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Forest fires prevention and limitation of the greenhouse effect

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 160-165 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0298-0002
Published: Jun 08, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

The contribution of forest fires to the carbon budget and greenhouse effect is examined at global and national (Italian) scale and forest management options directed to preventing fires are briefly outlined.

Keywords

Forest, Fire, Kyoto, GHG, Sink, Integrated Fire Management

 

Le foreste svolgono un ruolo insostituibile nel ciclo del carbonio, assicurandone l’immagazzinamento nel suolo e nella biomassa epigea in grandi quantità e in forme stabili. La gestione sostenibile delle foreste e l’uso di biomasse legnose per la produzione di energia e di prodotti rinnovabili rappresentano probabilmente il più rilevante contributo degli ecosistemi forestali alla riduzione della concentrazione atmosferica di gas serra (GHG), come richiesto dal Protocollo di Kyoto ([17]). La capacità del bosco di immagazzinare carbonio nelle piante e nei suoli, già elevata (in media circa 53 t ha-1 di C) potrebbe essere esaltata da una attenta politica di gestione sostenibile basata su processi di miglioramento della funzionalità dell’ecosistema e di protezione del territorio, anche attraverso efficaci interventi di difesa da fattori antropici e naturali di impatto sui soprassuoli boschivi, tra cui di particolare gravità sono gli incendi.

Uno dei principali temi negoziali nel protocollo di Kyoto, in vigore in Italia dal 16 febbraio 2005, è l’ipotesi di consentire alle nazioni di utilizzare le foreste e i terreni agricoli (sink di CO2) per raggiungere gli impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra. In particolare, il Protocollo, all’articolo 3.3, fa riferimento a una lista di attività che portano alla fissazione di carbonio atmosferico - da contabilizzare nei bilanci nazionali degli assorbimenti e delle emissioni - legate ai cambiamenti nelle forme d’uso del suolo, limitatamente alle attività di “afforestazione”, “riforestazione” e “deforestazione”. All’articolo 3.4, esso rende possibile l’impiego di altre attività forestali e d’uso del suolo, con alcune limitazioni, tra cui quelle di essere “ direct human induced ” e di aver avuto luogo dal 1990 in poi. Il Piano elaborato dal governo italiano per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra (pari al 6.5% rispetto a quelle del 1990), presentato dal Ministro dell’Ambiente e del Territorio agli inizi di ottobre 2002, assegna, tra le varie tipologie di intervento, un’enfasi speciale alle misure nel settore agricolo e forestale e in modo particolare alla costituzione di nuovi impianti boschivi (afforestazione e riforestazione).

Tra le modalità di contenimento è ritenuta fondamentale la limitazione delle perdite in termini di superfici forestali attraverso un’adeguata gestione delle foreste e una efficace lotta integrata agli incendi boschivi, al fine di salvaguardare i sink già presenti e di ridurre i pericoli di emissioni gassose in atmosfera, connesse al fenomeno di incendi di vaste proporzioni.

Questi ultimi sono infatti responsabili non ultimi dell’incremento di CO2 nell’atmosfera. Qualche dato può illustrare l’entità del fenomeno. Secondo recenti dati NASA, dall’inizio della rivoluzione industriale il 40% della superficie terrestre è stata trasformata, aumentando sensibilmente i livelli di CO2 immessi in atmosfera. Dal 1850 al 1980 una quantità stimata da 90 a 120 miliardi di tonnellate di CO2 è stata rilasciata nell’atmosfera per effetto degli incendi, contro i 165 miliardi di tonnellate immessi dalla combustione di gas e carbone. L’immissione nell’atmosfera di CO2 è stimata pari a 5.6 Gt annue a scala globale; gli incendi delle foreste tropicali contribuiscono per 2.4 Gt ([15]). Si stima che la combustione di biomassa contribuisca per il 38% all’immissione in atmosfera di CO2, contro il 62% causato dalla combustione di combustibili fossili ([19]). La biomassa bruciata deriva dalle foreste ([18]) e in gran parte dalle savane, aggredite dal fuoco su notevole estensioni e con elevata frequenza ([8]).

Nonostante il problema sia di grande rilevanza, le conoscenze al riguardo sono imprecise. Le valutazioni delle emissioni ([8]) appaiono carenti per mancanza di statistiche di base. Molti paesi appaiono, infatti, tuttora privi di attendibili statistiche raccolte sistematicamente in materia di:

  • incendi di foreste;
  • incendi di cespugliati e savane;
  • incendi in ambienti agricoli.

Raccolte sistematiche di dati statistici esistono esclusivamente per i paesi svuluppati dell’emisfero boreale. Particolarmente scarsa è la conoscenza della dimensione del fenomeno nel continente africano e in quello asiatico dove si riscontrano le maggiori aree interessate dal problema. Tra il 1985 e il 1995 nei cinque stati mediterranei membri dell’U.E. si sono registrati circa 460.000 incendi, con una superficie percorsa dell’ordine di 6 milioni di ettari, tanto da considerare questi eventi un problema giornaliero. Le statistiche ECE per Europa, indicano una media di 1.074.000 ettari percorsi annualmente.

In Italia il fenomeno degli incendi nei boschi (Fig. 1) e, più in genere, nello spazio rurale, appare abbastanza rilevante: nell’arco di 34 anni (1970-2003) il fuoco ha percorso oltre 1.7 x 106 ettari di superficie boscata, pari al 18 % della superficie forestale nazionale e circa 2.09 x 106 ettari di superficie agraria, per un totale del 13% della superficie territoriale complessiva; oltre 320 mila gli incendi ufficialmente registrati nel medesimo periodo, con un dato medio annuale di 53 mila ha di superficie boscata e 72 mila ha di superfici non boscate.

Fig. 1 - Il Parco Nazionale del Gargano è una delle zone più tormentate dagli incendi boschivi; nella foto una pendice percorsa dal fuoco in territorio di Vico del Gargano; bosco misto di Pinus halepensis e Quercus ilex (foto Leone).

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Le superfici forestali percorse dal fuoco in Italia (ISTAT 1997-2000) negli anni particolarmente critici (1998 e 2000), risultano pari o maggiori al 50% di quelle utilizzate; il danno non è, pertanto, solo di tipo ambientale, ma anche di natura economica, se si considera che le poche utilizzazioni della risorsa forestale possono essere compromesse dal frequente passaggio del fuoco. Dal 1992 la FAO ha iniziato una raccolta sistematica di dati statistici sugli incendi, ripresi e utilizzati nel High Resolution Biome Model (HRBM) ([6]) che ha consentito di modellizzare, sotto il profilo spaziale e temporale, gli incendi e fornire indicazioni sulle emissioni gassose ad essi connesse. Il modello ha così indicato un flusso globale annuo di C emesso da incendi di vegetazione variabile da 4.14 Gt a 4.8 Gt.

A livello italiano una stima delle emissioni di CO2 è stata proposta ([2]) considerando le superfici percorse, i tipi di soprassuolo, i modelli di combustibile, i rimboschimenti e la rinnovazione. Per il periodo 1977-1991, le emissioni sono state stimate tra 2.6 e 4.4 Mt anno-1. Il dato è congruo con la stima delle quantità di CO2 immagazzinate dalle foreste e dalle altre formazioni arboree forestali italiane ([5]) basata su un assorbimento annuale, pari all’incremento annuale di biomassa, di 13.2 Mt di C, corrispondente a 48.4 Mt di CO2 sottratte dall’atmosfera.

Il controllo degli incendi appare quindi una irrinunciabile misura di accompagnamento nella riduzione dell’effetto serra, considerando che la quantità di CO2 immessa nell’atmosfera, attraverso la combustione di biomassa forestale, è più che rilevante. I valori variano da 48.4 t ha-1 fino a 214.8 t ha-1 ([11], [1]).

La fondamentale articolazione delle strategie attivabili per ridurre le concentrazioni eccessive di CO2 nell’atmosfera ([4], [7]) prevede la:

  • gestione per la conservazione del C, mediante la riduzione della deforestazione, modifiche delle modalità di utilizzazione, protezione dalle forme di disturbo antropogenico quali pascolo e incendi;
  • gestione per l’immagazzinamento del C basato sull’incremento delle aree forestali, la diffusione dell’agroforestry, cioè della integrazione tra attività forestali e attività agricole, e la maggior diffusione di prodotti legnosi durevoli;
  • gestione per la sostituzione del C, finalizzata ad accrescere la trasformazione delle biomasse forestali in combustibili e materiali da costruzione, per sostituire gradualmente l’uso di combustibili fossili e di derivati del cemento.

Quest’ultima è considerata la misura di maggiore efficacia nel lungo termine (>50 anni) poiché tra l’altro risparmia la cospicua quantità di C immagazzinata nei combustibili fossili, riducendone il consumo ([4]).

A livello di interventi internazionali, si propone spesso il contenimento dei GHG incrementando le superfici forestali, talvolta prevedendo dimensioni irrealistiche. Così è stato ipotizzato un ambizioso programma mondiale di rimboschimento, esteso su 700 milioni di ettari, che potrebbe produrre in 55 anni 147 miliardi di m3 di biomassa combustibile, equivalenti a 39 miliardi di m3 di carbon fossile ([3]). Si potrebbe così ridurre di 29 Gt le emissioni di C, pari al 77% dell’intero quantitativo di C fissato nel programma stesso, stimato pari a 37.6 Gt. Detto programma appare particolarmente impegnativo e di ardua, se non impossibile, attuazione, comportando enormi problemi in ordine alla disponibilità di terra, al regime di proprietà, alla modifica della biodiversità e al cambiamento di forme d’uso del suolo. Ancora, per contenere l’immissione di C, ormai a valori prossimi a 8Gt anno-1, bisognerebbe impiantare nuove foreste su una superficie pari a 4 volte quella degli USA (⇒ http:/­/­www.whole-systems.org/­co2.html).

Se i rimboschimenti su larga scala sono auspicati, ma di ardua realizzazione, i fenomeni di deforestazione sono invece concreti, imponenti ed incisivi. La distruzione della foresta pluviale dell’Amazzonia sta raggiungendo livelli da record. Dal mese di agosto 2003 a luglio 2004 sono stati abbattuti 26.000 km2 di foresta. Si tratta del secondo dato più alto di tutti i tempi, il 6 per cento in più rispetto ai dodici mesi precedenti. Nel complesso, quasi un quinto dell’intera foresta amazzonica è stata distrutta.

La consapevolezza della vastità dei danni conseguenti agli incendi è testimoniata da innumerevoli proposte e accordi. La conferenza di Yokohama 1994 per un mondo più sicuro, ha auspicato l’istituzione di un centro mondiale di ricerca e lotta contro il fuoco, sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’argomento incendi è stato inserito nell’agenda dell’ International Decade for Natural Desaster Reduction. Numerosi progetti, di respiro mondiale, sono rivolti allo studio delle emanazioni gassose e di altri aspetti degli incendi, soprattutto nelle zone equatoriali. Il tema incendi è inserito in ambito istituzionale nella strategia forestale dell’U.E., che richiama esplicitamente principi e impegni stabiliti a livello internazionale nel quadro della conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, quale il protocollo di Kyoto sul cambiamento climatico.

Il crescente numero di incendi che caratterizza l’Italia come altri paesi mediterranei, con una forte componente di eventi volontari, non può però essere affrontato con il solo miglioramento dell’apparato difensivo, come tuttora si verifica nella maggior parte dei casi, ma deve enfatizzare la prevenzione. Un modello più attento a tale aspetto è quello dell’ Integrated Fire Management, in cui tutte le componenti della attività di prevenzione e di difesa sono presenti, interconnesse e funzionalmente dimensionate tra loro ([20]).

La diversa impostazione dell’attività di difesa, necessaria viste le implicazioni di carattere ambientale che gli incendi determinano, non può prescindere da una approfondita conoscenza delle cause del fenomeno, a scala locale, per tentare di modificare i comportamenti antropici che ne sono alla base, spesso come relitto di una cultura di uso ormai tramontata, oggi non più tollerabile.

Cruciale si rivela la conoscenza delle motivazioni che spingono l’uomo a comportamenti volutamente dannosi, per modificarli con opportune misure e per rivolgere ai potenziali autori non forme generiche di sensibilizzazione basate su messaggi “colti” od “emotivi”, ma messaggi sintonizzati sulla loro cultura, spesso arretrata, sul loro grado di scolarità, sulla loro percezione dei rapporti con la società e con l’ambiente, spesso conflittuali.

Un organico piano di difesa deve, quindi, essere finalizzato ad agire sulle cause, modificandole, oltre che a mitigare le conseguenze degli incendi, enfatizzando in modo particolare la prevenzione, tra le cui misure attuative riveste un ruolo fondamentale la selvicoltura di prevenzione.

Le tecniche selvicolturali di prevenzione mirano, da un lato, ad un aumento della capacità di difesa intrinseca del soprassuolo e, dall’altro, a ridurre condizioni di pericolosità oltre che a facilitare le operazioni di lotta diretta e limitare i danni ([12]). Gli interventi che modificano la vegetazione hanno la finalità di regolare la distribuzione nello spazio dei diversi tipi di combustibile, di ridurre l’accumulo di quelli pericolosi, e di interrompere la continuità tra gli strati erbacei, arbustivi ed arborei, riducendo il pericolo di incendi di chioma. La creazione di discontinuità, tanto orizzontale quanto verticale, in un soprassuolo boschivo richiede l’impiego di diverse tecniche di eliminazione di combustibile quali :

  • diradamenti;
  • decespugliamento meccanico;
  • decespugliamento manuale;
  • potatura manuale;
  • uso del fuoco prescritto;
  • pascolo controllato;
  • applicazione di erbicidi;
  • apertura di viali parafuoco.

Il diradamento è la misura elettiva di selvicoltura preventiva; esso agisce prevalentemente aumentando la distanza media tra terreno e chiome e nel caso del diradamento “dal basso”, rilasciando soggetti con diametri più elevati, a maggior resistenza specifica legata allo spessore della corteccia ([14]); esso inoltre migliora la stabilità e funzionalità complessiva dei soprassuoli (Fig. 2 e Fig. 3).

Fig. 2 - Effetto del fuoco di chioma nella pineta ’Romanazzi’ in agro di Ginosa Marina (Taranto); già bosco da seme di Pinus halepensis, ora riserva biogenetica (foto Leone).

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Fig. 3 - Ancora un effetto del fuoco di chioma; ibidem (foto Leone).

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L’approccio di lotta integrata è stato teorizzato, nelle linee generali, dal Consiglio d’Europa con la Raccomandazione 1045 del 15 settembre 1986 del Parlamento Europeo e dalla "Dichiarazione di Atene" approvata nel corso del Symposium Internazionale: “For the formulation of an effective common strategy for the prevention and combat of forest fires in the Mediterranean region”, svoltosi ad Atene dall’ 8 al 12 Aprile 1987.

In questa nuova organizzazione strategica, un ruolo fondamentale rivestono gli strumenti di analisi territoriale, per individuare linee di tendenza, concentrazione del fenomeno, interpretarne la dinamica e impostare opportune ed efficaci azioni di previsione del rischio per contrastare l’insorgenza di un fenomeno eminentemente dipendente da azioni antropiche ([13]). La natura di evento criminoso suggerisce altresì un diverso approccio al fenomeno, utilizzando le tecniche proprie della investigazione criminale, per colmare il gap di conoscenze relative alla quasi totale mancanza di informazioni sugli autori. Questa connotazione suggerisce l’applicazione alla prevenzione dagli incendi, non solo boschivi ma estesi a tutto lo spazio rurale, di tecniche investigative proprie del Criminal Profiling ovvero Criminal Investigative Analysis (CIA), tecnica di indagine attraverso la quale si ricostruisce la sequenza di eventi e il comportamento del colpevole, deducendo le caratteristiche del responsabile dalle caratteristiche dell’atto, e creando un attendibile profilo del responsabile. L’incendio, soprattutto volontario, è infatti un evento criminoso, risultato della presenza di un individuo motivato a commetterlo, di un obiettivo desiderabile dal reo, dell’assenza di controllo efficace del territorio da parte delle forze preposte, di condizioni di luogo e tempo utili per commettere il reato ([16]).

Elementi, quelli descritti, la cui conoscenza rientra nell’attività di prevenzione, che secondo l’art. 4 della Legge Quadro sugli incendi boschivi (L.353/2000) “... consiste nel porre in essere azioni mirate a ridurre le cause e il potenziale innesco di incendio, nonché interventi finalizzati alla mitigazione dei danni conseguenti”.

In conclusione, il controllo del fenomeno incendi richiede più che il solo miglioramento dell’apparato difensivo, preordinato a intervenire sull’evento in atto per minimizzarne le conseguenze, un approccio integrato con la necessaria enfasi per la prevenzione, intesa in senso lato come intervento di modifica delle cause e di attenuazione delle conseguenze.

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