A new biodiversity index: application perspectives
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 151-152 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0281-0002
Published: Jun 08, 2005 - Copyright © 2005 SISEF
Commentaries & Perspectives
Keywords
Il lavoro di R.J. Scholes & R. Biggs “A biodiversity intactness index” recentemente pubblicato su Nature (2005, 434:45-49) propone una metodologia operativa per il monitoraggio delle variazioni nel tempo dei livelli di biodiversità tramite un innovativo indice sintetico denominato Biodiversity Intacteness Index (BII
).
La problematica del monitoraggio dei cambiamenti nei livelli di biodiversitàè divenuta di particolare interesse operativo, oltre che meramente scientifico, dal momento che la Convention on Biological Diversity (CBD) ha definito quale target di riferimento la diminuzione del tasso di perdita del livello di biodiversità entro il 2010.
L’approccio utilizzato dagli Autori per il monitoraggio dell’evoluzione nel tempo dei livelli di biodiversitàè basato sul calcolo del numero di specie viventi nei diversi macro-ordini tassonomici (piante, mammiferi, uccelli, rettili, anfibi) rispetto allo stesso valore calcolato per ambienti non disturbati dalla presenza dell’uomo.
I valori di BII
sono quindi espressi in forma di percentuale residua di biodiversità rispetto alla potenzialità dell’ambiente naturale privo di disturbo antropico.
Nell’implementazione matematica BII
viene calcolato come (eqn. 1):
dove Iijk è il rapporto tra la popolazione esistente del gruppo tassonomico i, nell’uso del suolo k dell’ecosistema j rispetto alla popolazione potenziale nello stesso uso del suolo k ed ecosistema j; Rij è il numero complessivo di specie del gruppo tassonomico i dell’ecosistema j; Ajk è l’estensione dell’uso del suolo k dell’ecosistema j.
Come si può notare dalla formula riportata sopra l’indice BII
è calcolato suddividendo l’analisi della ricchezza specifica per uso del suolo e per ecosistemi, entrambi desunti da fonti informative georeferenziate. Molto più complicata è invece la quantificazione, sia pure per grandi gruppi tassonomici, del fattore Iijk (definito dagli Autori come population impact). In via teorica il fattore dovrebbe essere definito a partire dalla quantificazione delle popolazioni esistenti e sulla base della stima delle popolazioni in ambienti analoghi ma non disturbati dall’uomo (per esempio in grandi aree protette esistenti da molto tempo). Nella pratica gli Autori presentano una sperimentazione applicata in una vasta area (4 x 106 km2) del Sud Africa ove il fattore Iijk, anziché essere misurato sperimentalmente, viene stimato da un team selezionato di esperti a cui è stato chiesto di valutare sinteticamente tutti i valori di population impact. Grazie alla ripetizione della stessa stima da parte di più esperti, complessivamente sono state raccolte 4650 stime quantitative, gli Autori sono stati anche in grado di calcolare un intervallo di confidenza dei risultati ottenuti. La soggettività presente nei giudizi dei diversi esperti consultati è stata quindi limitata mediando le diverse stime. Un’analisi di sensibilità del modello ha infine permesso di giudicare che la variabilità dei giudizi influiva in modo non significativo sui risultati finali. Poco incoraggiante invece la validazione dei giudizi degli esperti effettuata tramite analisi di correlazione, per alcune specie, con dati sperimentali di letteratura sulla diminuzione delle popolazioni rispetto a valori potenziali di riferimento in ambiti indisturbati (r=0.47 tra i valori stimati nella consultazione degli esperti rispetto ai dati sperimentali di letteratura).
Attraverso il metodo proposto gli Autori arrivano a stimare perdite di biodiversità consistenti, complessivamente per tutta l’area investigata il valore di BII
è pari a 84 ± 7%, la perdita di biodiversità rispetto all’era pre-coloniale è quindi stimata pari al 26%.
Nell’analisi dei risultati gli Autori illustrano come l’attività umana nell’area indagata abbia avuto impatti diversi sulla biodiversità. Nonostante alcune specie animali (prevalentemente grandi mammiferi, uccelli e rettili) siano state cacciate direttamente in quanto considerate di ostacolo a determinate attività dell’uomo, la diminuzione di tali popolazioni ha avuto un impatto limitato sulla complessiva perdita di biodiversità. Secondo gli Autori la maggior causa della diminuzione dei valori di biodiversitàè da ricercarsi piuttosto nella conversione di habitat naturali o semi-naturali potenzialmente utili alle specie analizzate in aree agricole od urbanizzate.
Complessivamente la metodologia proposta appare molto interessante e potenzialmente replicabile anche in Europa per l’esistenza di strati informativi in formato digitale dell’uso del suolo, quale il database Corine Land Cover, e la cartografia delle Regioni Bioecologiche. D’altra parte sfruttando in modo più completo le tecnologie di analisi GIS su base multicriteriale i giudizi degli esperti e i dati di letteratura potrebbero essere utilizzati per la creazione di mappe di habitat potenzialmente idonei (habitat suitability index - HSI) alle specie animali analizzate sia sulla base dell’attuale uso del suolo, sia sulla base del potenziale uso del suolo storico ricostruito per periodi storici diversi. Il rapporto tra i due modelli di HSI, quello presente e quello storico, permetterebbe il calcolo del valore di BII in forma spazializzata, più utile quale supporto alla impostazione di idonee politiche territoriali (tra le altre nella definizione delle reti di aree protette).
Rilevante comunque la necessità di sviluppare metodologie operative efficaci ed efficienti per il monitoraggio della biodiversità a livello territoriale in modo da poter predisporre basi informative scientificamente consolidate. Tali strumenti potranno divenire un indispensabile supporto decisionale per l’impostazione delle più idonee scelte di pianificazione territoriale (specie negli ambienti naturali e semi-naturali) nell’ambito di una politica tesa alla riduzione delle perdite di biodiversità.