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An evaluation model of protective function in forest management planning: slope stability in regard to shallow landslide events

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 98-155 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0349-0030098
Published: Mar 17, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Research Articles

Guest Editors: RI.SELV.ITALIA - MiPAF Project
« Shared Research Program on Silviculture in Italy »
Collection/Special Issue: Massimo Bianchi

Abstract

The evaluation of forest protective function has been divided into four main branches according to the different types of instability phenomena (landslide events, erosion, floods, avalanches). This paper presents the first module related to landslide events and will be followed by others. Two opposing factors have been considered: instability tendency of a selected land unit and protective function of the vegetation. While the first factor tends to promote landslide events, the second one opposes their occurrence. An expert evaluation of these aspects allows us to derive some qualitative indexes. For each territorial unit, these indexes express the protection value of vegetation, the degree of management restrictions and suitable improvements to the forest cover. Both propension and protective functional character are influenced by many and different parameters which require multidisciplinary competences to correctly evaluate them. Such skills are not easily found in technicians in charge of forest management. The present paper aims to provide a decision making support tool; based on neural network models, it should be able to interpret and simulate the expert knowledge, extending to the “standard” forest technician the opportunity to perform such a kind of evaluation. The neural network training required the identification and characterization of explanatory variables related to both aspects, and the subsequent expert definition of the respective datasets of real classification examples. The descriptive variables were chosen considering the information availability and its compatibility with GIS techniques as well. Model performances have been validated by testing the whole procedure in two sites situated in Antrona valley (Piemonte) and Acqualagna (Marche). The results are discussed in detail and put in evidence a good accordance with both field survey and general conceptual assumptions. Future developments will involve similar analysis and modelling applied to other instability categories. An overall index for the protective function of the forest cover will also be produced.

Keywords

Forest planning, Shallow landslides, Protective function, Neural network, GIS

Obiettivi e strategia metodologica 

Premessa

La visione sociale del ruolo delle risorse forestali nei paesi sviluppati è profondamente cambiata negli ultimi decenni e pone sempre più l’accento sulla necessità di una gestione delle foreste più orientata alla promozione e alla salvaguardia del loro ruolo ecologico-ambientale e turistico-ricreativo. I criteri e i metodi tradizionali della pianificazione forestale, ancora molto orientati all’analisi della funzione di produzione legnosa, sono entrati in profonda crisi e si è determinata una forte domanda di modelli di pianificazione alternativi e più aggiornati, anche per favorire un maggior consenso sociale attorno a nuovi, più completi e trasparenti indirizzi di gestione del patrimonio forestale.

La quantità e la complessità dell’informazione da raccogliere in sede d’inventariazione e descrizione delle aree forestali che tale esigenza determina non appare però sostenibile, in termini di costi e di specializzazione professionale richiesta, se affrontata a livello di singola proprietà assestata (qualche centinaio di ettari in media). Inoltre, per loro stessa natura le funzioni non materiali del bosco non possono essere percepite, descritte e valutate se non a livelli territoriali più ampi di quelli classici dei piani di assestamento forestale aziendale e prescindendo inoltre dalla distinzione tra proprietà forestale pubblica e privata.

Appare quindi necessario individuare indirizzi di ricerca tesi a mettere a punto metodi e criteri di analisi che, in via preliminare alla pianificazione aziendale e su media scala territoriale (10-50 mila ha), operino un inquadramento, una valutazione e una zonizzazione funzionale delle risorse forestali atti a coordinare e orientare unitariamente le realizzazioni assestamentali di dettaglio. Ciò al fine di evidenziare (in maniera il più possibile oggettiva e secondo criteri trasparenti e documentabili) le aree forestali ove un uso produttivo standard (in ogni caso eco-compatibile) delle risorse è attuabile, distinguendo tali aree da quelle ove tale libertà di orientamento colturale deve venire meno o comunque essere subordinata rispetto a prioritarie esigenze di tipo idrogeologico, di protezione degli habitat e della biodiversità, di promozione dell’uso turistico-ricreativo, del valore paesaggistico e culturale o da esigenze di conservazione del patrimonio faunistico-venatorio.

La domanda di ricerca messa in evidenza in precedenza investe però un ampio ambito di studi (quello della valutazione operativa delle funzioni non materiali del bosco ai fini della pianificazione forestale) che costituisce probabilmente il settore di ricerca più complesso e multivariato che la disciplina assestamentale abbia mai affrontato. Si tratta infatti di valutare valori e vocazioni che ruotano attorno a funzioni e ruoli che non possono essere espressi con le variabili di tipo quantitativo tradizionale (masse legnose, numero di soggetti arborei, valori economici) che hanno da sempre costituito i parametri di paragone e di valutazione dell’assestamento classico.

Obiettivi dello studio

Valutate le forze e le competenze delle unità di ricerca che, sulla base di tali indirizzi di studio, hanno manifestato la loro disponibilità ad essere coinvolte nel sottoprogetto e considerata l’assoluta priorità che la salvaguardia e il miglioramento della funzione idrogeologica del bosco ha sempre rivestito nel contesto della pianificazione forestale, si è deciso fin dall’inizio di circoscrivere lo studio alla valutazione operativa della funzione idrogeologica per mettere a punto un modello in grado di supportare e oggettivizzare il riconoscimento in pianificazione forestale di tale importante carattere e per poter orientare di conseguenza l’indirizzo colturale e gestionale dei soprassuoli arborei a seconda che siano o meno interessati da esigenze connesse alla necessità di protezione del suolo o di infrastrutture e insediamenti.

Tale finalizzazione del lavoro di ricerca, pur se in qualche modo obbligata rispetto alle competenze specifiche che “il manifesto” dello studio è riuscito, di fatto, a mobilitare, assecondava peraltro un netto orientamento della domanda di ricerca delle Regioni che andava nella specifica direzione dell’analisi della funzione idrogeologica, più che nei confronti di altre, pur importanti, funzioni non materiali del bosco.

Si deve oggettivamente prendere atto come, anche nelle realtà locali più evolute sotto il profilo della pianificazione forestale, la valutazione delle esigenze di indirizzo nell’azione selvicolturale e assestamentale nei confronti di priorità relative alla protezione del suolo, si realizza di fatto con processi sommari e non documentabili di attribuzione di vincoli privi della necessaria progressività e articolazione. Nell’ambito della pianificazione forestale, come è attualmente praticata in Italia, questo contesto valutativo è infatti praticamente affidato alla totale discrezionalità e soggettività del tecnico assestatore che opera senza supporto metodologico, con valutazioni sintetiche soggettive totalmente dipendenti dalla sua personale esperienza ed "equazione di stima". L’esito di tale valutazione ha peraltro importanti conseguenze sul piano della effettiva gestione delle aree forestali e si traduce quasi sempre in una rozza discriminazione binaria tra aree forestali a rischio idrogeologico (o "boschi di protezione") la cui gestione è poi completamente condizionata da tale classificazione e boschi ove l’orientamento colturale può invece perseguire altri obiettivi "funzionali" (ad esempio la produzione legnosa). Tale metodo di zonizzazione (se di metodo si può parlare) è quindi "operatore dipendente", totalmente privo di trasparenza (sia per la collettività che per il proprietario), di progressività e di riproducibilità in ambiente non esperto. Va anche considerato come tali circostanze non contribuiscano certo alla salvaguardia delle attività economiche legate alle risorse forestali, segnatamente in montagna, ove l’abbandono delle attività primarie e il conseguente abbandono e spopolamento rappresentano realtà quasi generalizzata.

È opportuno chiarire che, in questo studio, per valutazione operativa della funzione idrogeologica si intende la messa a punto di un processo automatico, congruente e documentabile, che supporti il tecnico forestale nella classificazione su livelli ordinali della capacità (e quindi del “valore”) del bosco nel contrastare la propensione intrinseca del territorio al dissesto idrogeologico.

Una corretta analisi teorica della valenza protettiva idrogeologica del bosco presuppone infatti un ampio ventaglio di conoscenze multidisciplinari che il semplice tecnico forestale non può esprimere compiutamente, ma che possono invece essere recepite nello studio di un sistema automatico di supporto che gli permetta, fornendo un complesso di informazioni limitato e circoscritto, di valutare la capacità protettiva idrogeologica del bosco senza l’ausilio di particolari conoscenze in settori specialistici, l’intervento delle quali si è “limitato” alla messa a punto del modello. L’esito classificatorio fornito dal modello propone quella che, naturalmente, andrà considerata soltanto una indicazione di supporto alla decisione definitiva; il tecnico sarà libero di interpretarla (integrarla, modificarla) alla luce della sua esperienza e della particolare situazione del contesto territoriale e socio-economico in cui opera.

Strategia metodologica

La modellizzazione della conoscenza esperta per mezzo di Reti Neurali Artificiali

Come sarà più dettagliatamente chiarito nel capitolo successivo, la realizzazione del modello si è avvalsa innanzitutto di uno studio teorico preliminare attuato tramite la combinazione di competenze specialistiche pluridisciplinari in campo geologico, geomorfologico, pedologico e forestale per individuare e caratterizzare una serie di parametri territoriali elementari presumibilmente correlati con i fenomeni in esame (propensione territoriale al dissesto, funzionalità protettiva del tipo di bosco). Tali parametri trovano espressioni varie che vanno da quella quantitativa ordinaria, a quella ordinale (es. basso, medio, elevato) a quella nominale (tipo A, tipo B, tipo C), secondo modalità espressive correlate alla facilità e al grado di definizione con il quale le variabili possono essere osservate e rilevate sul territorio, secondo criteri di economicità e idoneità alla loro rappresentazione e al loro trattamento automatico nell’ambito di Sistemi informativi geografici (GIS).

Successivamente, lo stesso gruppo di esperti ha provveduto a costruire casistiche “emblematiche” di possibili combinazioni delle modalità di tali parametri per associare a ciascuna combinazione una valutazione sintetica in termini di esito sul piano della classificazione in livelli ordinali della propensione al dissesto e della funzionalità protettiva della copertura vegetale per ogni caso specifico.

La costruzione di tale casistica è stata funzionale all’approccio innovativo di modellizzazione adottato in questo studio basato sull’impiego della teoria delle Reti Neurali Artificiali (ANN) per l’organizzazione, l’interpretazione e la generalizzazione della conoscenza esperta.

Infatti, nella valutazione di valori non materiali con espressioni finali che non possono andare oltre la valutazione sintetica su scala ordinale, i metodi di stima deterministica non possono essere impiegati. I sistemi a punteggio si rivelano spesso inadeguati per l’incapacità di cogliere comportamenti non lineari delle variabili influenti sul fenomeno da classificare e comunque per definirne oggettivamente il peso con il quale influiscono singolarmente sul fenomeno.

L’approccio mediante sistemi esperti (possibile e molto impiegato in casi simili) si scontra d’altra parte con la necessità di esplicitare e tradurre in rigorosi (e arbitrari) processi algebrici la conoscenza dell’esperto, che spesso trova grandi difficoltà a sezionare astrattamente in moduli “algoritmizzabili” la corretta sequenza del proprio processo valutativo.

Si è ritenuto che i modelli artificiali a logica neurale di interpretazione delle classificazioni soggettive fornite dagli esperti potessero invece rappresentare una interessante prospettiva metodologica rispetto all’obiettivo di questo studio. Si tratta infatti di modelli che non hanno bisogno di esplicitare e tradurre in algoritmi matematici la conoscenza degli esperti, ma devono disporre invece di esiti (o valutazioni/classificazioni sintetiche esperte) su un congruo numero di casi reali di realizzazione del fenomeno in esame. Essendo stato in precedenza individuato un set di variabili che presumibilmente l’esperto considera implicitamente nel formulare la sua valutazione (vedi sopra) e definite le modalità o i livelli di manifestazione di tali variabili in ogni singolo caso, la rete neurale "impara" sulla casistica fornitagli ad associare l’esito della classificazione ai rispettivi valori specifici delle variabili esplicative. In tal modo è poi in grado di produrre classificazioni congruenti (su nuovi casi per i quali non sia nota la classificazione esperta) sulla sola base dei valori manifestati dalle variabili esplicative in quella situazione specifica. Ciò può consentire di generalizzare la valutazione esperta al territorio qualora siano note in ogni sua parte le modalità assunte localmente dalle sole variabili esplicative. La rete neurale può quindi far emergere, interpretare matematicamente in modo automatico, rendere riproducibile e, in un certo senso, oggettivare la conoscenza esperta.

È forse opportuno sottolineare l’importanza e i vantaggi dell’approccio neurale nella modellizzazione della conoscenza esperta. Tale approccio non costringe gli esperti a tradurre in un “arbitrario” e complesso algoritmo (sistemi esperti) la propria conoscenza, ma “semplicemente” a concentrare la loro analisi su casistiche combinatorie delle variabili esplicative tali da investire le varie “regioni” di possibile esplicazione reale di tali variabili sul territorio, considerando (non esaustivamente ma, appunto, emblematicamente) sia situazioni favorevoli, che medie, che sfavorevoli dell’assetto territoriale e forestale. Rispetto a tali “esempi”, gli esperti hanno valutato l’esito (sul piano della propensione al dissesto e della funzionalità della copertura forestale a contrastarne gli effetti) in maniera sintetica, in base alla conoscenza (spesso di difficile esplicabilità) residente nella loro professionalità ed esperienza. Apprendendo da tale complesso di valutazioni esemplificative (fase di addestramento) la rete cerca di cogliere e tradurre in algoritmo il legame tra modalità delle variabili in input e la relativa valutazione esperta, pur in presenza (ineluttabile) di indicazioni esperte afflitte da un certo grado di sfocatezza e contraddittorietà (l’ineliminabile “rumore di fondo” di qualsiasi valutazione sintetica). Naturalmente, parte delle valutazioni fornite dagli esperti non vengono impiegate come casistica di addestramento della rete neurale, ma rimangono esclusivamente destinate a testare la sua capacità (ad addestramento ultimato, in fase di simulazione) di “generalizzare” e cioè di fornire valutazioni corrette (aderenti al comportamento esperto). Come si vedrà meglio nel paragrafo “Performance dei modelli”, tale fase di test ha confermato una capacità elevata dei modelli (in genere oltre il 90%) di fornire valutazioni aderenti a quelle degli esperti. Naturalmente ciò è possibile solo se le variabili in input (correlate alla valutazione) sono effettivamente quelle aventi elevata correlazione coi fenomeni esaminati e se l’esperto, pur sinteticamente, ne traduce l’influenza in esemplificazioni reali non contraddittorie, come si è finora dimostrato in questo studio.

Definizione dei fenomeni di dissesto, approccio criteriale propensione/funzionalità, indici derivati

Lo studio della capacità protettiva idrogeologica, viene realizzato in riferimento a tre distinti fenomeni di dissesto del territorio e ai relativi ambiti di analisi (Fig. 1):

Fig. 1 - Schematizzazione dell’impianto criteriale di analisi dei fenomeni di dissesto considerati.

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  • frane superficiali;
  • erosione superficiale del suolo e deflussi idrici;
  • valanghe.

La distinzione è necessaria in quanto ciascuna tipologia di dissesto è correlata a caratteristiche territoriali e vegetazionali che possono, almeno in parte, diversificarsi tra loro. Nonostante questo renda necessario operare analisi differenziate per ciascun fenomeno degradativo, l’obiettivo finale è comunque quello di riassumere tali analisi in una valutazione sintetica della valenza protettiva, anche se sono recentemente emerse alcune perplessità sulla effettiva capacità informativa che una valutazione di sintesi di questo tipo avrebbe sul piano dell’indirizzo gestionale della risorsa (vedi “Conclusioni e prospettive di prosecuzione”).

Le valutazioni parziali della vocazione protettiva delle risorse forestali rispetto a ciascuna tipologia di dissesto evidenziata vengono però fatte scaturire secondo un approccio metodologico standard che implica l’analisi e la modellizzazione di due contributi di valutazione distinti, identificati, da una parte, in quella che è stata chiamata propensione al dissesto (nativa del territorio rispetto al fenomeno considerato) e dall’altra nella funzionalità protettiva della copertura vegetale che sussiste sullo stesso territorio e che tende a contrastare la prima.

La combinazione delle valutazioni relative a questi due ambiti di considerazione, permette la stima del valore di protezione idrogeologica del bosco, quale valore-obiettivo di sintesi dei due ambiti di “contributi” citati.

Si è voluto poi far emergere in termini consequenziali anche una valutazione del grado di vincolo gestionale cui assoggettare le aree forestali, ossia del livello di condizionamento delle modalità gestionali dei soprassuoli imputabile alla necessità di contrastare il dissesto idrogeologico dei versanti, ma anche una ulteriore valutazione relativa al grado di opportunità degli interventi di miglioramento sulla copertura vegetale, sempre ai fini della protezione idrogeologica del territorio.

Un ulteriore valore descrittivo accessorio, sempre derivato dalla combinazione degli esiti classificatori di propensione e funzionalità, è stato individuato nel grado di equilibrio (tra propensione e funzionalità).

In tutti i casi si tratta di variabili descrittive in forma di indice che, a partire dalla valutazione fornita dalle reti neurali sulla propensione territoriale al dissesto e della rispettiva funzionalità protettiva del soprassuolo, analizzano e descrivono la situazione in termini di caratterizzazione descrittiva (valore di protezione, grado di equilibrio) ma anche ai fini di fornire indicazioni guida per la gestione (opportunità/priorità di intervento, grado di vincolo gestionale).

È bene sottolineare che mentre i valori di propensione e funzionalità emergono dalle reti neurali (opportunamente addestrate in precedenza) che, sulla base dei valori locali delle variabili esplicative, forniscono una indicazione ordinale del grado di esplicazione del fenomeno (nessuna o molto bassa, bassa, media, elevata, molto elevata), gli altri indici derivano da funzioni arbitrarie di combinazione dei primi due, ritenute idonee a esplicitare l’obiettivo informativo cui sono destinate.

Attualmente (fase finale della seconda annualità del progetto Ri.Selv.Italia), lo studio è stato per ora completato in riferimento al dissesto dovuto alle frane superficiali, ma l’impianto metodologico e criteriale di analisi ideato e messo a punto nel corso del primo anno di lavoro potrà essere positivamente riproposto per l’analisi degli altri fenomeni degradativi.

Modellizzazione della conoscenza esperta per mezzo di Reti Neurali Artificiali 

Prima di affrontare gli altri aspetti dello studio è forse opportuno approfondire alcuni concetti teorici generali sullo strumento matematico adottato per modellizzare la conoscenza esperta (nella valutazione della propensione al dissesto e della funzionalità della copertura vegetale) e cioè sulle Reti Neurali Artificiali (ANN). Data la vastità e la complessità dell’argomento, per una trattazione teorica approfondita si rinvia a Bishop ([6]) e Haykin ([33]). Per trattazioni sull’argomento con particolare riferimento al settore forestale si vedano i riferimenti bibliografici: [53], [54], [52], [55]. Una presentazione con finalità didattiche sulle ANN è reperibile on-line, alla pagina del sito Isafa: ⇒ http:/­/­www.isafa.it/­scientifica/­retineurali/­retineurali/­ricerca­_ISAFA­_file/­frame.htm

Le reti sono state concepite nel tentativo di imitare il processo di elaborazione proprio del cervello umano. Tale processo si distingue da quello dei computer elettronici convenzionali per la capacità di elaborare le informazioni in parallelo anziché in maniera sequenziale. Una conseguenza di tale circostanza è la capacità del cervello di organizzare i suoi componenti strutturali, i neuroni, in modo da eseguire alcuni tipi di compiti in maniera più rapida del più veloce computer digitale esistente attualmente. Per esempio, il riconoscimento di visi, voci e luoghi è un compito che chiunque riesce a portare a termine con relativa facilità, ma risulta essere compito estremamente arduo anche per l’elaboratore sequenziale più complesso. Questa straordinaria capacità del cervello è dovuta alla sua struttura e alla sua plasticità che gli permette, nel corso della sua vita, di attuare un continuo processo di adattamento all’ambiente circostante che comunemente viene chiamato “esperienza” ([33]).

Rispetto alle tecniche di analisi statistica tradizionale, la maggior parte delle quali richiedono importanti assunzioni e/o considerazioni teoriche (p.es. che la relazione tra una coppia di variabili sia lineare, o che una particolare variabile abbia una distribuzione di tipo normale), l’approccio neurale non necessita di questo tipo di assunzioni ed è particolarmente indicato per la modellizzazione di relazioni non-lineari complesse. Per contro, una volta ottenuta una rete neurale specializzata nella risoluzione di uno specifico problema, un aspetto negativo è rappresentato dal fatto che le relazioni tra variabili dipendenti ed indipendenti non sono direttamente desumibili. In genere si associa una rete neurale ad una scatola nera (black box) proprio per indicare la non interpretabilità dei modelli ottenuti addestrando le reti.

Modello di neurone artificiale e architettura di rete Multi Layer Perceptron (MLP)

Analogamente al cervello umano, una ANN/MLP è costituita da elementi funzionali, anch’essi chiamati neuroni o, più frequentemente, nodi, organizzati in strati o layer di elementi analoghi (operanti in parallelo) in numero variabile e dimensionato arbitrariamente dal progettista di rete (sia in termini di numero di strati che di numero di nodi in ciascun strato) a seconda della complessità del processo da modellizzare. Di seguito viene illustrata in dettaglio l’architettura di una rete multi-layer perceptron, largamente utilizzata in diverse applicazioni, tra cui quella descritta nel presente studio.

Ciascun nodo K (Fig. 2) è identificabile da alcuni componenti che, nel loro complesso, gli danno la capacità di trasformare segnali numerici che gli pervengono da (tutti !) i nodi dello strato precedente in segnali (sempre numerici) in uscita da se stesso, trasformati opportunamente e destinati a (tutti !) i nodi dello strato successivo.

Fig. 2 - Elementi e schematizzazione del flusso dell’informazione in un nodo di rete ([33]).

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Posto che un insieme di connessioni in ingresso provenga al generico nodo K da tutti i nodi dello strato precedente e che ognuna di queste “trasporti” un valore numerico continuo detto peso, ogni segnale di input x j (in uscita da uno qualsiasi dei nodi del layer precedente) viene innanzitutto moltiplicato per il peso w kj .

Gli elementi dei quali è composto il nodo K sono poi i seguenti:

  • un elemento (Σ) che esegue la sommatoria dei segnali in input (provenienti da tutti i nodi dello strato precedente), ciascuno moltiplicato per il peso della rispettiva connessione al neurone considerato; le operazioni fin qui descritte possono essere identificate come una combinazione lineare (sommatoria) degli input pesati provenienti al nodo in oggetto da tutti i nodi dello strato precedente;
  • un ulteriore parametro, chiamato bias (bk), che agisce sulla sommatoria degli input pesati (del neurone in oggetto) e che ha l’effetto di aumentare o ridurre (anche fino a cambiare di segno) il valore in input alla funzione di attivazione (di cui al successivo punto 3) a seconda che esso sia positivo o negativo;
  • una funzione di attivazione φ, spesso non lineare, che modifica ulteriormente la quantità numerica (y k) risultante dall’operazione di cui al punto precedente, limitandone anche l’entità all’interno di intervalli finiti (tipicamente [0;1], oppure [-1;1]). Il risultato della funzione di attivazione (ψk) rappresenta l’output del neurone in oggetto ed è destinato a raggiungere tutti i neuroni dello strato successivo.

In termini matematici, il valore in uscita dal generico nodo K e inviato a tutti nodi dello strato successivo, moltiplicato a sua volta per lo specifico valore di peso di ciascuna connessione, è pari a (eqn. 1) :

\begin{equation} y_{ k }=\varphi (v_{ k })=\varphi \left( \sum _{ j=1 }^{ m } w_{ kj }x_{ j }+b_{ k } \right) \end{equation}

dove: x 1, x 2, ..., x m, sono i segnali di uscita dei nodi dello strato precedente; w k1, w k2, ..., w km, sono i pesi che caratterizzano le rispettive connessioni al neurone in oggetto K; b k è l’elemento detto bias del neurone K; φ è la funzione di attivazione; y k è il segnale in uscita dal neurone K chiamato anche stato di attivazione del neurone ([33]).

Il numero e il tipo di neuroni e la struttura e numerosità degli strati costituiscono l’architettura di rete. Essa viene stabilita a priori e può essere più o meno articolata a seconda della complessità del fenomeno da modellizzare e della numerosità di esempi di realizzazione del fenomeno disponibili per la fase di addestramento del modello (vedi oltre).

Questa struttura di rete (Multi Layer Perceptron - MLP), forse la più impiegata nella pratica per i suoi molti vantaggi e la sua capacità di adattarsi a processi con dinamica interna ignota e tendenzialmente non lineare, è anche quella che è stata adottata in questo studio.

Come già anticipato, in una rete MLP i nodi sono organizzati in strati (Fig. 3). Ciascun nodo di uno strato è collegato attraverso connessioni a tutti quelli dello strato precedente e di quello successivo, ma non con i nodi dello stesso strato. Esiste sempre uno strato (input layer) che riceve i valori in input delle variabili esplicative, in questo caso non trasformati da pesi, biases o funzioni di attivazione, ma soltanto normalizzati in intervalli piccoli e definiti, del tipo [0;1] o [1;1]. Esiste sempre anche uno strato finale (di uno o più nodi) di output. Normalmente tra questi due layer esterni esiste almeno un altro strato nascosto o hidden layer.

Fig. 3 - Schema di architettura di rete MLP ([33]).

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Ciascun peso di connessione e valore di bias presente nell’architettura di rete è parametro che viene modificato durante il processo di addestramento della rete (vedi oltre). Con l’aumento del numero di strati e del numero di nodi per ciascuno strato, aumenta il numero di tali parametri e, in sostanza, il numero di “gradi di libertà” della rete e quindi la sua capacità di apprendere processi a dinamica interna particolarmente complessa.

La fase di apprendimento e la fase di simulazione

Tutto ciò premesso, una definizione esaustiva e comprensibile di rete neurale è senz’altro quella di Haykin: ”Una rete neurale è un processore parallelo che ha una propensione naturale all’immagazzinamento della conoscenza esperta e a renderla disponibile all’uso. Essa assomiglia al cervello umano per due aspetti: (i) la conoscenza viene acquisita dalla rete attraverso una fase di apprendimento, (ii) la forza delle connessioni interneurali, note come pesi sinaptici, viene usata per la conservazione della conoscenza”.

La fase di apprendimento (training) è una procedura automatica in grado di individuare i valori dei pesi e degli elementi bias della rete tali che da essa si possa ottenere (in fase di simulazione) la realizzazione di uno specifico compito.

Esistono diversi tipi di apprendimento, il più utilizzato dei quali è rappresentato dall’apprendimento supervisionato (supervised learning), che prevede la presentazione alla rete di una casistica sufficientemente numerosa di esempi reali del fenomeno da modellizzare destinati, appunto, al suo addestramento.

Per “esempio di addestramento” s’intende uno scalare o un vettore che costituisce o rappresenta la risposta reale del sistema (output o target) in quello specifico caso di realizzazione, cioè per l’insieme di valori che le variabili esplicative (descrittori o input) hanno assunto in quella precisa circostanza. Tali valori dei descrittori fanno naturalmente parte integrante dell’esempio stesso e possono a loro volta essere (indifferentemente!) degli scalari (variabili esplicative numeriche) o dei vettori a codifica binaria (0/1) e posizionale nel caso di variabili nominali o ordinali in classi, identificate da un nodo di input per ciascun tipo o classe possibile, fra i quali soltanto quello stabilito per identificare quel tipo o quella classe viene inizializzato a 1. Per variabili esplicative si intende naturalmente l’insieme dei parametri che si ritiene possano influire sulla risposta del sistema (o essere comunque a questa correlati).

La fase di training prevede una preliminare inizializzazione casuale dei pesi della rete (in genere a valori piccoli, positivi o negativi, distribuiti attorno allo 0).

Successivamente, i valori delle variabili esplicative relativi a ciascun esempio di addestramento sono direttamente assegnati ai nodi di input della rete i quali li elaborano in modo parallelo ed indipendente restituendo in uscita lo stato di attivazione risultante ai nodi dello strato successivo. Questi a loro volta effettuano lo stesso tipo di processo fino a giungere ai nodi di output, i cui stati di attivazione rappresentano la risposta (o le risposte) fornite dalla rete.

In sostanza l’intero processo è raffigurabile come uno stimolo che parte dai valori in ingresso alla rete e, attraverso una serie di sinapsi (connessioni) passa da uno strato all’altro subendo successive modulazioni con i pesi associati a ciascuna connessione interneurale, riproducendo così (in modo peraltro enormemente semplificato) il meccanismo di trasferimento degli impulsi che avviene tra i neuroni biologici del cervello umano.

La chiave del processo di addestramento risiede in un opportuno algoritmo che, ad ogni singola presentazione di un esempio o, più frequentemente, ad ogni epoca (dove per epoca si intende la presentazione alla rete di tutti gli esempi di addestramento disponibili), modifica i pesi delle connessioni di rete e i valori biases fino a quello stadio conseguiti, in modo da ridurre ulteriormente l’errore rappresentato dalla differenza tra risposta fornita dalla rete in quel preciso stadio di apprendimento e risposta reale attesa (per ogni singolo caso). Le modifiche orientate effettuate dall’algoritmo di apprendimento tendono quindi ad adattare progressivamente ed in maniera automatica i parametri di rete modificabili (pesi e biases).

Il processo viene ripetuto iterativamente per numerose epoche e viene interrotto al raggiungimento di una configurazione di pesi tale per cui un’ulteriore epoca di apprendimento non comporta alcun miglioramento significativo della performance di rete. Nel caso di reti impiegate nella simulazione di classificazioni sintetiche fornite da esperti, la performance viene valutata attraverso il calcolo del tasso percentuale di classificazioni corrette sul totale dei casi test (vedi oltre), parametro denominato anche Non Error Rate, NER%.

È importante sottolineare come la qualità di un modello computazionale neurale sia spesso fortemente influenzata dalla qualità e dalla quantità di esempi disponibili. Quanto più la casistica di addestramento è numerosa e ben distribuita nello spazio multidimensionale di possibile manifestazione degli input, migliore è la capacità previsionale potenzialmente ottenibile dalla rete. La numerosità dei casi dovrebbe inoltre essere correlata alla complessità dell’architettura di rete; maggiore è il numero di variabili e/o nodi coinvolto, maggiore deve essere il numero di casi necessario per addestrare correttamente la rete.

Capacità di generalizzazione e sovrapprendimento (overtraining)

Al termine della fase di addestramento la configurazione finale dei pesi viene “cristallizzata” e la rete diventa utilizzabile in fase di simulazione per predire il comportamento del sistema nel caso di nuovi esempi per i quali si conoscano solamente i valori delle variabili esplicative, ma non l’esito reale. In sostanza, in questa fase, la rete è in grado di applicare ciò che ha “appreso” sul problema specifico per il quale è stata addestrata, generalizzando la capacità di dare risposte congruenti rispetto a casi differenti da quelli utilizzati durante la fase training. Riprendendo la definizione di Haykin, si può affermare che la configurazione finale dei pesi “immagazzina la conoscenza” e la rende disponibile per predire la risposta del sistema in nuove situazioni in cui essa non è nota.

Teoricamente è sempre possibile individuare una architettura di rete sufficientemente articolata (con un numero sufficiente di gradi di libertà e quindi sufficientemente complessa) in grado di riprodurre esattamente il target desiderato praticamente per ogni esempio di classificazione. La circostanza, largamente sconsigliabile, è però quasi sempre indicatrice di condizioni cosiddette di overtraining, nelle quali la rete neurale opera una sorta “di studio a memoria” degli specifici casi sottopostigli quali esempi nella fase di addestramento, ma perde completamente la capacità di interpretare convenientemente la dinamica interna propria del sistema e sottostante agli esempi stessi.

Una rete in tale stato possiede un’ottima capacità descrittiva (o di fitting), ma una capacità previsionale (o predittiva) scarsa o nulla; ciò significa che essa è stata addestrata oltre il limite che segna la citata condizione di overtraining. Potremmo esemplificare lo stato di overtraining come quello di un ipotetico studente che, riuscendo nell’impresa di imparare a memoria la risoluzione di tutte le equazioni proposte negli esercizi del suo libro di matematica, non riesca però a risolverne alcuna di diversa da queste, perché non ha appreso il meccanismo generale di risoluzione delle equazioni.

Per evitare la condizione di overtraining si ricorre ad opportune tecniche di validazione dei modelli. La validazione di un modello (e ciò è da intendersi anche al di fuori del contesto delle reti neurali) consiste, in generale, nel ricercare quella struttura del modello (la sua complessità ottimale) che ne massimizza la capacità predittiva (Todeschini 1998).

Una tecnica riferibile a questo ambito, molto utilizzata nell’addestramento di reti neurali è quella chiamata early stopping, che si basa su una suddivisione della casistica di esempi disponibile nei sottoinsiemi (o subsets):

  • di training, utilizzato nella già descritta fase di addestramento per l’ottimizzazione dei parametri di rete;
  • di validation, i cui esempi non entrano direttamente nella fase di apprendimento, ma solo in maniera indiretta, allo scopo di controllare costantemente la capacità predittiva della rete durante detta fase;
  • di test che viene utilizzato esclusivamente per valutare la capacità previsionale del modello una volta terminata la fase di addestramento.

Con il procedere dell’addestramento, mentre sui casi del training set la performance del modello continua solitamente a migliorare per effetto del progressivo adattamento dei pesi imposto dall’algoritmo di addestramento, sugli esempi appartenenti al validation set, superato un certo limite, si evidenzia la tendenza contraria. Ciò sta ad indicare che la rete ha terminato di apprendere i meccanismi che associano le variabili esplicative alla risposta e sta iniziando a modellizzare il rumore intrinseco nei dati del training set. La tecnica di early stopping arresta il processo di addestramento appena questa tendenza si manifesta, riportando i pesi alla configurazione che permetteva la massima performance sul validation set stesso.

L’effettiva performance previsionale della rete deve essere poi naturalmente calcolata esclusivamente sui casi appartenenti al test set. Esiste infatti la possibilità, per motivi più o meno casuali, che ad un certo punto della fase di addestramento si ottengano performance particolarmente buone per gli esempi del validation set, provocando l’interruzione dell’addestramento a causa di un successivo peggioramento della stessa. Questa eventualità porterebbe nella sostanza alla selezione di reti con sovrapprendimento sui casi del validation set. Per non incorrere in questo rischio, la capacità di generalizzazione del modello va quindi valutata esclusivamente sul test set, i cui esempi non entrano in alcun modo nella fase d’addestramento. In sostanza il test set serve a valutare la capacità della rete di effettuare predizioni corrette, simulandone l’applicazione reale su casi dei quali si conosce però la risposta reale corretta. Si può quindi considerare la performance sul test set come una effettiva misura della capacità predittiva della rete.

La modellizzazione neurale della conoscenza esperta nella valutazione della propensione del territorio al dissesto idrogeologico e della funzionalità protettiva della copertura vegetale, in riferimento ai dissesti franosi superficiali

Come già accennato, l’approccio di questo studio ha comportato la combinazione di due distinti contributi di valutazione esperta (espressi su 5 livelli ordinali) relativi alla propensione ai movimenti franosi superficiali nativa del territorio considerato e alla funzionalità protettiva del tipo di copertura vegetale esistente, quale fattore che tende ad opporsi (in maniera più o meno efficiente) alla prima. L’individuazione e la caratterizzazione delle variabili esplicative coinvolte nei processi di valutazione verrà affrontata in maniera approfondita nel capitolo successivo.

Nello specifico studio dei dissesti franosi superficiali (ma si intende seguire il medesimo criterio anche per gli altri fenomeni di dissesto che dovranno essere considerati), questo tipo di approccio criteriale si è tradotto logicamente nella necessità di addestrare due reti neurali differenziate, specializzate nel riprodurre i meccanismi di classificazione esperta legati ai due aspetti citati.

Le casistiche di addestramento

Una fase preliminare all’addestramento dei modelli ha richiesto la definizione delle rispettive casistiche di addestramento costituite da esempi reali di classificazione esperta.

Il gruppo di esperti ha provveduto a costruire tali casistiche iniziando da situazioni “emblematiche” di possibili combinazioni delle modalità delle variabili esplicative, associando a ciascuna combinazione una valutazione sintetica in termini di esito sul piano della classificazione in 5 livelli ordinali della propensione al dissesto (o, rispettivamente, della funzionalità protettiva della copertura vegetale) per ogni caso specifico.

Con “emblematici” si intendono esempi tali da investire tutte le varie “regioni” di possibile esplicazione reale delle variabili sul territorio, considerando (non esaustivamente ma, appunto, emblematicamente) sia situazioni favorevoli, che medie, che sfavorevoli dell’assetto geo-pedologico (o della copertura vegetale).

Tali casistiche “primarie” sono state consistentemente “arricchite” adottando varie tecniche, quali la produzione di varianti combinatorie delle modalità delle variabili esplicative dei casi emblematici, tali da non determinare (sempre a giudizio dell’esperto) il cambiamento della classe di attribuzione, oppure invece da determinare la variazione di una classe verso l’alto (o verso il basso) dell’attribuzione stessa. Variabili ad effetto soglia (che agiscono drasticamente sull’esito classificatorio esperto, in corrispondenza, od oltre, una certa modalità di possibile manifestazione) sono state generatrici di numeri consistenti di esempi addestrativi differenziati semplicemente da tutte le variazioni combinatorie possibili delle altre variabili, tenendo sempre costante l’attribuzione di classe di propensione o funzionalità“primaria” e la modalità“critica” della variabile con effetto soglia.

Come si è già visto, apprendendo da tale complesso di valutazioni esemplificative, la fase di addestramento delle reti neurali ha l’obiettivo di individuare e tradurre automaticamente in algoritmo il legame tra modalità delle variabili in input e relativa valutazione esperta, pur in presenza di un certo grado (inevitabile) di sfocatezza e contraddittorietà nelle valutazioni (il “rumore di fondo” proprio di qualsiasi valutazione sintetica).

È forse opportuno chiarire ora alcuni aspetti relativi alla codifica delle variabili esplicative individuate dagli esperti come coinvolte nel processo valutativo e tra le quali si annoverano sia descrittori quantitativi che variabili qualitative nominali ed ordinali.

Mentre un descrittore quantitativo è facilmente implementabile in una rete neurale associandolo ad un singolo nodo in input contenente un valore numerico continuo, per quanto riguarda i descrittori qualitativi è necessario esprimere tali informazioni con la codifica denominata “dummy code”. Essa prevede l’associazione di un nodo specifico di rete a ciascuna modalità assumibile dalla variabile; la codifica della modalità assunta dalla variabile in uno specifico caso avviene mediante l’inizializzazione a 0 di tutti i nodi riferibili alle altre modalità e ad 1 del solo nodo riferibile alla modalità considerata, avente posizione fissa nel “vettore di nodi” riservato alla variabile considerata. Ciascun nodo inizializzato ad 1 codifica quindi in maniera mutuamente esclusiva l’appartenenza dell’esempio ad una soltanto delle possibili categorie assumibili dalla variabile e la circostanza implica l’inizializzazione a 0 degli altri nodi riferiti alla stessa variabile.

Se ciò è vero per molte variabili esplicative, coinvolte, a giudizio degli esperti, nel loro processo valutativo, lo è altrettanto per la variabile target (output di rete) tipica di questo studio la cui modalità di espressione ha seguito, come già sottolineato, uno schema di valutazione qualitativa ordinale su cinque gradi o livelli di esplicazione, a partire da “molto bassa” fino a “molto alta”. Le cinque classi di possibile esplicazione della variabile di output hanno quindi sempre richiesto la presenza nell’architettura di rete di uno strato di output formato da cinque nodi distinti e paralleli.

In una situazione ideale di perfetta interpretazione neurale delle classificazioni fornite dagli esperti, per ciascun caso riconosciuto dalla rete (in fase di simulazione) come appartenere ad una specifica classe ordinale, lo stato di attivazione del nodo di output associato a quella classe dovrebbe assumere valore 1, mentre il valore degli stati di attivazione di tutti gli altri nodi di output dovrebbe essere esattamente pari a 0. Nella realtà, raramente i valori degli stati di attivazione dei nodi di output assumono proprio tali valori ma vi si avvicinano più o meno a seconda che il caso considerato sia (a giudizio della rete neurale, dato il suo livello di apprendimento raggiunto nella fase di training) più o meno chiaramente riferibile alla classe ordinale associata a quel nodo. Ciò costituisce in realtà un vantaggio, dato che, dai valori reali degli stati di attivazione dei nodi di output sarà possibile ottenere valutazioni che vanno oltre la semplice assegnazione del caso ad una specifica classe (che corrisponde ovviamente a quella associata al nodo con il più alto stato di attivazione) e che permettono di formulare una stima della probabilità di assegnazione del caso a ciascuna classe. (Fig. 4). Ciò è utile per evidenziare i casi in cui la risposta della rete è relativamente incerta, caratterizzati dalla scarsa differenziazione dei valori di attivazione di due o tre nodi di output; tale aspetto sarà ulteriormente approfondito in un successivo paragrafo.

Fig. 4 - Schematizzazione della architettura di output delle reti neurali realizzate in questo studio; interpretazione degli stati di attivazione dei nodi dell’output layer come probabilità di assegnazione del caso a ciascuna classe ordinale tra quelle previste.

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Un aspetto rivelatosi importante nella messa a punto dei modelli è stato il continuo confronto tra le unità di ricerca che si occupavano della definizione della casistica e delle variabili esplicative dei fenomeni analizzati e il gruppo di lavoro preposto alla progettazione, addestramento e test delle reti. Ciò ha portato a successive correzioni nella caratterizzazione di diverse variabili descrittive, all’eliminazione di alcune variabili poco significative (spesso perché fortemente correlate ad altre), all’eliminazione di casi scarsamente rappresentativi e a strategie alternative di codifica delle informazioni in grado di permettere una migliore qualità predittiva dei modelli.

Al termine di questo continuo processo di confronto, la casistica utilizzata per il modello destinato all’interpretazione della propensione è risultata formata da ben 1620 casi, mentre quella destinata all’addestramento del modello di funzionalitàè risultata composta da 1021 casi.

Addestramento e sviluppo delle reti neurali

L’addestramento delle reti è stato attuato mediante l’applicativo STATISTICA Neural Networks®, nella modalità IPS (Intelligent Problem Solver) che permette di esplorare varie combinazioni di architetture neurali e di complessità di rete (in termini di numerosità degli strati e dei nodi).

La procedura seguita è stata la medesima sia per il modello di propensione che per quello della funzionalità. La prima operazione ha riguardato la suddivisione degli esempi forniti dagli esperti negli insiemi di training, validation e test. Nell’operare la suddivisione occorre considerare la necessità di permettere alla rete di individuare al meglio i meccanismi impliciti di classificazione utilizzati dagli esperti, sottostanti agli esempi forniti, il che presuppone una certa consistenza numerica di casi nel training set. La contemporanea esigenza di sviluppare modelli con alta capacità di generalizzazione richiede, d’altra parte, un insieme di casi test numericamente significativo. Inoltre, al fine di evitare fenomeni di overtraining, è necessario non trascurare la numerosità della casistica appartenente al validation set.

Di norma l’addestramento di una rete prevede che una aliquota tra il 10% e il 50% dei casi disponibili venga utilizzata negli insiemi di validazione e test.

La procedura seguita nell’ambito dello sviluppo delle reti neurali di propensione e funzionalità ha utilizzato, oltre alla citata tecnica di early stopping, una ulteriore metodologia di validazione dei modelli, detta crossvalidation, che sfrutta al meglio la casistica disponibile cercando di conciliare tutte le esigenze menzionate.

La crossvalidation prevede una suddivisione dell’intera casistica in G gruppi chiamati gruppi di crossvalidazione. Ciascun gruppo deve essere composto da un numero di casi paragonabile (se n è il numero totale dei casi, k’= n/G, sarà il numero di casi appartenente a ciascun gruppo). Nello specifico, la modellizzazione di propensione e funzionalità, è stata effettuata con l’individuazione di 4 gruppi di crossvalidazione, ognuno costituito dal 25% dei casi disponibili. Non esiste un criterio preciso che permetta di stabilire, se esiste, il numero ideale di gruppi di crossvalidazione. La scelta operata in questo studio deriva da considerazioni empiriche dedotte dall’effettuazione di una serie di tentativi con numerosità diverse dei gruppi stessi.

La composizione dei 4 gruppi di crossvalidazione è stata effettuata con il criterio di mantenere all’interno di ciascun gruppo esempi dotati della massima rappresentatività dell’intera casistica, al fine sia di evitare che nel training set venisse a mancare informazione essenziale per l’addestramento dei modelli, sia che la valutazione dei modelli venisse effettuata attraverso un test set eccessivamente semplificato e/o carente dal punto di vista della diversità di combinazioni delle variabili esplicative propria degli esempi presenti. Per assicurare tale rappresentativitàè stata effettuata sulle casistiche una cluster analysis propedeutica all’individuazione di gruppi di similarità tra esempi prodotti dagli esperti, da ognuno dei quali sono stati estratti casualmente numeri paragonabili di casi per ciascun gruppo di crossvalidazione.

Suddivisa la casistica, uno dei 4 gruppi è stato scelto casualmente per l’utilizzo esclusivo come test set. Tale scelta si discosta dalla pratica ordinaria della crossvalidazione, la quale prevede che tutti i gruppi vengano a turno indifferentemente utilizzati per la costruzione dei modelli, ed è stata operata al fine di garantire un’ulteriore verifica dei risultati del modello complessivo (“ensemble”, vedi più avanti nel testo) su dati totalmente estranei alla costruzione di quest’ultimo. Si tratta quindi di una scelta conservativa rispetto alla crossvalidazione “normale” che garantisce un ulteriore grado di robustezza al modello complessivo finale.

Con i 3 gruppi di crossvalidazione rimanenti, sono state effettuate 3 distinte sessioni di addestramento, ognuna delle quali ha utilizzato un diverso gruppo come validation set, destinando i due gruppi rimanenti al training set.

Ciascuna sessione ha previsto, attraverso l’utilizzo della funzionalità IPS (Intelligent Problem Solver) del software Statistica Neural Networks, l’addestramento di numerose reti neurali ad architettura MLP con numero di input, nodi e pesi variabile da rete a rete. L’algoritmo di addestramento utilizzato è stato quello cosiddetto di backpropagation.

Tutto ciò ha permesso di operare una ampia sperimentazione utile per selezionare, tra le reti addestrate, le 20 reti che per struttura e configurazione dei parametri meglio interpretavano le classificazioni fornite dagli esperti. Successivamente si sono analizzate le previsioni di queste 20 reti sul gruppo di dati selezionato come test e, per ciascuna delle tre sessioni, si è selezionata quella con la migliore performance di classificazione. Ogni sessione ha quindi portato a selezionare, tra le migliaia di reti addestrate, quella che forniva la performance di classificazione sul test set più alta, ottenendo, al termine delle 3 sessioni, 3 reti neurali addestrate su casistiche di addestramento differenti.

Ovviamente, la diversa composizione del training set porta ad una differente conformazione dei rispettivi parametri di rete, al termine della fase di addestramento. Esiste quindi la possibilità che, per uno stesso esempio, la risposta (in simulazione) delle tre reti possa differire. Tale situazione può essere esemplificata pensando alle tre reti come a tre diversi esperti che abbiano tutti maturato una certa esperienza in materia di propensione al dissesto (o funzionalità protettiva), ma attraverso casi di studio tra loro in parte differenti. La conseguenza di questa diversa esperienza è la possibilità che i 3 soggetti diano pareri discordanti sul medesimo caso. Per contro, sentiti i pareri dei tre esperti, ed essendo necessario prendere una decisione univoca in merito alla classe di attribuzione dello specifico caso, attraverso una regola di combinazione delle tre valutazioni (es.: valutazione più frequente, se esiste, altrimenti valutazione intermedia tra le tre) si può arrivare ad una valutazione riassuntiva che si è avvalsa dell’esperienza di tutti e tre i soggetti.

Nel caso delle reti neurali, riassumere le valutazioni di diverse reti è compito, piuttosto semplice, dell’ensemble, ossia di un sistema in grado di produrre una valutazione univoca a partire da quelle delle reti che ne fanno parte (membri). Le modalità con cui i risultati di più membri vengono combinati in un ensemble possono essere diverse. Nel nostro caso, per ciascuna classe di propensione (o funzionalità) la modalità scelta è stata quella di operare una media aritmetica degli stati di attivazione dei nodi di output associati a ciascuna classe per le tre singole reti (impiegate in simulazione su un certo caso in esame), determinando così uno stato di attivazione complessivo medio in base alle predizioni dei singoli membri. (Fig. 5)

Fig. 5 - Schema relativo alla costruzione di un ensemble o sistema di reti. Si noti la suddivisione dei casi del dataset in 4 gruppi di crossvalidazione e l’addestramento di 3 reti neurali distinte utilizzando diverse combinazioni di sets di training e validazione. L’ensemble fornisce una predizione complessiva operando una media aritmetica degli stati di attivazione dei nodi di output delle singole reti addestrate.

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L’invarianza del gruppo di crossvalidazione scelto come test set è necessaria per valutare la performance predittiva dell’ensemble, in quanto i casi che appartengono a tale gruppo non sono entrati in alcun modo nella fase di addestramento di alcuno dei membri costituenti l’ensemble stesso, e quindi possono essere considerati a tutti gli effetti casi test anche per il modello complessivo.

È interessante notare come in questa procedura, mentre ciascuna singola rete utilizza il 50% dei casi come training set (2 gruppi di crossvalidazione su 4), il 25% come validation (1 gruppo su 4) e il restante 25% come test set (1 gruppo su 4), si può affermare che l’ensemble è di fatto paragonabile ad una rete addestrata sul 75% dei casi (3 gruppi di crossvalidazione) con un test set del 25%. Data la necessità assoluta di disporre sempre di un validation set per controllare la capacità di generalizzazione della rete durante l’addestramento (applicazione dell’early stopping), un approccio diretto di questo tipo (addestramento di una sola rete “75/25”) non sarebbe stato possibile, mantenendo contemporaneamente al 25% l’effettivo dei casi test, dal momento che parte di quest’ultimi sarebbero dovuti andare a costituire il validation set. In sostanza, attraverso la crossvalidazione si riesce a dilatare il training set senza rinunciare a mantenere consistenti aliquote di casi per il validation e per il test set.

Performance dei modelli

Come è già stato chiarito, tra le molte alternative possibili di architettura, in questo studio sono state adottate reti neurali di tipo MLP, sia nel caso della modellizzazione della conoscenza esperta in termini di propensione al dissesto del territorio, che per l’analogo obiettivo in riferimento alla funzionalità della copertura vegetale.

Nel caso della propensione le reti addestrate sono risultate caratterizzate da 6 variabili in entrata (vedi paragrafo “Valutazione della propensione del territorio al dissesto idrogeologico”) per complessivi 17 nodi di input e da un numero di nodi nell’hidden layer da 12 a 14. L’output layer, di 5 nodi, ospita logicamente la codifica della variabile target (livello di propensione al dissesto, da “molto bassa” a “molto alta”). Il modello di propensione ha raggiunto performance eccellenti già a livello delle singole reti membro, arrivando ad un ulteriore miglioramento a livello di ensemble (Tab. 1).

Tab. 1 - Performance predittive della rete neurale relativa alla propensione del territorio ai dissesti franosi superficiali. Si riportano i NER% (non error rate o tassi % di valutazioni concordanti sul totale) relativi all’ensemble e quelli relativi alle singole reti membro che compongono l’ensemble (VALID A, VALID B e VALID C).

Propensione Classi
Predette
Classi Reali Test Set
Performance
(NER %)
1 2 3 4 5
ENSEMBLE 1 144 1 0 0 0 98.8%
2 0 26 1 0 0
3 0 1 27 1 0
4 0 0 0 45 0
5 0 0 0 1 158
VALID A 1 143 1 0 0 0 97.5%
2 1 27 1 0 0
3 0 0 25 3 0
4 0 0 2 42 0
5 0 0 0 2 158
VALID B 1 144 1 0 0 0 97.8%
2 0 24 1 0 0
3 0 3 25 1 0
4 0 0 2 46 1
5 0 0 0 0 157
VALID C 1 143 2 0 0 0 97.3%
2 1 24 0 0 0
3 0 2 28 4 0
4 0 0 0 41 0
5 0 0 0 2 158

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La modellizzazione neurale relativa alla funzionalità protettiva della copertura vegetale si è rivelata più complessa, per la presenza di un maggior numero di variabili esplicative che ha probabilmente comportato anche maggiori difficoltà per gli esperti nella definizione della casistica di addestramento. Il numero di variabili esplicative era infatti pari a 8 e, nelle reti selezionate, i nodi dello strato nascosto risultano essere compresi tra 18 e 21. Al solito, sono 5 i nodi in output, per la codifica dei 5 livelli ordinali previsti per la variabile funzionalità (da “molto scarsa” a “molto elevata”). I risultati finali dell’addestramento appaiono comunque più che soddisfacenti, superando sempre il 90% di classificazioni corrette nel test set e raggiungendo un risultato dell’ensemble pari ad un NER% del 91.4% (Tab. 2).

Tab. 2 - Performance predittive della rete neurale per l’interpretazione della funzionalità protettiva della copertura vegetale rispetto ai dissesti franosi superficiali. Si riportano le performance relative all’ensemble e alle reti che la compongono.

Funzionalità
Protettiva
Classi
Predette
Classi Reali Test Set
Performance
(NER %)
1 2 3 4 5
ENSEMBLE 1 13 2 0 0 0 91.4%
2 5 53 3 0 0
3 0 5 71 0 0
4 0 0 5 79 2
5 0 0 0 0 18
VALID A 1 13 2 0 0 0 90.6%
2 5 55 6 0 0
3 0 3 69 2 0
4 0 0 4 75 0
5 0 0 0 2 20
VALID B 1 14 3 0 0 0 91.0%
2 4 50 2 0 0
3 0 7 72 0 0
4 0 0 5 79 2
5 0 0 0 0 18
VALID C 1 13 3 0 0 0 91.0%
2 5 51 1 0 0
3 0 6 72 0 0
4 0 0 6 79 2
5 0 0 0 0 18

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Un’analisi di dettaglio attraverso la costruzione delle consuete matrici di concordanza tra classificazioni effettuate dagli esperti (sugli esempi test non rientrati nei training sets) e dalle reti, impiegate in simulazione ad addestramento ultimato, evidenzia la circostanza che, in entrambe i contesti di valutazione, gli “errori commessi dalle reti” determinano scostamenti attributivi che non vanno oltre la singola classe contigua, superiore o inferiore. Si riporta la frase tra virgolette perché non è detto, in assoluto, che si tratti di veri e propri errori attributivi del modello. Può infatti verificarsi la circostanza che quelli che appaiono errori siano in realtà situazioni nelle quali il modello individua casi di contraddittorietà in qualche valutazione esperta, la cui presenza è perfettamente tollerabile laddove si tratti dell’ineluttabile “rumore di fondo” riscontrabile nel comportamento classificatorio anche dell’esperto più competente. Spesso il fenomeno è anche riferibile ad autentici casi intermedi tra classi che diventano oggetto di attribuzioni divergenti per carenza di “risoluzione” del sistema di codifica adottato.

La validità dei modelli è stata ulteriormente verificata sul campo attraverso l’applicazione dell’intera procedura di valutazione negli scenari territoriali di Val Antrona (Piemonte) e nella zona di Acqualagna (Marche), come verrà descritto in dettaglio nel capitolo “Applicazione operativa del modello di valutazione del valore idrogeologico del bosco: scenari applicativi”.

L’utilizzo delle probabilità di assegnazione per una valutazione articolata della funzionalità

Come già evidenziato, la risposta della rete neurale individua cinque classi ordinali di funzionalità analogamente alle valutazioni esperte, ma esigenze pratiche a livello pianificatorio potrebbero richiedere una maggiore articolazione dei giudizi finali. Come verrà esemplificato più avanti, le applicazioni in ambito GIS di queste valutazioni sono effettuate a livello di singoli pixel e devono poi essere trasferite, come media aritmetica delle celle sottese, ai poligoni che rappresentano le unità gestionali del territorio. In questo passaggio, valutazioni troppo rigide possono condurre a casi in cui il valore medio assume scarsa efficacia descrittiva in quanto originato da un insieme di elementi troppo differenziati. Una risposta più “sfumata” potrebbe essere ottenuta suddividendo la valutazione esperta su un numero maggiore di classi, ma ciò comporterebbe un quadro valutativo estremamente complesso ed articolato che costringerebbe l’esperto a probabili forzature di giudizio.

Una soluzione alternativa, da verificare ulteriormente in campo, è rappresentata dall’utilizzo delle probabilità di assegnazione a ciascuna delle cinque classi (par. 2.4.1, Fig. 4) per l’individuazione di casi di incertezza attribuibili a situazioni intermedie tra classi.

A partire dall’osservazione che la maggioranza degli errori commessi dall’ensemble si colloca in ambiti di probabilità di attribuzione (alla classe “sbagliata”) inferiori al 70%, è stata scelta questa soglia di probabilità per definire i casi attribuiti dal modello “con sicurezza” ad una certa classe (probabilità> 70%). Al di sotto di questa percentuale, la classe di collocazione viene comunque attribuita in base al valore massimo di probabilità, con uno spostamento verso la sottoclasse “-” o “+” (di quella classe) quando le probabilità di assegnazione alle classi rispettivamente inferiore o superiore siano almeno del 30%. Ciò conduce alla creazione di tredici classi in uscita dalla rete neurale.

L’applicazione di tale procedura ai casi della valutazione esperta ed agli scenari applicativi ha evidenziato che i casi attribuiti alle nuove classi intermedie rimangono comunque numericamente limitati e rappresentano una netta minoranza rispetto alle attribuzioni con grado di fiducia elevato (Tab. 3).

Tab. 3 - Ripartizione delle frequenze di attribuzione nelle classi "certe" ed "incerte" di funzionalità con valore soglia della probabilità di assegnazione di 0.70.

Set Classi e Sottoclassi Totale
casi
% casi
“riallineati”
1 1+ 2- 2 2+ 3- 3 3+ 4- 4 4+ 5- 5
training 39 9 7 168 13 15 167 20 25 237 10 10 45 765 14%
test 14 1 4 50 7 10 62 4 12 69 5 1 17 256 17%
Acqualagna 25 7 2 224 8 4 145 8 13 201 12 14 46 709 10%
Val Antrona 76 15 16 170 5 3 173 16 24 153 0 3 9 663 12%

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A conforto di tale procedura operativa si è inoltre osservato che, considerato il sottoinsieme di test della casistica di addestramento, il 64% dei 22 casi di risposta discordante della rete neurale rispetto alla valutazione dell’esperto è stato variato in direzione concorde al giudizio di quest’ultimo; di contro solo il 13% dei 234 casi correttamente classificati è stato attribuito alle nuove classi intermedie di funzionalità.

Dissesti da fenomeni franosi superficiali: valutazione della propensione del territorio e della funzionalità protettiva della copertura vegetale. Indici derivati 

I fenomeni franosi superficiali sono principalmente riferibili alle frane per mobilizzazione delle coltri superficiali che possono verificarsi con cinematismi e caratteri morfologici diversi. Il carattere comune è che si tratta di fenomeni che coinvolgono le coltri di alterazione superficiali genericamente definite, ivi compresi i suoli soprastanti e, in qualche caso, la parte superiore del substrato roccioso, spesso profondamente alterata e fratturata, per uno spessore complessivo inferiore ai tre metri, ma mediamente intorno ad uno. In particolare dati di letteratura derivanti dall’analisi di circa 200 fenomeni verificatisi in Piemonte in occasione dell’evento alluvionale del 1994 ([60]) riferiscono di uno spessore coinvolto medio tra 50 cm e 75 cm ed una ampiezza media del fronte di frana compresa tra 10 e 20 m. Si tratta dunque di fenomeni nei quali l’azione di stabilizzazione svolta dagli apparati radicali può risultare particolarmente importante e significativa.

Le frane superficiali sono classificabili ad azione istantanea, perché si esauriscono nello spazio di pochi secondi viaggiando a velocità comprese tra 2 e 9 m/s ([25]). È usuale comprendere nella definizione dei fenomeni di mobilizzazione delle coltri superficiali sia il fenomeno franoso in senso stretto che la sua possibile evoluzione in colata. In alcuni casi i fenomeni franosi possono sconfinare nei processi di tipo torrentizio, quando la colata si incanala entro incisioni preesistenti.

Le variabili considerate nella classificazione di questi fenomeni sono principalmente legate alla quantità d’acqua presente nella massa mobilizzata. Si va quindi da porzioni della coltre superficiale che traslano mantenendo sostanzialmente la loro integrità, senza portare alla luce la superficie di scivolamento (Incipient translational soil-slide della classificazione di [61]), a coltri che si spostano in modo più netto portando ad un denudamento della superficie di scivolamento e ad un accumulo di blocchi disarticolati ma ancora dotati di una loro integrità interna (Translational soil-slide di [61]). L’aumento della quantità d’acqua presente porta a fenomeni che evolvono in colata; in questi casi si manifesta un effetto erosivo lungo la traiettoria e la contemporanea presa in carico di altro materiale detritico che spesso sfocia in una forma di accumulo lobata ben distinguibile (Earth-flow di [61]). Nell’ambito delle colate vengono poi distinte le colate di detriti (Debris-flow), se la frazione solida è dominata da pietrame grossolano, e le colate fangose (Mud-flow) se tende invece a prevalere la frazione granulometricamente più fine. Nei casi di saturazione estrema della massa franosa questa può degenerare in una colata talmente fluida che il materiale viaggia in sospensione attraverso un flusso di tipo laminare (Disintegrating soil-slip secondo [36]).

Come detto in precedenza la ricerca è finalizzata a fornire strumenti di supporto alle decisioni nell’ambito della pianificazione forestale; in quest’ottica, la funzione protettiva della vegetazione nei confronti dei fenomeni suddetti viene considerata solamente in relazione alla loro prevenzione. Tutti gli aspetti che riguardano l’impiego di essenze vegetali nella sistemazione di zone già dissestate esulano quindi dal presente contesto. Allo stesso modo non vengono analizzate le problematiche relative alla mitigazione dei rischi specifici ai quali possono essere sottoposte infrastrutture di vario tipo, anche in ambiente forestale, per esempio la riduzione della probabilità di caduta di massi su una strada, legata alle caratteristiche del soprassuolo presente sulla pendice sovrastante.

L’obiettivo del processo valutativo configurato, con riferimento specifico a questo tipo di dissesti, è rappresentato non solo dalla individuazione dei boschi con particolare valenza protettiva, ma anche dalla definizione di eventuali vincoli ad una gestione chiaramente orientata allo sfruttamento della risorsa legnosa in termini, per esempio, di limitazione all’apertura di nuove piste forestali e/o alle modalità ed intensità dei prelievi.

Rispetto ad altre funzioni protettive, in particolare difesa dall’erosione e regimazione idrica, il ruolo stabilizzante della copertura vegetale è stato considerato solo recentemente nell’ambito della modellizzazione dei processi ([32], [58], [70]). Nel caso del modello del pendio infinito ([63]), applicabile sia ai movimenti di tipo traslativo che a fenomeni di tipo debris flows/avalanches ([26], [58]), l’effetto delle radici contribuisce al sistema di forze che si oppongono ai fattori destabilizzanti, rappresentati dalle componenti tangenziali al possibile piano di scivolamento (considerato per semplicità parallelo alla superficie del pendio e all’interfaccia suolo-roccia) dei carichi dovuti alla massa di suolo, all’acqua presente ed alla biomassa. Le forze stabilizzanti sono costituite da tutte le componenti dei carichi ortogonali al piano di scivolamento, dalla forza di coesione interna del suolo e da quella radicale. Ogni cenosi vegetale, attraverso il proprio apparato radicale, interagisce con il suolo conferendogli infatti migliori caratteristiche di coesione interna negli strati esplorati dalle radici e di ancoraggio al substrato.

Seguendo l’impostazione generale della ricerca precedentemente illustrata, l’analisi delle problematiche in questione è stata scomposta in due processi valutativi affatto indipendenti. Durante la prima fase viene ponderato l’insieme di fattori naturali non modificabili che determinano per ciascuna stazione il grado di predisposizione nei confronti dei movimenti di massa superficiali, mentre successivamente viene analizzata la copertura vegetale in termini di efficacia nel contrastare tale propensione, sia sotto il profilo delle caratteristiche dei popolamenti, sia delle conseguenze delle modalità di gestione. Questo secondo momento valutativo tiene conto di tutti i fattori alterabili dall’uomo, in senso positivo e negativo, che possono pertanto essere modificati in sede di pianificazione o di gestione territoriale; in questo senso, la conseguenza delle sistemazioni è stata inclusa nei fattori modificabili, anche se dovrebbe essere considerata all’interno del processo logico che configura la propensione.

La scala di applicazione della procedura configurata è compresa fra la singola parcella ed il piano territoriale a livello di bacino o comprensorio; il limite superiore del dettaglio è condizionato ovviamente dalla risoluzione dell’informazione disponibile per le singole variabili delle due fasi valutative, mentre quello inferiore è legato al grado di complessità del territorio analizzato, in relazione al fatto che il livello di diversità entro le unità di terre rischia di avvicinarsi troppo a quello tra unità diverse, appiattendo i risultati delle valutazioni attorno a valori intermedi.

Valutazione della propensione del territorio al dissesto idrogeologico

Nell’affrontare questo problema è necessario operare una distinzione fra rischio (alla definizione del quale concorrono la vulnerabilità ed il valore dell’elemento esposto all’evento) ed aspetti legati alla pericolosità o alla propensione al dissesto, attinenti esclusivamente al livello di probabilità del manifestarsi di fenomeni di un certo tipo/portata su un dato territorio ([42]). In particolare in campo geologico si parla di pericolosità da frana come della probabilità che un dissesto di dimensioni note si verifichi in una area ed in un tempo stabiliti. I metodi proposti per la valutazione della pericolosità da frana si basano sull’identificazione e modellizzazione di variabili ambientali connesse con l’instabilità dei versanti quali litologia, struttura, morfologia, uso e copertura del suolo. Sono state messe a punto e sperimentate nel tempo diverse procedure per la costruzione di tali modelli anche se, negli ultimi anni, si sono sempre più imposti metodi che prevedono l’utilizzo dell’analisi statistica multivariata ([15], [16], [31]), tecnica di elaborazione dei dati statistici mediante l’impiego contemporaneo di più variabili. In questo modo è possibile determinare eventuali correlazioni multiple tra variabili e stabilire il peso statistico delle stesse.

L’approccio utilizzato in questo lavoro prevede il riferimento ad una generica propensione al dissesto del territorio come potenzialità di sviluppo dei fenomeni in una data area, assolutamente non riferibile ad uno specifico dissesto con attributi dimensionali e temporali noti. Sull’argomento è possibile rinvenire in letteratura interpretazioni diverse, utilizzate nell’ambito della stesura di cartografie tematiche a fini soprattutto pianificatori. Alcuni lavori si basano sulla considerazione che la predisposizione o propensione al dissesto di un’area è tendenzialmente proporzionale al numero di dissesti verificatosi nell’area stessa ([47]). Il numero delle frane censite viene quindi considerato un indicatore della sensibilità al dissesto, secondo il principio che determinati fenomeni si potranno verificare con elevata probabilità in quelle aree in cui si sono verificati nel passato.

Un approccio simile, seppur modificato in modo da tener conto anche degli aspetti fisici del territorio, è stato usato dal Servizio Geologico Nazionale per giungere alla determinazione della “propensione al dissesto” dei territori comunali ([41]). In primo luogo è stata realizzata la Carta della propensione al dissesto della litologia affiorante, mediante la sovrapposizione delle informazioni relative ai fenomeni franosi con la Carta geologica alla scala 1:500.000; per ciascuna formazione geologica è stato quindi calcolato un indice di franosità, come rapporto tra il numero di frane ricadenti nella formazione stessa e la sua superficie affiorante. In base a tale indice, normalizzato, le formazioni geologiche sono state classificate come terreni con alta, media o bassa propensione al dissesto.

Nel presente lavoro sono state considerate le variabili coinvolte nella propensione al dissesto alle frane superficiali indipendentemente dai fenomeni attualmente rilevabili, riferendosi quindi ad una pura potenzialità. Gli elementi che concorrono all’instabilità dei versanti possono essere raggruppati in tre diverse categorie:

  • fattori esogeni, principalmente legati alle condizioni climatiche, le quali, se associate a regimi pluviometrici critici, possono portare ad eventi particolarmente intensi e molto concentrati nel tempo;
  • fattori endogeni, ascrivibili alla dinamica della crosta terrestre che, specie nelle catene montuose di più recente formazione come le Alpi e gli Appennini, è particolarmente importante e culmina nell’attività sismica come momento di massima liberazione dell’energia interna;
  • fattori fisici del territorio, che modulano la risposta del territorio stesso nei confronti dell’azione dei fattori endogeni ed esogeni. Tra questi, gli elementi considerati più importanti e maggiormente condizionanti sono le caratteristiche litologiche, la giacitura delle formazioni geologiche, la pendenza e l’esposizione dei versanti.

Per la valutazione della propensione alle frane superficiali il modello elaborato considera pertanto le seguenti variabili: litologia, giacitura degli strati, pendenza, esposizione, aggressività climatica e sismicità.

Litologia e giacitura degli strati

Riguardo alla pericolosità di frana, diversi studi hanno evidenziato come la litologia sia una delle migliori variabili discriminanti per distinguere le aree instabili, soprattutto considerando il litotipo prevalente ed alcune sue caratteristiche quali giacitura, grado di alterazione, ecc. ([2], [40]), anche in combinazione con la scabrosità della superficie e la pendenza ([13]).

La prima variabile analizzata è quindi il litotipo, considerato non solo in base al grado di competenza teorica delle rocce, ma anche all’intensità di fratturazione. Nell’impossibilità di rilevare le caratteristiche geologiche del substrato per ciascuna unità di territorio, si è proceduto all’individuazione di una serie di classi litologiche che raggruppano formazioni con caratteristiche analoghe. Per ciascuna classe si è quindi provveduto ad assegnare una generica “propensione” ai fenomeni franosi superficiali mediante attribuzione di un grado di instabilità potenziale (INST_LITO). Semplificando la classificazione operata da Amadesi & Vianello ([2]), sulla scorta anche delle categorie individuate dall’IPLA per la regione Piemonte ([34]), le classi litologiche individuate sono dieci, alle quali si aggiunge un’undicesima che contempla le aree in frana attiva; il risultato di tale operazione è riportato nella Tab. 4.

Tab. 4 - Classificazione dei gruppi litologici in classi di instabilità potenziale (INST_LITO).

Caratteristiche litologiche INST_LITO
aree franose attive 10
frane quiescenti e roccia pseudocoerente con struttura molto caoticizzata (argille scagliose) 9
roccia pseudocoerente (argille, limi) 8
alternanza di roccia coerente e pseudocoerente (prevalenza dei termini argillosi) 7
roccia incoerente ad elementi medio-fini (sabbie) 6
depositi morenici 5
roccia incoerente ad elementi grossolani (blocchi, ciottoli, ghiaie) 4.5
roccia semicoerente (arenarie friabili, tufi) e rocce coerenti intensamente alterate e/o fratturate (filladi, micascisti, etc.) 4
alternanza di roccia coerente e pseudocoerente o semicoerente (prevalenza dei termini arenacei e/o calcarei) 3.5
roccia coerente stratificata (calcari, arenarie, gneiss) 2
roccia coerente massiccia (calcari, dolomie, graniti) e clastiti cementate (brecce, conglomerati) 1

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Due delle classi litologiche comprendono formazioni composte da alternanze di strati con caratteristiche diverse; in tali casi il valore di instabilità conferito alla classe è quello riferibile ad una situazione di giacitura “neutra”. Per tali classi si prende in esame come ulteriore variabile anche la giacitura (CLAS_GIAC), ovvero la disposizione prevalente degli strati rispetto al pendio, secondo quanto riportato nella Tab. 5.

Tab. 5 - Valutazione della variabile giacitura degli strati (CLAS_GIAC).

Rapporti tra giacitura
degli strati e pendio
Effetto atteso CLAS_GIAC
franapoggio con inclinazione degli strati minore del pendio negativo 1
giacitura incerta o ignota; non applicabile (rocce non stratificate) neutro 0
reggipoggio, traverpoggio, strati suborizzontali o a franapoggio ma con inclinazione degli strati maggiore di quella del pendio positivo -1

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La valutazione della variabile giacitura si basa sulla delimitazione iniziale di aree omogenee quanto a valori di immersione (Esp_strati) e inclinazione (Pend_strati) del piano di stratificazione. I valori delle due variabili geometriche espressi in gradi sessagesimali sono tratti dai dati puntuali riportati sulle carte geologiche mediati su aree omogenee la cui delimitazione si basa su limiti litologici, lineamenti tettonici ed elementi morfologici. Questi valori sono dapprima confrontati con l’esposizione della superficie topografica (Esp_terreno) tratta dal Modello Digitale del terreno (DTM) e quindi con la pendenza (Pend_terreno) per arrivare a definire le classi riportate nella Tab. 5. Lo schema riportato in Fig. 6 riassume il sistema di regole che, implementato in una procedura automatizzata di calcolo, consente l’attribuzione delle classi giaciturali.

Fig. 6 - Schematizzazione delle regole utilizzate per attribuire la classe giacitura.

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Pendenza ed esposizione

La pendenza del versante è sicuramente una delle variabili morfologiche più influenti sulla stabilità del pendio, anche se è da evidenziare come la sua azione sia assai diversa a seconda delle tipologie di substrato. Alcune indagini statistiche sulla distribuzione delle frane ([1], [17]) hanno evidenziato che, contrariamente a quanto comunemente accettato, la frequenza di fenomeni di instabilità non aumenta linearmente con la pendenza dei versanti. La distribuzione delle superfici in frana tende piuttosto a concentrarsi in un ben definito intervallo di inclinazioni diverso per ogni “complesso litologico” ([14], [30]). Carrara et al. ([14]) hanno osservato che, indipendentemente dal litotipo, l’incidenza areale dei movimenti franosi aumenta rapidamente con la pendenza già a partire da valori intorno al 10% (6°), raggiunge il massimo nell’intervallo 25-60% (14-31°) e quindi decresce bruscamente intorno al 60-120% (3-50°). Ciò dipende sia dal fatto che le unità litologiche con migliori caratteristiche meccaniche presentano sovente versanti a forte inclinazione, sia dalla minore probabilità di formazione di falde idriche sospese a battente variabile. A titolo di esempio, per il complesso delle “Argille Scagliose”, soggetto a frequenti fenomeni di dissesto, le pendenze dove si trovano maggiori concentrazioni di movimenti di massa sono comprese fra il 18 e il 36% (10-20°); per pendenze maggiori del 60% (31°) la frequenza diventa trascurabile. Valori simili sono riferibili ad altri substrati teneri, quali depositi sabbiosi ed argillosi, marne e flysch ([17]). Per complessi litologici più coerenti, calcari ed arenarie per esempio, la maggiore frequenza si osserva invece intorno a pendenze del 70-100% (35-45°). Queste considerazioni sono in parte confortate dai dati riferiti da Megahan ([40]) il quale, dallo studio di 1400 eventi franosi sulle Rocky Mountains Settentrionali, ha osservato che, indipendentemente dalla tipologia del substrato, la maggioranza delle frane si è verificata su pendenze comprese fra il 50 e il 70% (27-35°).

In base alle considerazioni di cui sopra, ai fini del nostro modello, sono state individuate sei classi di pendenza riportate nella Tab. 6.

Tab. 6 - Classi di pendenza considerate nell’analisi (PEND).

Pendenza
in %
Classe
0 - 5 pianeggiante
5 - 15 molto bassa
15 - 35 bassa
35 - 70 intermedia
70 - 140 elevata
> 140 molto elevata

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Per quanto riguarda altri caratteri fisici stazionali legati alla morfologia, si è considerato che le esposizioni meridionali determinano una condizione aggravante per effetto dell’azione di disgregazione meccanica delle rocce ad opera dei cicli giornalieri di gelo-disgelo; questi sono legati alla maggiore radiazione diretta nei mesi invernali, la quale dipende a sua volta dalla pendenza del versante. Allo scopo sono stati condotti alcuni calcoli utilizzando un modello di stima della radiazione solare che evidenziano come nei mesi da dicembre a febbraio, ad una latitudine di 44°N, la quantità massima di radiazione si registri per inclinazioni di 67° (236%) sui versanti meridionali. Nel pesare l’indice correttivo di esposizione in funzione della pendenza sono stati quindi attribuiti i valori massimi a pendenze superiori al 140% (classe di pendenza “molto alta”) e valori nulli a pendenze inferiori al 5% (classe di pendenza “pianeggiante”). L’influenza dell’esposizione è stata ritenuta più importante, in riferimento ai fenomeni di crollo e rotolamento, per i litotipi “coerenti” o compositi (alternanze), considerando un effetto correttivo per le situazioni di esposizione prevalente a sud rispetto a tutte le altre, secondo lo schema di Tab. 7.

Tab. 7 - Classi di esposizione considerate nell’analisi (ESP).

Effetto Esposizione
negativo da E-SE a W-SW
nessuno altre esposizioni, assenza di pendenza (pianeggiante)

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Aggressività climatica e sismicità

Il clima rappresenta sicuramente uno dei principali fattori della morfogenesi, in relazione soprattutto alla probabilità del verificarsi di eventi piovosi di particolare magnitudo, in termini di intensità e durata. Amadesi & Vianello ([2]) individuano come critiche, ai fini della comparsa dei fenomeni di instabilità dei versanti, le piogge che eccedono la soglia giornaliera di 90 mm; Ziemer et al. ([71]), per la regione costiera dell’Oregon, suggeriscono invece che singoli afflussi superiori a 50 mm possono manifestare un impatto geomorfico relativamente a substrati sedimentari piuttosto teneri. Altri Autori, anche per ambienti italiani, suggeriscono valori soglia differenti in funzione della durata dell’evento (Tab. 8).

Tab. 8 - Afflussi critici in funzione della durata dell’evento riportati da diversi autori. *: valori stimati per la Valtellina; **: valori per le Alpi Lombarde.

Durata evento
(ore)
Afflusso critico
(mm)
Rice et al.
(1982)
Caine
(1980)
Jibson
(1989)
Cancelli e Nova
(1985) *
Ceriani et al.
(1994) **
3 29 29 48 57 33
6 45 44 66 66 45
12 68 67 93 77 61
24 105 103 130 90 84

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Con lo scopo di individuare un indice di aggressività climatica di facile applicabilità, adatto alla realtà del territorio nazionale e valido anche per altre tipologie di dissesto considerate dal progetto (erosione idrica, piene da deflusso istantaneo) è stato scelto l’indice di Fournier modificato da Arnoldus ([4]), indicato come FFAO, e ricavabile dalla relazione (eqn. 2):

\begin{equation} F_{FAO} = \frac{\sum_{i=1}^{12} p_i^2}{P} \end{equation}

dove P (mm) è la precipitazione media annua e pi (mm) è la precipitazione media del mese i-esimo.

La scelta di tale indice, applicabile anche alle stazioni pluviometriche non dotate di registratore, è stata effettuata a seguito di uno studio relativo a 292 località italiane. È risultato infatti che FFAO è molto ben correlato con altre variabili climatiche associabili all’insorgenza e/o riattivazione di disseti idrogeologici di varia natura ed è pertanto in grado di fornire una valutazione sintetica della probabilità di occorrenza di eventi piovosi notevoli, siano essi di elevata intensità e breve durata oppure più diluiti nel tempo, che sono coinvolti nei processi geomorfici ([27]). A titolo di esempio si riporta (Fig. 7) la relazione dell’indice in questione con la pioggia massima di sei ore e tempo di ritorno di 2 anni (Pmax(6h,2a)), per la quale si ha disponibilità di funzioni specifiche per la stima dell’erosività delle piogge (fattore R della Universal Soil Loss Equation o USLE di [67]).

Fig. 7 - Correlazione tra FFAO e Pmax(6h,2a) per le 189 stazioni esaminate.

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L’analisi dei dati pluviometrici di 669 stazioni del territorio italiano di cui si disponeva una serie adeguata di annate (almeno trenta), ha permesso di separare tre classi di aggressività climatica riportate in Tab. 9; i valori medio, minimo e massimo di detto indice per l’intero set di osservazioni sono risultati rispettivamente di 115, 38 e 291 mm.

Tab. 9 - Classi di aggressività climatica considerate nell’analisi (AGGR_CLIMA).

Classe Descrizione
alta FFao ≤ 150
intermedia 100 ≤ FFao< 150
bassa FFao<100

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La scelta della soglia di 100 mm, al di sotto del quale l’aggressività climatica è da considerare modesta, è confortata dagli studi di Rice ed al. (1982). Essi hanno elaborato un indice di gravità delle precipitazioni (S) nei confronti dei fenomeni franosi superficiali di tipo "debris slide/avalanche " che presenta la forma (eqn. 3):

\begin{equation} S = log_{10}(0.081 \cdot Aff^{0.93}\cdot D^{-0.57}) \end{equation}

dove Aff è l’afflusso in mm e D è la durata in ore dell’evento.

Sviluppando rispetto a Aff, si possono allora stimare gli afflussi critici corrispondenti a diverse durate; per una pioggia della durata di sei ore la funzione si annulla per Aff pari a 45 mm cui corrisponde, nella relazione riportata in Fig. 7, un valore di FFAO di 101 mm. Come già esposto valori analoghi di afflusso critico di sei ore sono stati individuati da Caine ([9]) e Ceriani et al. ([18]). La seconda soglia di FFAO è stata scelta anche con il criterio di ripartire abbastanza uniformemente i valori osservati nelle due classi superiori di aggressività. L’ultima variabile considerata per valutare la propensione al dissesto è rappresentata dalla sismicità, valutando il peso che un’attività sismica può assumere nell’alterare condizioni di equilibrio precario del pendio. L’informazione di partenza è costituita dalla classificazione del territorio nazionale in base al rischio sismico di ciascun comune, redatta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ([35]).

Questa prevede quattro classi di sismicità; le classi “bassa” e “trascurabile” sono state considerate ininfluenti per la propensione al dissesto, mentre le condizioni “media” ed “elevata” sono state considerate aggravanti (Tab. 10), con effetti sulla propensione rapportati anche al tipo di litologia.

Tab. 10 - Classi di sismicità considerate nell’analisi.

Classe Descrizione Classificazione
2003
elevata elevata 1a
media intermedia 2a
bassa da modesta a trascurabile 3a e 4a

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Valutazione esperta

Incrociando le variabili sopra esposte è possibile stimare il livello di propensione di una stazione rispetto ai fenomeni franosi superficiali. Esperti dell’ISSDS e dell’IPLA hanno quindi configurato un set di casi campione identificati da una combinazione univoca delle suddette variabili, formulando per ciascuno di essi in maniera euristica un giudizio sulla propensione, articolato in 5 classi: “molto bassa”, “bassa”, “intermedia”, “alta” e “molto alta”. Nell’individuazione dei casi campione gli esperti si sono curati di analizzare in maniera relativamente esauriente tutta la gamma delle possibili situazioni presenti nella realtà geografica italiana, prendendo come riferimento quelle contraddistinte da connotazioni meglio definite riguardo sia al contesto ambientale che alla stabilità e variandone una o più caratteristiche per modificare in modo netto (o per nulla influente) l’esito della valutazione.

Seguendo l’approccio illustrato in precedenza, il set di valutazioni esperte e i rispettivi valori delle variabili descrittive sono serviti per addestrare un classificatore neurale dedicato alla valutazione della propensione a questa particolare categoria di dissesti, con risultati estremamente soddisfacenti (par. 2.4.3, Tab. 1).

Valutazione della funzionalità protettiva

Si tratta di una funzionalità della copertura vegetale comunemente riconosciuta e assai spesso invocata quando ormai i dissesti si sono verificati; raramente però è stata descritta e caratterizzata in termini qualitativi ed ancor più raramente in termini quantitativi.

Tutti hanno sperimentato la resistenza offerta da piccoli arbusti, plantule, e perfino erbe al tentativo di estirpazione, ma i dati sperimentali che descrivono in modo esauriente le caratteristiche fisico-meccaniche dei tessuti ipogei sono assai scarsi e la carenza di informazioni è ancora più eclatante nel caso che si voglia considerare l’intero apparato radicale.

L’influenza positiva della vegetazione si esplica sia in forma indiretta che diretta: nel primo caso l’effetto è determinato dalla sottrazione di acqua al suolo per evapotraspirazione, con relativa riduzione dei pesi in gioco e dell’“effetto lubrificante” su eventuali strati di slittamento, mentre nel secondo dalla resistenza meccanica a trazione e taglio degli apparati radicali che si somma a quella del suolo. A tale proposito Styczen & Morgan ([59]) evidenziano come i maggiori effetti coesivi siano ascrivibili alle radici fini con diametro compreso fra 1 e 20 mm.

La copertura vegetale può produrre anche effetti negativi ai fini della stabilità; essa infatti determina un incremento della permeabilità del suolo e della capacità idrica di ritenzione degli orizzonti superficiali e permette quindi una percolazione più rapida e profonda dell’acqua fino a determinare l’instabilità di eventuali strati pseudocoerenti. La maggiore quantità d’acqua ritenuta dal sistema, in caso di eventi piovosi particolarmente concentrati, assieme alla biomassa vegetale determina a sua volta carichi piuttosto cospicui, con effetto stabilizzante o destabilizzante in funzione della pendenza. Come esemplificato in Fig. 8, la componente della forza peso normale al pendio (Pn), che incrementa l’attrito degli strati, diminuisce all’aumentare della pendenza, mentre quella tangenziale (Pt) tende a favorire le tensioni di scorrimento/scivolamento.

Fig. 8 - Esempio di scomposizione della forza peso nelle componenti stabilizzante (Pn) e destabilizzante (Pt) al variare della pendenza.

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Dal punto di vista pratico l’effetto negativo del sovraccarico andrebbe considerato solo per pendenze molto elevate (a 45° le due componenti si equivalgono) anche se è da notare come in queste situazioni suolo e massa vegetale siano generalmente modeste. Vari autori ([26], [42], [57]) riferiscono comunque che la variazione del sovraccarico dovuto alla biomassa risulta praticamente ininfluente sulla stabilità dei versanti; analisi di sensibilità condotte sul modello del pendio infinito ([32]) hanno dimostrato inoltre che anche il contenuto idrico del suolo esercita un ruolo molto modesto. I dati di Tab. 11 evidenziano l’importanza assoluta e relativa dei pesi delle diverse componenti di due ecosistemi di tipo mediterraneo: la biomassa vegetale comprensiva delle radici arriva a costituire solamente il 3-4% del peso complessivo in gioco, mentre l’acqua libera presente nel suolo può giungere fino al 20% del carico complessivo solo nel caso di eventi piovosi particolarmente intensi e prolungati, in grado di saturare completamente il profilo.

Tab. 11 - Pressioni esercitate dalle diverse componenti di due ecosistemi forestali ([5]).

Soprassuolo Spessore del suolo Vegetazione Acqua gravitazionale Suolo, scheletro ed acqua
(fino a cap. campo)
Totale
cm t/ha % t/ha % t/ha % t/ha
macchia alta a corbezzolo 120 435 3.0% 2416 15% 12917 82% 15768
pineta di pino laricio 65 297 3.0% 1718 19% 6840 77% 8854

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Rimane controverso e comunque difficilmente “ponderabile” l’effetto destabilizzante riferibile alla trasmissione al suolo di shock meccanici in seguito all’azione del vento sulla chioma e all’eventuale scalzamento di intere piante; in questo caso, la rottura dell’apparato radicale genera nel suolo una brusca e locale perdita di coesione che può rappresentare un punto preferenziale per l’innesco di fenomeni franosi.

La presenza di biomassa arborea anche cospicua nelle zone immediatamente a monte di una nicchia di distacco di una frana attiva, generalmente interpretata come condizione destabilizzante, dovrebbe invece essere riconsiderata alla luce del fatto che, in difetto dell’azione coesiva esercitata dagli apparati radicali, i fenomeni di dissesto si sarebbero potuti manifestare in maniera più rapida e/o estesa.

Secondo quanto riportato da Styczen & Morgan ([59]) il quadro generale relativo agli effetti della copertura vegetale sulla stabilità dei versanti può essere schematizzato come in Tab. 12.

Tab. 12 - Quadro riepilogativo degli effetti positivi (+) e negativi (-) della vegetazione sui fenomeni franosi superficiali ([59], parz. modificato).

Effetti idrologici Effetti meccanici
aumento della coesione del suolo per emungimento radicale di acqua dal suolo ed abbassamento del potenziale idrico + aumento della resistenza al taglio degli strati di suolo per effetto della presenza dei tessuti radicali +
riduzione degli afflussi per intercettazione delle chiome (assorbimento ed evaporazione) + ancoraggio del suolo a substrati sottostanti più stabili o alla roccia +
aumento della capacità di invaso superficiale da parte della lettiera + ingabbiamento di orizzonti profondi e a scarsa coesione da parte dello strato superficiale permeato dalle radici +
riduzione della velocità di scorrimento delle acque di ruscellamento (maggiore scabrosità) a vantaggio dell’infiltrazione - sostegno del terreno a monte delle ceppaie per scarico delle tensioni secondo archi appoggiati su punti saldi +
aumento della permeabilità edafica dovuto alla presenza delle radici +/- sovraccarico da biomassa nei popolamenti forestali, con aumento delle forze normali e parallele al pendio -/+
modificazione della deposizione e della durata della copertura nevosa e delle relative acque di fusione +/- trasmissione al suolo attraverso le radici di shock meccanici causati dall’azione del vento sulla chioma -
aumento dell’infiltrazione nei substrati interessati dall’azione disgregatrice delle radici +/- fratturazione e perdita di coesione di substrati competenti attraversati dalle radici -

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Il bilancio delle conseguenze attribuibili alla presenza delle piante risulta nettamente favorevole, tenuto conto che l’aumento dell’infiltrazione nel terreno e della permeabilità superficiale può essere considerato un fattore negativo solo quando siano presenti orizzonti profondi dotati di conducibilità idraulica scadente. Alcuni effetti, per esempio l’aumento della coesione dovuto alle caratteristiche meccaniche dei tessuti radicali in assenza di disturbi antropici, sono riconducibili soprattutto alle proprietà specifiche delle specie vegetali presenti, ma altri dipendono in maggiore misura da combinazioni contingenti più o meno estese nel tempo e nello spazio. Si pensi, nel primo caso, alla capacità di sottrarre acqua al pedosistema per evapo-traspirazione, nettamente condizionata dalla ciclicità stagionale a livello meso e microclimatico, e, nel secondo, al mosaico di condizioni edafiche che spesso si verifica in ambiente montano, con suoli che poggiano direttamente sulla roccia compatta o su coltri di alterazione e/o deposizione.

Il ruolo stabilizzatore della copertura vegetale dipende dalle caratteristiche degli apparati radicali delle specie presenti: capacità di penetrare in profondità, diffusione laterale, resistenza meccanica (principalmente a trazione e taglio), durabilità oltre che dimensioni e densità ([66]); per i popolamenti forestali quest’ultima caratteristica può essere convenientemente stimata mediante regressioni lineari dirette a partire dalla biomassa epigea ([10]), anche se, nel caso di piantagioni molto dense, la biomassa radicale sembra inversamente correlata alla densità del popolamento (Gregori et al. in preparazione). Indagini su diverse specie forestali ([19], [51]) mostrano che il rapporto tra biomassa epigea ed ipogea varia da specie a specie, con valori superiori nelle gimnosperme rispetto alle angiosperme ([38], [10]). Da alcuni studi risulta inoltre che le condizioni edafiche stazionali influenzano il livello di sviluppo radicale della stessa specie: apparati radicali più sviluppati di possono infatti formare in situazioni di aridità del suolo ([37], [43], [45]) come pure di scarsità di nutrienti ([62], [64]).

Le modalità di gestione delle risorse forestali, principalmente in relazione al tipo di taglio, di concentramento ed esbosco e alla viabilità, hanno conseguenze importanti sul ruolo stabilizzante della vegetazione. In seguito al taglio o ad eventi naturali, le proprietà meccaniche degli apparati radicali delle piante morte decadono più o meno rapidamente, in funzione della specie e del pedoclima; la loro funzione viene però sostituita da quella della rinnovazione, con andamento che dipende dal temperamento della specie prevalente, dalla tipologia dell’intervento di utilizzazione (entità e progressività del taglio) e della rapidità di affermazione della nuova compagine vegetale. Ziemer et al. ([71]) riferiscono che l’effetto negativo del taglio raso sulla coesione radicale si manifesta in maniera consistente a partire dal 3° - 5° fino al 10° - 20° anno dall’utilizzazione, con una caduta della coesione radicale residua fino a valori pari al 20 - 40% di quello iniziale (Fig. 9); tale dinamica è regolata principalmente dal clima, che condiziona sia la velocità di decomposizione della sostanza organica che lo sviluppo della rinnovazione.

Fig. 9 - Variazione della resistenza radicale residua al taglio secondo Ziemer et al. ([71]).

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I tagli successivi ed ancor più quelli saltuari avrebbero effetti meno marcati. Nel primo caso la perdita di coesione radicale a 2 - 3 anni dal taglio di sementazione sarebbe pari a circa il 30% rispetto alla situazione di partenza e successivamente, per effetto dell’affermarsi della rinnovazione e della forte crescita nelle piante residue, diverrebbe nulla o addirittura negativa; la massima compromissione dell’efficacia stabilizzante si manifesterebbe dopo cinque anni dal taglio di sgombero, a circa il 50% del valore iniziale ([71]). Per quanto riguarda il governo a ceduo, è plausibile ritenere che gli effetti siano ciclici, con perdite di coesione forse confrontabili con quelle del taglio di sgombero delle fustaie a tagli successivi, ma con tempi di reazione più rapidi dato che la quasi totalità delle ceppaie mantiene la vitalità e la rinnovazione agamica è sempre rapida. L’eventuale effetto negativo dei movimenti di terreno legati alle modalità di utilizzazione e rinnovazione del soprassuolo si somma ovviamente a quelli precedenti.

Nonostante la carenza di informazioni bibliografiche e la scarsa confrontabilità dei dati, si può ammettere che, a parità di dimensioni, le caratteristiche meccaniche dei tessuti radicali delle specie legnose siano superiori a quelle delle essenze erbacee; parimenti, individui di ampio sviluppo epigeo presentano apparati radicali più estesi rispetto a piante meno sviluppate.

Questo quadro conoscitivo è servito per organizzare una procedura di tipo euristico in grado di stimare la funzionalità stabilizzatrice associabile ad una data combinazione di soprassuolo e modalità gestionali (fattori modificabili), in interazione con agenti esterni negativi (disturbi) e positivi (interventi sistematori). Le otto variabili esplicative utilizzate riguardano aspetti facilmente determinabili sia attraverso analisi di immagine sia mediante rilievi speditivi a terra e devono essere riferite ad unità di territorio sufficientemente omogenee in relazione alla scala di indagine.

L’approccio seguito si basa sulla valutazione del livello potenziale di funzionalità protettiva di un popolamento ipotetico considerato in condizioni ottimali, ovvero in piena maturità, densità colma, in assenza di limitazioni edafiche e non soggetto a disturbi derivanti dalla gestione forestale o di altra natura. Questo massimo livello potenziale di capacità di protezione viene successivamente riconsiderato alla luce delle reali condizioni in cui si trova il popolamento sotto il profilo degli aspetti fisionomici e delle eventuali interferenze esterne.

Funzionalità potenziale

In primo luogo, per ciascuna delle principali specie della flora forestale italiana si è tentato di definire una combinazione di cinque caratteristiche degli apparati radicali ritenute fondamentali al fine della funzionalità stabilizzante. Tali attributi si riferiscono, in assenza di limitazioni edafiche alla capacità di formazione del fittone, alla profondità di radicazione, allo sviluppo laterale in termini di superficie esplorata, alla resistenza meccanica ed alla durabilità, intesa come mantenimento delle proprietà meccaniche dopo la morte, anche in relazione all’ambiente climatico proprio di ciascuna specie; le modalità di definizione di ciascuna proprietà sono illustrate in Tab. 13. Le informazioni che sono state reperite nella letteratura disponibile ([5], [8], [11], [20], [22], [24], [28], [29], [39], [44], [65]) denotando importanti lacune, specialmente per le specie con minore diffusione areale e/o meno importanti dal punto di vista selvicolturale e commerciale. È stato necessario procedere ad estrapolare, ove plausibile, l’informazione per specie affini oppure classificare il caso come “incerto”. In assenza di dati di letteratura, le caratteristiche meccaniche delle radici sono state classificate a partire dai valori di resistenza a compressione e/o flessione del legno delle porzioni epigee.

Tab. 13 - Sistema di valutazione adottato per la definizione degli attributi radicali specifici.

Caratteristica Sigla Modalità di classificazione
presenza del fittone F assente
temporanea o incerta
costante
profondità di radicazione P superficiale
moderata o incerta
elevata
sviluppo laterale S scarso
intermedio o incerto
ampio
resistenza meccanica R scarsa
intermedia o incerta
elevata
durabilità dei tessuti D scarsa
intermedia o incerta
elevata

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Il passaggio successivo è consistito nell’individuare una serie esaustiva di tipologie che coprisse tutto il paesaggio forestale nazionale, articolata in sottotipi e varianti, a partire dall’informazione contenuta nel volume “I boschi d’Italia” ([46]) ed in alcuni inventari forestali regionali ([48], [49]). Il criterio distintivo adottato in questa sede non ha seguito pienamente quello vegetazionale, basato sugli aspetti fitosociologici ed ecologici, bensì è stato orientato all’individuazione di tipologie con presenza prevalente e comunque non sporadica di specie con particolare valenza protettiva in termini di stabilizzazione dei versanti. Ad esempio, mentre il primo approccio tenderebbe a raggruppare in un’unica categoria robinieti ed ailanteti, come soprassuoli pionieri di specie esotiche naturalizzate, l’impostazione adottata, basata sulla funzionalità stabilizzante, attribuisce loro valori potenziali di protezione molto differenziati. A tal fine sono stati utilizzati termini come “a prevalenza di”, “con” (nel significato di “associato a”) ed “anche con” per evidenziare il contributo alla costituzione del soprassuolo da parte di specie particolarmente efficaci; il risultato classificatorio è riepilogato in Tab. 14.

Tab. 14 - Tipologie forestali.

Comparto Tipologia Tipo
BOSCHI LATIFOGLIE SEMPREVERDI lecceta
bosco o macchia alta a prevalenza di leccio con altre specie sempreverdi
bosco o macchia alta a prevalenza di sughera
sughereta specializzata
bosco o macchia alta di sempreverdi con decidue o semidecidue (Q. trojana, Q. aegylops, Q. calliprinos)
bosco o macchia alta a prevalenza di leccio con altre specie decidue
piantagione di eucalipto
LATIFOGLIE DECIDUE bosco a prevalenza di roverella
bosco a prevalenza di cerro o frainetto
bosco a prevalenza di farnia o rovere
bosco misto di querce decidue, anche con latifoglie sempreverdi
Orno - ostrieto
bosco a prevalenza di carpino nero o orientale
bosco a prevalenza di olmo
bosco a prevalenza di ontano napoletano
bosco misto di latifoglie xerofile (orniello, acero minore, cercis, roverella)
bosco di latifoglie xerofile con latifoglie sempreverdi
bosco a prevalenza di pioppo tremulo
bosco a prevalenza di castagno
bosco a prevalenza di carpino bianco
bosco a prevalenza di altre latifoglie mesofile (frassini, aceri, tigli, sorbi, etc.)
bosco misto di latifoglie mesofile anche con latifoglie sempreverdi
bosco a prevalenza di faggio
faggeta con latifoglie mesofile diverse (carpino nero, aceri, cerro, etc.)
faggeta con conifere (abeti, pini, larice)
bosco a prevalenza di betulla (Betula pendula)
bosco a prevalenza di robinia
bosco a prevalenza di ailanto
piantagione di pioppo
piantagione di altre latifoglie
LATIFOGLIE IGROFILE bosco a prevalenza di salici (arborei)
bosco a prevalenza di pioppi
bosco a prevalenza di ontano (bianco o nero)
bosco a prevalenza di frassini (ossifillo o maggiore)
bosco misto di latifoglie igrofile
formazioni riparie a Platanus orientalis e/o tamerici
CONIFERE MEDITERRANEE pineta di pino domestico
pineta di pino d’Aleppo
pinete di pino marittimo
cipresseta
boschi misti di conifere mediterranee
boschi a prevalenza di conifere mediterranee con latifoglie sempreverdi
boschi a prevalenza di conifere mediterranee con latifoglie decidue
piantagione a pino insigne
piantagione di cedri, cipressi esotici, altre specie e miste
CONIFERE MONTANE E MICROTERME pineta di pino silvestre
pineta di pino nero o laricio
formazione a pino loricato
abetina
peccete
lariceto
pineta di pino uncinato
pineta di pino cembro anche associato a larice
formazioni di conifere montane e microterme con larice
formazioni miste di conifere montane e microterme sempreverdi
formazioni a prevalenza di conifere montane e microterme con latifoglie decidue
piantagioni di conifere esotiche (douglasia, Chamaecyparis, pino strobo, etc.) e/o miste
ARBUSTETI TERMO-XEROFILI macchia a palma nana, quercia spinosa e corbezzolo
macchia a quercia spinosa e ginepro fenicio
macchia a ginepri
macchia a olivastro, mirto, lentisco, fillirea, palma nana, ed altre sempreverdi
macchia a mirto, calicotome e leccio cespuglioso
macchia a Euphorbia dendroides
macchia a cisti, erica arborea, lavandula, corbezzolo e fillirea
cisteto
ericeto a erica arborea, scoparia o multiflora
ginestreto (a prevalenza di sparto, Ulex, Genista, Calycotome, etc.)
formazioni di acacie arbustive
MESO-TERMOFILI corileto
ginestreto a Cytisus scoparius e Genista radiata
brughiera a Calluna e Erica herbacea (E. carnea)
roveti e macchie a lampone
macchie a Prunus spinosa
formazioni a ginepro comune
macchie a Prunus mahaleb
macchie a Berberis
formazioni ad Amelanchier
formazioni a scotano
formazioni miste (biancospino, evonimo, agazzino, Cornus spp., ligustro, etc.)
MICROTERMIO IGROFILI ontaneto a ontano verde
mugheto
rodoreto
vaccinieto
formazione di arbusti prostrati alpini (ginepro, salici prostrati, Loiseleuria)
saliceti arbustivi ripari
formazioni a Nerium oleander e/o tamerici
FORMAZIONI ERBACEE infestanti delle colture, formazioni nitrofile, ruderali, ad alte erbe (megaforbie), felceti, vegetazione palustre
praterie (prati e pascoli) dal piano basale a quello subalpino
formazioni erbacee pioniere nivali, alpine, dei detriti, dei greti e delle dune
formazioni ad alte graminacee di ambienti umidi (Molinia, Calamagrostis), formazioni a Fragmites
formazioni ad alte graminacee di ambienti aridi (Ampelodesma)
canneti (Arundo donax)

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Ad ogni tipologia, tenuto conto delle mescolanze e dell’incidenza relativa delle diverse specie, è stato attribuito un grado medio ponderato per ciascuna delle cinque caratteristiche funzionali di cui sopra. Per esigenze di semplificazione della procedura valutativa, tali caratteristiche sono state condensate in due variabili complesse, anch’esse espresse in grado.

La prima (F&P) definisce la capacità del soprassuolo di ancorarsi agli strati più profondi del sistema suolo/substrato e combina la presenza del fittone con la profondità di radicazione; la seconda variabile (S&R&D) sintetizza le altre proprietà stabilizzanti. Questa suddivisione è stata concepita per tenere in considerazione che le prime due caratteristiche interagiscono con lo spessore del suolo, nel senso che su suoli di spessore modesto la differenza di efficacia fra gli apparati radicali tendenzialmente profondi e quelli superficiali può considerarsi inconsistente. Allo scopo era originariamente prevista l’introduzione di una variabile “profondità del suolo” che consentiva di rivalutare F&P, ma i risultati iniziali forniti dalle reti neurali hanno evidenziato che il contributo dello spessore edafico alla formazione del giudizio finale di funzionalità era trascurabile. Tale informazione è presumibilmente contenuta in maniera implicita in altre variabili: di fatto, al ridursi della profondità di suolo esplorabile dalle radici, tende a cambiare la stessa tipologia della copertura e/o altri aspetti fisionomici, quali portamento e copertura, considerati da altre variabili.

Definita la funzionalità potenziale come sopra, il processo valutativo prende in esame due ulteriori gruppi di variabili (Fig. 10), che da una parte descrivono lo stato reale del soprassuolo e dall’altra valutano l’influenza dei fattori esterni.

Fig. 10 - Schema concettuale per la definizione della funzionalità protettiva.

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Variabili della copertura vegetale

La prima variabile (COP1) di questo set individua il portamento della copertura vegetale dominante, costituita dalle piante di maggiore statura presenti in maniera non sporadica nel popolamento (nel presente contesto si definisce come “sporadica” una presenza caratterizzata da un grado di copertura inferiore al 5%), e ne considera l’eventuale riduzione in relazione alla tipologia di partenza. Ciò consente di correggere la funzionalità potenziale nel caso di cenosi arboree del tipo “basso fusto” tipiche delle stazioni con forti limitazioni edafiche e piuttosto frequenti per diverse categorie forestali (leccete, orno-ostrieti, querceti decidui, etc.), come pure di quelle formazioni arbustive che assumono fisionomia di alti o bassi arbusti (per esempio macchia alta e gariga) in funzione di limitazioni da considerarsi permanenti. La classificazione adottata, concepita anche per rispondere ad esigenze di fotointerpretazione, è riportata in Tab. 15 e non contempla il caso di assenza di copertura vegetale, alla quale non potrebbe applicarsi alcuna valutazione di funzionalità protettiva. Nella classe “arborea”, secondo quanto evidenziato in merito alla definizione di funzionalità potenziale, vanno anche compresi i popolamenti forestali in rinnovazione (novelleti e spessine), indipendentemente dalla statura “dominante”; identiche considerazioni valgono ovviamente per le giovani piantagioni forestali, che si inseriscono in un preciso programma colturale. Diverso è il caso dei popolamenti di neo-formazione, ad esempio ex coltivi, che il pianificatore può difficilmente inquadrare in uno scenario gestionale a breve o medio termine. La logica che sottende questa impostazione non si basa sulla necessità, a livello di pianificazione forestale, di stimare la funzione stabilizzatrice di un dato popolamento in un particolare stato contingente, quanto di giungere alla valutazione di una funzionalità media nell’arco dell’intero ciclo colturale. Solo in questo modo è possibile, infatti, mettere a confronto l’effetto atteso a seguito di scelte pianificatorie e gestionali alternative sull’efficacia protettiva di un dato popolamento e giudicare, per esempio, se sia sostenibile continuare il governo a ceduo o sia più opportuno ipotizzare forme di conduzione meno impattanti, come la trasformazione in ceduo composto o l’avviamento a fustaia.

Tab. 15 - Classificazione della copertura dominante (COP1).

Tipo di copertura Limite di altezza
arborea (anche rinnovazione) h ≤ 6 m
alti arbusti 2 ≤ h < 6 m
bassi arbusti, cespugli e suffrutici 0.5 ≤ h < 2 m
erbacea

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Nella stessa ottica, per popolamenti interessati anche gravemente da disturbi accidentali come incendi, schianti da vento o valanghe, si deve fare riferimento alla situazione preesistente al danneggiamento, così come può essere rilevata dai residui della vegetazione (ad esempio dalle ceppaie). Il concetto da applicare in questo caso è che si tratta di conseguenze temporanee normalmente non in grado di mettere in discussione la preesistente destinazione d’uso del suolo ed alle quali si tenderà ad ovviare ricostituendo i soprassuoli compromessi affidandosi all’evoluzione spontanea o attraverso interventi adeguati. Lo stesso dicasi anche quando i fenomeni di disturbo hanno una frequenza eccessiva per consentire lo sviluppo delle specie arboree, come nel caso tipico dell’incendio in ambiente mediterraneo.

La variabile COP1 assume pertanto la funzione di modulare il set di parametri radicali delle sole tipologie in cui le piante possono assumere portamento diverso, ad esempio arboreo o arbustivo, per effetto di limitazioni di tipo permanente.

La variabile lacunosità (LAC) tiene conto della proporzione di superficie presumibilmente esplorata dagli apparati radicali appartenenti alla porzione dominante del soprassuolo (quella che caratterizza COP1) ed è classificata in cinque classi secondo lo schema di Tab. 16: un esempio planimetrico per rilevamenti di dettaglio e semidettaglio è schematizzato in Fig. 11. I criteri classificatori derivano da indicazioni reperite in bibliografia oltre che dai risultati di un’indagine specifica sulla possibilità di stima della biomassa radicale a partire da alcune variabili dendrometriche dei popolamenti forestali (Gregori et al. in preparazione). Non è stato invece tenuto conto della possibilità che, come detto in precedenza, la biomassa radicale possa essere in qualche modo compromessa dalla eccessiva densità degli individui. I criteri adottati per definire le varie classi di lacunosità rispondono più che altro alle esigenze interpretative di riprese aeree di un certo dettaglio, anche se sono in corso prove per applicare gli indici di vegetazione tipici del telerilevamento satellitare.

Tab. 16 - Modalità di classificazione della variabile lacunosità (LAC).

Tipo Descrizione
regolare - colma le chiome dello strato dominante sono praticamente unite
regolare - scarsa le chiome dello strato dominante sono spesso separate
regolare molto scarsa o lacunosa le chiome dello strato dominante sono ben isolate oppure più o meno ravvicinate ma con qualche radura
aggregata lo strato dominante forma delle aree più o meno dense intervallate da zone scoperte
a cespi lo strato dominante è limitato a singoli individui sparsi o in piccoli gruppi che danno origine a "superindividui", all’interno di zone generalmente scoperte

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Fig. 11 - Schema planimetrico per l’attribuzione della classe di lacunosità.

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La variabile copertura accessoria (COP2) descrive in modo qualitativo la vegetazione presente nelle lacune della copertura dominante, considerando la situazione prevalente, ed è significativa solamente nei casi in cui questa non risulti colma. Ipoteticamente l’effetto stabilizzante degli apparati radicali della compagine vegetale accessoria va quindi a sommarsi a quello della copertura dominante; non è tuttavia da escludere che, in termini quantitativi, il suo ruolo possa essere più rilevante di quello dello strato arboreo. Ad esempio, una copertura arborea a cespi di specie con apparato radicale poco efficace ha probabilmente effetti coesivi inferiori rispetto a quelli dovuti alla presenza di un fitto sottobosco arbustivo. La copertura accessoria è stata classificata come in Tab. 17, inquadrando le condizioni di assenza di apparati radicali (terreno nudo, rocce affioranti e/o lettiera) nella classe “assente”.

Tab. 17 - Classi di copertura accessoria (COP2).

Tipo di copertura Limite di altezza
alti arbusti 2 ≤ h < 6 m
bassi arbusti, cespugli e suffrutici 0.5 ≤ h < 2 m
erbacea -
nessuna (lettiera, suolo, roccia) -

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La funzionalità definita fino a questo punto della procedura è riferita alla condizione “reale” del soprassuolo e non considera agenti di disturbo e/o l’effetto di sistemazioni eventualmente presenti; qualche esempio applicativo è schematicamente illustrato in Fig. 12.

Fig. 12 - Esempi schematici di profili verticali del soprassuolo e di attribuzione delle variabili relative alla copertura.

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Fattori esterni

Tenuto conto delle finalità applicative della presente indagine sono stati distinti disturbi di tipo sistematico, definiti come disturbi gestionali (DIST_GEST) legati in modo diretto alla forma di governo, trattamento e modalità di utilizzazione dei soprassuoli, da quelli per così dire occasionali (DIST_VARI), dovuti ad eventi non prevedibili, anche se spesso di origine antropica. Mentre i primi sono conseguenza diretta delle scelte pianificatorie, i secondi ne sono generalmente indipendenti anche se l’assestatore può, e spesso deve, prevedere misure ed interventi atti a modificare la probabilità di occorrenza di tali fenomeni e/o a diminuire la portata dei loro effetti.

La variabile esplicativa DIST_GEST stima gli effetti diretti ed indiretti dell’insieme di attività connesse con lo sfruttamento e la gestione di un soprassuolo sulla consistenza e vitalità degli apparati radicali. Sulla base delle impostazioni precedentemente esposte, il periodo di riferimento comprende l’intero ciclo colturale, prendendo in esame la frequenza temporale degli interventi, l’estensione della superficie utilizzata, l’intensità del prelievo e la modalità di rinnovazione. La classificazione è di tipo ordinale (Tab. 18) e presenta come estremi l’assenza di ogni tipo di utilizzazione delle risorse legnose per i boschi naturali ed il trattamento a taglio a raso su ampie superfici; per i popolamenti artificiali non più gestiti viene attributo un certo grado di disturbo considerando l’elevato rischio di degrado dovuti proprio alla mancanza di cure colturali. Per quanto riguarda specifiche formazioni di transizione, cedui invecchiati e cenosi pioniere su ex-coltivi vengono considerati privi o quasi di disturbi di tipo gestionale, in quanto non risulta possibile prevedere le forme gestionali cui saranno sottoposti in futuro. In questi casi, infatti, il pianificatore ha a disposizione una gamma piuttosto articolata di opzioni che, per i cedui invecchiati, sono rappresentate dall’abbandono, dalla conversione (per evoluzione spontanea o per avviamento all’alto fusto) o dal ritorno al ceduo in una delle sue forme (semplice, matricinato, etc.); per i nuovi popolamenti su coltivi abbandonati le possibilità sono molto più ampie e comprendono non solo destinazioni d’uso forestali, ma anche altre di tipo agro-pastorale.

Tab. 18 - Disturbi legati alla gestione del soprassuolo (DIST_GEST).

Gestione Tipologie gestionali
Selvicolturale fustaia a taglio raso, anche con riserve, su superfici più ampie di 0.5 ha
fustaia a taglio raso, anche con riserve, su piccole superfici (buche, strisce, cortine)
ceduo semplice o scarsamente matricinato
fustaia a taglio successivo uniforme
ceduo intensamente matricinato
ceduo composto o coniferato
fustaia a taglio successivo localizzato
ceduo a sterzo
ceduo invecchiato oltre 2 volte il turno
fustaia di transizione
fustaia a taglio saltuario (per pedali o piccoli gruppi)
Irregolare o assente fustaie e/o cedui soggetti a forme occasionali e comunque parziali di utilizzazione
popolamenti deperienti per abbandono o altre cause (condizioni stazionali sfavorevoli)
popolamenti di stazioni con forti limitazioni edafiche (formazioni rupestri)
cenosi di neo-formazione e/o di transizione (formazioni pioniere su ex-coltivi)
fustaia ordinariamente non gestita (boschi privati non utilizzati, formazioni riparie e di quota)

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La collocazione nelle scala ordinale di Tab. 18 delle forme di governo a ceduo si basa più che altro sull’assunto che le ceppaie ceduate risentono solo in parte del taglio e conservano comunque alcune porzioni vitali. È evidente che la ceduazione comporta una notevole crisi riorganizzativa dell’apparato radicale originario, ma la resistenza residuale delle parti necrotizzate, quella delle radici che rimangono vitali e di neoformazione dovrebbero ripristinare in tempi ridotti la funzione di stabilizzazione del terreno ([3]).

Da un punto di vista generale, tanto più gradualmente la copertura originale è sostituita da quella di neoformazione tanto meno compromesso è il potere di stabilizzare lo strato del terreno e/o del substrato.

La variabile DIST_VARI intende pesare i disturbi non direttamente connessi con le scelte di tipo pianificatorio. Include, in realtà, gli effetti sia dovuti a fenomeni naturali indipendenti dalle attività antropiche, per lo più rappresentati da dissesti di ampia portata come frane, alluvioni e valanghe, sia ad esse più o meno intimamente legati quali pascolo e incendio o direttamente connessi con alcuni aspetti delle utilizzazioni forestali, in particolare con la viabilità di servizio. Le caratteristiche di maggiore rilevanza per questa categoria di disturbi sono rappresentate dal tipo, entità e diffusione spaziale dei fenomeni; la loro definizione presuppone un considerevole dettaglio nella fase inventariale con un aggravio che non è parso giustificabile sulla base dei risultati forniti dai primi approcci valutativi condotti mediante reti neurali, che hanno evidenziato come queste informazioni fossero in realtà dotate di scarso potere esplicativo. Ai fini della pianificazione forestale, risulta prioritario qualificare il grado di compromissione della funzionalità stabilizzatrice della vegetazione ed eventualmente identificare le misure dirette o indirette di contenimento. Si è scelto pertanto di classificare DIST_VARI in modo molto sintetico a partire dalla combinazione dei tre aspetti considerati in una unica variabile esplicativa (Tab. 19), considerando unicamente il fenomeno prevalente. Come già accennato, quando il soprassuolo risulta fortemente danneggiato o addirittura distrutto da disturbi di tipo occasionale (incendio, schianti e sradicamenti da vento o valanghe), la tipologia d’ingresso e tutte le altre variabili precedentemente descritte devono essere riferite alla situazione preesistente al danno, in quanto l’effetto deve essere considerato transitorio.

Tab. 19 - Classificazione della variabile sintetica "Altri disturbi" sulla base della loro tipologia e della combinazione fra entità e diffusione (DIST_VARI).

Classe di danno Tipologia del disturbo prevalente
movimenti di terra (frane, alluvioni, scarpate d’erosione, gully, etc.) sradicamenti da vento disturbi da
viabilità di
servizio (piste d’esbosco)
danni da
incendio
disturbi da pascolo danni da valanga
catastrofica gravi fenomeni attivi che interessano tutta o quasi la particella generalizzato [non applicabile] distruzione completa del soprassuolo con combustione anche delle ceppaie [non applicabile] [non applicabile]
preoccupante fenomeni attivi più o meno gravi su una porzione consistente della particella molto diffuso o a chiazze ma su porzioni rilevanti della particella piste molto diffuse e con forti fenomeni attivi generalizzati distruzione completa o quasi completa del soprassuolo su una porzione rilevante della particella danni rilevanti generalizzati distruzione generalizzata del soprassuolo
molto evidente fenomeni attivi più o meno gravi su una ridotta porzione della particella parecchie piante in modo diffuso o gruppi di una certa estensione piste diffuse e con fenomeni di dissesto attivi più o meno diffusi come sopra su una parte consistente della particella o danni di minore entità ma su quasi tutta l’area danni rilevanti su aree circoscritte o abbastanza gravi ma andanti danni rilevanti su aree circoscritte
evidente come sopra ma in via di stabilizzazione piccoli gruppi circoscritti piste anche diffuse e con evidenti fenomeni attivi localizzati danni gravi circoscritti a gruppi di limitata estensione danni abbastanza gravi più o meno diffusi danni limitati ai margini
scarsamente evidente fenomeni attivi molto localizzati o circoscritti ma in fase di stabilizzazione limitato a poche piante fenomeni attivi molto localizzati o comunque in via di stabilizzazione fuoco basso con danni consistenti a carico di singole piante isolate danni modesti e più o meno diffusi danni non esiziali e/o molto localizzati
assente o trascurabile assenti assenti assenti assenti assenti assenti

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L’effetto positivo di eventuali sistemazioni idraulico-forestali è contemplato dalla variabile (SIST), di tipo qualitativo complesso, che analizza due aspetti fondamentali: la diffusione areale rispetto all’unità di analisi del territorio ed un giudizio sintetico riguardo l’efficacia delle opere presenti. In questo modo è possibile valutare compiutamente la funzionalità stabilizzatrice che è possibile attendersi e che va a sommarsi a quella degli apparati radicali (Tab. 20). Nella maggioranza dei casi, specialmente per i soprassuoli di tipo naturale o seminaturale, questa variabile non assume alcuna rilevanza. In alcuni casi particolari, tutt’altro che infrequenti nella realtà collinare e di bassa montagna della Penisola, essa assume tuttavia un peso rilevante nel quadro della funzionalità considerata. Ci riferiamo in particolare agli ex-coltivi abbandonati e ricolonizzati dalla copertura forestale, ma anche a molte aree un tempo occupate da castagneti da frutto più o meno sistematicamente interessate da opere di stabilizzazione del pendio come gradoni, terrazzi o lunette. Anche molte aree rimboschite sono state oggetto di rimodellamenti sostanziali del profilo naturale del terreno. Nei rimboschimenti dell’ultimo dopoguerra il ricorso alla costruzione manuale di terrazze sostenute da muretti a secco nelle zone più “difficili” risulta pratica piuttosto comune. In tempi più recenti l’apertura manuale o meccanizzata di gradoncini per le piantagioni forestali delle zone più acclivi è stata una scelta piuttosto diffusa. Anche l’andanatura livellare dei prodotti dello spietramento, talora adottata nei rimboschimenti ad orientamento produttivo degli ultimi decenni, è da considerarsi come opera sistematoria.

Tab. 20 - Valutazione delle sistemazioni idraulico-forestali (SIST).

Presenza Efficacia
molto
compromessa
parziale buona non
applicabile
assenti 0 0 0 0
sporadiche 0.1 0.15 0.3 0
localizzate 0.175 0.325 0.65 0
diffuse 0.25 0.5 1 0
non applicabile 0 0 0 0

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Casi particolari di zone sistemate sono rappresentati da aree in frana oggetto di progetti speciali di stabilizzazione, scarpate stradali o ferroviarie riconsolidate, alvei e parti basali di versanti stabilizzati da opere idrauliche di diverso tipo (trasversali e/o longitudinali), versanti bonificati nei confronti della caduta di massi e/o di neve mediante opere diverse (muretti, gabbionate, ponti, reti); quantunque dotati in generale di ottima efficacia stabilizzante, questi manufatti rivestono una scarsa rilevanza all’interno dei contesti forestali.

Casistica esperta

La combinazione di queste variabili porta ad individuare in maniera del tutto euristica un grado di funzionalità delle vegetazione nei riguardi della stabilizzazione degli strati superficiali del sistema suolo/substrato. La procedura è stata quindi impiegata per la costituzione di un set di casi campione necessari all’addestramento delle reti neurali, fornendo un giudizio esperto articolato su cinque classi ad individuare una funzionalità“assente o trascurabile”, “scarsa”, “discreta”, “elevata” o “molto elevata”. Allo scopo sono state espresse 1021 valutazioni esperte relative ad altrettante situazioni configurate sulla base di uno o più dei seguenti criteri:

  • realtà locali ben inquadrate sotto il profilo dei caratteri stazionali e della stabilità dei versanti;
  • casi “emblematici” quanto più possibile rappresentativi dell’intero panorama forestale e geo-climatico della Penisola;
  • varianti opportunamente ipotizzate per articolare le diverse variabili esplicative.

Per ciascun caso sono state definite le otto variabili precedentemente illustrate sulla base di rilievi direttamente effettuati, di dati quantitativi e descrittivi disponibili in letteratura, di interpretazione di immagini comunque reperite e di plausibili scenari ipotetici. Alcuni esempi di esito della valutazione sono riportati in Tab. 21, con riferimento alle immagini di Fig. 13.

Tab. 21 - Esempio di valutazione esperta della funzionalità per i casi di Fig. 3.2.4.1.

variabile CASO
1 2 3 4
Tipo
(F&P, S&R&D)
bosco a prevalenza di faggio bosco a prevalenza di cerro ontaneto a ontano verde pineta di pino d’Aleppo
COP1 arborea arborea alti arbusti arborea
LAC regolare colma regolare colma reg. molto scarsa o lacunosa reg. molto scarsa o lacunosa
COP2 nessuna (lettiera, suolo, roccia aff.) indifferente erbacea cespugliosa
DIST_GEST fustaia a taglio successivo uniforme ceduo semplice o scars. matricinato arbusteti e praterie fustaia a taglio raso su piccole superfici
DIST_VARI assente o trascurabile assente o trascurabile scarsamente evidente scarsamente evidente
SIST assenti o praticam. trascurabili assenti o praticam. trascurabili assenti o praticam. trascurabili diffuse e efficaci
FUNZ _STAB elevata molto elevata scarsa elevata

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Fig. 13 - Esempi per la valutazione della funzionalità stabilizzante.

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Come illustrato nel precedente capitolo 2, la corrispondenza delle risposte fornite dalla rete neurale con le valutazioni esperte frutto della nostra interpretazione è risultata eccellente, tanto da suggerirci di riconsiderare alcuni giudizi relativi a qualche caso discordante.

La determinazione dei valori-indice derivati dalla combinazione delle classi di propensione al dissesto del territorio e di funzionalità protettiva della copertura vegetale

Per ciascun aspetto protettivo analizzato, l’incrocio di funzionalità e propensione, previa trasformazione delle classi in valori numerici fra 0 ed 1, permette di configurare quattro indici complessi. Due presentano un carattere più descrittivo e riconsiderano la potenzialità protettiva del soprassuolo per definire il suo grado di esplicazione nell’effettivo contenimento dei dissesti; ciascuna unità di terre viene quindi inquadrata sia sotto forma di bilancio propensione/funzionalità (GRADO DI EQUILIBRIO), sia di “valore” associabile al popolamento in termini di protezione (VALORE DI PROTEZIONE). Gli altri due indici assumono invece un’accezione prettamente pianificatoria e riguardano la formulazione di un livello di vincolo nei confronti di modalità di gestione orientate esclusivamente allo sfruttamento delle risorse vegetali (GRADO DI VINCOLO) e l’individuazione, almeno in via preliminare, delle aree dove concentrare eventuali interventi miglioratori (PRIORITA’ DI INTERVENTO). Il valore di ognuno degli indici viene calcolato a partire da modelli matematici in grado di modellizzare alcuni criteri logici identificati dal nostro gruppo di lavoro e specificati più avanti. Nella descrizione che segue i quattro indici sono riferiti all’aspetto di protezione dai fenomeni franosi superficiali; per altre funzionalità protettive cambieranno di conseguenza concetti e modelli interpretativi.

Per descrivere in modo molto sintetico il grado di equilibrio esistente fra tendenza ai dissesti e capacità protettive (EQUI_STAB) è stata considerata la differenza aritmetica tra funzionalità del soprassuolo (FUNZ_STAB) e propensione della stazione (PROP_STAB), standardizzata nell’intervallo 0 - 1 (Fig. 14A). Valori prossimi a 0.5 indicano situazioni con livelli praticamente equivalenti dei due fattori, per i quali è plausibile ritenere che le possibilità protettive della cenosi vegetale siano proporzionate alla suscettività alle frane superficiali. Al crescere dell’indice aumenta la “garanzia” di stabilità, evidenziando addirittura un eventuale “eccesso” protettivo, nel senso che la funzionalità non viene completamente esplicata; vice versa, bassi valori corrispondono a situazioni critiche, in cui le caratteristiche protettive della vegetazione sono presumibilmente insufficienti per prevenire i dissesti. In base a questi criteri EQUI_STAB può essere utilizzato come in Tab. 22 per definire le diverse situazioni delle unità di territorio analizzate.

Fig. 14 - Definizione degli indici EQUI_STAB (A), VAL_STAB (B), VINC_STAB (C) e PRIOR_STAB (D) e dei rispettivi intervalli in classi ordinali a partire dai valori standardizzati tra 0 e 1 delle classi di propensione al dissesto e funzionalità protettiva.

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Tab. 22 - Classificazione dell’indice EQUI_STAB.

Situazione Intervallo
preoccupante EQUI_STAB ≤ 0.400
incerta 0.400 < EQUI_STAB ≤ 0.475
in equilibrio 0.475 < EQUI_STAB ≤ 0.550
tranquilla EQUI_STAB > 0.550

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Il valore di protezione della copertura vegetale nei confronti della stabilità dei versanti (VAL_STAB) descrive il livello con cui la funzionalità potenziale si esplica in un determinato contesto stazionale, risultando quindi funzione diretta anche della propensione ai fenomeni franosi superficiali. Il modello interpretativo illustrato in Fig. 14B si basa su un sistema di funzioni sigmoidi inverse che calcola VAL_STAB come valore compreso fra 0 ed 1, classificandolo in tre classi di eguale ampiezza. Soprassuoli scadenti dal punto di vista protettivo, quindi con bassi livelli di FUNZ_STAB, non assumeranno mai valori di protezione elevati, mentre soprassuoli in condizioni funzionali ottimali avranno valori trascurabili a livelli bassi di PROP_STAB, e vice versa raggiungeranno gradi consistenti a partire da propensioni modeste. In maniera ancora più marcata, in situazioni di massima suscettività il modello individua valori di protezione elevati e molto elevati già con funzionalità modeste o intermedie.

Il grado di vincolo per una gestione compatibile con la stabilità dei versanti (VINC_STAB) assume un significato rilevante nel contesto della pianificazione forestale, e territoriale in genere, in quanto definisce il livello di condizionamento d’uso delle risorse legnose e vegetali rispetto a forme di utilizzazione orientate a fini prettamente produttivi. Tale indice, in concorso con gli analoghi riferiti alle altre funzionalità di protezione, trova applicazione elettiva nell’individuazione dei boschi di protezione. Con grado di vincolo basso o nullo sarà possibile applicare metodi di gestione intensivi, mentre con gradi intermedi saranno ammessi solamente sistemi di utilizzazione “conservativi” ovvero sistemi di taglio, concentramento ed esbosco che garantiscano la maggiore integrità possibile sia degli apparati radicali che degli orizzonti edafici; a valori massimi di VINC_STAB dovranno essere associati soprassuoli di protezione, dove saranno ammessi esclusivamente interventi tesi a mantenere o migliorare la funzionalità protettiva. Anche per questo indice la combinazione delle grandezze FUNZ_STAB e PROP_STAB è stata realizzata ricorrendo ad un sistema di funzioni sigmoidi inverse e suddivisione dei valori risultanti in tre classi (Fig. 14C). L’impostazione concettuale è di conservare i soprassuoli con le migliori caratteristiche funzionali laddove siano presumibilmente necessari al mantenimento dell’equilibrio esistente, ovvero in situazioni in cui le probabilità di dissesto sono maggiori. Le classi di minore propensione escludono ogni tipo di vincolo; nelle classi intermedie il condizionamento cresce all’aumentare della funzionalità della copertura vegetale, mentre in caso di elevata propensione viene riconosciuto un certo grado di vincolo per qualsiasi livello di funzionalità, mettendo sotto tutela le cenosi vegetali presenti, ancorché scarsamente protettive.

L’indice di priorità di intervento (PRIOR_STAB) rappresenta un utile strumento di pianificazione forestale qualora si dovesse, parallelamente alla definizione della destinazione d’uso prevalente delle risorse vegetali (boschi di produzione, di protezione, o a funzioni miste), identificare le zone in cui è più opportuno concentrare eventuali opere di miglioramento dei soprassuoli con finalità protettive e/o interventi di sistemazione idraulico-forestale. L’impostazione adottata è orientata a prevenire i dissesti piuttosto che a tentare di correggere situazioni già compromesse; su una frana in atto, infatti, il miglioramento della copertura vegetale può essere previsto solo dopo la “bonifica” di tutto il versante con modalità progettuali ed esecutive che esulano dal quadro pianificatorio dell’assestamento forestale. Un possibile ambito di applicazione di uno strumento del tipo descritto può essere rappresentato dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) adottati dalle Autorità di Bacino a livello di bacini idrografici più o meno ampi. L’indice configurato costituisce uno strumento in grado di identificare le situazioni dove gli interventi prospettati possono produrre i migliori effetti in termini di costi-benefici e valutarne la fattibilità. Il giudizio sull’opportunità ipotetica degli interventi miglioratori, articolato in tre classi ed espresso come in Fig. 14D, tiene conto dei seguenti criteri:

  • trascurare le zone in cui la funzionalità della vegetazione è elevata, dove il margine di miglioramento delle opere è comunque scarso;
  • scartare le situazioni di minore propensione al dissesto che non richiedono livelli elevati di protezione;
  • identificare le realtà con propensione medio-alta e scarsa funzionalità, per le quali è auspicabile un miglioramento della copertura vegetale;
  • escludere le zone caratterizzate dai maggiori livelli di propensione, dove le caratteristiche geo-litologiche e/o morfologiche (litotipi, pendenze, affioramenti rocciosi, dissesti in atto, etc.) determinano maggiori probabilità di fallimento degli interventi e dove le condizioni operative sono più onerose;
  • valutare la possibilità che gli stessi interventi producano effetti destabilizzanti o comunque negativi, come nel caso dell’apertura di una pista di accesso in una zona con forte propensione all’instabilità;
  • attribuire livelli più bassi di priorità alle situazioni caratterizzate da scarsa funzionalità associata a coperture erbacee o arbustive molto aperte, le quali sono spesso riferibili a stazioni con notevoli limitazioni edafiche (affioramenti rocciosi, zone con processi erosivi in corso, etc.) poco favorevoli alla buona riuscita degli interventi miglioratori.

Dal punto di vista della progettazione esecutiva e della realizzazione delle opere, risulta comunque necessario rileggere PRIOR_STAB alla luce delle reali condizioni ambientali delle singole unità territoriali. Ciò potrà essere agevolato dalle altre informazioni disponibili, già utilizzate all’interno del sistema valutativo configurato o del GIS ad esso associato, riguardo ad esempio litologia, pendenza, eventualmente integrate da altri dati.

Applicazione operativa del modello di valutazione del valore idrogeologico del bosco: scenari applicativi 

Le procedure di valutazione della propensione e della funzionalità protettiva sono state applicate ad alcuni scenari territoriali con l’obiettivo principale di saggiare l’affidabilità degli esiti e l’effettiva applicabilità a contesti di pianificazione forestale, a partire per lo più da dati territoriali comunemente reperibili. Il metodo utilizzato è consistito nel raccogliere i dati relativi alle variabili necessarie per l’applicazione dei due classificatori neurali su aree di studio opportunamente scelte per condizioni fisiografiche e geologiche diverse. Un’altra variante considerata è il grado di dettaglio dei dati a disposizione, in modo da sperimentare l’applicazione dei classificatori a scale diverse di pianificazione territoriale.

I contesti geografici prescelti (Fig. 15) sono rappresentativi del settore centro-occidentale delle Alpi (Val Antrona - VB) e dell’ambiente alto-collinare e montano dell’Italia Centrale (zona di Acqualagna - PU); un’ulteriore indagine è in corso di attuazione in una zona della Sardegna Centrale (comuni di Nurri ed Orroli - NU). Per le aree suddette è stato allestito uno specifico sistema informativo territoriale a partire da informazioni già acquisite, integrate da rilievi per la definizione dell’uso del suolo e dei caratteri delle coperture forestali e di tipo spontaneo, necessari alla stima della funzionalità. Questi rilievi sono stati effettuati a partire dalla fotointerpretazione di alcune finestre campione ricavate da immagini aeree georeferenziate: tre in Val Antrona, per una superficie di circa 1500 ha e quattro per Acqualagna (400 ha). La diversa estensione di territorio analizzato è dovuta alla scala di lavoro, condizionata a sua volta dal livello di dettaglio dell’informazione disponibile; nel primo scenario si è operato infatti a partire dal modello digitale del terreno con risoluzione di 50 m, mentre nel secondo i pixel hanno una dimensione di 10x10 m (Tab. 23).

Fig. 15 - Aree di applicazione delle procedure valutative.

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Tab. 23 - Fonti e livello di dettaglio dei tematismi necessari per l’applicazione del modello.

Scenario Tematismo Fonte dell’informazione Dettaglio
Val Antrona base topografica Carta tecnica regionale numerica 1:10000
geo-litologia Carta Geologica d’Italia 1:100000
pendenza modello digitale del terreno 50 x 50 m
esposizione modello digitale del terreno 50 x 50 m
aggressività clima elaborazione banca dati della Reg.Piemonte
sismicità Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ambito comunale
uso del suolo fotointerpretazione 1:5000
caratteri cop.vegetali inventario IPLA e rilievi diretti
Acqualagna base topografica digitalizzazione da ortofoto 1:10000
geo-litologia Reg. Marche e Servizio Geologico Nazionale 1:10000
giacitura elaborazione originale 1:10000
pendenza modello digitale del terreno 10 x 10 m
esposizione modello digitale del terreno 10 x 10 m
aggressività clima elaborazione dati stazioni Ufficio Idrografico
sismicità Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ambito comunale
uso del suolo fotointerpretazione 1:3000
caratteri cop.vegetali rilievi diretti in campo

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I dati territoriali per la stima della propensione sono stati trattati in forma raster. A partire dalle immagini generate sono stati ricavati file testo con i valori delle variabili in gioco accoppiate alle coordinate geografiche di ogni elemento immagine (pixel); tali dati organizzati in tabelle sono serviti come input per il classificatore. Ogni record della tabella di input corrisponde quindi ad un pixel dell’immagine e l’attributo della coordinata geografica consente di mantenere il collegamento con la rappresentazione cartografica. L’esito del classificatore neurale è stato trasformato nuovamente in immagine raster sulla quale è stato possibile verificare la distribuzione delle varie classi di propensione al dissesto anche avvalendosi dei dati di dissesti reali (validazione).

Procedure analoghe sono state adottate per la valutazione della funzionalità, salvo partire dal tematismo vettoriale rappresentato dai poligoni di uso del suolo, a ciascuno dei quali è associato un vettore contenente i valori delle variabili esplicative. La tabella degli attributi di ciascuna finestra ha costituito l’input del modello classificatorio neurale, le cui risposte sono state associate alla tabella di partenza.

La successiva elaborazione, che porta alla formulazione degli indici complessi a partire dall’intersezione di propensione e funzionalità, è stata effettuata su temi raster utilizzando l’estensione Spatial Analyst di ArcView ®. I risultati sono pertanto riferiti ai singoli pixel e diventano scarsamente utilizzabili sia ai fini pratici, in quanto la cella risulta difficilmente localizzabile sul territorio, sia pianificatori, dal momento che le scelte sono applicabili solo all’unità gestionale omogenea. L’inconveniente è stato superato ricorrendo all’estensione MILA Grids utilities 1.3 fornita da ESRI, che attribuisce ad ogni poligono di uso del suolo il valore medio e la deviazione standard delle celle sottese. Quest’ultima grandezza è stata inclusa nella tabella degli attributi per tener in considerazione anche la variabilità intrinseca.

Per motivi di semplicità espositiva, l’illustrazione completa della parte che riguarda la funzionalità protettiva e la valutazione degli indici complessi, per intersezione con la propensione, sarà limitata al solo scenario appenninico.

Lo scenario alpino: la Val Antrona

L’area alpina è caratterizzata da pendenze medie elevate e dalla prevalenza nel substrato di rocce cristalline coerenti e generalmente poco alterabili. In funzione della disponibilità di dati recenti, legati alla realizzazione dei Piani Forestali territoriali in Piemonte, la scelta è caduta sulla Val Antrona, notevolmente colpita dall’evento alluvionale dell’ottobre 2000, in concomitanza del quale si sono verificati un certo numero di frane superficiali all’interno di aree boscate.

La Val Antrona è situata nel nord del Piemonte e si configura come valle laterale in destra idrografica della Val Ossola; il torrente Ovesca solca la valle e affluisce presso Villadossola nel fiume Toce, tributario del Lago Maggiore e collettore principale del reticolo idrografico dell’intera area.

La Valle Antrona comprende dal punto di vista litologico alcune delle rocce più rappresentate nell’ambito dell’area ossolana, come si può osservare dello schema geologico di Fig. 16, derivato dalla Carta Geologica d’Italia a scala 1:100.000 (Carta Geologica d’Italia - Foglio 15, Domodossola). Vi predominano litotipi acidi, rappresentati da micascisti, gneiss minuti e scisti laminati di vario genere appartenenti alla Zona Sesia-Lanzo (Austroalpino) cui, soprattutto nella parte alta della valle, si intercalano estesi corpi di granitoidi gneissici della falda del Monte Rosa. Le rocce scistose derivano prevalentemente dalla trasformazione di materiale originariamente sedimentario, mentre gli gneiss sono il risultato della trasformazione di rocce granitiche massicce in condizioni di temperatura particolarmente elevate. Nella parte medio-alta della valle sono presenti aree di affioramento di pietre verdi, riferibili alle unità ofiolitiche; i tipi litologici più rappresentati in questa zona sono prasiniti, anfiboliti, serpentiniti e serpentinoscisti. Sottili scaglie di calcari cristallini si ritrovano talora intercalate negli gneiss minuti e nei micascisti. I depositi quaternari sono caratterizzati dalla presenza di materiale di origine glaciale, presente estesamente presso il fondovalle nella zona di Antrona Piana e nel vallone di Cheggio, e da materiali grossolani che costituiscono falde di detrito e coni di deiezione. Di particolare interesse è la zona della grande frana in roccia del Monte Pozzuoli sopra Antrona Piana (avvenuta nel 17° secolo), la cui zona di accumulo è costituita da una grande quantità di materiale di varia pezzatura che ha determinato lo sbarramento della valle e la formazione del laghetto di Antrona.

Fig. 16 - Schema geologico della Valle Antrona.

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Le caratteristiche del territorio della Valle Antrona sono strettamente legate ai fenomeni orogenetici alpini che hanno determinato la formazione di un rilievo aspro, contraddistinto da forti dislivelli tra fondovalle e cime. A questo proposito è significativo che in quest’area nel raggio di soli 20 km si passa dal fondovalle alluvionale di Villadossola, posto ad una quota di circa 250 m s.l.m., sino alle vette dello spartiacque principale che superano i 3300 m di diverse cime tra cui il Pizzo d’Andolla e il Pizzo Cingino. Un significativo contributo alla morfologia dell’area è legato anche all’azione morfogenetica dei grandi apparati glaciali. Gran parte di questo assetto morfologico è stato poi modellato dalla dinamica fluviale in una fase successiva al ritiro dei ghiacciai; l’agente fluviale ha determinato un approfondimento della valle in seguito all’incisione della soglia glaciale e una conformazione a “V” del profilo vallivo almeno nella sua parte più bassa. Nelle parti alte del bacino montano sono presenti e talora ben conservati numerosi circhi glaciali che ospitano diversi bacini artificiali per la produzione idroelettrica costruiti a partire dagli anni ’30.

Allo sbocco della valle il torrente Ovesca ha formato un’ampia conoide di deiezione su cui sorge gran parte dell’abitato di Villadossola. Un altro agente geomorfologico non meno importante ed attivo dei precedenti è la dinamica gravitativa dei versanti che, con l’azione continua operata dagli agenti atmosferici e dalle acque sui versanti rocciosi e sulle coperture eluvio-colluviali e moreniche, determina la formazione di falde e conoidi detritiche alla base dei versanti montani e la genesi di fenomeni franosi di vario genere tra cui quelli a carico delle coltri superficiali.

Gli usi forestali rappresentano la destinazione prevalente dell’area di indagine (36%), seguiti dalle praterie, soprattutto alpine, e dalle superfici rocciose o comunque prive di vegetazione; le aree coltivate e quelle destinate ad insediamenti antropici ed infrastrutture varie hanno scarsa estensione (Tab. 24).

Tab. 24 - Ripartizione delle principali categorie di uso del suolo nella Val Antrona.

Destinazione d’uso ha %
usi agricoli 478 3%
praterie 4135 26%
aree in transizione 1308 8%
usi forestali 5838 36%
superfici nude 3621 23%
usi antropici 617 4%
totale 15998 100%

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Gli arbusteti subalpini, tipicamente rappresentati da ontaneti ad Alnus viridis, coprono più di 1000 ha, mentre le formazioni arboree sono equamente suddivise fra popolamenti dominati dalle latifoglie e dalle conifere. Tra i primi si annoverano i querceti di rovere, le faggete e gli acero-tiglio-frassineti, che occupano ciascuno tra i 600 ed i 700 ha di superficie, oltre ai castagneti (circa 360 ha), per lo più consociati a tiglio e ad altre latifoglie mesofite. Poco più di 1300 ha di bosco sono invece formati da lariceti, soprattutto sotto forma di Larici-cembreto su rodoreto-vaccinieto; altri soprassuoli di conifere ben rappresentati sono le abetine (700 ha circa), mentre le peccete montane sono meno estese (350 ha).

La presenza e l’attività antropica si inseriscono soprattutto nelle fasce di versante a minore acclività ed esposizione più favorevole; questi ambienti, anche grazie alle opere di terrazzamento, hanno consentito un migliore e più razionale sfruttamento agricolo, cui si associa la presenza di nuclei abitati e, nelle fasce più elevate, di alpeggi per l’allevamento del bestiame.

Per la valutazione della propensione in questo scenario applicativo non è stata considerata la variabile giacitura, poiché non sono presenti litotipi costituiti da alternanze stratificate. A partire dalla carta litologica sono stati attribuiti i valori d’instabilità assegnati alle diverse tipologie secondo la Tab. 4; il tematismo vettoriale è stato quindi convertito in raster con maglia corrispondente a quella del DEM (Fig. 17).

Fig. 17 - Classi di instabilità litologica della Val Antrona (classi come in Tab. 4).

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Le caratteristiche morfometriche del territorio sono state ricavate direttamente dal DEM; pendenze ed esposizioni sono state calcolate con il modulo “Topographic modeling” del software ENVI 3.6, su di un kernel di 3x3 pixel, come derivata di 1° ordine delle quote altimetriche ([68] - eqn. 4, eqn. 5):

\begin{equation} esposizione=arctan\left(\frac{e}{d} \right) \end{equation}
\begin{equation} inclinazione=arctan(\sqrt{d^2 + e^2}) \end{equation}

in cui d ed e sono le due derivate parziali della quota z per le altre due dimensioni x e y (eqn. 6, eqn. 7):

\begin{equation} \frac{\partial z}{\partial y} = 2by+cx+e \end{equation}
\begin{equation} \frac{\partial z}{\partial x} = 2ax+cy+d \end{equation}

Le pendenze così ricavate sono state quindi suddivise nelle sei classi previste dalla metodologia (vedi Tab. 6), come illustrato in Fig. 18.

Fig. 18 - Classi di pendenza della Val Antrona.

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Conformemente alla metodologia elaborata, sono state selezionate le esposizioni da E-SE a W-SW, evidenziando in Fig. 19 solo quelle meridionali.

Fig. 19 - Classi di esposizione della Val Antrona.

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Al fine di prendere in considerazione il fattore climatico è stato calcolato l’indice di Fournier modificato FFAO, per le due stazioni meteorologiche di Domodossola e Antrona Schieranco, situate all’interno della valle e nelle immediate vicinanze. I valori calcolati per l’annata media sono tutti riferibili alla classe intermedia d’aggressività climatica, che corrisponde a valori dell’indice compresi tra 100 e 150 mm (Tab. 25).

Tab. 25 - Valori di FFAO (mm) calcolati sui dati delle due stazioni di riferimento.

Stazioni FFAO
Domodossola (277 m s.l.m.) 131
Antrona Schieranco (1510 m s.l.m.) 137

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In base alla nuova classificazione sismica del 2003 (Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri N° 3274 del 20 marzo 2003) i comuni della Val Antrona, in precedenza non classificati, sono stati inclusi nella 3° categoria (Fig. 20) che identifica un basso rischio sismico. Utilizzando la corrispondenza rispetto alle categorie della classificazione sismica nazionale è stata attribuita all’intera area di studio la classe di sismicità bassa.

Fig. 20 - Classificazione sismica del Piemonte aggiornata al 2003.

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La situazione complessiva della propensione nella Val Antrona è rappresentata in Fig. 21.

Fig. 21 - Classi di propensione al dissesto per le frane superficiali in Val Antrona.

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Il classificatore neurale ha quindi provveduto ad assegnare le classi di propensione al dissesto ai 63678 record corrispondenti ad altrettanti pixel che coprono tutta la zona esaminata; 10032 celle (15.7%) sono state attribuite alla classe 1 (propensione molto bassa), 15817 (24.8%) alla classe 2, 23930 (37.6%) alla classe 3, 11539 (18.1%) alla classe 4 e solamente 2360 (3.7%) alla classe di propensione massima.

I risultati appaiono quindi ben distribuiti e non si rilevano casi di palese contraddizione rispetto alla realtà locale. La pendenza è il fattore che ha la maggior influenza nell’attribuzione delle classi di propensione più alte dal momento che l’area è caratterizzata da litologie con caratteristiche abbastanza buone e valori di instabilità litologica medio-bassi (2-6). Per quanto riguarda le situazioni più suscettibili al dissesto si rileva una maggior concentrazione di record nella classe 3 rispetto alla classe 4 e 5: ciò è spiegabile col fatto che le classi più alte di propensione comportano pendenze più elevate, alle quali corrispondono preferenzialmente condizioni di roccia affiorante piuttosto che di coltri di detriti, maggiormente interessate da fenomeni di scivolamento superficiale.

Analizzando la distribuzione delle classi di maggiore propensione in relazione alle pendenze e all’instabilità litologica (Tab. 26) si possono fare alcune considerazioni riguardo alle combinazioni risultanti e alla loro rispondenza con quanto osservabile sul territorio.

Tab. 26 - Distribuzione dei pixel attribuiti alle classi di propensione (1 = verde, 2 = azzurro, 3 = giallo, 4 = arancio, 5 = rosso) in funzione delle classi di pendenza e d’instabilità litologica.

Classe di pendenza (%) Classe di instabilità litologica / litotipi
2
gneiss
4
micascisti
4.5
incoerente
grossolana
5
depositi
morenici
6
incoerente
fine
0-5 308
3%
141
1%
27
0%
80
1%
2626
26%
5-15 632
6%
142
1%
180
2%
408
4%
265
3%
15-35 3950
40%
1273
13%
299
2%
1350
8%
94
1%
35-70 14168
90%
7869
33%
560
2%
2129
18%
61
1%
70-140 15407
64%
8195
71%
791
34%
1268
54%
5
0%
>140 1154
10%
178
7%
31
1%
87
4%
0
0%

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La stragrande maggioranza (71%) dei casi riferiti alla classe 4 sono dovuti alla combinazione di micascisti e gneiss minuti su pendenze elevate (70-140%); si tratta in effetti di condizioni particolarmente critiche tenendo conto che queste litologie tendono a formare potenti coltri di alterazione e che materiali di questo genere su pendenze elevate sono molto instabili. Altra combinazione particolarmente critica è quella relativa ai depositi morenici su pendenze del 35-70%, che si può verificare in corrispondenza di creste di cordoni morenici. L’instabilità dei materiali morenici in condizioni di forte pendenza è evidenziata dall’elevata concentrazione dei casi giudicati come a massima propensione nella classe 4 di pendenza (70-140%); condizioni altrettanto critiche si realizzano in presenza di depositi incoerenti grossolani nelle stesse condizioni di acclività.

Analizzando in dettaglio le classi di maggiore suscettività ai movimenti di massa superficiali si possono fare le seguenti considerazioni:

  • l’87% dei casi in classe 5 si riferisce alla presenza di materiale incoerente grossolano o di depositi morenici sopra la soglia del 70% di pendenza, che corrisponde all’angolo di resistenza al taglio di molti materiali sciolti;
  • quasi il 90% dei casi in classe 4 è riferibile ai micascisti su pendenze elevate (queste litologie danno origine a potenti coltri di alterazione che possono facilmente destabilizzarsi) e a depositi morenici su pendenze inferiori al 70%, condizioni queste meno critiche, ma potenzialmente instabili.

Al fine di validare i risultati della classificazione neurale è stato anche effettuato un confronto con i dissesti riferibili a movimenti di massa superficiali rilevati nell’ambito dei Piani Forestali Territoriali nel 2001. È necessario premettere che questo confronto è solo parzialmente significativo, in quanto la propensione al dissesto considerata in questo contesto prescinde dalla presenza della copertura vegetale e dall’azione antropica, fattori che spesso risultano determinanti per l’innesco di un fenomeno dissestivo reale. La verifica è stata soprattutto rivolta a considerare un campione di frane verificatesi in concomitanza di un evento meteorico caratterizzato da elevate precipitazioni che ha portato ad una crisi generalizzata del bacino. In questo contesto si voleva verificare che le frane superficiali si localizzassero in modo quanto meno preferenziale in corrispondenza di aree classificate con media o alta propensione al dissesto, escludendo le zone più stabili. Allo scopo sono stati presi in considerazione quaranta movimenti di massa superficiali verificatisi in valle Antrona a seguito dell’alluvione dell’ottobre 2000. I punti che rappresentano la localizzazione delle frane sono stati incrociati con la stima della propensione al dissesto superficiale effettuata tramite la metodologia descritta sopra: il risultato è evidenziato nella Tab. 27, da cui si può rilevare che nessun caso di dissesto reale risulta corrispondente ad aree ricadenti nella classe 1.

Tab. 27 - Analisi di 40 casi reali di frane superficiali in rapporto alle classi di propensione.

Classe di propensione n° di casi reali
nella classe
% casi reali
nella classe
% dei pixel nella
classe di propensione
1 molto bassa 0 0 15.7
2 bassa 1 2.5 24.8
3 intermedia 18 45 37.6
4 alta 17 42.5 18.1
5 molto alta 4 10 3.7

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L’unico caso di dissesto presente in classe 2 di propensione è relativo ad un taglio stradale recente su un versante non particolarmente acclive, che ha generato un piccolo scivolamento e rappresenta dunque un aspetto difficilmente modellizzabile in quanto legato ad uno specifico intervento antropico. Se la distribuzione dei casi reali riflette in parte la ripartizione dei pixel dell’intera superficie analizzata, è però facile notare il netto spostamento dell’incidenza relativa verso le classi di maggiore propensione (4 e 5) che, pur rappresentando il 22% circa della superficie, ospitano più della metà dei fenomeni franosi inventariati.

La Fig. 22 indica la localizzazione delle tre finestre campione utilizzate per l’analisi della funzionalità protettiva delle coperture di interesse forestale, scelte in funzione della distribuzione delle tipologie forestali in relazione alla propensione; per la sola finestra 2, di circa 600 ha di superficie, si riporta la suddivisione in poligoni dell’uso del suolo adottati come unità elementari di analisi del territorio (Fig. 23) e il relativo inquadramento in classi di funzionalità protettiva (Fig. 24).

Fig. 22 - Ubicazione delle finestre di indagine relative alla funzionalità della vegetazione (in evidenza l’area descritta successivamente).

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Fig. 23 - Delineazioni dei poligoni di uso del suolo per la finestra 2.

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Fig. 24 - Classificazione della funzionalità protettiva per la finestra 2 (in nero gli abitati, le infrastrutture e gli affioramenti rocciosi).

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In Fig. 25 è illustrato, per lo stesso scenario, un esempio di ulteriore elaborazione con definizione dell’indice di VAL_STAB dopo aver trasferito il valore medio dei pixel alle delineazioni di uso del suolo/vegetazione. Da notare come, in questa fase, alcuni tra i poligoni più piccoli abbiano perduto l’attributo in questione: ciò è dovuto all’eccessiva dimensione dei pixel rispetto a quella dei poligoni.

Fig. 25 - Classificazione del valore di protezione della vegetazione (VAL_STAB) per la finestra 2.

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I soprassuoli che esibiscono le migliori funzionalità protettive sono i querceti ed i lariceti, seguiti dalle formazioni costituite da castagno e latifoglie decidue miste e da quelle di conifere miste al larice (Tab. 28). Solo in condizioni di copertura rada i popolamenti forestali presentano una scarsa capacità protettiva, paragonabile a quella degli arbusteti; le coperture erbacee hanno funzionalità trascurabili, che assumono una certa rilevanza solamente nelle condizioni migliori. Rivalutando FUNZ_STAB in relazione alla propensione al dissesto, il valore di protezione delle formazioni erbacee ed arbustive è mediamente trascurabile, anche se può raggiungere valori di tutto rilievo nelle stazioni ad alta suscettività ai fenomeni franosi superficiali.

Tab. 28 - Valori medi, minimi e massimi assunti dai pixel dei tematismi FUNZ_STAB e VAL_STAB sottesi dai poligoni che rappresentano le unità di analisi e di gestione del territorio.

Formazione FUNZ__STAB VAL_STAB
media min max media min max
bosco di rovere 5 5 5 elevato elevato elevato
lariceto 4 4 5 buono buono buono
bosco di castagno 4 4 4 buono buono buono
bosco di latifoglie miste 4 4 4 buono trascurabile buono
conifere con larice 4 3 4 buono buono buono
acero-tiglio-frassineti 4 2 4 buono trascurabile elevato
abetina 3 3 4 buono buono buono
bosco di faggio 3 2 4 buono trascurabile elevato
faggeta con altre latifoglie 3 2 4 buono trascurabile elevato
bosco di betulla 3 2 4 buono trascurabile buono
faggeta con conifere 3 3 3 buono buono buono
bosco di ontano 3 3 3 buono buono buono
peccete 3 3 3 buono buono buono
conifere miste 3 3 3 buono trascurabile buono
corileto 2 2 2 buono trascurabile buono
ontaneto a ontano verde 2 1 3 trascurabile trascurabile elevato
arbusteti misti 2 1 2 trascurabile trascurabile buono
praterie alpine e subalpine 2 1 2 trascurabile trascurabile elevato
formazioni erbacee pioniere 1 1 2 trascurabile trascurabile elevato

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Lo scenario appenninico: la zona di Acqualagna

L’area di Acqualagna (Fig. 26) presenta caratteristiche completamente diverse dallo scenario precedente ed è localizzata nella parte nord delle Marche, in un settore compreso tra il fiume Metauro e il Candigliano. Vi dominano litologie tenere che danno origine ad un paesaggio collinare dalle forme dolci ed a modesta acclività. Si tratta di litotipi che, in ragione della predominanza di componenti argillose e marnose o a causa di un assetto giaciturale sfavorevole in presenza di alternanze stratificate, sono particolarmente sensibili al verificarsi di movimenti a carico della coltre superficiale. In particolare, l’area di studio presso Acqualagna si presenta piuttosto complessa contraddistinta da numerose faglie ed elementi di tettonica duttile (anticlinali, sinclinali e sovrascorrimenti) che ne complicano l’assetto strutturale e stratigrafico.

Fig. 26 - Ubicazione dell’area di indagine di Acqualagna (PU).

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La parte occidentale del territorio è caratterizzata da morfologie collinari dove predominano forme dolci a bassa acclività. Formazioni prevalentemente marnoso-argillose costituiscono il substrato di questa zona corrispondente alla sinclinale di Acqualagna-Visso e determinano una forte predisposizione all’instabilità dei versanti nonostante la bassa energia del rilievo. Nella parte orientale le quote si innalzano sensibilmente, culminando con la massima elevazione del Monte Pietralata a 888 m s.l.m.; la maggior energia locale del rilievo si deve all’emersione di una delle due catene montuose in cui si articola la dorsale Marchigiana, impostata in corrispondenza di un’ampia piega anticlinale, al cui nucleo affiorano le rocce più antiche e resistenti (calcare massiccio) della sequenza Umbro-Marchigiana (esposte in finestra tettonica nella spettacolare sezione delle gole del Furlo). La sequenza lito-stratigrafica è infatti caratterizzata da un passaggio progressivo a termini più marnosi ed erodibili risalendo verso le formazioni più recenti. Mentre negli ambienti dominati da litologie marnose si assiste ad una rapida evoluzione del paesaggio legata all’azione erosiva e gravitativa, nell’ambito del massiccio calcareo tale evoluzione avviene più lentamente come testimoniato dal permanere attuale di sommità arrotondate poco acclivi, ereditate da un antico assetto morfologico precedente al sollevamento della catena appenninica.

I litotipi affioranti possono essere ricondotti a tre grandi gruppi che, elencati in ordine decrescente di resistenza, sono rappresentati dalle rocce calcaree, dalle formazioni calcareo-marnose e dalle formazioni marnoso-argillose.

Il primo gruppo comprende rocce carbonatiche massicce o stratificate in banchi (Calcare Massiccio, Corniola), che determinano in genere morfologie aspre con versanti assai acclivi e mediamente stabili. Questi litotipi si concentrano nella parte orientale dell’area in corrispondenza dell’anticlinale solcata dalla Gola del Furlo. I calcari micritici (Maiolica in particolare) e i calcari marnosi (Scaglia rossa e Scaglia bianca) sono i litotipi prevalenti nel secondo gruppo; si tratta di rocce che, essendo particolarmente gelive, sono state interessate da intensi fenomeni di disgregazione meccanica in corrispondenza delle fasi fredde pleistoceniche. L’azione del gelo e disgelo su litotipi prevalentemente marnosi ha determinato la formazione di grandi coltri detritiche stratificate alla base dei versanti delle quali si conservano tuttora lembi di notevole estensione. Le marne sono estesamente presenti ai bordi delle principali anticlinali calcaree, dove generano morfologie usualmente meno aspre ed acclivi in funzione delle loro peggiori caratteristiche geotecniche. Rispetto alle litologie calcaree, la morfologia più dolce, la scarsa permeabilità e l’assenza di fenomeni carsici favoriscono la formazione di valli fluviali più ampie ed un aumento della densità di drenaggio superficiale.

Le formazioni marnoso-argillose (Schlier, Bisciaro e Scaglia cinerea) danno origine a morfologie collinari poco pronunciate con pendii poco acclivi. Nonostante il rilievo sia poco marcato, il concorrere dell’azione della gravità e dell’azione destabilizzante legata alle acque determina in questi litotipi una elevata frequenza di fenomeni franosi. Il reticolo idrografico si presenta fitto e gerarchizzato, in considerazione della ridottissima permeabilità e della forte erodibilità del substrato.

Oltre alle rocce coerenti sono presenti coperture quaternarie classificate in base alla granulometria più o meno grossolana dei componenti clastici.

L’uso del suolo prevalente è rappresentato dalle destinazioni agricole (Tab. 29), soprattutto seminativi, anche se più di 1/3 della superficie è coperta da popolamenti forestali (con copertura arborea > 60%); le aree in transizione, costituite da cespugliati e cespugliati arborati originati dall’evoluzione spontanea di terreni abbandonati da precedenti usi agro-pastorali, rappresentano una porzione non indifferente dell’intera superficie ed improntano in maniera significativa ampie porzioni di territorio.

Tab. 29 - Ripartizione delle principali categorie di uso del suolo nell’area di Acqualagna.

Destinazione d’uso ha %
usi agricoli 3652 44%
aree in transizione 763 9%
usi forestali 3135 38%
superfici nude 144 2%
usi antropici 526 6%
totale 8220 100%

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Lo stesso vale per i rimboschimenti, in massima parte di conifere, che arrivano a costituire il 28% della superficie forestale, dominata da formazioni a prevalenza di querce decidue (35%) con contributo ancora consistente di popolamenti a prevalenza di carpino nero (20% della superficie), di formazioni riparie molto eterogenee (13%) ed in misura nettamente inferiore da quelli di sclerofille sempreverdi (4%). I querceti decidui sono dominati dalla roverella e sono riferibili ai querceti xerofili e mesoxerofili tipici dei substrati carbonatici; gli ostrieti presentano invece due facies, quella mesoxerofila dei versanti più freschi e l’orno-ostrieto pioniero sulle stazioni con suoli più superficiali dei rilievi calcarei; più della metà dei rimboschimenti è costituita da piantagioni di pino nero in purezza o in netta dominanza, mentre un altro 25% circa è formato in prevalenza da pini mediterranei (Pinus pinea e P. halepensis) e/o da cipressi (Cupressus arizonica, C. sempervirens).

L’area di studio consente quindi di valutare il comportamento del classificatore neurale relativo alla predisposizione al dissesto (frane superficiali) in contesti lito-morfologici, di uso prevalente del suolo e vegetazionale assai diversi e complementari rispetto a quello della Val Antrona. Le variabili in gioco sono le medesime considerate per l’area alpina, ma il peso di alcune di esse, in particolare la pendenza, risulta diverso; inoltre in questo caso risulta necessario considerare anche la giacitura delle formazioni geologiche essendo presenti formazioni costituite da alternanze stratificate.

L’informazione geo-litologica è stata in parte fornita dall’Ufficio Cartografico della Regione Marche (porzione occidentale dell’area), in parte dal Servizio Geologico Nazionale (parte orientale), sotto forma di elaborati cartografici con notevole dettaglio (scala 1:10000). I dati presentano tuttavia una notevole disomogeneità, in quanto la cartografia della zona occidentale riporta un maggiore dettaglio per la copertura quaternaria e le aree in frana, mentre la parte restante è rappresentata da una carta geologica più classica, con delineazioni riferite essenzialmente alle sole formazioni geologiche pre-quaternarie. A partire da questa informazione sono state attribuite le diverse classi di instabilità litologica secondo quanto sintetizzato in Tab. 30.

Tab. 30 - Attribuzione delle classi di instabilità litologica per le formazioni dell’area di Acqualagna.

Formazione geologica Instabilità litologica
frane in evoluzione 10
frane quiescenti 9
"Schlier" (marne e marne argillose grigio chiare), "Bisciaro" (calcari e calcari silicei scuri), "Scaglia cinerea" (marne calcaree, marne e marne argillose grigie e grigio-verdastre), "membro di S. Angelo in Vado" (peliti prevalenti) 7
depositi fluvio colluviali, depositi sabbiosi, sabbioso-ghiaiosi e limosi da debris flow e di conoide alluvionale 6
detriti di versante, depositi alluvionali ghiaiosi, sabbiosi e limosi 4.5
"Formazione del Bugarone", "Scaglia rossa" (calcari e calcari marnosi rosati e rossi), "Scaglia bianca" (calcari e calcari marnosi biancastri) 3.5
"Maiolica" (calcari micritici bianchi), altri calcari stratificati 2
"Corniola" (calcari massicci e calcari stratificati grigi), "Calcare massiccio" (calcari massicci generalmente micritici) 1

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Il risultato di questa attribuzione è riportato in Fig. 27.

Fig. 27 - Classi d’instabilità litologica per l’area di Acqualagna.

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Le caratteristiche morfometriche sono state ricavate dal DEM con celle di 10 m di lato, calcolato a partire da curve di livello con equidistanza 10 m applicando procedure di calcolo analoghe a quelle illustrate in precedenza per la Val Antrona.

La determinazione della variabile giacitura geologica presuppone la conoscenza dell’azimut e della pendenza degli strati: il primo è la direzione dell’intersezione del piano di stratificazione con un piano orizzontale, misurata con verso orario rispetto ad una retta o piano di riferimento, tipicamente il meridiano, mentre la pendenza misura in gradi l’inclinazione della superficie di strato.

Una prima analisi dei dati di giacitura geologica disponibili per l’area di studio ha evidenziato che questi sono distribuiti in modo disomogeneo, in funzione delle diverse formazioni geologiche e della presenza di affioramenti sui quali effettuare la misura; ne risulta una elevata frequenza in alcune aree e l’assenza di registrazioni in altre. L’andamento spaziale della giacitura è poi influenzato dalla presenza di lineamenti tettonici (cerniere di piega, fronti di sovrascorrimento, faglie), in corrispondenza dei quali può cambiare repentinamente l’assetto geometrico degli strati, e dalla presenza e distribuzione delle formazioni geologiche stratificate. In base a tali considerazioni risulta molto difficile modellizzare spazialmente questa variabile mediante una procedura automatica. È stato comunque effettuato un tentativo in questo senso, mediante interpolazione dei dati puntuali tenendo conto anche di un fattore di prossimità dei punti di registrazione e con la creazione di una struttura reticolare (Grid). Un’analisi del risultato ha portato ad evidenziare le seguenti problematiche:

  • l’interpolazione viene effettuata anche dove non ci sono dati producendo valori fittizi;
  • non è possibile tenere conto dei lineamenti tettonici che talora invece sono linee di demarcazione ove la giacitura cambia in modo netto.

In base a queste considerazioni è stato deciso di digitalizzare a video poligoni omogenei tenendo conto dei valori di azimut e pendenza degli strati. Perimetrando tali aree sono stati raggruppati un certo numero di punti in cui i valori delle due variabili risultavano sufficientemente omogenei, prendendo anche in considerazione i fattori morfologici (andamento delle creste e dei fondovalle) e l’andamento dei principali lineamenti tettonici. Il valore delle due variabili attribuito al poligono, pari a 0 nelle aree senza dati o con dati molto disomogenei, corrisponde alla media dei valori associati ai punti compresi all’interno del poligono.

I poligoni (Giac_strati) così ricavati sono stati incrociati con il tematismo litologia, al fine di sottrarre dall’analisi le aree corrispondenti a litotipi privi di stratificazione (depositi quaternari, rocce massicce ecc), per i quali è stato attribuito valore 0 sia all’azimut che alla pendenza degli strati; successivamente i valori di azimut e di pendenza sono stati trasformati in raster (Fig. 28).

Fig. 28 - Classi di esposizione degli strati. I colori corrispondono a differenti valori di azimut.

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A partire da questi dati è stata applicata la procedura illustrata nel paragrafo “Litologia e giacitura degli strati” per identificare le zone caratterizzate da giacitura degli strati a franapoggio e reggipoggio. Tale procedura è stata implementata a partire da una base dati contenente i valori delle quattro variabili azimut degli strati (Esp_strati), pendenza degli strati (Pend_strati), esposizione del terreno (Esp_terr) e pendenza del terreno (Pend_terr). L’applicazione del programma di calcolo ha consentito di ottenere il valore della giacitura ripartito nelle tre classi previste in Tab. 5.

Il fattore climatico è stato preso in considerazione attraverso il calcolo dell’indice FFao per diverse stazioni meteorologiche delle Marche centro-settentrionali. In Tab. 31 sono riportati i dati pluviometrici dell’annata media per le stazioni considerate, il valore dell’indice in questione e la relativa classificazione dell’aggressività climatica. Nelle stazioni più rappresentative per l’area di indagine i valori di FFao risultando inferiori a 100 mm e ricadono nella classe di aggressività climatica bassa.

Tab. 31 - Dati pluviometrici e indice FFAO (mm) per alcune stazioni nei dintorni dell’area di studio.

Stazione
pluviometrica
Altitudine
(m s.l.m.)
Pioggia annua
(mm)
N° gg
piovosi
FFAO Classe
aggressività
Acqualagna 204 953 99 82 bassa
Bargni 273 852 88 74 bassa
Bocca Serriola 730 1120 101 96 bassa
Cagli 276 1265 103 109 intermedia
Calcinelli 64 884 81 77 bassa
Foresta Cesana 640 951 100 81 bassa
Fossombrone 116 959 95 82 bassa
Mercatello 429 1135 102 101 intermedia
Petriano 327 862 84 74 bassa
Piobbico 339 1161 104 102 intermedia
S Angelo Vado 359 969 102 84 bassa
Urbania 273 960 94 83 bassa
Urbino 451 828 90 71 bassa

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Dal punto di vista della classificazione sismica la zona presa in considerazione ricade nella classe di sismicità media, definita nella metodologia al paragrafo “Aggressività climatica e sismicità”, che corrisponde alla 2° classe della classificazione sismica nazionale (colore arancio nella Fig. 29).

Fig. 29 - Classificazione sismica della Regione Marche.

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La validazione della classificazione sulla propensione al dissesto nell’area di Acqualagna è stata fatta in modo qualitativo, osservando le risultanze e valutandole rispetto alle variabili territoriali coinvolte. Come già evidenziato, l’area di studio presenta una informazione litologica disomogenea, con la parte ovest provvista di un maggior dettaglio relativamente alla copertura quaternaria ed in particolare alle frane. Come risulta visibile in Fig. 30, la presenza di aree cartografate come frane attive e quiescenti (massima instabilità litologica) nella parte occidentale ha determinato una maggior presenza della quinta classe di propensione, anche se le due porzioni del territorio presentano un buon grado di sfumatura in corrispondenza della separazione delle diverse cartografie litologiche (nettamente individuabile per contro in Fig. 27). Ciò significa che la rete ha riconosciuto situazioni ad elevata suscettività anche indipendentemente dall’informazione che si trattasse di superfici franose.

Fig. 30 - Classi di propensione al dissesto per frane superficiali nell’area di Acqualagna.

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La maggior parte del territorio (42%) ricade nelle classi “molto bassa” e “bassa” di propensione (Tab. 32), con la porzione residuale equamente ripartita fra la classe “intermedia” e le due classi di maggiore pericolosità. Metà dei pixel in classe 5 appartengono alle formazioni stratificate ricche di materiali fini (Schlier, Bisciaro e Scaglia cinerea), che dominano il paesaggio litologico dell’area di studio (42%), ma un’altra parte consistente (37%) ricade in superfici di frane attive; la parte restante si colloca praticamente tra le frane quiescenti ed i depositi di materiali prevalentemente fini. Il litotipo risulta inoltre determinante nell’individuare la risposta del classificatore neurale soprattutto per le frane (nettamente sbilanciate verso la classe 5 di propensione) e per i tipi più competenti dove, nonostante le elevatissime pendenze, i pixel si concentrano nelle classi intermedie e basse. La pendenza esibisce invece effetti più marcati nel caso dei depositi sia fini che grossolani.

Tab. 32 - Ripartizione assoluta dei pixel classificati per propensione nelle diverse litologie nell’area di Acqualagna.

Classe di propensione al dissesto Litologia prevalente totale per classe
frane attive frane quiescenti Schlier, Bisciaro, Scaglia cinerea depositi fluvio-colluviali, conoidi detriti di versante, alluvioni Scaglia rossa e bianca Maiolica e calcari stratificati Corniola e calcari massicci
1 2569 2135 66648 32712 131117 28222 2836 614 266853
2 2806 881 34073 20442 1817 10730 4428 1587 76764
3 3930 1184 133981 8157 45206 40123 3447 1901 237929
4 2378 6103 28681 5799 9572 20095 441 1534 74603
5 61297 11567 83469 6778 3294 535 190 13 167143
totale per litotipo 72980 21870 346852 73888 191006 99705 11342 5649 823292

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La funzionalità protettiva della copertura vegetale è stata valutata su una superficie di poco superiore a 400 ha suddivisa in 4 finestre (Fig. 31), scelte nelle zone di maggiore interesse forestale, in modo tale da inquadrare sia le principali tipologie vegetazionali sia situazioni con grado diverso di propensione.

Fig. 31 - Ubicazione delle finestre di indagine della funzionalità della vegetazione (in evidenza quella descritta in dettaglio).

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L’intera procedura descritta nel paragrafo “Valutazione della funzionalità protettiva” e la stima degli indici sintetici di cui al capitolo “Obiettivi e strategia metodologica” saranno di seguito illustrate con riferimento esclusivo alla finestra 1, la cui suddivisione in poligoni di uso del suolo è visualizzata in Fig. 32. All’interno di questa cornice gli usi prettamente forestali coprono quasi il 60% della superficie, di cui più della metàè rappresentata da querceti decidui dominati dalla roverella; un quinto dell’area è interessato da formazioni arbustive che hanno colonizzato le zone un tempo coltivate o pascolate. L’incidenza degli usi antropici, specialmente di quelli agricoli (seminativi semplici) è comunque consistente (16%). La stessa figura contiene anche uno stralcio della tabella delle variabili esplicative di ciascun poligono che hanno rappresentato i dati in input per la classificazione neurale.

Fig. 32 - Poligoni di uso del suolo nella finestra 1 di Acqualagna ed esempio della tabella degli attributi.

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L’esito di tale valutazione è riportato in Fig. 33: circa due terzi della superficie sono coperti da vegetazione con funzionalità“elevata” o “molto elevata”, mentre il restante è principalmente caratterizzato da soprassuoli a scarsa funzionalità (Tab. 33). Per quanto riguarda le tipologie vegetazionali, gli usi forestali si collocano principalmente nelle classi più elevate, tra questi ai querceti viene attribuita un’efficacia nettamente superiore; arbusteti e praterie manifestano invece funzionalità“scarsa”.

Fig. 33 - Classificazione della funzionalità protettiva per la finestra prescelta (in nero le aree agricole ed antropiche).

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Tab. 33 - Ripartizione dei pixel di finestra 1 in relazione a tipologia del soprassuolo e classi di funzionalità.

Tipo soprassuolo Classe di FUNZ__STAB Totale
1 2 3 4 5
bosco di querce decidue - - 136 749 2403 3288
bosco di carpino nero - - 18 1643 - 1661
bosco misto di lat. xerofile - - 19 75 - 94
bosco misto di lat. mesofile - - 8 245 - 253
bosco misto di lat. igrofile - - 296 - - 296
piantagione di conifere miste - - 6 395 - 401
ginestreto a sparto e altri arbusteti 45 2071 13 - - 2129
prati e pascoli 7 573 - - - 580
totale finestra 1 52 2644 496 3107 2403 8702

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Limitatamente alla finestra 1, la propensione stimata dall’apposito classificatore neurale raggiunge livelli importanti, con poco meno del 40% della superficie in classe “molto elevata” (Fig. 34).

Fig. 34 - Livelli di propensione stimati dal classificatore neurale per la finestra 1 di Acqualagna.

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Incrociando i due tematismi secondo il modello concettuale illustrato nel paragrafo “La determinazione dei valori-indice derivati dalla combinazione delle classi di propensione al dissesto del territorio e di funzionalità protettiva della copertura vegetale”, sono stati ottenuti i quattro indici sintetici con valenza descrittiva e pianificatoria. L’elaborazione è stata eseguita in ambiente GIS, esprimendo i risultati sotto forma di indice numerico attribuito a ciascun pixel e trasferendo successivamente il loro valore medio al poligono di uso del suolo corrispondente. La procedura per l’indice di vincolo gestionale esemplificata in Fig. 35 comprende anche la quantificazione della variabilità dei valori associati alle singole celle che afferiscono all’unità di territorio; in questo modo è possibile individuare le realtà eccessivamente complesse che richiederebbero una analisi più dettagliata. Il risultato finale per tutti gli indici analizzati è riportato in Fig. 36.

Fig. 35 - Esemplificazione dell’attribuzione ai poligoni del valore medio e della deviazione standard di VINC_STAB relativi ai singoli pixel sottesi.

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Fig. 36 - Rappresentazione degli indici complessi all’interno della finestra 1 di Acqualagna.

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Sempre con riferimento ai risultati della finestra 1, le situazioni “preoccupanti” sotto il profilo dell’equilibrio di stabilità dei versanti sono concentrate in corrispondenza degli arbusteti (Tab. 34), costituiti quasi esclusivamente da ginestreti a Spartium junceum, dotati di modesta funzionalità (Tab. 33), ma molto spesso localizzati in stazioni ad alta propensione; tuttavia, questa combinazione si traduce nella maggior parte dei casi in un valore di protezione non indifferente. Le parcelle boscate si collocano prevalentemente in buone condizioni di equilibrio ed hanno un “elevato” valore ai fini della protezione dai fenomeni franosi superficiali.

Tab. 34 - Ripartizione dei poligoni di ciascuna tipologia forestale nelle diverse classi degli indici sintetici.

tipo soprassuolo EQUI_STAB VAL_STAB VINC_STAB PRIOR_STAB
1 2 3 4 1 2 3 1 2 3 1 2 3
bosco di querce decidue 5 10 17 33 3 22 40 8 20 37 64 1 -
bosco di carpino nero 1 3 7 7 1 5 12 1 8 9 18 - -
bosco misto di lat. xerofile 1 1 - 2 - 2 2 - 2 2 4 - -
bosco misto di lat. mesofile 1 2 1 - - - 4 - - 4 4 - -
bosco misto di lat. igrofile 2 1 2 1 1 3 2 1 3 2 5 1 -
piantagione conifere miste 2 2 - - - - 4 - - 4 4 - -
ginestreto a sparto e altri arbusteti 48 9 7 1 18 38 9 15 49 1 3 50 12
prati e pascoli 4 3 1 - 6 2 - 5 3 - - 6 2
totale finestra 1 64 31 35 44 29 72 73 30 85 59 102 58 14

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Per un terzo circa dei poligoni vengono prospettate condizioni di massimo vincolo gestionale, a causa dell’elevato grado di propensione (Fig. 34) che interessa esclusivamente i soprassuoli forestali. Poche, invece, ed afferibili soprattutto a coperture arbustive, le situazioni da privilegiare in via ipotetica per la realizzazione di interventi miglioratori della copertura.

Con riferimento ai due poligoni evidenziati in Fig. 37 si può concludere esemplificando il senso dell’intera procedura ed il significato pratico degli indici. Il poligono 1 delimita un popolamento a prevalenza di carpino nero, governato a ceduo semplice, e caratterizzato da densità colma ed assenza di altri disturbi e sistemazioni; questo occupa una superficie prevalentemente impostata sul Bisciaro, con pendenze modali della quarta classe ed esposizioni intorno a Nord. L’altra parcella insiste, invece, sulle marne dello Schlier, con pendenze prevalenti nella terza classe ed esposizione NE; la vegetazione è costituita da un pascolo a copertura erbacea continua con radi cespugli di sparto (Tab. 35).

Fig. 37 - Ingrandimento dei tematismi visualizzati nella Fig. 36.

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Tab. 35 - Caratteristiche salienti dei poligoni illustrati in Fig. 37.

Caratteristica Poligono 1 Poligono 2
INST_LITO 7 7
classe prevalente di pendenza 35 - 70% 15 - 35%
PROP_STAB alta intermedia
tipo copertura ceduo di carpino nero a densità colma pascolo con cespugli di sparto
FUNZ_STAB elevata scarsa
EQUI_STAB in equilibrio preoccupante
VAL_STAB elevato discreto
VINC_STAB massimo intermedio
PRIOR_STAB trascurabile elevata

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La combinazione dei caratteri stazionali determina una propensione maggiore nel primo poligono, cui corrisponde, però, una funzionalità più elevata in virtù del tipo di copertura. Ciò comporta una situazione di sostanziale equilibrio che viene invece a mancare nel caso del pascolo cespugliato. La combinazione funzionalità elevata e alta propensione determina per il bosco un valore di protezione elevato, da salvaguardare con l’adozione del massimo grado di vincolo. Nel caso del pascolo, invece, la possibilità di migliorare la funzionalità del soprassuolo con significativi effetti stabilizzanti risulta concreta e si traduce in un indice PRIOR_STAB di grado elevato.

Conclusioni e prospettive di prosecuzione 

Quanto finora esposto rappresenta il risultato intermedio (fase finale del secondo anno di studio sui tre programmati) del lavoro congiunto, a forte grado di interdipendenza, delle Unità Operative coinvolte nel Sottoprogetto 4.3 del Progetto finalizzato Riselvitalia. Benché la tematica della funzione protettiva del bosco sia stata finora affrontata solo parzialmente (in relazione al solo fenomeno delle frane superficiali), occorre tener conto dei tempi richiesti dal notevole sforzo speculativo che ha comportato l’approccio metodologico della modellizzazione neurale della conoscenza esperta e soprattutto quello criteriale riguardante i concetti di propensione/funzionalità e la loro combinazione negli indici derivati.

L’attività del Sottoprogetto proseguirà traslando le acquisizioni metodologiche conseguite finora alla valutazione della funzione protettiva del bosco nei confronti di altre tipologie di dissesto, quali le piene da deflusso istantaneo e l’erosione idrica, per le quali è possibile ricorrere a riferimenti modellistici previsionali ampiamente collaudati e universalmente conosciuti (SCS-CN ed USLE, ad esempio). È plausibile ritenere che quest’ultimo obiettivo possa essere conseguito entro la fine del Progetto RISELVITALIA, in virtù della possibilità di ripercorrere il tracciato logico-operativo descritto in questo lavoro e di adeguare opportunamente le casistiche esperte già allestite.

Rispetto agli obiettivi originariamente formulati, rimangono incertezze sulla possibilità di estendere la metodologia anche ai fenomeni valanghivi e, soprattutto, di riuscire a formulare un unico giudizio relativo alla sintesi delle diverse capacità protettive della copertura vegetale nei confronti di tutte le tipologie di dissesto analizzate.

Altri argomenti sono attualmente in fase di sviluppo da parte delle singole UU.OO. del Sottoprogetto.

L’ISSDS di Firenze sta portando avanti l’analisi di un cospicuo data base climatico dedicato ad una valutazione dell’aggressività climatica mirata soprattutto ai diversi fenomeni di dissesto; è inoltre in fase di studio la possibilità di adottare le procedure fin qui illustrate per l’applicazione e la gestione del vincolo idrogeologico, con particolare riferimento alla realtà della regione Sardegna.

L’ISAFA di Trento ha realizzato, in uno studio parallelo a quello principale di sottoprogetto ([55]), un sistema di classificazione neurale automatica della morfologia territoriale per assegnare ciascun pixel di un piano di rappresentazione raster della quota del territorio (DEM) al tipo morfologico d’appartenenza. È in previsione lo studio di una procedura che consenta di far interagire i modelli di valutazione propensione/funzionalità con strati informativi GIS relativi alla presenza sul territorio di infrastrutture, edifici, impianti, ecc. deducendone valutazioni sul rischio cui tali infrastrutture sono esposte. L’IPLA di Torino sta studiando la possibilità di utilizzare dati da telerilevamento per la valutazione di alcuni parametri relativi alla copertura vegetale che entrano nella valutazione della funzionalità protettiva.

Ringraziamenti 

Gli Autori sono grati a Marcello Principi e Achille Bucci, dell’Ufficio Cartografico della Regione Marche, come pure a Marco Pantaloni e Chiara D’Ambrogi, del Servizio Geologico Nazionale, per aver fornito la cartografia geolitologica di dettaglio dell’area di Acqualagna. Un ringraziamento anche a Franco Licini e Marco Corgnati del Settore Politiche Forestali della Regione Piemonte per aver collaborato allo studio mettendo a disposizione alcuni dati tratti dai Piani Forestali Territoriali regionali. Un ringraziamento viene rivolto anche a Mario Finoia, dell’ISSDS di Firenze, per il supporto tecnico fornito in tutte le fasi del lavoro.

Glossario 

Le seguenti voci sono state utilizzate lungo il testo:

  • ADDESTRAMENTO DI UNA RETE NEURALE: processo di variazione orientata dei parametri di una rete neurale durante un processo di esame sequenziale di esempi reali tendente a scoprire e tradurre automaticamente in termini matematici il meccanismo che lega i valori delle variabili in input di un sistema o fenomeno a quello delle corrispondenti variabili in output.
  • AGGRESSIVITÀ CLIMATICA: caratteristica climatica inerente il rapporto fra intensità e durata degli eventi meteorici liquidi, in relazione alla capacità di innescare fenomeni di dissesto.
  • AZIONE STABILIZZANTE DELLE RADICI: complesso effetto esercitato degli apparati radicali delle piante sugli orizzonti di suolo e substrato colonizzati, il quale si esplica soprattutto nell’aumento della loro coesione.
  • CASISTICA: insieme di esempi di realizzazioni reali di un sistema o di un fenomeno durante le quali, a partire da determinati valori (conosciuti) delle variabili in input si producono determinati valori (conosciuti) delle variabili in output del sistema o fenomeno stesso.
  • CLASSIFICAZIONE ESPERTA: attribuzione da parte di un esperto di una caratterizzazione tipologica (tra alcune possibili) ad un elemento, attuata secondo un processo attributivo sintetico basato sull’esperienza e sulla conoscenza delle possibili varianti di altri elementi del tipo di quello in oggetto.
  • FENOMENI FRANOSI SUPERFICIALI: movimenti franosi che coinvolgono suolo e substrato per spessori generalmente inferiori a tre metri, potenzialmente interessati dall’esplorazione radicale.
  • FUNZIONALITÀ PROTETTIVA: capacità del soprassuolo di contrastare la propensione ai dissesti di una stazione, prevenendo il manifestarsi dei dissesti idrogeologici.
  • GENERALIZZAZIONE DI UNA RETE: capacità di una rete neurale di simulare il processo appreso durante l’addestramento su nuovi casi di realizzazione di un processo o fenomeno che non sono rientrati tra quelli che hanno costituito la sua base addestrativa.
  • GRADO DI EQUILIBRIO: indice sintetico descrittivo del livello di equilibrio fra propensione ai dissesti e funzionalità protettiva della vegetazione.
  • GRADO DI VINCOLO: indice sintetico gestionale che definisce, rispetto a forme di utilizzazione con obiettivi prettamente produttivi, il livello di condizionamento dell’uso delle risorse legnose e vegetali ai fini di una gestione compatibile con l’assetto idrogeologico del territorio.
  • INSTABILITÀ LITOLOGICA: tendenza di un substrato roccioso ad essere interessato da fenomeni franosi, in funzione delle caratteristiche geo-meccaniche dei materiali, dell’assetto strutturale e del grado di alterazione/fratturazione.
  • PRIORITA’ DI INTERVENTO: indice sintetico gestionale per l’identificazione delle situazioni dove eseguire in via prioritaria interventi miglioratori della copertura vegetale, anche associati ad opere sistematorie.
  • PROPENSIONE AI DISSESTI: tendenza (o suscettività) di una stazione a manifestare fenomeni degradativi di tipo idrogeologico; viene definita sulla base dei soli fattori fisici non modificabili e quindi in assenza di copertura vegetale; è simile ma non coincidente con la pericolosità (hazard).
  • RETE NEURALE: modello matematico di processamento delle informazioni ispirato alla struttura del cervello: unità di calcolo elementari (neuroni o nodi) ricevono, processano ed inviano informazione ad altri neuroni artificiali a loro collegati attraverso connessioni. I parametri di una rete vengono ottimizzati per specializzarla nel risolvere un determinato problema di calcolo numerico o di classificazione.
  • TEMATISMO RASTER: strato informativo territoriale costituito da una matrice di elementi base (pixel) con valori associati ad ogni cella che possono esprimere informazioni numeriche di vario tipo (Quota, pendenza, ecc.).
  • TEMATISMO VETTORIALE: strato informativo territoriale comprendente oggetti omogenei tra loro (punti, linee o poligoni) e costituito da una componente spaziale che descrive la geometria degli oggetti, una topologica che ne esprime le relazioni reciproche e una tabellare che contiene informazioni sulle loro caratteristiche
  • VALORE DI PROTEZIONE: indice sintetico descrittivo del livello con cui la funzionalità protettiva della copertura vegetale si esplica in un determinato contesto stazionale in relazione alla propensione ai fenomeni di dissesto.
  • VALUTAZIONE ESPERTA: giudizio espresso secondo criteri euristici da persona riconosciuta competente del settore specifico.
  • VARIABILE ESPLICATIVA: carattere o grandezza in grado di fornire una qualche interpretazione di un fenomeno.

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