altre parole, una vegetazione più rigogliosa produrrebbe nelle annate siccitose meno biomassa di una vegetazione che subisce la limitazione di qualche altro fattore.

Con le dovute precauzioni che derivano dall’estenzione dei dati derivati da parcelle sperimentali alla totalità dei biomi terrestri (Korner C, Science 300, 1242, 2003), queste considerazioni evidenziano importanti lacune conoscitive e indicano possibili strategie di ricerca futura. La maggior parte degli esperimenti riguardanti le relazioni tra produttività primaria e disponibilità idrica si basano infatti sull’analisi degli andamenti medi, spesso esaminati a livello di singola specie e non considerano il ruolo della variabilità interannuale nel determinare la struttura e il funzionamento dei diversi ecosistemi e comunità vegetali. Soprattutto negli ecosistemi più sensibili alle variazioni nel regime pluviometrico, quali gli ecosistemi mediterranei, sono necessari studi che esaminino a scala di comunità vegetale gli effetti della variabilità interannuale della disponibilità idrica. Questo è uno degli obiettivi del progetto europeo MIND (⇒ http:/­/­www.ibimet.cnr.it/­programmi/­biosphere/­mind/­default.htm) che vede coinvolte diverse università e istituti di ricerca italiani.

 
 
 

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