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The coastal forest in the province of Matera: environmental role and management issues

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 107-109 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0267-0020107
Published: Mar 10, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Technical Reports

Guest Editors: Matera Meeting (2004)
« Climate change and pollution: effects on the southern Italian forests »
Collection/Special Issue: Elena Paoletti

Abstract

The origin, current conditions and the environmental role of the costal forest growing on sand dunes along the Ionian coast (province of Matera, Basilicata, Italy) are discussed. Mostly planted in the years 1950-1970, these stands (mainly made up by Pinus halepensis) assure an important windbreak function, protecting the inland cultivations from dangerous marine winds, represent a typical landscape marker and currently host important turistic resorts. The main management issues concern: erosion of coastal sand dunes; recurrent disturbances by fires and grazing; inadequate silvicultural treatments (lack of thinnings), often causing excessive stand density and tree mortality.

Keywords

Costal forest, Basilicata, Italy, Management issues

Inquadramento della zona 

Le formazioni boschive oggetto del presente lavoro vegetano su dune sabbiose lungo il litorale ionico della Basilicata, in provincia di Matera. Si tratta di un’area interessata dallo sbocco a mare di vari fiumi che, con il loro apporto solido, assicurano il rifornimento di materiale alle spiagge; queste, di larghezza variabile da 10 a oltre 50 metri, sono delimitate verso l’interno da una fascia di cordoni dunali, la cui altezza aumenta man mano che ci si sposta verso l’interno. Le dune sono costituite da depositi marini recenti, a morfologia poco variabile, con altezza massima di 6-7 metri e modeste depressioni interdunali. Negli ultimi anni si sono osservati fenomeni di erosione della linea di costa, dovuti alla riduzione dell’apporto solido da parte dei corsi d’acqua, a causa delle sistemazioni idraulico-forestali, della costruzione di dighe, del prelievo di inerti fluviali, della prevalenza di specifiche correnti, ecc.; soprattutto l’antiduna è interessata dal fenomeno erosivo, che talvolta mette a rischio le stesse formazioni boschive che lì vegetano. Localmente, peraltro, per effetto dei venti, dalle correnti e dei depositi fluviali vi sono cordoni dunali di neo-formazione che ostacolano il deflusso tanto delle acque interne quanto di quelle che penetrano con le mareggiate, favorendo lo sviluppo di zone acquitrinose ([2]).

La battigia e l’antiduna ospitano una prima fascia di vegetazionale psammofila, con prevalenza di Ammophila arenaria, Eryngium maritimum, Echinophora spinosa, Pancratium maritimum, Mesembryanthemum acinaciforme, ecc. Verso l’entroterra prevale una vegetazione di cespugli in cui Juniperus macrocarpa, Tamarix gallica, Pistacia lentiscus e Atriplex halimus sono le specie prevalenti. Nelle zone retrodunali si insediano specie resistenti a condizioni di salinità quali Acacia cianophylla, A. retinoides, Juncus spp. Più internamente, in migliori condizioni stazionali, si affermano specie tipiche delle fascia mediterranea quali Olea europaea, Quercus ilex, Pinus halepensis, ecc.

Il rimboschimento 

La superficie forestale interessata dai rimboschimenti si estende dal confine con la Puglia a quello con la Calabria, per una profondità variabile da 100 a 1300 m circa, una lunghezza intorno a 30 km e una superficie di circa 1650 ha; in numerosi punti l’area è interessata dalla presenza di insediamenti residenziali e turistici. Ancora in temporanea occupazione da parte della regione Basilicata, la gestione dell’area rimboschita è delegata al Corpo Forestale dello Stato.

Il consolidamento delle dune litoranee con la piantagione di specie forestali iniziò fin dalla metà degli anni trenta del secolo scorso; la maggior parte dei rimboschimenti furono poi effettuati nel ventennio compreso fra il 1950 e il 1970, grazie ai fondi stanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno.

Lo scopo principale del rimboschimento fu quello di consolidare la duna litoranea e di costituire un’estesa ed efficiente fascia frangivento a difesa delle colture agricole dell’entroterra. La larghezza del rimboschimento venne ridotta a una limitata fascia dunale, non suscettibile a quel tempo di una più proficua utilizzazione, al fine di non sottrarre superfici utili per le attività rurali che si stavano contemporaneamente affermando grazie all’attività del Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto. Le attività di rimboschimento ebbero anche importanti ricadute sociali, conciliandosi con la necessità di assicurare occupazione in una zona soggetta a quel tempo a grave crisi economica.

Modalità esecutive

Per procedere all’impianto, il terreno fu preparato e lavorato a strisce. La piantagione fu inizialmente fatta con piantine allevate a radice nuda; successivamente con piantine provviste di pane di terra, allevate prima in vasetti di terracotta poi in fitocella. Nelle aree dove il franco di coltivazione era ridotto o la salinità era consistente, venne adottata la lavorazione a mazzuoli. Fu spesso necessario ricorrere, nei primi anni dopo la piantagione, a irrigazioni di soccorso; a tal fine furono scavati dei pozzi, ancora parzialmente esistenti, facendo attenzione a evitare l’emungimento di falde saline.

Le specie forestali più impiegate furono: Pinus halepensis (in prevalenza), Acacia saligna, Eucaliptus globulus e E. rostrata, Pinus pinea e Tamarix gallica. Meno frequentemente furono messi a dimora Cupressus sempervirens, Pinus pinaster e Pinus canariensis. Mediamente furono messe a dimora 1800 piante per ettaro, con minimi di 1500 e massimi di 2500; le piantine furono messe a dimora a una distanza di un metro sulla striscia, con distanza fra le strisce di 3-6 metri.

Risultati ottenuti e problematiche gestionali 

Va riconosciuto che, nell’insieme, questi rimboschimenti hanno determinato un notevole miglioramento delle caratteristiche edafiche stazionali, tanto che incominciano a notarsi accenni di rinnovazione naturale, sia da parte delle conifere che delle latifoglie [in alcune località quali S.Biagio di Montescaglioso e Rabatana di Tursi, la pineta di pino d’Aleppo incomincia ad ospitare quote ragguardevoli di roverella e di leccio]. Ma, soprattutto, grandemente positiva è risultata l’azione di protezione nei confronti dai venti marini, tanto che nelle zone interne si è potuta sviluppare un’agricoltura intensiva di notevole pregio e di grande importanza sotto il profilo economico e occupazionale ([1]).

I risultati migliori sono stati raggiunti con l’impiego del pino d’Aleppo, mentre il pino domestico non ha manifestato prestazioni di rilievo. I popolamenti hanno oggi un’età compresa fra 30 e 80 anni e si presentano in condizioni di vigore variabile, a seconda delle caratteristiche stazionali, e con struttura eterogenea, soprattutto perché gli interventi di regolazione della densità (diradamenti) sono stati effettuati in modo irregolare e spesso con modalità non adeguate. Dove non si è intervenuto, sono frequenti le piante morte o deperienti e i soggetti esili, con fusti deboli ed inclinati ([4], [5]).

Abbastanza frequentemente, fra l’altro, si sono verificati problemi sul piano fitosanitario; ad esempio, l’intera zona è andata soggetta ad intensi attacchi da parte della processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa) [nella circostanza si è anche fatto ricorso a forme di lotta biologica]. Si sono inoltre aggiunti attacchi di scolitidi; oltre agli effetti della siccità e di andamenti climatici anomali che hanno spesso interferito negativamente con la biologia delle piante. Attualmente desta preoccupazione il fenomeno del cambiamento climatico, che potrebbe esporre ancor di più la zona a stress da aridità e acuire il rischio d’incendio.

Due problematiche meritano oggi di essere considerate con la massima attenzione. Quella degli incendi, per la quale si impone l’adozione di un’adeguata pianificazione antincendio, e quella del pascolo. Per alcuni versi, il pascolo può rappresentare un metodo efficace di prevenzione antincendio, riducendo il carico di combustibile pericoloso; per altri aspetti, può costituire, se non ben gestito, un fattore di pesante degrado ambientale. Per tali motivazioni è importante che, caso per caso, venga determinato il carico ottimale di bestiame ([3]).

Da sottolineare, infine, cosa certamente non prevista al momento dell’esecuzione del rimboschimento, che queste formazioni hanno assunto un ruolo importante anche in relazione alla valorizzazione turistica della zona. Si è infatti sviluppata in quest’area una forte domanda turistica, che è destinata ad incrementarsi ulteriormente soprattutto grazie all’azione di presidio e al pregio estetico di queste fascie boscate, che oggi ospitano notevoli insediamenti turistici.

L’auspicio è che in questo intreccio di interessi economici non ci si dimentichi che si tratta di popolamenti che comunque necessitano di attente cure colturali e di un’attenta gestione; tanto più che, sul piano dei costi, il loro rifacimento sarebbe oggi improponibile.

References

(1)
Carelli G, De Capua E, Labriola F (2002). Indagine preliminare dello stato dei rimboschimenti costieri del litorale ionico di Policoro (MT). Legno Cellulosa Carta 1-2: 11-17.
Google Scholar
(2)
Cocca C (2004). Le emergenze ambientali della Basilicata: rilievi e prospettive. Atti del II ciclo di seminari “Le Emergenze Ambientali”, Matera, Quaderni del Parco della Murgia Materana 1: 22-25.
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(3)
Cocca C, Ragni M (2003). Il Bovino Podolico nella prevenzione degli incendi boschivi. Osservatorio dell’Economia Materana, Matera Promozione 2: 92-103.
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(4)
Saracino A (1997). La pineta litoranea metapontina tra fruizione turistica e salvaguardia: aspetti forestali e gestionali. Atti del Convegno “La pineta litoranea metapontina tra fruizione turistica e salvaguardia”, Bernalda (MT) 31/05/1997, pp. 23-27.
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(5)
Silletti G (2001). Primo studio dendro-auxometrico e floristico della pineta dell’arco Ionico Lucano. Programma triennale per la tutela ambientale 94-96, pp. 3-12.
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