The silver fir in the Val Grande National Park: distribution, structures and dynamics
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 1, Pages 25-36 (2004)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0219-0010025
Published: Oct 12, 2004 - Copyright © 2004 SISEF
Research Articles
Abstract
The Val Grande National Park, designated in 1992, is considered to be the largest wilderness area in the European Alps. The aim of the present study was to determine the distribution of silver fir (Abies alba Mill.) within the Val Grande National Park and to analyse structure, natural and human disturbances and dynamics in an intensive monitoring plot located on Monte Mottac. Results showed that silver fir distribution in the stand is discontinuous and limited to the northern sector. Most silver fir grows in mixed populations with beech (Fagus sylvatica L.) and, to a lesser extent, with Norway spruce (Picea Abies (L.) Karts.) and other broadleaves. The stand studied was found to be uneven-aged with some individuals older than 150 years and many below 60 years. Analysis of abrupt growth releases allowed the detection of two cuts that took place in the 20th century, the latter of which was conducted at the beginning of the 50s. The results show that although human influence is still evident, in the last decades natural dynamics have become the predominant influence in the forest’s structures and processes.
Keywords
Abies alba Mill., Alps, Abrupt growth release, Dendroecology, History of forest stand
Introduzione
L’abete bianco è, dopo il larice, la più importante conifera in Piemonte sia per la superficie occupata, oltre 8000 ha di abetine pure ed alcune migliaia di ettari di boschi misti a partecipazione di abete bianco, sia per l’interesse economico, culturale, paesaggistico e naturalistico di questa specie ([8]). L’attuale distribuzione dell’abete bianco è fortemente influenzata dall’azione antropica che, nella maggior parte dei casi, ha sfavorito o eliminato questa conifera a favore di altre specie ed in particolare del faggio. Inoltre la superficie occupata dall’abete bianco si è contratta non solo mediante la sostituzione con altre specie, ma anche con l’eliminazione di popolamenti forestali per creare dei pascoli. I boschi di abete bianco esistenti nel Biellese ([31]), in Val Chiusella ([2]) ed in diverse vallate del Verbano e dell’Ossola ([4]) rappresentano gli ultimi relitti dei popolamenti di conifere (con presenza di larice ed abete rosso, oltre all’abete bianco) che nei settori mesalpico e, soprattutto, esalpico caratterizzavano il piano montano superiore ed il piano subalpino fino al limite superiore del bosco.
Il ruolo passato dell’attività antropica è ben evidente anche all’interno del Parco Nazionale della Val Grande: mulattiere, alpeggi, terrazzamenti, vestigia di teleferiche testimoniano come l’uomo nei secoli passati abbia intensamente utilizzato la valle attualmente considerata come la più grande area di wilderness delle Alpi. La wilderness in Val Grande rappresenta, dunque, un luogo che l’uomo ha abbandonato, senza strade, senza insediamenti permanenti e neppure stagionali, dove la natura sta lentamente recuperando i suoi spazi.
Gli obiettivi di questo lavoro sono: a) descrivere la distribuzione attuale dell’abete bianco nel Parco Nazionale della Val Grande; b) analizzare strutture, disturbi naturali e antropici, e dinamiche attualmente in atto in un’area di studio intensivo localizzata presso il monte Mottac.
Materiali e Metodi
Descrizione dell’area oggetto di studio
Il Parco nazionale della Val Grande (Fig. 1) è stato istituito con il D.M. del 2 Marzo 1992, ha una superficie di 14598 ha e ricade completamente all’interno della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola (VB). L’attuale superficie comprende due Riserve Naturali pre-esistenti: la Riserva Naturale Integrale della Val Grande (1043 ha) istituita nel 1967 e la Riserva Naturale Orientata del Monte Mottàc (2410 ha) istituita nel 1971. La roccia madre è di natura metamorfica ed il Parco, nel suo complesso, é caratterizzato da una morfologia molto aspra, con profonde forre ed un reticolo idrografico molto ramificato. Le precipitazioni sono abbondanti e superano anche i 2000 mm annui. Le foreste attualmente presenti sono prevalentemente di latifoglie: castagno nei settori altitudinali inferiori ed in prossimità degli insediamenti antropici, boschi di latifoglie miste nelle forre, faggio nei settori più interni e meno accessibili. La presenza di conifere è limitata e tra queste la più rappresentata è l’abete bianco con sporadica presenza di abete rosso, larice e pino silvestre.
Fig. 1 - L’area del Parco Nazionale della Val Grande, localizzato nel Piemonte settentrionale. I punti pieni individuano le cronologie stazionali di abete bianco disponibili per il Piemonte settentrionale e la Valle d’Aosta orientale.
Indagini storiche
Contemporaneamente alle indagini di campo, sono state effettuate delle indagini storiche e bibliografiche presso archivi municipali o di altri enti e sono state raccolte testimonianze da persone che hanno frequentato la valle a diverso titolo negli ultimi decenni. I dati raccolti dalle indagini storiche sono spesso discontinui e di difficile interpretazione ([22], [6]) ma rappresentano una fonte di informazioni indipendente rispetto agli archivi biologici ([1]). Dal confronto tra questi due tipi di informazione è spesso possibile ricostruire la storia passata dei popolamenti forestali. Da un lato gli archivi biologici, ed in particolare gli anelli annuali di accrescimento degli alberi, sono utili per individuare la durata e l’intensità dei disturbi subiti dal popolamento forestale, dall’altro gli archivi storici sono utili nel riconoscere il tipo di disturbo ed interpretarne le cause ([10], [11], [17]).
Distribuzione dell’abete bianco all’interno del Parco nazionale della Val Grande
L’individuazione dei popolamenti di abete bianco all’interno dei confini del parco è stata realizzata mediante diverse fasi. La prima ha permesso di reperire informazioni sulla presenza della specie, sia attraverso fonti storiche, sia con interviste al personale del Corpo Forestale dello Stato. Una prima delimitazione delle aree con presenza di abete bianco è stata effettuata con l’analisi delle foto aeree disponibili. Successivamente con ricognizioni mirate sul terreno dal versante opposto e, quando possibile, direttamente all’interno delle formazioni forestali, i confini precedentemente individuati sono stati verificati ed integrati. I popolamenti di abete bianco sono stati suddivisi in popolamenti con abete bianco dominante (abete bianco > 75% della copertura forestale), popolamenti misti con faggio (abete bianco 25-75%) e popolamenti con presenza sporadica di abete bianco (abete bianco 10-25%).
Tutte queste informazioni sono state inserite in un GIS ed elaborate per ottenere la carta della distribuzione dell’abete bianco nel Parco Nazionale della Val Grande. Allo scopo sono stati utilizzati i software TerraNova ShArc 3.3 e ArcGis 8.3.
Analisi dendrometriche
Per analizzare strutture e dinamiche dell’abete bianco è stata individuata un’area di studio intensivo in uno dei popolamenti misti di abete bianco e faggio più estesi ed uniformi, sul versante settentrionale del Monte Mottac, in comune di Trontano. L’area di studio ha una superficie di circa 20 ha, una quota compresa tra 1250 e 1550 m s.l.m., esposizione Nord e Nord-est e pendenza media superiore all’80%.
All’interno di questa area è stato effettuato un inventario secondo una maglia rettangolare, con lato di 100 metri lungo le curve di livello e 50 metri di dislivello lungo la massima pendenza. In ognuno dei 40 vertici boscati individuati è stata posizionata un’area di saggio di forma circolare e raggio pari a 15 metri. All’interno di queste aree sono stati identificati e misurati tutti gli individui arborei con diametro maggiore di 7.5 cm all’altezza di 130 cm dal suolo. Sono inoltre state misurate le altezze dei tre esemplari di abete bianco più prossimi al centro di ogni area.
Analisi dendroecologiche
Dagli stessi tre esemplari di cui è stata misurata l’altezza è stata prelevata anche una carota mediante un succhiello di Pressler, verso monte, ad una altezza di circa 130 cm dal terreno. Poichè in alcune aree di saggio l’abete bianco era assente, sono state ottenute 103 carote totali, che in laboratorio sono state incollate ad un supporto legnoso e levigate con carta abrasiva a grana via via più fine (da 200 fino a circa 1000 grid) in modo da evidenziare gli anelli legnosi. Gli anelli d’accrescimento sono stati misurati con una precisione al centesimo di mm, tramite l’ausilio dello strumento di misura LINTAB, portando alla costituzione di una cronologia elementare per ciascuna carota analizzata. I dati sono stati archiviati ed elaborati mediante il package TSAP e sono stati sottoposti a cross-dating ([27]), al fine di verificare la correttezza delle misure effettuate e l’eventuale presenza di anelli assenti.
Tra le cronologie relative agli esemplari dominanti, quelle tra loro meglio correlate sono state utilizzate per costruire una cronologia media stazionale. Quest’ultima è stata poi confrontata con le cronologie medie stazionali di abete bianco disponibili nelle zone limitrofe al Monte Mottac (Fig. 1), relative sia al Piemonte che alla Valle d’Aosta ([29]) e con una cronologia regionale relativa al Piemonte meridionale ([19]).
Per la costruzione della struttura delle età, le carote disponibili sono state classificate in tre gruppi ([16]): a) carote con presenza di midollo, b) carote senza midollo ma con anelli più interni aventi una curvatura tale da rendere possibile la stima della posizione del midollo e c) carote senza midollo e con anelli più interni non curvati. L’età degli alberi è stata stimata per le carote a) e b) ma non per c) in quanto in questo ultimo caso è impossibile stimare la posizione del midollo e quindi gli anelli mancanti sulla carota. Per le carote del gruppo a) é stato conteggiato il numero di anelli presenti tra il cambio ed il midollo mentre per le carote del gruppo b) al conteggio degli anelli presenti tra il cambio e l’anello più interno è stato aggiunto il numero di anelli stimati mancanti al midollo. La stima di questi ultimi è stata fatta tramite l’uso del pith locator ([16]). Ai valori così ottenuti sono stati poi aggiunti gli anni necessari agli alberi per raggiungere l’altezza di prelievo della carota (pari a circa 130 cm). La stima di questi anni è stata dedotta dall’analisi del fusto in 10 individui di rinnovazione, prelevati in prossimità dell’area di studio ([16]).
Questa procedura permette di stimare l’età degli alberi con una buona approssimazione ma non è esente da errori. Per ridurre l’incidenza di questi ultimi, i valori ottenuti sono stati raggruppati in classi di età decennale ([21], [28]). Infine, per ricostruire la storia dei disturbi, le 103 serie di abete bianco sono state sottoposte all’analisi degli incrementi repentini (release). È stato definito come incremento repentino ogni successione anulare di almeno 4 anni chiaramente più larga (> 166%) della serie precedente di uguale durata ([25]). Gli incrementi repentini sono stati determinati mediante l’ausilio del programma CALRRR ([5]) con successivo controllo visuale di ogni singola carota.
Risultati
Indagini storiche
Le prime informazioni sui boschi della Val Grande risalgono all’alto medioevo ed in particolare ad un documento del 1014 che riferisce di “selve incolte” esistenti in Val Grande. Lo sfruttamento delle risorse forestali a scopo mercantile ha inizio probabilmente alla fine del 14° secolo quando Gian Galeazzo Visconti concesse alla “Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano” il diritto all’estrazione gratuita del marmo affiorante in località Candoglia e all’approvvigionamento di legname nei boschi della Val Grande (legname necessario per le operazioni di cava, per il trasporto e per le impalcature del Duomo). La concessione del 1387 segna per la Val Grande l’inizio della stagione dei grandi disboscamenti. Gli storici del 1700 riportano notizie riguardanti grandissime quantità di legname che dalla Val Grande giungono al Lago Maggiore attraverso il trasporto fluviale dei torrenti San Bernardino e San Giovanni. In quel periodo sappiamo che gli alberi venivano abbattuti e poi sramati, scortecciati e depezzati sul posto. Si ottenevano così le “borre” (i boscaioli addetti alle attività legate alle utilizzazioni venivano chiamati generalmente “buràtt o borratori”). Le borre venivano concentrate in prossimità dei fiumi per poter essere trasportate a valle. L’operazione avveniva per lo più con la costruzione delle sovende (o cioende o ancora sfende nell’area vigezzina) poste sui ripidi versanti dei numerosi corsi d’acqua della valle: si trattava di costruire una strada non troppo pendente utilizzando il terreno quanto più possibile ed integrando questa pista con dei passaggi sospesi creati con i rami tagliati e coperti di terra (i ripidi sentieri concavi, chiamati in Ossola “trozi” o “menadori”, erano usati in tutte le Alpi). In inverno la pista si ricopriva di neve che i borratori facevano gelare aggiungendovi acqua ([3]). Qui venivano sospinte le borre che si accumulavano nel fiume nei pressi della “serra”, una specie di invaso artificiale costruito dagli stessi borratori impiegando gli stessi tronchi per costruire uno sbarramento con una porta centrale irrobustita con doppie travature e sassi di rinforzo; durante un periodo piovoso, quando la portata del fiume era sufficiente, queste serre venivano aperte scaricando tutto il legname concentrato a valle fino al lago o nei punti di raccolta sui corsi d’acqua principali (Toce, Melezzo). Qui venivano recuperate e trasportate agli stabilimenti. Nel 1858, dal San Bernardino ad Intra, alcune centinaia di migliaia di tronchi (197000 m3 di legna da ardere e 21000 m3 da opera, secondo una perizia dell’epoca) sarebbero transitate attraverso il Lago Maggiore, il Ticino e il Naviglio per l’approvvigionamento di legna da ardere e da opera di Milano e della Lombardia.
La flottazione era un sistema di esbosco oneroso, pericoloso e soggetto a notevoli perdite, che sovente ammontavano a più di 1/3 del materiale esboscato, ma per secoli ha rappresentato l’unica possibilità per lo sfruttamento delle risorse forestali della valle. In Val Grande essa venne abbandonata nei primissimi anni del 1900, in seguito all’avvento delle teleferiche. Nei primi decenni del 20° secolo la Val Pogallo e la Val Grande erano attraversate da decine di cavi aerei. Le teleferiche a caduta, i cosiddetti “fil a sbalz”, trasportavano per inerzia i tronchi tagliati fino ai principali centri di raccolta del legname. Da qui partivano le teleferiche principali, lunghe anche 10 km, che trasportavano il legname sul fondovalle Ossolano, nei pressi delle stazioni ferroviarie. Dove i deboli dislivelli non permettevano l’impianto di fili a sbalzo, furono installate anche alcune “decauville” (in Val Grande nell’area di Orfalecchio), ferrovie a scartamento ridotto ([32]). Negli anni ’50 del secolo scorso la domanda di legname diminuì e per la Val Grande si concluse l’epoca dei disboscamenti. Nel 20° secolo le utilizzazioni di maggiore intensità avvennero nei periodi 1900-1913 e durante il primo e il secondo dopoguerra. L’ultimo taglio di grandi dimensioni fu attuato in Val Pogallo nel 1961 ([33]).
Per quanto riguarda l’area di studio del Monte Mottàc informazioni più dettagliate sono disponibili presso l’Archivio del comune di Trontano. Un documento specifico è lo “Stato Generale dei Boschi esistenti nel Comune di Trontano” che consiste in un registro cartaceo contenente le principali informazioni legate al controllo ed alla gestione del patrimonio boschivo. Esso fu redatto nel 1824 (ma contiene anche documenti di anni immediatamente precedenti o successivi aggiornamenti) raccogliendo tutti i dati riguardanti i boschi compresi entro i confini del territorio comunale. Lo “Stato Generale” raccoglie quindi sia boschi privati sia di proprietà dello stesso Comune. L’area di studio del Monte Mottac è inclusa in un esteso lotto comprendente le località Bigordo (oggi Biordo), Scrivallone (Scrivalone), Val Rossa, Montisello (Monticello), Rondino, Oro delle Giavine, Le Teggie, e molte altre per un totale di 3.512.695 spazza quadrati (misura locale corrispondente a circa 1381 ha). Queste le osservazioni del compilante a proposito del suddetto lotto: “Località pure frammischiate di Luoghi Sterili, e Deserti, Precipitosi, Ruscellosi, e Scogli nudi ed inaccessibili”. Nel 1824 il bosco era ritenuto maturo per il taglio, ed aveva una componente rilevante di betulle (“bédole”). Non vi sono notizie sulla percentuale di abete bianco (indicato nello Stato Generale come “Avezzo”). Per quanto riguarda i trattamenti ed i turni, alle faggete miste veniva applicato un turno variabile tra 30 e 60 anni. In altri casi il turno era nettamente superiore (80 anni, nel caso della faggeta d’alta quota con larice, nel lotto “Cirese - Piode della Motta”). Per la fustaia di “resinose” il turno indicato era di circa 60 anni. In realtà questi turni non erano fissi: il faggio in governo misto di ceduo e fustaia aveva turni della fustaia di 60 e più anni, secondo la localizzazione geografica e le possibilità di sviluppo offerte dalle condizioni pedo-climatiche.
Anche i lariceti avevano un turno piuttosto breve, circa 40 anni, in quanto da essi si ricavavano assortimenti limitati per riparazioni e costruzioni rurali ([7]).
Una particolare attenzione era dedicata ai boschi di protezione a monte degli abitati. All’interno di questi i tagli erano rigorosamente disciplinati: ad esempio, in relazione al bosco di faggio di Caurasca si legge “non si eseguì mai taglio regolare, venendo da tempo immemorabile conservato per la Diffesa dalle Valanche e Sicurezza delle Abitazioni”.
Distribuzione dell’abete bianco nel Parco nazionale della Val Grande
La distribuzione dell’abete bianco all’interno del Parco Nazionale della Val Grande risulta frammentaria, concentrata nel settore nord occidentale dell’area protetta (Fig. 2).
Fig. 2 - La distribuzione dell’abete bianco all’interno del Parco Nazionale della Val Grande. I popolamenti di abete bianco sono stati suddivisi in popolamenti con abete bianco dominante (abete bianco maggiore del 75% della copertura forestale), popolamenti misti con faggio (abete bianco 25-75%) e popolamenti con presenza sporadica di abete bianco (abete bianco 10-25%).
All’interno del Parco i popolamenti a partecipazione di abete bianco sono ascrivibili al tipo forestale della faggeta oligotrofica, nella forma tipica o nella variante ad abete bianco, mentre le formazioni a dominanza di abete bianco sono classificate come abetina oligotrofica mesalpica nelle due varianti con faggio e con picea ([12]).
L’abete bianco risulta dominante in due popolamenti localizzati in aree rocciose, con elevata pendenza e di difficile accessibilità: uno sulle pendici settentrionali del Pizzo Lazzaretto (1465 m s.l.m.) e l’altro sulla Cima Loviga (1305 m s.l.m.). Questi popolamenti vanno dal fondovalle, dove presentano una buona struttura e densità, fino quasi alla cima del rilievo, dove assumono un aspetto rado e deperiente. L’esposizione è prevalente nord, i suoli sono poveri e superficiali.
L’abete bianco, oltre che formare questi popolamenti in cui è dominante, partecipa alla formazione di boschi misti, in prevalenza con faggio, dove si trova nella maggior parte dei casi come specie secondaria, a volte sporadica o localmente in gruppi puri. Queste formazioni si trovano su esposizioni nord, nelle aree più umide, al di sopra dei 900 m di quota. Di particolare rilievo i popolamenti sulle pendici del Monte Mottac e nella Val Rossa e quello della Val Gabbio, che risultano essere i nuclei di maggior dimensione. Sono inoltre segnalati i popolamenti forestali in cui la specie è del tutto sporadica, a volte presente con grossi esemplari isolati, retaggio di vecchi popolamenti dei quali rappresentano le riserve delle ultime utilizzazioni.
Caratteristiche strutturali del popolamento forestale del Monte Mottac
Il popolamento forestale del Monte Mottac presenta una densità media di 369 alberi (diametro a 130 cm > 7.5 cm) ad ettaro. Di questi l’abete bianco rappresenta circa il 33% (120 alberi ha-1), il faggio il 59% (221 alberi ha-1) mentre il restante 8% (28 alberi ha -1) é costituito da altre latifoglie.
L’area basimetrica totale è di 28.5 m2 ha-1. Per quanto concerne l’incidenza delle diverse specie, l’abete bianco (circa 8 m2 ha-1) costituisce il 27% del totale, il faggio (circa 20 m2 ha-1) costituisce il 71% del totale mentre le altre latifoglie rappresentano solo il 2% dell’area basimetrica totale (0.61 m2 ha-1). La distribuzione dei diametri nell’abete bianco evidenzia un andamento esponenziale negativo ma con una evidente lacuna dei diametri medi ed in particolare entro 25 e 45 cm (Fig. 3). Anche il faggio presenta un andamento esponenziale negativo in cui non si evidenzia però la lacuna nelle classi medie. La curva ipsometrica evidenzia una buona correlazione tra diametro ed altezza in tutti gli individui e buone potenzialità per la specie nell’area di studio con gli alberi dominanti che superano i 30 m di altezza (Fig. 4).
Analisi dendroecologiche
La cronologia media del Monte Mottac
Gli individui dominanti presentano un’età variabile tra i 120 e i 160 anni e la cronologia media che ne è derivata presenta un’estensione pari a 151 anni, nel periodo 1852-2002 (Fig. 5; Tab. 1). L’accrescimento medio è di poco superiore ai 2 mm anno-1. L’autocorrelazione, che misura la dipendenza dell’accrescimento corrente dall’accrescimento dell’anno precedente, può essere considerata elevata, mentre la sensitività media, che esprime la variabilità tra anelli annuali adiacenti, è relativamente bassa. In ogni caso i valori dei parametri statistici qui ottenuti sono comparabili con quanto riportato in letteratura per la stessa specie all’interno dello stesso ambito geografico ([19], [29]) ed in zone geografiche limitrofe ([23]).
Fig. 5 - Cronologia media dell’abete bianco del Monte Mottac. A sinistra dati grezzi in 1/100 mm (linea continua) e trend (linea tratteggiata). A destra: valori indicizzati adimensionali (linea continua sottile).
Tab. 1 - Caratteristiche della cronologia media del Monte Mottac.
Anno iniziale | 1852 |
Anno finale | 2002 |
Estensione della cronologia | 151 |
N° carote | 8 |
N° alberi | 8 |
Ampiezza media (mm) | 2.07 |
Deviazione standard | 0.65 |
Autocorrelazione | 0.88 |
Sensitività media | 0.11 |
La rappresentazione grafica della cronologia media (Fig. 5) mette in evidenza la presenza di marcati trend d’accrescimento, tanto nella seconda metà dell’800, quanto lungo tutto il secolo scorso. A periodi con anelli di dimensioni superiori alla media, seguono periodi con accrescimento relativamente ridotto. La trasformazione dei valori grezzi in valori indicizzati (Fig. 5) ha permesso di minimizzare le variazioni di lungo periodo, di norma attribuibili a fattori locali, per meglio evidenziare la variabilità inter-annuale, più spesso legata a fattori la cui azione si estende per ampie aree geografiche, quali i fattori macroclimatici.
La rappresentatività della cronologia media qui ottenuta, sebbene costituita da un esiguo numero di campioni, può essere confermata dal suo confronto con altre cronologie medie stazionali relative al Piemonte ed alla Valle d’Aosta. Questo confronto ha portato a valori significativi per entrambi i parametri statistici utilizzati (t-student e Coefficiente di coincidenza), come evidenziato in Tab. 2. La correlazione più elevata è stata ottenuta nel confronto con la cronologia dell’Alpe Colla, stazione situata nel Comune di Bannio Anzino. I restanti valori, sebbene più bassi, sono comunque significativi al 95% di probabilità, e sono comparabili ai risultati ottenuti nel confronto tra stazioni relative ad aree geografiche più ristrette, quali quelle del Piemonte meridionale ([19]).
Tab. 2 - Sincronizzazioni tra la cronologia media stazionale del Monte Mottac ed alcune cronologie medie o regionali relative al Piemonte ed alla Valle d’Aosta; tutti i valori riportati in tabella sono significativi ad un livello di probabilità superiore al 95%.
Cronologia | Località | Fonte bibliografica | t | CC |
---|---|---|---|---|
ALCO | Alpe Colla (VB) | [29] | 6.8 | 68.8 |
ALFO | Alpe Fontana (VB) | [29] | 4.3 | 69.1 |
BRUM | Alpe Brumei (VB) | [29] | 5.1 | 66.1 |
COLJ | Col di Joux (AO) | [29] | 4.2 | 67.1 |
LVAR | Lago Vargno (AO) | [29] | 5.4 | 62.1 |
FOND | Abetina di Fondo (TO) | [29] | 4.9 | 70.5 |
Alpi Marittime | Piemonte meridionale (CN) | [19] | 4.9 | 65.3 |
La distribuzione delle età
L’abete bianco in Val Grande necessita mediamente di 14 anni per raggiungere i 130 cm di altezza (range 8-24 e deviazione standard di 4.2). Il popolamento nell’area oggetto di studio presenta una dominanza di individui giovani, soprattutto appartenenti alla classe di età 50 (la classe cioè che comprende tutti gli abeti aventi da 46 a 55 anni). Più del 50% degli abeti campionati appartiene alla classe 50 ed oltre il 75% circa degli esemplari di abete è compreso nelle prime 3 classi cronologiche (età inferiore ai 65 anni). Nel bosco esaminato si osservano pochi esemplari di età comprese tra i 65 ed i 135 anni, mentre vi è una significativa presenza di individui (circa il 15% del totale) di età compresa tra i 135 e i 175 anni (Fig. 6).
Le variazioni repentine
I campioni prelevati nel bosco del Monte Mottac mostrano una elevata presenza di incrementi repentini di accrescimento. Una frequenza di release particolarmente elevata (> 20% degli individui presenti) si osserva durante i decenni 1920-1929 e 1950-1959 (Fig. 7). Altri decenni con elevata frequenza di release sono 1910-1919 e 1930-1940 e 1980-1989. Tutti questi incrementi repentini possono essere collegati a disturbi antropici, ed in particolare alle utilizzazioni forestali (Fig. 8), con l’eccezione del decennio 1980-1989. In questo ultimo caso gli incrementi possono essere imputati sia ad una ripresa degli accrescimenti che è seguita ad un periodo di deperimento dell’abete bianco osservato in Europa negli anni ’60 e ’70 ([9]) sia a piccoli disturbi naturali (schianti) che si sono osservati nel popolamento studiato.
Fig. 7 - Variazioni repentine d’accrescimento (release) nell’abete bianco dell’area di studio del Monte Mottac.
Fig. 8 - Esempio di variazioni repentine d’accrescimento rilevate in uno dei campioni analizzati, corrispondenti a due utilizzazioni forestali avvenute nel popolamento del Monte Mottac nel 20° secolo.
Discussione
La distribuzione attuale dell’abete bianco nel Parco Nazionale della Val Grande è discontinua e limitata al settore settentrionale dove la specie trova le condizioni ecologiche più favorevoli alla sua vegetazione ([24]). La maggior parte dell’abete bianco si trova attualmente in popolamenti misti con il faggio e, in misura minore, con abete rosso ed altre latifoglie. Gli unici popolamenti puri di una certa estensione sono ubicati in esposizione settentrionale e su rupi o in zone difficilmente accessibili per giacitura e pendenza dove, nel passato, il pascolo di animali domestici non poteva essere praticato o era praticato saltuariamente ([18]). La distribuzione attuale dell’abete bianco è però inferiore rispetto alla distribuzione potenziale, basata su studi di carattere vegetazionale e palinologico ([20], [12], [30]), e questa differenza può essere spiegata dal tipo di utilizzo del territorio da parte dell’uomo. Le principali attività praticate dall’uomo in Val Grande sono state il pascolo degli animali domestici ed il taglio dei boschi per ottenere assortimenti legnosi. Questa ultima attivitàè documentata a partire dalla fine del 14° secolo e le utilizzazioni forestali sono consistite, fino alla fine del 19° secolo, soprattutto in tagli rasi di vaste superfici con esbosco per fluitazione. All’inizio del 20° secolo le teleferiche e le “decauville” hanno sostituito la fluitazione e le utilizzazioni hanno subito una intensificazione e si sono protratte fino alla fine degli anni ’50. Un altro fattore, meno evidente in questi ultimi decenni, che può avere contribuito alla rarefazione dell’abete bianco nella regione insubrica è costituito dagli incendi provocati dall’uomo allo scopo di creare pascoli e zone agricole, come evidenziato da recenti studi palinologici e pedoantrocologici ([30]). In questi ultimi decenni in Val Grande si è osservata una netta inversione di tendenza per quanto riguarda il ruolo dell’uomo nelle dinamiche vegetazionali ed un caso esemplare della storia recente dei boschi della Val Grande è costituito dal popolamento del Monte Mottac. Nell’area oggetto di studio il faggio è la specie dominante sia come numero di individui e sia, in modo ancora più accentuato, come area basimetrica. L’abete bianco rappresenta il 33% del numero di individui ed il 27% in area basimetrica. Le altre latifoglie presenti sono prevalentemente specie pioniere che si sono insediate dopo le recenti utilizzazioni e sono attualmente relegate nei piani dominati, mentre l’abete rosso è sporadico e presente con individui di piccole dimensioni.
L’accrescimento annuale dell’abete bianco nella zona studiata presenta un’elevata variabilità individuale, cosicché la sincronizzazione tra le cronologie ottenute dalle carote analizzate è risultata spesso relativamente bassa. In ogni caso per gli esemplari dominanti è stato possibile rilevare una buona sincronia degli incrementi annuali, tale da permettere la costruzione di una cronologia media stazionale. Tale cronologia mostra buone teleconnessioni con altre cronologie di abete bianco delle Alpi centro-occidentali evidenziando che, al di là dei fattori di disturbo locale, esiste un segnale macroclimatico comune che influenza l’accrescimento della specie in questo settore delle Alpi.
La distribuzione dei diametri è di tipo esponenziale negativo ed evidenzia, per quanto riguarda l’abete bianco, una lacuna di classi intermedie. Questa lacuna viene confermata dalla struttura delle età: il popolamento di abete bianco é infatti relativamente giovane con alcuni individui di età compresa tra 135 e 175 anni, pochi individui di età intermedia e molti individui giovani (età inferiore ai 65 anni). Gli individui più vecchi corrispondono ai portaseme rilasciati nel corso delle utilizzazioni avvenute durante il 20° secolo, mentre gli individui più giovani sono quelli insediati dopo le recenti utilizzazioni. La carenza di diametri medi e di individui di età compresa tra 60 e 100 anni è una conseguenza delle intense utilizzazioni. Dall’analisi delle variazioni repentine si evidenziano, nel 20° secolo, due principali utilizzazioni forestali rispettivamente nei decenni 1920-1929 e 1950-1959. Queste utilizzazioni trovano riscontro nelle informazioni documentarie e nelle testimonianze personali raccolte.
Le tracce delle intense attività antropiche sono quindi ancora evidenti in questo popolamento forestale ma, nello stesso tempo, si può osservare che negli ultimi decenni i processi naturali hanno preso il sopravvento sui disturbi provocati dall’uomo. La wilderness in Val Grande rappresenta, dunque, un territorio intensamente utilizzato dall’uomo nel passato ma abbandonato negli ultimi decenni. All’interno di questo territorio, nel quale le tracce delle attività dell’uomo sono ancora molto evidenti, la natura sta recuperando spazio e, ad esempio, le specie forestali che erano state sfavorite dall’uomo, come l’abete bianco, sono attualmente in espansione. Questa espansione è favorita anche dalla particolare ecologia dell’abete bianco delle Alpi occidentali che è sensibilmente diversa rispetto a quello delle Alpi orientali ([14]). La colonizzazione delle Alpi da parte dell’abete bianco avvenuta nel post-glaciale ha seguito due vie diverse: nel settore orientale l’abete bianco è arrivato risalendo la penisola balcanica ed ha dovuto inserirsi in popolamenti forestali dominati dall’abete rosso ([13]). Come conseguenza di questa competizione l’abete bianco ha selezionato gli ecotipi più sciafili. Al contrario la colonizzazione delle Alpi occidentali è avvenuta attraverso l’Appennino; l’abete bianco è quindi entrato in competizione con querce e pino silvestre e questo ha favorito la conservazione degli ecotipi meno sciafili e permette all’abete bianco delle Alpi occidentali non solo di rinnovarsi in faggete ed altri boschi di latifoglie, ma anche di invadere pascoli e prati abbandonati localizzati in prossimità di abetine o di portaseme di abete bianco. Il principale fattore limitante la diffusione dell’abete bianco non è più attualmente rappresentato dal pascolo di ungulati domestici o dalle utilizzazioni forestali, ma piuttosto dalla diffusione degli ungulati selvatici ([14], [15], [26]).
References
CrossRef | Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
Online | Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
Google Scholar
CrossRef | Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar
Google Scholar