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Vegetation dynamics in Vallombrosa forest (Tuscan Apennine) after the suspension of silvicultural practices

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 63-71 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0339-0030063
Published: Mar 17, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Research Articles

Guest Editors: 5° SISEF Congress (Grugliasco, TO - 2005)
« Forests and Society - Changes, Conflicts, Sinergies »
Collection/Special Issue: E. Lingua, R. Marzano, G. Minotta, R. Motta, A. Nosenzo, G. Bovio

Abstract

The present study aims to highlight the successional patterns of forest stands showing a simplified structure and in which the silvicultural practices have been neglected along. Surveys were carried out in the Tuscan Apennine stands of Vallombrosa (3 pure silver fir stands, 1 pure chestnut old coppice, 1 pure douglas fir stand and 1 mixed silver fir-Norway spruce stand), where records on the stand dynamics of the last forty years are available (1966, 1987, 2004). The changes in structure are synthetically expressed by means of indexes (regeneration index, both structural and floristic diversity indexes). In three areas the growth pattern of silver fir regeneration was studied: the dendrochronological analysis showed different growth rates according to the different canopy cover degree. As for management aspects, according to the results of the present research, is emphasised that the canopy reduction is the prerequisite for a silviculture style aiming to enhance the system diversity. Gradual openings of the canopy, as the ones following selection or shelterwood systems, basing on long regeneration time span, are suitable to enhance the re-naturalisation both of silver fir stands (e.g., increasing the amount of broadleaves in the understory) and chestnut old coppices (e.g., favouring the coming of silver fir in the understory). Because the undisturbed conifer stands dynamics following the abandonment of forestry practice results very often uncertain as trend and direction, it appears important to follow up the process by mean of close-to-nature silviculture interventions. In this sense, the paper finally outlines the necessity to face the interactions between forest regeneration and wild ungulate populations, which currently represents one of the most dramatic problems of sustainable management.

Keywords

Abete Bianco, Dinamiche Strutturali, Selvicoltura, Biodiversità

Premessa 

Gli studi sulla rinnovazione naturale dell’abete bianco nella foresta di Vallombrosa iniziarono a metà degli anni ’60 ([11]), e interessarono abetine pure e miste, ma anche boschi puri di faggio, castagno, douglasia, abete rosso e pino nero. Furono evidenziate relazioni fra aspetti strutturali dei soprassuoli (in particolare il grado di copertura) e presenza di novellame, sia di abete bianco sia di latifoglie arboree: l’importanza di tali relazioni è legata al fatto che lo studio delle dinamiche evolutive, con particolare riguardo alle modifiche strutturali dei popolamenti, è il punto di partenza di una selvicoltura su basi naturali ([16]).

A distanza di oltre venti anni, all’interno delle medesime aree, fu eseguita una seconda serie di indagini ([10]). Lo studio permise di evidenziare in quali casi il novellame delle varie specie tendesse all’affermazione e dove, al contrario, fossero in atto fenomeni indesiderabili sotto il profilo selvicolturale, come le invasioni di vegetazione nitrofila o il deperimento di piante aduggiate.

Nel 2004, nelle aree “storiche” è stata effettuata una terza serie di rilievi, in modo da estendere a quasi quarant’anni l’arco di tempo delle osservazioni sui processi successionali. Il presente lavoro, in particolare, interessa sei aree sperimentali, quelle ritenute più interessanti sotto il profilo evolutivo.

Lo studio è stato completato da una indagine dendrocronologica sul novellame di abete bianco, in modo da valutare i ritmi di accrescimento longitudinale della conifera nelle fasi critiche del processo di rinnovazione, cioè insediamento e affermazione.

L’ambiente 

La Riserva Biogenetica di Vallombrosa è ubicata nel versante NO della catena montuosa che si dirama dall’Appennino settentrionale in prossimità del Monte Falterona, procedendo prima verso S e poi verso SE, dando luogo al massiccio montuoso del Pratomagno. L’acclività dei versanti di tutta la foresta è per lo più rilevante, per quanto siano presenti zone relativamente pianeggianti. Il substrato è rappresentato da sedimenti della serie del Macigno del Chianti, da cui derivano suoli riferibili alla categoria dei suoli bruni acidi delle vecchie classificazioni ([7]) e a 4 diverse famiglie di Inceptisuoli ([23]), caratterizzati da spessi orizzonti organico-minerali A e humus riferibili ai Mull acidi, con elevata attività biologica.

I dati rilevati nella stazione termopluviometrica di Vallombrosa nel periodo 1960-2002 indicano che la temperatura media annua è 9 °C, la media dei minimi del mese più freddo 1.2 °C, l’escursione termica annua 16.6 °C, le precipitazioni medie annue 1276 mm, di cui 190 cadono in estate (regime con minimo estivo, senza che tuttavia si registri aridità, almeno considerando i valori medi periodici). La neve cade spesso, ma il manto nevoso non persiste a lungo.

Indicativamente, la foresta di Vallombrosa rientra nella zona fitoclimatica del Castanetum di Pavari per l’area al di sotto di 1000 m, e in quella del Fagetum per quella al di sopra di tale limite: le aree di studio rientrano in una fascia a cavallo fra la sottozona fredda del Castanetum e quella calda del Fagetum. La fascia di vegetazione corrisponde al piano montano, orizzonte inferiore delle faggete e delle abetine eutrofiche della classificazione di Arrigoni ([1]). In particolare, lo studio è stato condotto nella fascia delle abetine di abete bianco (abetine montane di origine artificiale, secondo la tipologia di [14]), che in conseguenza della sospensione delle pratiche selvicolturali degli ultimi venticinque anni, registrano fenomeni di successione secondaria (ingresso di latifoglie fra cui si registrano con maggiore frequenza faggio, castagno, acero di monte, tiglio platifillo - nelle aperture originate dalla caduta accidentale di alberi senescenti, per lo più colpiti da Heterobasidion annosum).

Materiali e metodi 

Le aree studiate, localizzate a quote comprese fra 930 e 1000 m s. m., sono state ricavate in tre abetine pure (particelle 470, 89, 461 e: A1, A2, A3 - vedi Piano di Assestamento della foresta di Vallombrosa: [19]), una abetina mista a picea (particella 87: A4), un ceduo invecchiato di castagno (particella 141: A5) e una fustaia di douglasia (particella 90: A6). Le principali caratteristiche delle aree sono riassunte in Tab. 1.

Tab. 1 - Principali caratteri stazionali e dendrometrici delle aree indagate (G/ha = area basimetrica ad ettaro, n°/ha = numero di piante ad ettaro; Hd = altezza dominante).

Area Tipo di soprassuolo Età
(anni)
Quota
(m. s.l.m.)
Esposizione Pendenza
(%)

/ha
G
(m2 /ha)
Hd
(m)
A1 Abetina pura 84 930 N 44 820 79 39
A2 Abetina pura 123 1000 NE 11 570 70 39
A3 Abetina pura 119 950 N-NE 33 210 58 43
A4 Bosco misto abete-picea 123 900 NE 9 400 72 42
A5 Ceduo di castagno 69 925 N-NE 44 1060 43 26
A6 Bosco puro di douglasia 89 1000 E-NE 40 320 76 50

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In ciascuna area è stata eseguita la descrizione stazionale; poi, in prossimità della zona in cui sono state condotte le indagini precedenti (le ubicazioni dei transect eseguiti nelle tre date non coincidono), è stato tracciato un transect di dimensioni variabili fra 500 (50x10 m) e 1000 m2 (50x20 m), in relazione alle caratteristiche strutturali del soprassuolo. In ciascuna area, per ogni pianta legnosa sono stati rilevati: specie, altezza totale, diametro a 1.30 m (solo per piante più alte di 5 m).

I dati di ciascun transect sono stati elaborati con appositi indici:

  1. Indice di Shannon (H), espressivo del livello di diversità di ciascun popolamento, calcolato sia per tutti gli individui legnosi (Ht), sia limitatamente a quelli di altezza inferiore a 5 m (Hr).
  2. Numero di diversità di Hill (N1, espressivo del numero di piante fra cui è ripartita la diversità espressa da Ht e Hr, rispettivamente N1t e N1r);
  3. Indice di Pielou (J, espressivo della omogeneità di distribuzione del valore di H fra le specie);
  4. Indice di Pretzch ([20]) (A, espressivo della diversità strutturale), calcolato sul numero di piante di altezza superiore a 3 m;
  5. Indice di rinnovazione ([11]), prodotto della densità (riferita a m2) del novellame per la sua altezza media (in cm), calcolato per le piante di altezza inferiore a 3 m (piano di rinnovazione - limite stabilito per permettere il confronto con i dati relativi alle ricerche precedenti): si è distinto un valore globale (Irt) da quelli riferiti all’abete bianco (Ira) e alle latifoglie (Irl).

Si sono quindi studiate correlazioni fra i vari indici utilizzati. Oltre ai parametri strutturali dei soprassuoli e del novellame, è stato studiato il ritmo di accrescimento longitudinale della rinnovazione di abete bianco. I rilievi sono stati condotti in tre aree (A2, A4 e A5) in cui la conifera si è affermata in maniera particolarmente evidente e non presenta danni da parte di animali. In ogni area sono state abbattute 30 piante di altezza compresa fra 0.5 e 5 m, campionate in maniera casuale all’interno dei nuclei di rinnovazione. Di ciascuna pianta è stata rilevata l’altezza totale, dopodiché si è proceduto al sezionamento in rotelle ad altezze diverse (alla base, a 0, 5 m, a 1 e 1.5 m); i campioni sono stati analizzati nel laboratorio di dendrocronologia (dendrocronografo ANIOL - Catras 1990) del DISTAF dell’Università di Firenze.

Successivamente è stata determinata l’età di ciascuna piantina (numero di anelli sulla rotella alla base) e il tempo di passaggio (Tp), ovvero il numero di anni necessario per crescere di 0.5 m in altezza (ottenuto per differenza fra il numero di anelli di due rotelle successive).

Per il carattere Tp sono stati eseguiti analisi della varianza (ANOVA) e test di Duncan, mettendo a confronto aree (A2, A4 e A5) e intervalli di altezza (I1 = da 0 a 0.5 m; I2 = da 0.5 a 1 m; I3 = da 1 a 1.5 m). Anche il “numero medio di anni necessario per raggiungere il primo mezzo metro di altezza” (Tp1) è stato sottoposto agli stessi test, considerando come fonti di variazione, oltre alle aree, le classi di altezza del novellame (H1 = piante di altezza inferiore a 1.5m; H2 = piante di altezza compresa fra 1.5 e 3m; H3 = piante di altezza superiore a 3m).

Risultati 

Si esaminano, area per area, i dati relativi al processo successionale nel corso del tempo (Tab. 2).

Tab. 2 - Indici di diversità e indice di rinnovazione del novellame di abete bianco e latifoglie (per i simboli si rimanda ai Materiali e Metodi).

ADS Ht N1t J Hr N1r A
A1 1.2 3.2 0.2 1.3 3.7 0.9
A2 0.5 1.7 0.1 0.3 1.3 1.0
A3 1.2 3.3 0.3 0.9 2.4 1.4
A4 1.0 2.7 0.2 0.9 2.4 2.8
A5 0.5 1.6 0.1 0.0 1.1 1.6
A6 0.3 1.3 0.0 0.2 1.2 0.7
-
Rilievo A1 A2 A3
anno Irt Ira Irl Irt Ira Irl Irt Ira Irl
1966 31 9 22 232 104 128 0 0 0
1988 115 0 115 295 143 152 0 0 0
2004 4 2 2 110 104 6 1 0 1
-
Rilievo A4 A5 A6
anno Irt Ira Irl Irt Ira Irl Irt Ira Irl
1966 44 44 0 315 167 148 n.d. n.d. n.d.
1988 168 168 0 151 146 5 574 572 2
2004 38 32 7 36 36 0 226 220 6

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A1. L’area include una lacuna ampia circa 150 m2, originatasi oltre 50 anni fa in seguito ad attacchi di marciume radicale, nella qualle già nel 1966 fu segnalata una abbondante diffusione di novellame di olmo montano, tiglio, acero riccio e acero di monte. Irl è fortemente cresciuto nel periodo 1966-1988, in parallelo con la prosecuzione del processo di insediamento e affermazione delle latifoglie. I dati del 2004 evidenziano che Irl (che cala da 115 a 2) subisce un vistoso regresso. Le ragioni sono in parte legate al passaggio delle latifoglie dal piano di rinnovazione ai piani superiori ma soprattutto alla mortalità imputabile a danni da daino: i danni, che si manifestano a carico di tutte le latifoglie, sono il risultato di sfregamenti alla base degli individui più grandi, oltre che di asportazione di branche e di parte del fusto di piante del piano di rinnovazione. Le latifoglie presentano inoltre un portamento “filato”, espressivo di carenze luminose. In quest’area si registrano i più alti valori di N1 e di J di specie legnose, sia per lo strato inferiore che per quello superiore a 3 m.

A2. In questa abetina, rispetto ad A1 le aperture (legate a crolli di singoli individui affetti da marciume radicale) sono più frequenti e più piccole (< 100 m2): ne risulta un mosaico in cui si alternano tratti a copertura più o meno densa a tratti scoperti (grande ricchezza di margini). Nel 1966 fu segnalata abbondante e promettente rinnovazione di abete bianco, accompagnata da insediamento di latifoglie. Il valore di Irt, cresciuto nel periodo 1966-1988, è attualmente calato. Il novellame di abete bianco ha fatto registrare una crescita progressiva dell’altezza media e una riduzione di densità, secondo l’andamento atteso durante un processo di affermazione della rinnovazione. Il novellame manifesta oggi i sintomi del prolungato (oltre quarant’anni) aduggiamento: cimale mal conformato o, a volte, addirittura biforcato, formazione del nido di cicogna, ingiallimenti degli aghi. Ancora più evidente è la progressiva diminuzione di Irl da 128 a 152 a 5, per lo più a causa del passaggio delle latifoglie dal piano di rinnovazione ai piani superiori. In quest’area si registra il più alto valore di Irt (imputabile quasi esclusivamente al novellame di abete bianco), e i più bassi valori di N1 e J (calcolati sulle frequenze di individui) di specie legnose, sia per lo strato inferiore che per quello superiore a 3 m.

A3. In questa abetina, negli anni ’60 si aprì una ampia radura, causata dal crollo di abeti colpiti da marciume radicale e subito invasa da vegetazione nitrofila. La situazione è oggi pressoché identica a quella del 1964 e del 1988. La rinnovazione di abete bianco è assente sia all’interno del bosco, molto denso (fa eccezione qualche stentato semenzale di pochi anni di età), sia nella radura, tuttora coperta da vegetazione nitrofila.

A4. Il soprassuolo presenta densità disforme (con tratti a copertura quasi colma alternati ad aperture ampie fino a 200 m2), in conseguenza sia di tagli “a orlo” eseguiti negli anni ’60 e ’70, sia di attacchi di marciume radicale. È presente un piano di rinnovazione affermato di latifoglie (cerro, faggio, castagno, acero di monte). Il confronto con i dati storici risulta problematico. Infatti i valori di Ir rilevati nel 2004 sono medie riferite a tutta l’area (Ira = 32), mentre quelli del 1966 e del 1988 riguardano il margine di una buca, e per questo motivo sono molto più elevati. Rispetto al 1988 si registra un incremento di altezza media del novellame di abete (da 76.6 a 124.2 cm). Sul margine la rinnovazione di abete, associata a cerro e castagno, è vigorosa e in via di affermazione, mentre all’interno della buca, allargatasi ulteriormente per il crollo di altre piante, la situazione è analoga quella del passato: la rinnovazione è limitata a qualche pianta di sambuco e di acero di monte.

A5. Si tratta di un ceduo (ex-castagneto da frutto) avviato a fustaia nel 1935 e da allora non più utilizzato. L’attuale fisionomia è quella di una giovane fustaia a densità colma (anche se la copertura è spesso interrotta da disseccamenti delle chiome causati da cancro corticale e mal dell’inchiostro), con un piano inferiore di abete bianco, le cui piante presentano altezza variabile fra 0.50 e 19 m. Già nel 1965 era stato segnalato un vistoso insediamento della conifera (Ira = 167). Nel 1988 si registrava una sensibile diminuzione della densità ma allo stesso tempo un aumento dell’altezza media, capace di compensare il valore di Ir, che si manteneva alto (146). Le piante (salvo quelle presenti nel piano intermedio) presentavano condizioni vegetative problematiche, a causa del lungo ombreggiamento subito. Solo dove la copertura era stata interrotta da attacchi parassitari, vegetavano gruppi di abete più promettenti. Sotto la copertura del ceduo invecchiato, l’abete bianco col passare degli anni è rimasta l’unica specie in grado di sopravvivere (nel 1966, nel piano di rinnovazione era abbastanza diffuso il castagno, che nel 1988 si era rarefatto e che oggi è quasi assente). Oggi, per l’abete, si registra una ulteriore diminuzione della densità (0.46 piante/m2) e un ulteriore aumento dell’altezza media (367.5 cm). Il basso valore di Ira (36) riportato in Tab. 2 è in realtà riferito solo a piante con altezza inferiore a 3 m: molte piante sono oggi passate a classi di altezza superiori, che non vengono conteggiate nell’indice. Altre piante, invece, in seguito al perdurare di condizioni di grave aduggiamento, sono morte. Non si segnalano piantine di abete bianco nate negli ultimi anni.

Gli accrescimenti e lo stato vegetativo indicano una marcata differenza tra le piante presenti nel piano inferiore (nido di cicogna presente in individui di 3-6 m, accrescimenti longitudinali degli ultimi 5 anni limitatissimi, frequenza di fusti policormici o molto contorti), in cui si registrano anche piante di 50-70 anni, e in quello intermedio (portamento piramidale, accrescimenti sostenuti).

A6. La struttura della douglasieta è tendenzialmente biplana con un piano superiore rado. Nel piano inferiore sono diffuse sia latifoglie (faggio e castagno, spesso affermati, prevalgono sui margini del popolamento) sia abete bianco e douglasia (nella parte più interna del popolamento). Nel 1988 la densità del novellame delle due conifere era elevatissima, con più di 25 piante/m2, mentre l’altezza media era 21 cm. L’ultimo rilievo ha messo in luce una forte diminuzione della densità associata a un aumento significativo di altezza media (75.6 cm). Il valore Irt, pur mantenendosi alto, è calato nettamente (da 574.2 a 226.1). L’incremento longitudinale medio delle piante di abete, che nel 1988 era di 3.61 cm, è aumentato a 4.88 cm: ciò testimonia la presenza di condizioni di luce sufficienti per un corretto sviluppo e l’affermazione del novellame.

Analisi delle correlazioni

La ricerca ha evidenziato l’esistenza di una correlazione inversa e molto significativa di Irt con J (r = -0.90, p < 0.01) e di Ira con H e J (rispettivamente r = - 0.8, p < 0.05 e r = - 0.9, p < 0.01). Infatti, le tre aree con un più alto Irt (A2, A5, A6) registrano anche i più bassi indici di diversità. Esiste anche una correlazione inversa di Irt con Hr (r = - 0.71, p < 0.05) e Ht (r = -0.83, p < 0.01), e di Ira con Hr (r = -0.81, p < 0.05). I risultati indicano cioè che le varie specie arboree tendono a rinnovarsi con maggiore frequenza e abbondanza sotto la copertura di soprassuoli monospecifici.

Indagini dendrocronologiche

I risultati delle analisi dendrocronologiche mettono in luce che:

  1. L’età media della rinnovazione (Tab. 3) è significativamente (p < 0.01) più alta in A5 (media 50 anni, minimo 37, massimo 72, S.D. 8.8) e più bassa in A4 (media 29 anni, minimo 17, massimo 62, S.D. 9.2) con A2 che si colloca in posizione intermedia (media 44 anni, min. 22, max. 68, S.D. 10.7).
  2. Tab. 3 - Valori medi e test dell’ANOVA riferiti all’età media della rinnovazione di abete bianco: confronto fra aree.

    Aree Età media

    (anni)
    ANOVA
    Variabile: età media della rinnovazione
    Origine gdl Varianza F Prob
    A4 29 Fra aree 2 3597.633 38.868 P<0.01
    A2 44 Errore 87 92.560 - -
    A5 50 - - - - -

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  3. È emersa una correlazione positiva (r = 0.62, 0.57 e 0.61 rispettivamente in A2, A4 e A5) e molto significativa (p < 0.01) fra età della rinnovazione ed altezza: le piante più alte sono tendenzialmente le più vecchie.
  4. Il tempo di passaggio medio (Tab. 4) è significativamente (p < 0.01) più basso in A4 (7 anni) rispetto alle altre due aree (10 anni).
  5. Tab. 4 - Valori medi, test dell’ANOVA e di Duncan riferiti a Tp medio: confronto fra aree indagate (A), intervallo di altezza (I) e interazione Area x Intervallo

    ANOVA
    Variabile: Tp medio
    Origine gdl Varianza F note
    Fra Aree 2 134.206 5.230 P<0.01
    Fra Intervalli 2 1368.467 53.331 P<0.01
    Interazione 4 82.426 3.212 P<0.02
    Errore 188 25.660
    -
    -
    Test di DUNCAN - Origine TP medio
    (anni)
    Gruppi
    omogenei
    Aree A2 10 a
    A5 10 a
    A4 7 b
    Intervalli I1 14 a
    I2 7 b
    I3 6 b
    Interazione A4 ~ I3 3 a
    A4 ~ I2 4 a
    A2 ~ I3 6 ab
    A5 ~ I2 8 b
    A5 ~ I3 9 b
    A2 ~ I2 10 b
    A5 ~ I1 13 c
    A4 ~ I1 15 c
    A2 ~ I1 15 c

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  6. Il Tp medio (Tab. 4) è significativamente superiore (più del doppio rispetto agli altri) nel primo mezzo metro di altezza (I1, circa 14 anni), mentre scende a 6-7 anni nei successivi intervalli (I2, I3). L’interazione significativa area x intervallo mette in luce che, indipendentemente dall’area, I1 fa registrare un valore medio nettamente più elevato, separandosi significativamente dagli altri. Il tempo di passaggio negli intervalli successivi può variare in base all’area di studio, manifestando una certa tendenza a decrescere con l’aumentare dell’altezza della pianta (I3 > I2). Esso è mediamente più breve al margine della buca dell’abetina mista (A4).
  7. Confrontando le diverse classi di altezza rispetto a Tp1 non emergono differenze significative fra aree, classi di altezza e relativa interazione. Quindi, a prescindere dalle dimensioni attuali degli individui, per raggiungere 50 cm di altezza questi hanno impiegato mediamente lo stesso numero di anni (14 circa).

Le caratteristiche dell’area (soprattutto il grado di copertura) influiscono sull’accrescimento del novellame e sul tempo di passaggio dopo che le piantine hanno raggiunto 0.5 m di altezza, valore che il novellame di abete raggiunge mediamente in 13 - 15 anni, indipendentemente dal grado di copertura.

Discussione 

L’ingresso di latifoglie sotto la copertura dell’abete bianco, fenomeno segnalato già a partire dalla metà degli anni ’60 ([11]) e progredito fino al 1988, appare, secondo i casi, stabile o in regresso.

In causa possono essere chiamati due fattori: in parte la disponibilità di luce non più sufficiente a sostenere le esigenze delle latifoglie, che nel frattempo si sono accresciute, in parte i danni da ungulati selvatici. Il forte rallentamento del processo evolutivo deve far riflettere sulle prospettive della selvicoltura su basi naturalistiche, che non può essere ipotizzata senza affrontare il problema degli ungulati selvatici ([21], [15], [3]). Tali danni sono assai meno frequenti nelle aree situate nella parte interna della foresta, rispetto a quelle localizzate ai margini di questa, in prossimità di un grande prato, fattore favorevole a un aumento del carico locale e dunque anche ai danni provocati al novellame di specie arboree nei boschi adiacenti ([5]).

Anche per quanto riguarda l’insediamento dell’abete sotto la copertura del ceduo di castagno, le condizioni di copertura arborea che hanno determinato il processo successionale quarant’anni fa si sono modificate, e allo stesso tempo sono cresciute le esigenze luminose dei semenzali. Ne consegue che solo le piante che hanno raggiunto il piano intermedio sono in discrete condizioni vegetative, anche se, per una loro completa affermazione, l’attuale grado di copertura è eccessivo.

Appare invece stabile, nel tempo, la situazione in condizioni estreme di copertura arborea. Infatti, sia nell’ampia radura invasa dalla flora nitrofila, sia sotto la densa copertura all’interno dell’abetina, a distanza di quarant’anni non si ha traccia di rinnovazione di specie arboree. La concorrenza della vegetazione erbaceo-arbustiva e l’elevato grado di copertura dei soprassuoli rappresentano notoriamente i principali ostacoli alla rinnovazione dell’abete bianco ([11], [18]).

I soprassuoli di douglasia sottoposti negli anni a razionali diradamenti, e con piano delle chiome posto in alto, permettono alla luce di penetrare sotto le chiome: ciò facilita la diffusione di novellame di latifoglie e abete bianco all’interno dei popolamenti, oltre alla rinnovazione della stessa douglasia, fenomeno frequente in condizioni di scarsa densità dei soprassuoli ([4]).

Quale selvicoltura può essere proposta nelle varie situazioni esaminate?

L’attuale tendenza selvicolturale nelle monocolture di conifere di origine artificiale è quella di favorire l’ingresso delle latifoglie, al fine di incrementare la diversità strutturale e specifica dei soprassuoli ([24], [22], [2]). In questo studio, l’impatto delle forme di trattamento sulla rinnovazione è stato valutato indirettamente, osservando il dinamismo spontaneo dei soprassuoli lasciati alla evoluzione di post-selvicoltura. Tale dinamismo può rappresentare lo spunto per una selvicoltura finalizzata a incrementare la diversità globale. Sebbene il bosco misto a struttura multiplana non sempre esprima condizioni di naturalità ([9], [6], [17]), in molti casi, nella fascia medio-montana e nei terreni più evoluti, quella che oggi viene chiamata gestione forestale sostenibile spesso mira proprio all’incoraggiamento della diversità strutturale dei sistemi.

Si consideri l’abetina in cui è stata ricavata A2. La caduta accidentale di singoli alberi determina, nel tempo, una interruzione graduale e continua della copertura arborea: si crea così un insieme di piccole buche, quindi di margini, dove si osserva insediamento di latifoglie e rinnovazione di abete. Il dinamismo strutturale del soprassuolo in questione può essere favorito, in termini di trattamento selvicolturale, con dei “tagli di liberazione”, ovvero interventi mirati a ridurre la copertura del soprassuolo adulto per favorire l’accrescimento del novellame insediato in seguito al processo successionale. Anche in A4, il graduale allargamento della buca potrebbe favorire l’espansione dei gruppi di rinnovazione.

Per quanto riguarda A1, per favorire l’ingresso delle latifoglie, basta prendere spunto da quanto avvenne negli anni ’60, quando si verificò un incoraggiante insediamento di acero di monte, olmo e tiglio. Le interruzioni della copertura erano legate alla caduta di più piante adiacenti, peraltro di grosse dimensioni. La simulazione, con mezzi selvicolturali, di tale modello di interruzione della copertura è riconducibile al taglio a piccole (200-500 m2) buche ([13], [12]).

Nel castagneto, l’intervento dovrebbe essere finalizzato a liberare gradualmente il novellame di abete dalla copertura dei castagni, confidando nella notevole capacità di ripresa della conifera. Infatti le condizioni stazionali di A5 (quota 925 m s.l.m. ed esposizione N-NE), permetterebbero all’eventuale popolamento di abete di svilupparsi in condizioni favorevoli. Il soprassuolo, col tempo, dovrebbe indirizzarsi verso strutture, almeno inizialmente, irregolari.

In ogni caso, i trattamenti selvicolturali che si basano sulla progressiva affermazione di nuclei di rinnovazione non devono prescindere dalle caratteristiche del novellame. L’abbondante rinnovazione naturale di abete osservata in A2 manifesta oggi sintomi di sofferenza indotti dal prolungato aduggiamento: la qualità delle piante del piano di rinnovazione risulta decisamente scadente. Ciò deve far riflettere sul fatto che una selvicoltura che voglia assecondare le dinamiche evolutive di un sistema deve essere puntuale e basarsi su interventi localizzati, tempestivi e di intensità pari alla capacità di affermazione dei piani inferiori.

Gli interventi da applicare nelle ampie radure di soprassuoli stramaturi, invase da vegetazione nitrofila (A3), dovrebbero essere invece finalizzati alla eliminazione del vecchio soprassuolo e al ricorso alla rinnovazione artificiale.

Per quanto riguarda le indagini dendrocronologiche, lo studio ha evidenziato un risultato di importante valore applicativo. L’abete bianco, in virtù della sua tolleranza per l’ombra, riesce a insediarsi e ad affermarsi in situazioni in cui i livelli radiativi sono insufficienti per altre specie, erbacee o legnose ([11]): d’altro canto, questa capacità adattativa comporta un lento accrescimento. La conseguenza è che il novellame impiega mediamente 14 anni per raggiungere dimensioni paragonabili a quelle dei trapianti usualmente impiegati per la rinnovazione artificiale (le dimensioni dei trapianti di 5 anni abete bianco variano da 15 a 60 cm - norme CEE, in [8]). È a partire da questa età (o da queste dimensioni) che il grado di copertura acquista peso per l’accrescimento delle piante. In ultima analisi, dato il lungo periodo di attesa, è evidente la difficoltà selvicolturale per ottenere una abbondante rinnovazione naturale dell’abete, come testimoniano anche sperimentazioni recentemente condotte in territori limitrofi alla zona da noi studiata ([13]).

Conclusioni 

Quello che emerge in questi decenni di studio è che, a dispetto delle specificità delle situazioni esaminate (caratteristiche strutturali dei soprassuoli; parametri del piano di rinnovazione come densità, altezza media e diversità; storia selvicolturale dei boschi), non è accettabile un abbandono di soprassuoli semplificati alla propria evoluzione. Se, in un’abetina, l’interruzione della copertura arborea determinata dalla caduta delle piante per cause accidentali è sufficiente a innescare l’ingresso delle latifoglie, per l’affermazione del novellame è necessario intervenire con mezzi selvicolturali. In alternativa, l’evoluzione “naturale” dei soprassuoli avverrebbe secondo tempi e modalità indesiderabili (crolli più o meno estesi dei soprassuoli, fasi dominate da vegetazione erbaceo-arbustiva in grado di inibire la rinnovazione di specie arboree, ecc.).

Una selvicoltura sostenibile, che voglia incrementare la diversità dei sistemi forestali del piano montano accrescendone la stabilità, non può limitarsi a schemi semplificati di intervento, ma deve basarsi sull’alleggerimento della copertura arborea, attorno a gruppi di rinnovazione più o meno estesi, oppure anche in corrispondenza di suolo privo di vegetazione, ma a condizione che le aperture siano dimensionate alla situazione stazionale ed evolutiva. In ogni caso il controllo dell’azione della fauna ungulata gioca un ruolo determinante ai fini della gestione forestale.

Ringraziamenti 

Gli Autori sono grati a Gianna Giovannoni per la preziosa collaborazione nelle indagini di laboratorio.

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