How long forests will mitigate the increase of atmospheric CO2?
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 268-269 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0311-0002
Published: Sep 21, 2005 - Copyright © 2005 SISEF
Commentaries & Perspectives
Abstract
The main results of two studies dealing with the response of mature deciduous forest trees exposed to elevated CO2 ([4], Science 309:1360-1362) and with the reduction in the primary productivity of Europe during 2003 caused by heat and drought ([2], Nature, in press) are briefly presented and discussed.
Grazie alle ricerche condotte nell’ultimo decennio è ormai chiaro che gli ecosistemi forestali svolgono un ruolo centrale nel ciclo del carbonio a livello globale. Oltre a costituire il principale serbatoio di carbonio della biosfera, le foreste naturali rappresentano anche un importante accumulatore netto (sink), contribuendo così a mitigare l’aumento di CO2 nell’atmosfera ed il conseguente effetto serra. Un recente studio, ad esempio, ha stimato che in Europa gli ecosistemi terrestri (soprattutto foreste) assorbono tra il 7 ed il 12% delle emissioni di origine antropica ([3]). Resta però ancora da chiarire quale sarà la risposta delle foreste ai cambiamenti climatici in atto, ed in particolare all’aumento di CO2 atmosferica e di temperatura nonché alle modificazioni del regime idrico.
Dagli studi con arricchimento di CO2 effettuati su interi ecosistemi (sistemi FACE) è generalmente emerso che in tali condizioni gli alberi giovani crescono di più ([1]), facendo sperare in una maggiore crescita futura delle foreste. Per quanto riguarda la temperatura ed il regime idrico il quadro appare più complesso. Sebbene diversi studi abbiano suggerito che nel medio-lungo periodo sia le foreste tropicali che quelle boreali potrebbero ridurre la loro produttività, per le foreste temperate si prevede generalmente una maggiore crescita.
Tuttavia, ci sono ancora numerose incertezze: La risposta positiva alla CO2 osservata su giovani alberi si manterrà anche su piante mature? Come risponderanno le foreste al probabile intensificarsi di eventi climatici estremi? Nelle ultime settimane le riviste Science e Nature hanno pubblicato alcuni studi che tentano di fornire delle risposte a questi interrogativi.
Più CO2 non aumenta la crescita di alberi maturi
I sistemi FACE hanno finora rappresentato un buon sistema per studiare l’effetto di elevate CO2 su ecosistemi forestali relativamente giovani. Ma come studiare la risposta di piante alte 35 m? Körner et al. ([4]) hanno affrontato il problema con una tecnica chiamata ’web-FACE ’, che rilascia CO2 attraverso un’estesissima rete di piccoli tubi posizionati all’interno della chioma con l’aiuto di un’apposita gru (’canopy crane’). Con questo sistema, gli autori della ricerca hanno studiato la risposta di faggi, querce e carpini adulti a circa 530 ppm di CO2 in una foresta semi-naturale in Svizzera. Sebbene il web-FACE presenti diversi limiti (ad esempio, è inevitabilmente orientato ad analizzare la risposta a livello di singolo albero e non di intero ecosistema), secondo gli autori rappresenta attualmente il miglior compromesso capace di studiare la risposta di grandi alberi alle elevate CO2. I risultati dopo 4 anni di ricerche sembrano contraddire, almeno in parte, gli studi effettuati su alberi giovani. Nonostante sia stato osservato un maggior assorbimento di CO2 rispetto alle piante di controllo, questo non si è tradotto in una maggiore crescita del fusto né in una maggiore produzione fogliare. La maggior parte dei parametri fisiologici ’ dalla capacità fotosintetica massima alla composizione chimica delle foglie ’ ha mostrato variazioni nulle o minime in risposta alla maggiore CO2, oppure diverse da una specie all’altra. Ma allora dov’è andato il maggior C entrato nel sistema? Combinando le informazioni dalla parte aerea con quelle ottenute a livello di suolo sembra emergere che la maggiore CO2 atmosferica abbia semplicemente accelerato il metabolismo delle piante esaminate, aumentando il flusso di C che passa attraverso di esse ma senza aumentarne in modo significativo l’accumulo nella parte aerea o nel suolo.
Nel 2003 gli ecosistemi europei sono stati una fonte netta di CO2
L’estate 2003 è passata alla storia come una delle più calde e siccitose mai registrate nel centro-sud Europa. Una recente ricerca ([2]) ha analizzato la risposta degli ecosistemi europei a questo evento climatico estremo integrando, attraverso un modello, diverse serie di dati. I flussi di CO2 raccolti nel 2003 (tramite eddy covariance) in 14 ecosistemi forestali nel centro-sud Europa hanno evidenziato un generalizzato ed importante calo, rispetto agli anni precedenti, sia della produttività primaria lorda (GPP) che, in misura minore, della respirazione ecosistemica (TER). Conseguentemente, l’accumulo netto di CO2 (NEE) è diminuito quasi dovunque, anche se in modo meno accentuato negli ecosistemi mediterranei a causa di una riduzione della respirazione particolarmente forte. Questi risultati, integrati con i dati di radiazione solare assorbita dalle piante (misurati da satellite) e di produttività agricola (provenienti dagli inventari nazionali), sono stati inseriti un modello di simulazione per stimare le variazioni di produttività primaria nel corso del 2003 a livello di intero continente. Da tale analisi è emerso che, con un calo del 30% della GPP (principalmente causato alla siccità ed in misura secondaria dalle alte temperature), il 2003 è stato l’anno meno produttivo dell’ultimo secolo in Europa. Una diminuzione così forte della produttività primaria ha provocato, a livello annuale, un anomalo rilascio netto di CO2 verso l’atmosfera, pari a quattro anni di accumulo netto medio. Inoltre, sottolineano gli autori, questa è solo un’analisi parziale: è infatti probabile che altri effetti si manifestino negli anni successivi all’evento climatico estremo, e che quindi solo tra qualche anno si potrà avere un quadro completo. Comunque, per quanto parziale, quest’analisi indica chiaramente che eventi climatici estremi come quelli del 2003 sono capaci di alterare per lunghi periodi il bilancio del carbonio di un intero continente.
A ulteriore conferma dei catastrofici effetti provocati dall’ondata di caldo e siccità del 2003, Schiermeier ([5]) riporta che, nella stessa estate, gli incendi in Siberia hanno bruciato 22 milioni di ettari. E` stato stimato che questi incendi, gran parte a carico della foresta boreale, abbiano rilasciato 250 milioni di tonnellate di carbonio nell’atmosfera, più o meno pari alla quantità di emissioni che i Paesi industrializzati aderenti al Protocollo di Kyoto dovrebbero ridurre ogni anno tra il 2008 ed il 2012 rispetto ai valori del 1990.
In conclusione, le ricerche qui sintetizzate sembrano suggerire che, nel complesso quadro di relazioni tra uomo, ecosistemi e cambiamenti climatici, nel prossimo futuro potrebbe ridimensionarsi il ruolo delle foreste naturali come ’alleate’ dell’uomo nella lotta ai cambiamenti climatici. Non solo l’auspicato effetto fertilizzante della CO2 potrebbe risultare nullo, ma le foreste potrebbero diventare ’vittime’ degli eventi climatici estremi e, nel giro di pochi decenni, addirittura ’complici’ del surriscaldamento del pianeta. Starà alla ricerca futura delineare con maggiore chiarezza dove e quando questi diversi ruoli prevarranno.
References
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