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Effects of thinnings in Pinus nigra artificial stands (Umbria, Italy)

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 207-216 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0292-0020207
Published: Jun 08, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Research Articles

Guest Editors: RI.SELV.ITALIA - MiPAF Project
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Collection/Special Issue: Massimo Bianchi

Abstract

Silvicultural treatments in artificial black pine stands should take into account their history (quite often no cultural treatments have been made after planting) as well the different functions these stands carry on. In Umbria, most of these stands are nearly 40 years old and are often in poor structural conditions, due to lack of appropriate thinnings. The aim of this research was to compare and analyse the effects of thinnigs performed in some experimental areas in Valnerina (Norcia), four years after the treatment.

Keywords

Pinus nigra, Artificial stand, Natural regeneration, Secondary forest, Succession, Thinning

Premessa 

L’opera di ricostituzione boschiva di superfici spoglie da vegetazione arborea ha avuto inizio, nell’Appennino centro-settentrionale, fin dai primi anni del 1900 ed è stata compiuta mediante rimboschimenti con conifere. Il pino nero (inizialmente Pinus nigricans Horst., successivamente anche Pinus laricio Poiret impiegato soprattutto su suoli silicati) fu la specie generalmente preferita sia per la facilità di allevamento in vivaio, sia per le caratteristiche spiccatamente pioniere. I rimboschimenti hanno permesso di recuperare estese superfici in gravi condizioni di dissesto garantendo un netto miglioramento delle funzioni idrogeologiche su ampie aree dell’Appennino ([11]).

Il forte impegno finanziario sostenuto per la realizzazione di questi interventi è stato indirizzato principalmente a sostenere la piantagione e le prime cure colturali (risarcimenti e ripuliture) necessarie a favorire l’attecchimento delle piantine, mentre scarsa rilevanza è stata data all’esecuzione dei successivi necessari diradamenti.

Pertanto, si riscontrano spesso popolamenti adulti di 40-50 anni di età ed oltre mai diradati a densità eccessiva ed elevata fragilità strutturale, che conduce frequentemente alla perdita della stabilità del soprassuolo con morte di singoli individui o di gruppi di piante fino a crolli strutturali più o meno estesi ([1]). In queste situazioni non sono sempre facili le scelte sul trattamento da applicare, che risultano aggravate anche dalla prevalente “monotonia” paesaggistica, specifica, cronologica e strutturale di vasti comprensori ([3]). Nelle stazioni più difficili, la pineta non sempre ha concluso la sua funzione pioniera; per questi popolamenti si rende necessario prolungare la fase dei diradamenti prima di effettuare interventi per la rinaturalizzazione. Dove invece il miglioramento stazionale può ritenersi sufficientemente compiuto ed il popolamento mostra maturità per la fase di rinnovazione naturale, il trattamento dovrà assecondare questo processo.

Secondo i dati dell’Inventario Forestale Nazionale, la superficie rimboschita nella dorsale appenninica dell’Italia centro meridionale è di circa 40.000 ettari, pari al 9% delle ’fustaie’, mentre in Umbria si stima a 8.100 ettari la superficie delle pinete montane ([7]). L’Inventario Forestale Regionale dell’Umbria indica per le pinete di pino nero una superficie di 7.700 ettari pari a circa la metà delle fustaie regionali ([15]). Per questi boschi il Piano Forestale Regionale prevede che vengano effettuati diradamenti nelle perticaie e nelle giovani fustaie al fine di migliorare la stabilità meccanica, di controllare l’accumulo di combustibile e di creare condizioni favorevoli all’insediamento e allo sviluppo di novellame di latifoglie ([16]). Nei popolamenti adulti, il piano prevede di favorire i processi di rinnovazione a partire dal novellame di latifoglie presente applicando il trattamento per tagli successivi a gruppi. La presenza di pini tra la rinnovazione va mantenuta con lo scopo di aumentare la diversità specifica e strutturale. A questi criteri si rifanno gli interventi colturali realizzati fin dal 1984 dalla Comunità Montana Valnerina.

L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di analizzare la struttura e gli effetti di interventi di diradamento in pinete di pino nero, in termini di struttura del popolamento, accrescimento, suscettibilità ai processi di rinaturalizzazione.

L’ambiente nell’area studiata 

La stazione termopluviometrica più vicina al perimetro del rimboschimento è quella di Norcia (604 m s.l.m.), a due km in linea d’area dalla pineta (Fig. 1). Sulla base di questi dati l’area di Pettenaio dal punto di vista bioclimatico appartiene alla Regione Temperata, caratterizzata da un Termotipo Montano Inferiore e un Ombrotipo Subumido Superiore. La temperatura media annua è di 11.6°C e quella media delle minime del mese più freddo è di - 2.3°C, con stagioni invernali molto rigide che si prolungano anche in primavera ed in autunno. Le precipitazioni medie annue sono di 859 mm di pioggia ed il Regime Pluviometrico, di tipo AIPE, è caratterizzato da precipitazioni massime in autunno e in inverno e dall’assenza di un periodo d’aridità durante l’estate (167 mm di pioggia - [12]).

Fig. 1 - Stazione di Norcia: diagramma termo-pluviometrico relativo al periodo 1960-1996.

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La pineta è stata realizzata nella parte cacuminale di monte Pettenaio (1000-1100 m s.l.m.) su calcari eocenici della formazione della Scaglia rossa ([17]).

I suoli originatesi su questo substrato sono poco evoluti, di modesto spessore e presentano un pH sub-alcalino (7.5-8.2, [14]). Generalmente sono molto ricchi di scheletro, ben drenati e hanno un profilo AC.

La vegetazione è stata caratterizzata realizzando specifici rilievi fitosociologici nelle aree permanenti individuate nella pineta e in due boschi cedui limitrofi al rimboschimento. Da questa indagine risulta che la vegetazione potenziale dell’area di studio è riconducibile all’associazione Scutellario columnae-Ostryetum carpinifolia che rappresenta il tipico bosco misto di caducifoglie mesofile che si sviluppa sui rilievi calcarei dell’Appennino umbro-marchigiano ([12]).

Nel piano accessorio e tra la rinnovazione sottocopertura si segnala la presenza delle seguenti specie arboree: Acer obtusatum Wild. & Karst, Fraxinus ornus L., Ostrya carpinifolia Scop., Quercus pubescens Willd., Acer campestre L., Acer monspessulanum L., Sorbus torminalis (L.) Crantz, Sorbus aria (L.) Crantz, Fagus sylvatica L.

Nel sottobosco si ritrovano numerose specie termofile: Cytisus sessilifolius L., Cotynus coggygria Scop., Coronilla emerus L., Juniperus oxycedrus L. e Juniperus communis L. che caratterizzano lo strato arbustivo della pineta.

La vegetazione erbacea, composta da specie provenienti dai pascoli limitrofi, è dominata dal Brachypodium rupestre (Host) R. et S. e dal Bromus erectus Hudson.

Materiali e metodi 

La maggior parte dei popolamenti di pino nero della pineta di Pettenaio ha un’età intorno a 30-40 anni; in questi soprassuoli, costituiti per gran parte da piante molto filate e ancora a densità d’impianto, è stata impostata una sperimentazione per definire le modalità di diradamento più idonee a migliorare la stabilità e favorire i processi di rinaturalizzazione già in atto. L’attività sperimentale, avviata nel novembre del 1998, è stata condotta in soprassuoli con caratteristiche il più possibile omogenee, appartenenti a questa fascia d’età, mediante la realizzazione di quattro parcelle: tre di 2000 m2 (50x40m) nelle quali si è intervenuti con diversa intensità di prelievo, e un testimone di 900 m2 (30x30 m) lasciato come controllo.

In ogni parcella sono stati realizzati due inventari dendrometrici (nel 1998 - prima e dopo l’intervento - e nel 2002) delle specie arboree e arbustive, con misura dei diametri a petto d’uomo a partire dai 3 cm e valutazione della posizione sociale dei singoli individui secondo tre classi: dominante (D), codominante (Cd), dominata (d). Per ogni parcella è stato eseguito il rilievo di un campione di altezze necessario per la costruzione della curva ipsometrica.

Nella fascia centrale della parcelle sono stati realizzati transect di 200 m2 (10x20 m) per valutare la struttura e la copertura dei popolamenti. Di ogni individuo è stata rilevata la posizione topografica e sono state misurate: l’altezza totale, l’altezza di inserzione della chioma e la proiezione della chioma secondo quattro raggi ortogonali.

Per ciascuna area è stato impostato un protocollo sperimentale per monitorare nel tempo la rinnovazione naturale sotto copertura arborea. A tal fine, nella porzione centrale del transect strutturale è stato realizzato un transetto di 60 m2 (3x20 m). Di ogni piantina è stata determinata la posizione, registrandone specie e origine (naturale o artificiale, semina o impianto), ed è stata misurata l’altezza.

Al momento dell’intervento nelle tre parcelle trattate è stato selezionato un campione di 33 alberi modello distribuiti nelle tre classi sociali per eseguire un’indagine auxometrica. Di ogni albero è stato misurato il volume per sezioni, determinata la curva storica dell’altezza a partire dalla misura diretta degli accrescimenti longitudinali e prelevate tre rotelle (a petto d’uomo, a metà e due terzi dell’altezza totale).

Risultati 

Analisi della struttura dei popolamenti e caratteristiche degli interventi

Nel 1998 la pineta aveva 31 anni; nelle parcelle sperimentali il piano accessorio era caratterizzato da sporadici individui di carpino nero, nocciolo, orniello, cerro. Nel caso di queste ultime due specie, le piante derivavano da rinnovazione naturale e da interventi di piantagione e di semina realizzati al momento dell’impianto originario.

La struttura spaziale orizzontale prima degli interventi era ancora molto dipendente dall’originario sesto di impianto a gradoni con distanza media tra le file di circa 3.5 metri e 1.2 metri sulla fila, pari a una densità iniziale di circa 2500 piante per ettaro. Il popolamento era stato oggetto solo di localizzati interventi fitosanitari che, associati alla mortalità naturale, avevano ridotto la densità media a una valore di poco inferiore a 2000 piante ad ettaro (Tab. 1). L’area basimetrica media era di circa 35 m2 ad ettaro e l’altezza dominante di circa 14 m.

Tab. 1 - Principali caratteristiche dendrometriche prima dell’intervento sulla base dell’inventario 1988; Dm: diametro medio; Hm: altezza media; HD: altezza dominante

Area Pino nero Altre specie
N. piante Area bas. Dm Hm HD Vol Densità Area bas. Dm
ha-1 m2 ha-1 cm m m m3 ha-1 n ha-1 m2 ha-1 cm
Area 1 2065 37 15 12 14 236 140 0 4
Area 2 2090 36 15 12 14 232 110 0 3
Area 3 1540 34 17 12 14 221 80 0 2
Area 4 1867 31 14 11 13 197 33 0 3
Media 1907 35 15 12 14 221 90 0 3

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La struttura verticale della pineta mostrava un’avanzata fase di competizione tra i soggetti (Tab. 2) con una netta separazione delle categorie sociali. Ad un’elevata consistenza del numero degli individui del piano dominato (che rappresentavano in media per le quattro aree il 33.5% del numero totale) faceva riscontro un limitato valore di area basimetrica (13.5% del totale).

Tab. 2 - Principali caratteristiche dendrometriche prima del diradamento per classe sociale (D: piante dominanti, Cd: piante codominanti, d: piante dominate); G: area basimetrica, V = volume, Dg: diametro medio di area basimetrica, Hm: altezza media, Hd: altezza dominante.

Parametro Area 1 Area 2 Area 3
tot D Cd d tot D Cd d tot D Cd D
N ha-1 2065 750 440 875 2090 795 595 700 1540 760 445 335
G (m 2 ha-1) 37 23 7 6 36 22 9 5 34 23 8 3
V (m3 ha-1) 229 139 56 33 232 138 63 31 221 147 51 22
Dg (cm) 15 19 15 9 15 18 14 9 17 19 15 11
Hm (m) 12 13 12 9 12 13 11 9 12 13 12 10
Hd (m) 14 14 14

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La fertilità della stazione risulta relativamente scarsa come evidenziato dai contenuti valori dell’altezza dominante se analizzati rispetto alle sole tavole alsometriche disponibili ([2]).

Il protocollo sperimentale ha previsto la realizzazione di diradamenti di diversa intensità nelle tre aree trattate (Tab. 3, Tab. 4). La finalità degli interventi è stata quella di aumentare la stabilità complessiva dei popolamenti in un delicato momento di dinamica strutturale dovuto al ritardo nel primo diradamento. Il criterio generale è stato quello effettuare interventi colturali di tipo misto, tendenzialmente dal basso; le tre tesi sono caratterizzate da un diverso grado di prelievo nel piano dominante (piante dominanti e codominanti). Vista la finalità dell’intervento, la martellata ha privilegiato il rilascio di soggetti che offrivano maggiori garanzie di stabilità individuale (buona conformazione, sviluppo e profondità della chioma, contenuto rapporto di snellezza) indipendentemente dalla regolarità della loro distribuzione spaziale.

Tab. 3 - Principali caratteristiche dendrometriche del materiale prelevato con il diradamento per classe sociale (D: piante dominanti, Cd: piante codominanti, d: piante dominate); G: area basimetrica, V = volume, Dg: diametro medio di area basimetrica, Hm: altezza media, Hd: altezza dominante.

Parametro Area 1 Area 2 Area 3
tot D Cd d tot D Cd d tot D Cd d
N ha-1 1015 100 160 755 820 40 160 620 625 125 175 325
G (m2 ha-1) 9 2 2 4 7 0 2 4 9 3 3 3
V (m 3 ha-1) 53 4 23 25 46 1 18 26 61 29 35 35
Dg (cm) 11 17 14 9 10 17 13 9 14 17 15 11
Hm (m) 10 12 11 9 10 12 11 9 11 12 12 10

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Tab. 4 - Principali caratteristiche dendrometriche dopo il diradamento per classe sociale (D: piante dominanti, Cd: piante codominanti, d: piante dominate); G: area basimetrica, V: volume, Dg: diametro medio di area basimetrica, Hm: altezza media, Hd: altezza dominante.

Parametro Area1 Area 2 Area 3
tot D Cd d tot D Cd d tot D Cd d
N ha-1 1050 650 280 120 1270 755 435 80 915 635 270 10
G (m2 ha-1) 27 20 5 1 29 21 7 0 24 19 4 0
V (m3 ha-1) 176 135 33 7 186 136 44 4 160 129 29 0
Dg (cm) 18 20 15 11 17 18 14 11 18 20 15 12
Hm (m) 12 13 12 10 12 13 11 10 13 13 12 11

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Nell’Area 1 il prelievo ha interessato complessivamente quasi la metà del numero di piante e il 26% dell’area basimetrica. Il diradamento ha inciso notevolmente sul piano dominante per un quarto delle piante diradate cui corrisponde la metà dell’area basimetrica prelevata.

Il diradamento dell’Area 2 è stato condotto secondo le modalità consuetudinarie adottate dai tecnici della Comunità Montana che hanno materialmente effettuato la martellata. Si è trattato di un intervento di moderata intensità (20% dell’area basimetrica) essenzialmente dal basso. Il piano dominante è stato interessato quasi esclusivamente per la componente codominante.

L’intervento effettuato nell’Area 3 risente delle specificità del popolamento che si presentava in una fase dinamica più avanzata rispetto alle altre aree, con un’articolazione strutturale maggiormente definita nelle componenti sociali a favore del piano dominante (Tab. 2). Il popolamento presentava una fertilità maggiore dovuta a fattori stazionali (minore pendenza media) che avevano anche inciso sulle modalità di impianto (maggiore distanza tra le file). In termini di numero totale di piante prelevate l’intervento effettuato ricalca quello dell’Area 1. In questo caso però il diradamento ha inciso maggiormente sul piano dominante sia in termini di numero che di area basimetrica, asportando integralmente il piano dominato.

A quattro anni dall’intervento possono essere formulate già alcune prime considerazioni circa la reazione in termini incrementali e strutturali dei popolamenti soggetti al trattamento. Il periodo trascorso è però ancora troppo limitato per valutare significativamente e in modo distinto le tre tesi di trattamento. Nel quadriennio considerato la mortalitàè trascurabile nelle tre aree sperimentali e di modesta entità nel testimone. I popolamenti trattati hanno dimostrato una buona risposta incrementale in termini di area basimetrica e diametro per tutte le tesi di trattamento. Per le tesi 1 e 2 il quadriennio successivo all’intervento è stato sufficiente a far recuperare in valore assoluto il prelievo di area basimetrica e di volume. Le tesi in cui il diradamento è stato più forte (Aree 1 e 3) hanno fatto registrare valori di incremento corrente di diametro leggermente superiori (Tab. 5).

Tab. 5 - Secondo inventario (2002). Principali caratteristiche dendrometriche dopo 4 stagioni vegetative dai diradamenti - Ic: incremento corrente, Dm: diametro medio, Hm: altezza media, HD: altezza dominante.

Area Pino nero Altre specie
N. piante area bas. Ic di area
basimetrica
Dm Ic di
diametro
Hm HD Vol N. piante area
basimetrica
Dm
ha-1 m2 ha-1 m2 ha-1 cm cm m m m3 ha-1 ha-1 m2 ha-1 cm
Area 1 1050 35 1 20 0 13 15 226 220 0 5
Area 2 1265 36 1 19 0 13 14 238 35 0 6
Area 3 910 31 1 21 0 13 14 208 185 0 4
Area 4 1844 39 1 16 0 12 14 249 10 0 3
Media 1267 35 1 19 0 13 14 230 113 0 4
Errore standard 178 1 0 0 0 0 0 7 45 0 0

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Indagine auxometrica

L’indagine auxometrica è stata condotta su 33 alberi modello selezionati in tutte le classi sociali (9 dominanti, 13 codominanti e 11 dominati) prelevati nelle 3 parcelle diradate.

  • Accrescimento diametrico - Dall’analisi degli incrementi radiali della sezione a petto d’uomo si evidenzia una precoce differenziazione in classi sociali già a partire dalla fine degli anni settanta, a circa 10 anni dalla piantagione (Fig. 2). A partire da quest’età le curve storiche del diametro diventano sempre più divergenti raggiungendo nel 1998 valori di 19.1, 15.6 e 10.1 cm rispettivamente per le dominanti, codominanti e dominate. L’analisi dell’incremento corrente evidenzia come già nel 1975-76 si sia raggiunto il culmine con valori di 13.0, 11.0 e 6.6 mm per le tre classi sociali e come risulti simile l’andamento delle curve relative alle dominanti e alle codominanti. Analizzando l’andamento dell’incremento medio si nota come il popolamento ha già sorpassato l’età di culminazione in tutte le tre classi sociali intorno a metà degli anni ’80, dopo 18-19 anni dall’impianto.
  • Fig. 2 - Diametro a 1.30 (in ordinata, cm): andamento delle curve storiche, dell’incremento corrente e dell’incremento medio per classe sociale (D: piante dominanti, Cd: piante codominanti, d: piante dominate).

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  • Area basimetrica - L’analisi della Fig. 3 evidenzia in modo più chiaro la progressiva differenziazione in classi sociali. Le curve storiche dell’area basimetrica hanno un andamento più chiaramente distinto rispetto a quanto riscontrato per il diametro sempre a partire dalla metà degli anni ’70. L’incremento corrente di area basimetrica raggiunge il massimo tra gli anni 1983 - 1984 con valori nettamente differenti tra le classi sociali. Al momento dell’intervento l’incremento medio era in fase di culminazione.
  • Fig. 3 - Area basimetrica (in ordinata, dm2): andamento delle curve storiche, dell’incremento corrente e dell’incremento medio per classe sociale (D: piante dominanti, Cd: piante codominanti, d: piante dominate).

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  • Accrescimento in altezza - Le curve storiche dell’altezza, determinate dalla misura diretta degli accrescimenti longitudinali, evidenziano una modesta differenziazione tra le classi sociali. Questa fenomeno, che inizia a 4-5 anni dall’impianto, non risulta così marcato come per il diametro, infatti le curve rimangono appressate e quasi parallele (Fig. 4). Gli incrementi correnti longitudinali aumentano velocemente raggiungendo valori massimi verso la metà degli anni ottanta con valori prossimi a 0.60 m. Analogamente al parametro diametro la curva degli incrementi medi evidenzia che il popolamento è giunto in prossimità della culminazione con valori massimi variabili da 0.46 a 0.37 metri.
  • Fig. 4 - Altezza (in ordinata, m): andamento delle curve storiche, dell’incremento corrente e dell’incremento medio per classe sociale (D: piante dominanti, Cd: piante codominanti, d: piante dominate).

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L’elevata densità dell’impianto ha stimolato lo sviluppo longitudinale di tutti gli individui spingendo i soggetti dominati a filare verso la luce, mantenendo accrescimenti sostenuti in altezza, per tentare di competere con i dominanti.

Stabilità dei soprassuoli

Gli indicatori di stabilità rilevati dopo gli interventi nei transect strutturali hanno evidenziato valori medi complessivi inferiori a 80 per il rapporto H/d e valori prossimi a 0.50 per la profondità della chioma. Questi valori indicano una buona stabilità generale dei popolamenti.

In seguito a forti tempeste di vento del novembre 2002 e dell’agosto 2003, la prima accompagnata da neve bagnata, le aree sono state interessate da stroncature di fusti e cimali. I danni hanno colpito prevalentemente l’area 3, diradata con maggiore intensità, mentre danni lievi si sono riscontrati nell’area 2 e in quella testimone. L’area 1 non ha subito danni (Tab. 6).

Tab. 6 - Principali parametri delle piante danneggiate dalle tempeste di vento del novembre 2002 e agosto 2003 (rilievi del 18 agosto 2003).

area param. n pianta "intera" h monco-ne (m) porzione superiore stroncata note
D

(cm)
h totale (m) H/D h ins. chioma (m) prof. chioma
d

(cm)
h totale (m) h ins. chioma (m)
2 - 1 29 17 59 9 0 4 20 11 4 rottura alla biforcazione di entrambe le cime
(x) 12 4
3 media 9 22.9±3 15.1±3 66.4±6 9.5±1 0.39±0.1 4.9±2 14.6±3 9.6±3 4.4±2 7 piante con rottura alla biforcazione di entrambe le cime, una pianta con una cima ancora in piedi, e una pianta stroncata di netto
range 28÷17 17.7÷13.6 77÷58 11.8÷7.6 0.51÷0.3 8.8÷1.5 21÷9 16.2÷5.3 6.7÷2.0
4 - 1 24 13 57 7 0 2 17 11 5 rottura alla biforcazione di entrambe le cime
20 11 5
Totale 11 23.5±4 15.2±2 64.8±6 9.2±1 0.41±0.1 4.6±2 15.3±3 10.0±3 4.6±1 10 su 11 piante rotte in prossimità della biforcazione

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La maggiore incidenza dei danni, riscontrati nella parcella diradata in modo più intenso, può essere attribuita alla maggiore discontinuità della copertura delle chiome e alla vicinanza al crinale.

I danni hanno prevalentemente interessato piante biforcate anche se con basso rapporto di snellezza e con chiome non particolarmente squilibrate pur se con profondità leggermente inferiore a quella media. Da quanto osservato, la presenza di biforcazioni del fusto si dimostra uno dei fattori che rende più sensibili le piante a danni da agenti meteorici eccezionali.

Indagine sulla rinnovazione

Lo studio, condotto sulle specie arboree e arbustive, ha evidenziato valori piuttosto modesti prima dell’intervento con indici di rinnovazione ([9]) variabili da 40 a 76, con valori massimi nell’area 1 e minimi nell’area 4 (Tab. 7). Tra le specie arboree l’orniello è quella che si rinnova più facilmente sotto la copertura del pino, seguita dagli aceri opalo e campestre. La pre-rinnovazione del pino nero risulta significativa solo nell’area 1. Tra le specie quercine si sono ritrovati ancora residui delle semine di cerro principalmente nell’area 3, mentre scarsa è la diffusione di semenzali di roverella. Tra le specie arbustive, più frequente è l’insediamento del ginepro comune, in tutte e quattro le aree, seguita da quella del citiso a foglie sessili.

Tab. 7 - Caratteri della rinnovazione nel 1998 e al 2002: Ir: indice di rinnovazione secondo Magini ([9]), espresso in cm m-2; la densitàè espressa come numero di piante per metro quadrato.

Area Inventario Parametro specie arboree arbusti ginepro pino totale
Area 1 inv. 1999 Ir 44 0 19 11 76
densità 1 0 0 0 1
inv. 2002 Ir 59 0 12 0 72
densità 1 0 0 0 1
Area 2 inv. 1999 Ir 29 0 32 0 61
densità 0 0 0 0 0
inv. 2002 Ir 18 1 32 0 52
densità 0 0 0 0 1
Area 3 inv. 1999 Ir 38 0 23 0 62
densità 0 0 0 0 1
inv. 2002 Ir 43 0 16 0 59
densità 0 0 0 0 1
Area 4 inv. 1999 Ir 10 8 19 2 40
densità 0 0 0 0 0
inv. 2002 Ir 13 16 25 0 56
densità 0 0 0 0 1

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In seguito ai disturbi provocati dall’intervento di diradamento e all’asportazione della ramaglia all’interno del transect si è riscontrata, nel secondo inventario, una leggera diminuzione dell’indice di rinnovazione totale (specie arboree e arbustive) nelle parcelle diradate, nonostante si sia verificato un leggero aumento dell’indice relativo alle specie arboree nella parcella 1 e 3. Solo nella parcella testimone si è verificato un leggero aumento dell’indice di rinnovazione totale che è passato da 40 a 56.

L’incremento corrente di altezza (IcH) è stato calcolato relativamente alle piante rinvenute in entrambi gli inventari non danneggiate dall’esbosco. I valori più elevati di IcH si sono riscontrati nelle aree 1 e 3, diradate più intensamente.

Considerando l’orniello e gli aceri separatamente dalle altre specie, nell’area 3 gli accrescimenti risultano doppi rispetto a quelli riscontrati nella 2 e 4 (Tab. 8). Nelle aree dove è stata interrotta la copertura (1 e 3) si sono raggiunti valori individuali di IcH che superano i 20 cm.

Tab. 8 - Incremento corrente di altezza icH (medio del periodo) delle rinnovazione al 1998 e al 2002.

Area orniello e aceri totale piante
piante IcH piante icH
n cm n cm
Area 1 19 7.8±5.1 36 5.0±5.0
Area 2 9 5.2±4.1 19 3.6±3.3
Area 3 9 12.9±12.5 25 7.1±9.0
Area 4 4 6.6±1.9 36 4.0±4.8

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L’insediamento della rinnovazione di orniello e di acero opalo in queste pinete è favorita dalla presenza di piante madri nei boschi limitrofi, dalla facilità di dispersione del seme di queste specie e dalla capacità, in fase giovanile, di sopportare anche basse intensità luminose. Le buone possibilità di sviluppo di queste specie, sotto la copertura del pino, e la loro reattività agli interventi di diradamento concordano con quanto riscontrato in altre esperienze condotte in Italia ([6], [13]). Pertanto è prevedibile che lo sviluppo della rinnovazione dovrebbe riprendere senza problemi una volta terminati gli effetti del disturbo provocato dagli interventi colturali.

In seguito ad un’annata di buona produzione di seme, nel 2002 si sono riscontrate numerose plantule di pino la cui entitàè stata valutata eseguendo una conta su una fascia di un metro di larghezza lungo l’asse centrale del transect. La densità del novellame ha raggiunto valori compresi tra 10 e 30 individui a m2. Successive osservazioni, eseguite nel 2003 dopo un’estate particolarmente calda e siccitosa, hanno evidenziato la forte riduzione di questo valore. Nel 2004 si è registrato un aumento del valore di densità dei semenzali.

Conclusioni 

Ferma restando l’estrema importanza della razionale gestione dei comprensori occupati da rimboschimenti di pino nero che presuppone la definizione delle attitudini principali dei popolamenti (produzione legnosa, protezione idrogeologica, valenza storica o paesaggistica, ricreazione, ecc.) e, conseguentemente, la scelta e la pianificazione del trattamento selvicolturale ottimale, il diradamento è lo strumento essenziale per garantire la buona funzionalità di questi soprassuoli artificiali.

Come dimostra l’indagine auxometrica, condotta sui soprassuoli oggetto della ricerca, la differenziazione in classi sociali delle pinete di pino nero è assai precoce. Ciò suggerisce che lo stadio giovanile dei popolamenti, intorno ai 15-20 anni, sia il momento ideale per effettuare i primi diradamenti. A questa età l’influenza delle modalità di piantagione è ancora molto forte in quanto la struttura orizzontale dei popolamenti è determinata dai gradoni (distanti 3.5 m uno dall’altro) e ciò si ripercuote sulla copertura del terreno che spesso non è completa. Pertanto nei primi interventi va posta particolare attenzione al mantenimento di una sufficiente copertura delle chiome per non diminuire gli effetti di protezione e di miglioramento del suolo, cercando contemporaneamente di ridurre la competizione tra gli individui presenti, articolando per quanto possibile la struttura verticale del popolamento.

Come evidenziato anche da altri autori ([4]), i popolamenti artificiali di pino nero possiedono comunque una notevole reattività agli interventi colturali in termini di sviluppo delle chiome e del fusto anche a stadi evolutivi relativamente avanzati. La plasticità propria della specie permette quindi di intraprendere un programma di diradamento anche in strutture già definite (perticaie e giovani fustaie) soprattutto quando una discreta fertilità stazionale garantisce la pronta reattività dei popolamenti. A questo proposito, per quanto riguarda la risposta incrementale, si sottolinea che nelle aree sperimentali le pinete, allo stadio di perticaia - giovane fustaia, riescono a recuperare in pochi anni un prelievo pari a circa il 25% di area basimetrica.

Diradamenti di questa entità possono favorire l’insediamento e lo sviluppo di altre specie forestali sotto copertura, evitando la formazione di un denso tappeto di graminacee che ne ostacolerebbe l’ingresso.

La stabilità strutturale dei popolamenti esaminati si è dimostrata buona in seguito agli interventi sperimentali. I danni, pur se di scarsa entità, registrati in seguito a fenomeni climatici particolarmente avversi a pochi anni dai diradamenti, suggeriscono che in fase di intervento colturale è buona norma eliminare gli individui biforcati che si sono dimostrati i più vulnerabili.

In particolari condizioni economiche e organizzative, che prevedono finanziamenti specifici, la gestione dei rimboschimenti di pino nero può essere realizzata attraverso diradamenti di moderata intensità a frequenza decennale. Un regime dei diradamenti di questo tipo assicura il mantenimento di una buona stabilità meccanica dei soprassuoli, favorisce un ritmo positivo degli accrescimenti e riduce il rischio di rallentamento delle dinamiche evolutive, cosa che al contrario può facilmente accadere con prelievi di forte intensità distanziati nel tempo. Nei diradamenti successivi si potranno stimolare e quindi assecondare progressivamente le dinamiche evolutive favorendo gradualmente l’affermazione e lo sviluppo delle latifoglie (cfr. [8]).

Ringraziamenti 

La ricerca è stata attivata per iniziativa della Comunità Montana Valnerina e finanziata per il primo periodo con fondi UE dell’obiettivo 5B 1994-1999 e proseguita tramite finanziamenti nell’ambito del Progetto Riselvitalia del MiPAF.

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