Forest biomass and energy production: a case of study in Emilia-Romagna (Italy)
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 7-11 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0262-0002
Published: Mar 10, 2005 - Copyright © 2005 SISEF
Short Communications
Introduzione
La gestione sostenibile delle foreste e l’uso di biomasse legnose per la produzione di energia e di prodotti rinnovabili rappresentano probabilmente il più rilevante contributo degli ecosistemi forestali alla riduzione della concentrazione atmosferica di gas serra, come richiesto dal Protocollo di Kyoto ([17]). Se infatti è vero che la capacità del bosco di immagazzinare carbonio nelle piante e nei suoli potrebbe essere esaltata da una attenta politica di protezione delle foreste e di riduzione delle utilizzazioni ([10], [6]), è anche noto che tale capacità di assorbimento è destinata a saturarsi nel tempo e può ridurre solo marginalmente la concentrazione atmosferica di CO2, il più diffuso dei “gas serra” ([18]). Si stima invece che le biomasse nel loro complesso e quelle legnose in particolare possano coprire una frazione non indifferente del fabbisogno mondiale di energia ([15]), contribuendo a ridurre il ricorso ai combustibili fossili, i principali responsabili per l’aumento della concentrazione atmosferica di CO2.
L’impiego di energie da fonti rinnovabili sta ricevendo un forte stimolo dalle limitazioni imposte dal Protocollo di Kyoto. In particolare la nascita di un mercato europeo di “crediti di carbonio” ([11]) legati alla emissione di CO2 da fonti non rinnovabili, ed ancora prima il sorgere in Italia di un mercato parallelo dell’energia da fonti alternative, come conseguenza del decreto Bersani (D.L. 79/99, come aggiornato dalla Legge 239/04 e dal d.lgs. 387/03), hanno stimolato il fiorire di progetti di centrali per la co-generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili ed in particolare da biomasse.
A livello tanto mondiale quanto italiano, peraltro, l’impiego energetico delle biomasse è perlopiù legato all’impiego di legna da ardere in caminetti e stufe tradizionali ([9]), caratterizzati da una bassa efficienza energetica ed una considerevole emissione di particolato ed inquinanti. Importanti sviluppi nelle tecnologie di combustione rendono peraltro possibile oggi un uso più razionale delle biomasse legnose, con una drastica riduzione delle emissioni inquinanti e soprattutto un aumento dell’efficienza energetica fino a valori superiori all’85 % ([3]), non solo in sistemi di grandi dimensioni ma anche in impianti per il riscaldamento domestico e di piccole comunità. Questi interessanti sviluppi sono stati resi possibili anche dall’utilizzo non dei tradizionali ceppi ma di legno cippato o compresso in pellets, che oltre ad una migliore combustione permettono anche una automatizzazione degli impianti.
Secondo Vinterbäck ([19]), il mercato europeo di pellets potrebbe espandersi nei prossimi 5 anni fino a una produzione di 4-5 milioni di tonnellate annue. Nelle regioni del Centro- e Nord-Europa la maggior parte del fabbisogno di biomasse deriverà presumibilmente da scarti a basso costo dell’industria del legno. Per quanto riguarda l’Italia, invece, è stata proposta la possibilità di utilizzare a tal fine la legna proveniente dai boschi cedui o dagli interventi colturali di diradamento o avviamento all’alto fusto ([16], [8]).
È stato peraltro già messo in evidenza come, al di là della disponibilità di materia prima legnosa, il suo impiego su larga scala ponga seri problemi di organizzazione della produzione e del mercato ([5]), oltre che di gestione sostenibile.
Obiettivi
Il problema è chiaramente legato alla dimensione degli impianti e quindi delle superfici forestali coinvolte. Nel presente elaborato abbiamo pertanto cercato di calcolare, in base a parametri riportati in letteratura, quanta biomassa occorre bruciare per il riscaldamento e la produzione di acqua calda di un edificio pubblico di una località appenninica della regione Emilia-Romagna. Questo ci ha permesso di stimare in prima approssimazione l’estensione della superficie a bosco che occorre gestire in maniera sostenibile perché l’impianto sia autosufficiente.
Visto che mancano, o comunque non sono al momento disponibili, dati su impianti simili nell’Appennino emiliano-romagnolo, abbiamo prima fatto un calcolo teorico considerando un edificio di 9000 m3. Abbiamo quindi confrontato i fabbisogni calcolati con quelli riportati per impianti già attuati in Italia o in Austria.
Infine abbiamo fatto un calcolo approssimativo della quantità di emissioni (CO, SO2, NOx, polveri, COV) prodotte in un anno da un tale impianto e da impianti equivalenti che utilizzino altre fonti di energia.
Calcolo teorico della superficie forestale necessaria per il riscaldamento di un edificio la produzione di energia elettrica
Il calcolo del fabbisogno di materia prima per il riscaldamento di un edificio parte dalla stima del fabbisogno termico, ricavabile da modelli in base all’altitudine della stazione, alle temperature medie annue ed al numero di giorni all’anno di accensione della caldaia. Valori indicativi si aggirano intorno ai 30-50 kWh/m3. Considerando un consumo medio di 40 kWh/m3, il fabbisogno per un edificio di 9000 m3 ammonterà ad esempio a 360000 kWh/anno. Quanta legna occorre bruciare per produrre questi 360000 kWh ?
Il potere calorifico medio del cippato al 25% di umiditàè di 3.7 kW/kg, equivalente a 750 kWh/m3 (valore per metro stero, cioè per metro cubo di cippato incoerente, “vuoto per pieno”). Il potere calorifico, infatti, oltre a variare in funzione della specie diminuisce anche linearmente in funzione dell’umidità del legno ([12]).
Il consumo annuo per produrre i 360000 kWh annualmente necessari sarà pari a 97.3 t di cippato. Se consideriamo ora che ogni m3 di legno dia 625 kg di cippato (al 25% di umidità), il fabbisogno di biomassa legnosa dell’impianto sarà di 155.7 m3/ anno.
Con procedimento più diretto, qualora si conoscano i consumi di gasolio per il riscaldamento di un edificio di simili caratteristiche, è possibile fare una stima della quantità di biomassa necessaria considerando che 2 kg di cippato = 1 litro di gasolio ([3]).
L’Inventario Forestale Regionale dell’Emilia-Romagna riporta per i boschi dell’Appennino un dato complessivo di incremento medio di circa 4 m3/ha/anno. Dietro questi valori medi si nascondono ovviamente realtà molto differenti, in funzione della specie, delle condizioni ambientali e dell’età dei popolamenti; si tratta infatti in genere di popolamenti giovani, cedui nella maggior parte dei casi, ancora ben lontani dalla culminazione degli incrementi medi e che quindi molto si gioverebbero di un ulteriore invecchiamento. A partire da questo dato, possiamo stimare che il fabbisogno di materia prima del nostro ipotetico impianto sarà soddisfatto dalla gestione assestata di circa 39 ettari di bosco[1]. La superficie necessaria si ridurrà ovviamente in proporzione alla produttività media dei boschi considerati.
Nel caso che la biomassa provenga non da tagli di utilizzazione, ma da interventi di avviamento all’alto fusto (quella che spesso sui mezzi di informazione viene indicata come “pulizia del bosco”), considerando una massa cormometrica in piedi di 125 m3/ha ([2], classe di fertilità VI) ed un prelievo di 37.5 m3 /ha, occorrerebbe intervenire ogni anno su 4 ha di bosco circa. Considerando una vita media degli impianti di riscaldamento di 20 anni, per garantire l’approvvigionamento dell’impianto sarebbero necessari 83 ha di bosco da avviare all’alto fusto.
Rispetto ai valori presentati per il cippato, il potere calorifico del pellet risulta leggermente più alto (4.7 kW/kg, o 3080 kWh/m3), principalmente a causa del minor tenore di umidità. Essendo dovuto al diverso grado di essiccamento, queste differenze non si riflettono ovviamente sul calcolo della superficie forestale necessaria.
Per calcolare il fabbisogno forestale per la produzione di energia elettrica, si consideri che poiché l’efficienza di conversione si aggira intorno al 20%, per ogni kW di elettricità occorreranno 5 kW di energia termica (anche se efficienze del 25-30% sono riportate in recenti progetti commerciali). Per un impianto di piccole dimensioni della potenza di 1 MW occorrerà quindi utilizzare 18680 m3/anno, ottenibili per quanto detto più sopra (assumendo cioè una produttività media di 4 m3/ha/anno) dalla gestione sostenibile di 4670 ettari di bosco assestato. Per meglio immaginare quale sia la superficie interessata, essa equivarrebbe ad un’area di circa 10 x 4.5 km di lato; nella realtà l’area interessata sarà ben maggiore, vista la dispersione delle aree realmente utilizzabili sul nostro Appennino.
Nel caso che la biomassa venga dall’avviamento all’alto fusto di cedui invecchiati (“pulizia del bosco”), occorrerebbe intervenire ogni anno su 498 ha di bosco (equivalenti ad un’area di 2 x 2.5 km di lato ogni anno).
Occorre spendere infine qualche parola sugli effetti ambientali localizzati dell’impiego di biomasse per riscaldamento. Considerando un fabbisogno termico di 360000 kWh per anno e assumendo le emissioni unitarie riportate da Castellazzi et al. ([4]), si avranno per un edificio di 9000 m3 le emissioni riportate in Fig. 1. Dal confronto con le emissioni associate all’uso di gasolio o gas naturale, risulta evidente che l’impiego di biomasse come fonte di energia, nonostante i grandi progressi ottenuti nella tecnologia degli impianti, ha un impatto sull’ambiente superiore a quello del gas naturale e per certi aspetti anche al gasolio. In particolare il livello di emissioni di polveri ne sconsiglia probabilmente l’impiego in grossi centri urbani, mentre non dovrebbe risultare un problema in piccoli centri dell’Appennino.
Fig. 1 - Emissioni teoriche di inquinanti in kg/anno per riscaldare un edificio di 9000 m3. Dati da Castellazzi et al. ([4]).
Casi di studio
Valori molto prossimi a quelli sopra stimati sono riportati da Francescato & Antonini ([7]) riguardanti alcuni casi di studio relativi alle Alpi austriache (Tab. 1).
Tab. 1 - Esempi pratici di riscaldamento di piccole comunità con impianti a biomasse forestali. Da: Francescato & Antonini ([7])
Scuola elementare St Margarethen in Stiria |
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Potenza installata: 100 + 40 W |
Energia termica erogata 110000 kWh/anno |
Volume riscaldato: 4500 m3 |
Combustibile: cippato forestale (umidità 30%) |
Fabbisogno combustibile: 44 t/anno |
PCI medio del cippato: 3.4 kWh/kg) |
Mini rete di teleriscaldamento a Ratschendorf Stiria |
Potenza installata: 200 W |
Energia termica erogata 110000 kWh/anno |
Volume riscaldato: 7000 m3 |
Combustibile: cippato forestale (umidità 25%) |
Fabbisogno combustibile: 70 t/anno |
PCI medio del cippato: 3.8 kWh/kg |
Valori discordanti sono invece citati da Castellazzi et al. ([4]) per alcuni casi di studio italiani. Assumendo come sopra che ogni m3 di biomassa dia 625 kg di cippato con umidità del 25% occorrono 352 m3 anno-1 di biomassa nel caso di Ormea e 304 m3 anno-1 nel caso di Zubiena. Se consideriamo un incremento medio per i boschi dell’appennino di 2.5 m3 ha-1 anno-1 occorrono per riscaldare edifici di cubatura simile 140 (Ormea) o 121 (Zubiena) ettari di bosco assestato.
Risulta evidente che il fabbisogno di biomassa per m3 di edificio da scaldare è nettamente superiore rispetto a quello teorico sopra riportato. In particolare, poiché l’impianto di Ormea sostituisce un impianto a gasolio con un consumo annuo di 55000 litri, il fabbisogno annuo stimato di 220 t di biomassa implica un fattore di equivalenza di 4 kg biomassa per litro di gasolio, contro il valore di 2 riportato in letteratura. Risulta evidentemente necessario un approfondimento delle cause di questa discrepanza.
Discussione
Studi di dettaglio hanno dimostrato come la strategia ottimale di gestione forestale per la riduzione dell’effetto serra dipenda in larga misura dalla efficienza di trasformazione energetica della biomassa legnosa e, nel caso di una trasformazione energeticamente non efficiente, sia da prediligere invece la protezione del bosco e l’accumulo in situ del carbonio ([13]). In uno scenario caratterizzato dall’impiego di caminetti e stufe tradizionali a bassa efficienza, è verosimile che la strategia ottimale di gestione consista in una riduzione delle utilizzazioni forestali attraverso l’allungamento dei turni; l’impiego dei più moderni sistemi ad alta efficienza energetica oggi disponibili giustifica invece probabilmente l’impiego delle biomasse forestali come sostituto dei combustibili fossili. Studi di dettaglio sarebbero necessari al riguardo, sulla base di una analisi del ciclo di vita dei prodotti e tenendo in considerazione i diversi tassi di crescita delle formazioni forestali del nostro Appennino.
Un discorso a parte merita la opportunità di incrementare la disponibilità di biomassa legnosa da destinare a fini energetici attraverso l’uso dei cosiddetti residui forestali, cioè ramaglie e cimali oggi generalmente abbandonati in bosco. È stato infatti proposto che il recupero di questa componente potrebbe contribuire significativamente alla disponibilità complessiva di biomassa ([5]). L’esbosco della pianta intera e la cippatura della ramaglia all’imposto potrebbe inoltre contribuire a ridurre i costi di macchiatico. Ma se è vero che tutte queste componenti venivano un tempo utilizzate per fare legna e fascina, è anche noto come la utilizzazione integrale della pianta porti nel medio termine ad una riduzione della fertilità stazionale ([1]), contribuendo a determinare quello stato di degrado che caratterizzava buona parte dei boschi regionali fino a pochi decenni fa. Ulteriori studi sarebbero necessari, prima di modificare in tal senso le pratiche selvicolturali.
Uno dei problemi maggiori alla utilizzazione delle biomasse forestali è chiaramente la necessità di organizzare un sistema notoriamente frammentato ([5]). Progetti di pianificazione forestale finalizzati alla organizzazione delle attività di utilizzazione forestale nello spazio e nel tempo per la cogenerazione di calore ed energia elettrica in impianti di piccole e medie dimensioni, anche se basati sull’uso di sistemi informativi territoriali e sistemi esperti ([8]), sono difficilmente applicabili nella realtà italiana proprio a causa della frammentazione della proprietà privata e della frequente assenza dei proprietari forestali che caratterizza la nostra montagna. Anche a causa di questi problemi di organizzazione, la gran parte degli impianti italiani di cogenerazione utilizza perlopiù scarti dell’industria alimentare o dell’industria del legno. In base all’analisi sopra sviluppata, le superfici forestali necessarie per alimentare impianti di questo tipo sono infatti non indifferenti. La scelta di impianti di piccole dimensioni per il riscaldamento domestico, di piccole comunità o al più per il teleriscaldamento di limitate aree urbane, invece, limitando le superfici interessate rende il problema della organizzazione delle attività realmente gestibile.
Circa il 55 % delle utilizzazioni legnose a scala mondiale sono destinate al riscaldamento, perlopiù in forme tradizionali nei Paesi in via di sviluppo ([15]). La produzione ed il consumo di legna da ardere, comunque, mantengono un peso non indifferente anche in Paesi sviluppati come l’Italia. Facendo riferimento ai dati dell’Annuario ISTAT, nel 2001 sono stati utilizzati ad esempio in Emilia-Romagna 335374 m3 di legna da ardere. È peraltro ragionevole ipotizzare che i dati ISTAT sottostimino ampiamente le reali utilizzazioni. Nella loro indagine sui consumi energetici di biomasse nelle regioni italiane, Gerardi & Perrella ([9]) stimano per l’Emilia-Romagna un utilizzo annuo di quasi 1.3 milioni di m3; questi valori elevati comprenderebbero solo i consumi familiari di legna, senza considerare quindi altre componenti del mercato delle biomasse ad uso energetico legate al reimpiego degli scarti di produzione nell’industria del legno e della carta. Considerando il potere calorifico delle biomasse ed i loro usi prevalenti, gli Autori valutano in circa 0.23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) il contributo di queste biomasse di origine forestale al bilancio energetico della regione, un valore quasi dieci volte superiore a quello derivato per l’Emilia-Romagna a partire dai dati ISTAT nei Bilanci Energetici Regionali (BER).
Se consideriamo che la maggior parte degli impieghi nel settore residenziale si basa ancora sull’uso di camini e stufe tradizionali, e che le stufe di ultima generazione permettono una efficienza energetica quasi doppia ([3]), vediamo bene come la adozione di nuove tecnologie potrebbe portare ad un contributo non trascurabile al raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, non tanto attraverso un aumento delle utilizzazioni forestali ma piuttosto con la loro più razionale valorizzazione.
A livello nazionale, il consumo di biomasse nel solo settore residenziale ammonterebbe infatti ad un totale di 3.4 Mtep ([9]), a fronte di un approvvigionamento annuo di combustibili fossili (carbone, gas e petrolio) per l’anno 2000 di 162.5 Mtep ([14]). Un raddoppio dell’efficienza energetica nell’uso domestico della legna da ardere potrebbe quindi portare ad una riduzione di oltre il 2% nell’impiego di combustibili fossili, senza un aumento delle utilizzazioni forestali e senza i problemi logistici associati allo sviluppo di centrali a biomasse pur di piccole dimensioni.
Questo costituirebbe un interessante esempio di come l’innovazione tecnologica possa portare ad un miglioramento della qualità dell’ambiente, garantendo una riduzione di emissioni di gas serra, riducendo gli impatti negativi degli usi tradizionali della legna da ardere (emissioni di particolato, SO2, NOx) e non andando al contempo ad intaccare la capacità degli ecosistemi forestali di immagazzinare carbonio atmosferico nelle piante e nei suoli.
References
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