Forest as Capercaillie’s habitat: applied research efforts and new management experiences
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 168-182 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0358-0030168
Published: Jun 13, 2006 - Copyright © 2006 SISEF
Research Articles
Abstract
Capercaillie (Tetrao urogallus L.) is considered as an indicator species for naturally open coniferous forests, with high proportions of old and open stands. At present, Capercaillie conservation status is threatened in all its central European distribution range: the species has narrow habitat preferences and large spatial requirements and it is particularly susceptible to changes in landscape and habitat use. Forestry practices are commonly considered as the major factor influencing Capercaillie’s population dynamics, though direct human disturbance is another threat of considerable impact. Increasing loss and fragmentation of suitable habitats have resulted in small populations with different levels of connectivity, up to complete isolation. Preservation, restoration and improvement of the habitat are the most important conservation measures to ensure the long-term survival of Capercaillie populations. Integrating silvicultural practices with specific environmental requirements of this forest grouse is therefore of crucial importance. Some results of recent research and conservation efforts carried out in central-eastern Alpine Arc of Switzerland and Italy are presented here, based on different research approaches. Preliminary experiences of management guidelines applied to conservation strategy of such a symbolic species are also commented. A conservation strategy recently developed by Regione Lombardia is discussed. Secondly, two studies developed in the frame of a research project concerning “A metapopulation model of Capercaillie in the Swiss Alps” are presented, referring to different spatial scale (forest stand and landscape). A specific Action Plan at Swiss national level will be developed based on the main results of this project. Finally implementation of Special Forest Reserves is described, as a possible long-term tool for protecting and conserving Capercaillie populations.
Keywords
Gallo cedrone, Gestione forestale, Selvicoltura, Conservazione degli habitat, Riserva speciale forestale
La conservazione del Gallo cedrone
Il Gallo cedrone (Tetrao urogallus L.) è il più grande dei Tetraonidi presenti in Europa e in particolare sulle Alpi: il suo status di conservazione risulta minacciato in tutta l’Europa centrale, la maggior parte delle cui popolazioni risulta in declino ([63]). A livello nazionale, Brichetti ([12]) e Brichetti & Fracasso ([13]) ritengono la specie in diminuzione nel lungo termine, e Calvario et al. ([16]) ne riconoscono la definizione di “vulnerabile” nella Lista Rossa nazionale. De Franceschi ([23]) e Burfield & Van Bommel ([14]) attestano d’altro canto la relativa recente stabilità delle popolazioni italiane. Burfield & Van Bommel ([14]) definiscono inoltre la specie come non minacciata a scala europea.
Il Gallo cedrone ha preferenze ambientali precise e strettamente definite ([64]) nonché elevate esigenze spaziali (home range medi di circa 550 ha - [61]): queste condizioni lo rendono particolarmente sensibile alle modificazioni degli habitat e del paesaggio.
Le foreste abitate dal Gallo cedrone hanno una struttura caratterizzata da una copertura arborea intermedia. La specie è considerata come indicatrice delle foreste di conifere naturalmente rade, con elevate proporzioni di popolamenti vecchi e aperti: inoltre, notoriamente preferisce habitat ricchi di arbusti di Ericaceae, in particolare di mirtillo (Vaccinium myrtillus - [59], [60], [7]). Recentemente, il Gallo cedrone è stato documentato come specie-ombrello per un’elevata diversità delle comunità ornitiche sulle Alpi svizzere ([69]) e possibilmente sui Pirenei francesi ([37]). Tuttavia, nelle Alpi svizzere, la presenza del Gallo cedrone non è correlata alla diversità di Coleotteri delle famiglie Cerambicidae e Buprestidae ([8]).
Una progressiva alterazione della struttura degli habitat, l’eccessivo disturbo antropico e, forse, un aumento della predazione hanno reso oggi la maggior parte delle foreste di pianura centroeuropee inadatte alla specie, eccezion fatta per le regioni più remote: nella parte meridionale ed occidentale del suo areale distributivo, il Gallo cedrone è quasi esclusivamente confinato alle fasce superiori dei versanti montani forestali, dai circa 600 m di quota nel Giura (Francia e Svizzera), ai 1000-1500 m sulle Alpi, 1200-1600 m sui Monti Cantabrici e 1700-2000 m sui Pirenei ([64]). Per quanto concerne le principali minacce alla conservazione, va sottolineato come un discreto numero di differenti fattori sia stato indicato come significativo nel contribuire al recente declino numerico della specie: tra questi, oltre quelli sopraccitati, vanno ricordati anche il cambiamento climatico ([38], [43]) e il prelievo venatorio legale - oggi generalmente impossibile nella maggior parte dei paesi europei centro-occidentali per le relative disposizioni normative - ed illegale ([12], [26], [16]). Con tutta probabilità le cause agiscono in ogni caso sinergicamente e hanno un diverso peso relativo in aree differenti. In termini generali però, le pratiche selvicolturali rappresentano il fattore di maggior importanza nell’influenzare la dinamica di popolazione del Gallo cedrone. La specie è sicuramente sensibile ai cambiamenti nella struttura forestale alla scala del popolamento locale ([33], [72], [58], [35]). In Europa centrale, il Gallo cedrone era più numeroso ai tempi in cui le pratiche di utilizzo antropico del territorio favorivano foreste aperte con un ricco strato erbaceo-arbustivo. Negli ultimi decenni i crescenti volumi di massa legnosa in piedi hanno provocato una perdita di densità di quest’ultimo strato in molti popolamenti forestali e hanno fatto da parallelo alla diminuzione numerica del Gallo cedrone. Inoltre, inquinanti locali portati dai venti e dalla pioggia hanno contribuito a cambiamenti vegetazionali del tutto svantaggiosi per gli arbusti di Ericaceae preferiti dal Gallo cedrone.
In relazione alle sue estese esigenze spaziali, il Gallo cedrone è anche sensibile ai cambiamenti alla scala di paesaggio, quali la frammentazione forestale ([48], [49]). La progressiva perdita e frammentazione degli habitat favorevoli hanno determinato anche in ambito alpino una situazione di piccole popolazioni con differenti gradi di interconnessione, fino al completo isolamento ([63], [42]). Si tenga anche conto di come le popolazioni poco numerose siano generalmente vulnerabili e mostrino un alto rischio di estinzione a causa della stocasticità ambientale e di eventi demografici, o per perdita di variabilità genetica ([57]).
Nelle montagne dei paesi industrializzati del sud-ovest europeo (tra cui le Alpi), il disturbo da turismo e attività ricreative come escursionismo a piedi, con racchette da neve e in mountain-bike, sci di fondo e sci alpinismo sono considerati una seria minaccia alle locali popolazioni di Gallo cedrone. La specie può temporaneamente o definitivamente essere “espulsa” dagli habitat frequentati dall’uomo, anche se la struttura dell’habitat stesso resta intatta: il disturbo è considerato particolarmente critico nel periodo invernale, durante il periodo degli amori sulle arene di canto o lek ([70]) e nelle aree di allevamento delle covate ([64]).
La conservazione, il ripristino ed il miglioramento degli habitat sono quindi le misure di conservazione più importanti per assicurare la sopravvivenza a lungo termine delle popolazioni di Gallo cedrone. La sfida che si pone oggi a chi si occupa di conservazione della specie è quella di riuscire ad integrare le pratiche selvicolturali con le particolari esigenze ambientali del tetraonide. L’ambiente ideale dovrebbe presentare un’articolazione della copertura in varie tessere (patch) differenziate per struttura e composizione, in modo da creare un mosaico di appezzamenti finemente distribuito ma complessivamente non frammentato ([46]). La compresenza di microambienti tra loro diversi, ma giustapposti nel paesaggio, consente infatti a questa specie di disporre degli habitat idonei nelle diverse fasi vitali ([40]).
Ancor più in Europa occidentale e meridionale, dove l’areale della specie è frammentato in isole distinte di dimensioni limitate, il mantenimento ed il ripristino delle connessioni spaziali tra le popolazioni locali appare di vitale importanza per assicurare la sopravvivenza a lungo termine della specie ([67]). Non esiste infatti ad oggi in Europa centrale un singolo esempio di popolazione di Gallo cedrone autosostenentesi ristabilita a partire da soggetti allevati in cattività dopo l’estinzione della popolazione originaria locale, sebbene a partire dagli anni settanta più di 3000 cedroni siano stati rilasciati in nove diversi progetti nella sola Germania ([34]).
Il valore "carismatico" del Gallo cedrone ha fatto sì che recentemente la specie abbia ricevuto una notevole attenzione da parte sia del mondo forestale che di quello conservazionistico. Va rimarcato che nel passato gli sforzi di conservazione si sono principalmente concentrati sul mantenimento delle caratteristiche di microhabitat, alla scala spaziale del popolamento forestale locale, con particolare riferimento alle arene di canto. Ciò derivava dalla considerazione del Gallo cedrone come specie pressoché sedentaria, con home range ristretti e prevedibili ([28]). Recenti studi radiotelemetrici hanno in realtà documentato le rilevanti esigenze spaziali della specie ([50], [61], [70]) e hanno quindi dimostrato che le rispettive popolazioni sono sensibili alle alterazioni del macrohabitat, quali la frammentazione delle foreste o la stessa disposizione spaziale degli habitat favorevoli.
Per quanto riguarda il nostro paese, dopo una fase di approfondimenti delle conoscenze relativamente al quadro distributivo, (parzialmente) alle preferenze ambientali ed alla dinamica di popolazione a livello di singole aree di studio intensivo ([5], [18], [24], [15], [19], [3], [4], [21]), nell’ultimo periodo non sono stati molti i lavori di sintesi pubblicati sugli argomenti sopraccennati ([22], [23]). Si tenga conto anche del fatto che il settore centro-orientale delle Alpi italiane potrebbe costituire una delle roccaforti della futura conservazione della specie in ambito alpino internazionale. Già oltre un decennio fa De Franceschi ([20]) faceva rilevare come una delle principali priorità di studio per il Gallo cedrone, anche per le ricadute in campo conservazionistico, fosse costituita dalla necessità di indagare sui rapporti tra la specie ed il suo habitat, al fine di mettere a punto gli adeguamenti gestionali necessari alla sua tutela e conservazione. Secondo De Franceschi ([20]) “...un aspetto finora abbastanza trascurato o in gran parte poco conosciuto dei tetraonidi forestali è quello che mette in relazione la consistenza delle loro popolazioni con i trattamenti selvicolturali praticati nei boschi in cui essi vivono sulle Alpi...”. Anche Mattedi ([39]) constata che “...nel quindicennio trascorso è stata particolarmente studiata la dinamica di popolazione dei Tetraonidi, la loro distribuzione, consistenza e le densità locali (con metodologie diverse), mentre complessivamente ancora scarse sono invece le conoscenze sulle caratteristiche ambientali e sulla selezione dell’habitat e, nel caso in esame, del Gallo cedrone (almeno per l’Italia), alla luce della sua generale recessione e del suo peso in termini di diversità biologica...”.
È parso quindi utile presentare in questa sede alcuni risultati di recenti indagini condotte nell’arco alpino centro-orientale svizzero ed italiano, riferibili a diversi approcci di ricerca, nonché alcuni primi esempi di indirizzi gestionali applicati, nel tentativo di fornire indicazioni per sviluppare anche in ambito nazionale un confronto sul tema dei rapporti tra selvicoltura e gestione ambientale a più ampia scala e politiche di conservazione di questa specie.
Il Gallo cedrone in Lombardia: biologia e conservazione
Tosi et al. ([71]) hanno evidenziato gli aspetti principali inerenti alla conservazione della specie nel territorio lombardo. Sono stati sviluppati un piano di intervento per la conservazione del Gallo cedrone a livello regionale, un modello predittivo dell’idoneità ambientale per la specie e soprattutto delle linee guida per la sua conservazione, riguardanti sia il monitoraggio invernale-primaverile sui lek, sia la gestione forestale delle aree di presenza attuale e potenziale. Nella definizione di linee guida per le attività forestali sono state poi significativamente distinte le misure di conservazione degli habitat forestali, le misure di ricostituzione degli habitat forestali e le misure di regolamentazione e controllo delle attività forestali.
In precedenza, e con specifico riferimento al territorio del Parco delle Orobie Valtellinesi, Bottazzo et al. ([10]) avevano già individuato una serie di misure selvicolturali ed assestamentali finalizzate alla tutela della specie. Significativamente gli Autori sottolineano come “...per ricostruire un modello di bosco idoneo al tetraonide in periodo di canto è necessario un cambiamento di approccio alla gestione forestale. È necessario infatti abbandonare momentaneamente l’obiettivo base di intervenire al fine di far rinnovare il bosco a maturità credendo che la perpetuazione di un bosco faccia bene alla fauna forestale in genere. La struttura del bosco per il gallo cedrone in periodo di canto può sembrare un modello molto statico, poco naturale e poco “produttivo” ma se l’obiettivo degli interventi selvicolturali è la salvaguardia di questa specie non ci possono essere compromessi...” ([11]). Il modello di bosco che va perseguito per il periodo di canto deve avere una copertura forestale rada, con una densità delle chiome tra il 40% ed il 70%, presentare alberi di grosse dimensioni, in tratti di bosco maturi o stramaturi, nonché un sottobosco arbustivo di modesta copertura (a piccoli gruppi, comunque non superiore al 15%). Gli interventi selvicolturali per raggiungere un modello di bosco con queste caratteristiche sono riassumibili nelle tre tipologie del diradamento basso, degli interventi sulla rinnovazione e del taglio modulare a senescenza ([11]).
Le prime prove di intervento hanno avuto inizio nel 2001 secondo le metodologie selvicolturali individuate: al 2003 erano stati avviati una decina di interventi eseguiti sia direttamente dal Consorzio del Parco sia mediante bandi con incentivazioni per i proprietari di boschi ricadenti all’interno delle aree vocate al tetraonide ([11]).
Deve comunque prevedersi, nel lungo periodo, l’invecchiamento delle strutture monoplane e coetaneiformi ([71]): per conservare l’idoneità complessiva del sito, per le peccete e gli abieteti è quindi opportuno prevedere la graduale trasformazione delle strutture monoplane nella forma più irregolare dei collettivi. Nelle formazioni multiplane disetaneiformi occorre intervenire conservando la lacunosità della copertura, mirando alla realizzazione di una densità irregolare.
Per quanto concerne la regolamentazione delle attività forestali, vengono fornite alcune norme comportamentali che vanno dalla definizione di periodo e durata delle utilizzazioni forestali effettuate all’interno degli habitat frequentati dal Gallo cedrone (evidentemente con particolare riferimento alle aree di allevamento delle covate: inizio dei tagli a partire da settembre, esecuzione delle utilizzazioni per piccoli settori), al suggerimento dell’accatastamento dei residui dei lavorazione del bosco nonché dello sminuzzamento e della cippatura delle ramaglie. Vanno altresì per quanto possibile evitate le funi sospese nel bosco, che rappresentano una importante causa di mortalità per il Gallo cedrone ([6], [10]: ma non in Val di Sole, Trentino, Angeli in litteris). Tali sistemi per l’esbosco dovrebbero pertanto essere limitati nell’uso e comunque utilizzati soltanto per il periodo strettamente necessario all’esbosco stesso. Devono essere evitati, evidentemente, gli interventi a taglio raso andante, la ripulitura del sottobosco, i rimboschimenti a forte densità.
In termini generali, inoltre, a livello pianificatorio si dovrebbe puntare alla definizione di comparti di almeno 300 ha di formazioni idonee alla specie dal punto di vista tipologico (cfr. anche [68]), al cui interno destinare almeno il 30% della superficie alla conservazione o alla ricostituzione di strutture idonee alle attività di canto. L’area di maggiore idoneità dovrebbe essere organizzata in comparti di dimensioni non inferiori ai 25 ha, e possibilmente superiori ai 50 ha. È fondamentale che la pianificazione forestale di area vasta (Piani di indirizzo forestale) sia informata dalle conoscenze sulla distribuzione della specie, per definire gli ambiti territoriali ai quali possono essere riferite le indicazioni di carattere gestionale e pianificatorio. Sempre secondo Tosi et al. ([71]) su una superficie dell’ordine di almeno 3-5 ha nell’immediato intorno dei lek, luoghi di massima sensibilità, in considerazione dello status altamente critico della specie, dovrebbe essere proibita l’attuazione di qualsiasi intervento selvicolturale, ad eccezione di eventuali azioni promosse con l’obiettivo della tutela della specie. De Franceschi & Bottazzo ([25]) suggeriscono d’altronde di evitare tagli intorno alle aree di canto che asportino più del 4% della biomassa legnosa nella particella per ogni intervento e il 25% della massa totale nell’arco di 20 anni. Sull’argomento sembra importante ricordare anche come Cescatti ([17]) suggerisca l’esecuzione di tagli saltuari per piccoli gruppi nei soprassuoli invecchiati in rinnovazione con l’obiettivo di ottenere densità tra 0.5 e 0.7, nonché di mantenere radure prive di vegetazione ai piedi delle piante di canto di almeno 300 m2, in quanto la vegetazione a terra ostacola nei combattimenti, nel corteggiamento e nell’accoppiamento. Infine, propone la realizzazione di corridoi (6-7 m di larghezza e 30-40 m di lunghezza) che si dipartono verso valle dalla pianta di canto nei popolamenti densi. Sono preferite le strutture polistratificate, con fine mosaico di unità in rinnovazione naturale e gruppi densi paracoetanei su 300 m2. Occorre infine mantenere ([17]) le radure ed i corridoi già esistenti specialmente a valle di alberi dominanti, salvaguardare i soggetti sovradominanti con chioma rada e rami robusti (posatoi) e la flora fruticosa (mirtilli, sorbi, lonicere), favorire l’insediamento di rinnovazione nelle discontinuità della copertura. Si sottolinea come esistano peraltro già alcuni esempi di interventi effettuati nei pressi del lek finalizzati al miglioramento di punti di canto secondari esistenti, alla creazione di piccole radure in posizione pianeggiante poco distante e di nuovi punti di canto in fustaia densa, mediante il prelievo di soggetti dominanti e di collettivi arborei al fine di ottenere un’alternanza spaziale data da pianta di canto-piccola radura-gruppo di piante-radura, simile all’arena principale ([2], [40]).
Occorre anche tener conto di come l’articolata orografia delle Alpi meridionali e la limitata estensione potenziale delle formazioni forestali continentali determinano una notevole frammentazione degli areali potenziali della specie che, unitamente ad errati comportamenti ed attività antropiche, possono determinare locali rarefazioni o scomparse ([71]). Ulteriori misure di conservazione accessorie sono quindi riferibili alla gestione territoriale: tra queste, l’interdizione dell’accesso ai lek appare prioritaria, tramite la chiusura temporanea delle strade che portano alle principali arene di canto, nel periodo da metà aprile a metà maggio di ogni anno per le sole ore notturne (fino alle 8 del mattino). Le strade forestali da realizzare andranno inoltre considerate in relazione alle loro reale utilità tenuto conto dei costi di realizzazione e manutenzione e soprattutto dell’impatto ambientale. Il maschio del Gallo cedrone è particolarmente sensibile al disturbo antropico, di cui le strade forestali rappresentano spesso una sorta di viatico, come è stato recentemente dimostrato nella Foresta Nera in un interessante progetto di radiotracking ([70]). Una strada forestale, oltre a provocare stravolgimenti fisionomici permanenti del bosco, porta inevitabilmente ad una maggiore presenza e disturbo antropico. Le piste forestali invece, se realizzate senza sbancamento del pendio e se utilizzate solo per lo stretto periodo di utilizzo del bosco, provocano un impatto assai più limitato rispetto alle strade vere e proprie. Attività ricreative, utilizzo di motoslitte e di altri veicoli fuoristrada, sci fuori pista, escursionismo, ricerca di funghi, hanno chiaramente un impatto negativo sulla fauna selvatica in generale e sul Gallo cedrone in particolare: devono quindi esse individuate misure di mitigazione o forme di indirizzo, tenuto conto anche della difficoltà di controllare la fruizione pubblica del bosco ([71]).
Un modello di metapopolazione del Gallo cedrone nelle Alpi Svizzere
Nel 1999 l’Istituto federale di ricerca svizzero (WSL) ha lanciato il Programma WWK (Wald-Wild-Kulturlandschaft, Bosco-Fauna selvatica-Paesaggio), che ha avuto termine alla fine del 2005. Il programma si è articolato in quattro moduli, l’ultimo dei quali specificamente dedicato ai Tetraonidi: il fulcro di questo modulo è stato costituito dal progetto di ricerca denominato Un modello di metapopolazione del Gallo cedrone nelle Alpi Svizzere: basi per la protezione della specie. Si cercherà di sintetizzare nei due paragrafi seguenti gli aspetti principali di due approfondimenti condotti nel contesto del suddetto progetto, il primo relativo alla cosiddetta scala del popolamento locale ([7]), il secondo alla scala del paesaggio ([28], [9]). Si sottolinea anche come i risultati del progetto costituiranno la base per la redazione di un Piano di Azione per la conservazione del Gallo cedrone in Svizzera, in corso di elaborazione da parte della Stazione Ornitologica Svizzera di Sempach, dell’ Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio e di Birdlife Svizzera: i modelli di vocazionalità degli habitat utilizzati per il Piano di Azione sono stati redatti dal citato WSL (per il comparto Alpi e Prealpi) e dall’Università di Losanna (per il Giura cfr. anche [51], [52]).
Analisi dell’habitat primaverile del Gallo cedrone nelle Alpi centrali condotta alla scala del popolamento forestale locale
Recentemente sono stati messi a punto in numerose aree di studio centroeuropee specifici modelli di vocazionalità ambientale (Habitat suitability models, HSM) basati sull’analisi di una serie di variabili ambientali che spesso comprendono parametri descrittivi degli aspetti di composizione e struttura dello strato arboreo, oltre che della stazione, e degli strati arbustivi ed erbacei. I modelli di habitat sono una descrizione formalizzata della distribuzione di una specie in relazione alle condizioni ambientali ([7]) e rappresentano strumenti preziosi per pianificare la conservazione delle specie cui si riferiscono, se gli stessi sono attentamente validati. Sulla base di questi modelli è possibile infatti stimare la quantità e la distribuzione dell’habitat adatto alla specie nelle varie aree di studio, nonché individuare quali possano essere le variabili più significative nel condizionare la presenza e la frequentazione degli habitat da parte della specie, per poterli adattare in termini gestionali e renderli così più ospitali. Le modalità di distribuzione e le dimensioni delle popolazioni di Gallo cedrone sono influenzate da fattori ecologici che esercitano la loro azione a varie scale spaziali: da quella del popolamento forestale locale (0.5-100 ha) fino al contesto regionale (10-100 km2 - [62], [65], [66], [7]). Secondo Storch ([62]) sono necessarie perlomeno tre scale spaziali per descrivere correttamente l’habitat di una specie: la estensione di foresta e la sua giustapposizione con aree aperte a larga scala (chiamata anche scala di paesaggio), il mosaico dei popolamenti forestali ad una scala intermedia (scala di foresta) e la struttura di vegetazione a piccola scala (o scala di popolamento locale).
Un forte limite dei modelli è comunque costituito dal loro limitato potenziale per una generalizzazione tra aree diverse, in particolare quando riguardano ecosistemi, come quelli alpini, nei quali l’eterogeneità topografica è fonte di significative differenziazioni a scala regionale per quanto riguarda clima, precipitazioni e frammentazione degli habitat.
Come accennato, diversi sono gli HSM per il Gallo cedrone recentemente sviluppati in Europa centrale per guidare e supportare la gestione della specie ([54], [55], [65], [51]): questi modelli si riferiscono però a regioni marginali dell’areale distributivo della specie. Reimoser et al. ([45]) hanno messo a punto una valutazione digitale degli habitat potenzialmente adatti al Gallo cedrone presenti all’interno delle cinque Foreste demaniali dell’Alto Adige-Südtirol di Chiusa, Funes, Latemar, Moso in Passiria e Campo di Trens (Fig. 1). A partire dai dati contenuti nei piani di gestione forestale e dal modello digitale del terreno é stato sviluppato con l’aiuto di un GIS un modello matematico per l’individuazione degli habitat potenziali della specie.
Fig. 1 - Carta della vocazionalità dell’habitat del Gallo cedrone nella Foresta Demaniale del Latemar, Alto Adige Südtirol (da [45]).
Bollmann et al. ([7]) hanno quindi analizzato la selezione di habitat del Gallo cedrone a scala di soprassuolo in relazione alla composizione del popolamento forestale ed alle caratteristiche topografiche in foreste alpine gestite dall’uomo nelle Alpi centrali della Svizzera orientale, comparando in dodici aree di studio 184 aree di saggio in popolamenti forestali frequentati o rispettivamente non frequentati dalla specie in primavera. Si tratta di una regione dove il recente declino numerico della specie è risultato minore rispetto alle Prealpi ([56], [42]). Sono state quindi selezionate ventisei variabili ambientali per descrivere ciascuna area di saggio: quattro parametri topografici, ventun variabili descrittive degli aspetti strutturali e vegetazionali ed una variabile di area di studio. Un modello di regressione logistica con quattro variabili predittive ha classificato correttamente il 68.5% delle aree di saggio per la presenza o l’assenza del Gallo cedrone. Le altre misure di accuratezza utilizzate hanno indicato una moderata efficienza del modello (Kappa = 0.41, AUC = 0.78). Le quattro variabili del popolamento forestale che hanno contribuito significativamente al modello sono risultate la copertura arborea, la copertura dello strato di vegetazione al suolo, il numero di alberi isolati ramificati dalla base e la struttura verticale del popolamento. Un habitat primaverile adatto al Gallo cedrone è caratterizzato da una copertura arborea intermedia (3060%), da uno strato di vegetazione al suolo ben sviluppato (copertura relativa superiore al 70%) e dalla presenza di numerosi alberi isolati ramificati dalla base inseriti in una struttura verticale multiplana (Fig. 2). In particolare, per quanto riguarda la copertura arborea, le aree di saggio dove il Gallo cedrone è presente si distinguono meglio dalle aree di assenza della specie entro il range dal 25% al 65% (Fig. 3). Non è invece stato possibile confermare una risposta diretta del Gallo cedrone alla copertura di mirtillo nelle aree di studio, sebbene questo fosse maggiormente abbondante nelle aree con presenza della specie.
Fig. 2 - Maschio di Gallo cedrone al canto - Val di Cembra (Trentino), aprile 2005 (foto: Mariano Valentini).
Fig. 3 - Percentuali cumulate delle 22 classi di copertura arborea per le aree di presenza e per quelle di assenza del Gallo cedrone (da [7]).
Il modello è uno strumento di pratica utilità per chi si occupa di gestione forestale nelle Alpi e si trova a doversi confrontare con i problemi di conservazione del Gallo cedrone: in particolare può essere utilizzato per determinare l’abbondanza e la distribuzione delle tessere (patch) di habitat adatto, per monitorare i trend nelle dinamiche della vocazionalità dell’habitat nonché per incrementare la capacità potenziale per il Gallo cedrone riferita all’aspetto vegetazionale (miglioramenti della struttura della vegetazione). Il modello ora presentato è basato parzialmente su variabili del popolamento forestale locale rilevate negli inventari forestali regionali e nazionale. Tuttavia, come già segnalato per le Foreste demaniali altoatesine da Reimoser et al. ([45]), gli inventari potrebbero essere utilmente migliorati a scopi conservazionistici se venissero raccolte anche alcune informazioni aggiuntive, in particolare sugli alberi isolati ramificati dalla base come su tipo e composizione dello strato erbaceo-arbustivo al suolo, con particolare riguardo all’abbondanza di Ericaceae, Vaccinium sp.p. e Rubus sp.p.
Valutazione dell’influenza di superficie, isolamento e connettività delle patch sulla possibilità di predire la presenza del Gallo cedrone nelle Alpi
A scala di paesaggio, Graf ([28]) e Bollmann et al. ([9]) hanno indagato sulle modalità di occupazione delle tessere (patch) di habitat adatto alla specie nell’area delle Alpi Svizzere. Il modello che ne è stato ricavato rappresenta un’utile approssimazione per definire la distribuzione e la configurazione spaziale delle locali popolazioni.
Il Gallo cedrone nelle Alpi Svizzere è distribuito in una rete di patch di habitat aventi superficie, isolamento lineare e connettività piuttosto variabili, con una dimensione mediana pari a soli 243 ha, ma un elevato range che varia dai 50 ai 4960 ha, ed una distanza mediana dalla più vicina patch pari a 1608 m (Fig. 4).
Fig. 4 - Area di studio e configurazione spaziale dell’occupazione delle singole patch da parte del Gallo cedrone: in nero le patch occupate, in bianco le patch non occupate, in grigio l’area forestale. La regione 3 in cui il modello è stato validato è indicata da una linea a puntini. Le porzioni dell’area di studio nord-occidentali e sud-orientali appartengono alle catene montuose Prealpine e Alpine, rispettivamente. Nell’inserto la distribuzione del Gallo cedrone in Svizzera (in ombreggiatura scura). Le barriere che dividono l’areale distributivo del Gallo cedrone in cinque popolazioni isolate sono indicate dall’ombreggiatura più chiara (modificato da [28] e da [42]).
La superficie della singola patch ed il suo isolamento sono risultati i predittori più importanti dell’effettiva occupazione della patch da parte della specie. La probabilità che una patch sia occupata cresce all’aumentare delle sue dimensioni e diminuisce con il rispettivo isolamento. Ciò è in accordo con il cosiddetto “paradigma superficie-e-isolamento” ([30]). Patch di habitat adatto alla specie ma non occupate dalla stessa sono risultate significativamente più piccole e più distanti dalle patch occupate più vicine. Sulla base dei risultati relativi all’influenza delle dimensioni delle patch e del relativo isolamento sulla frequentazione delle patch stesse da parte della specie, viene suggerita una correlazione positiva tra le dimensioni delle popolazioni di Gallo cedrone sulle Alpi e le dimensioni della patch. Conseguentemente, è da ritenere che la probabilità di estinzione delle popolazioni descresca all’aumento delle dimensioni della patch. Indipendentemente dalle loro dimensioni, le piccole patch in vicinanza di estese patch occupate dalla specie possono infatti beneficiare del cosiddetto rescue effect ([31]), dal momento che l’immigrazione dalle vicine popolazioni più numerose può ridurre il rischio di estinzione in queste piccole popolazioni.
I risultati ottenuti hanno altresì permesso di determinare soglie spaziali (superficie minima della patch, massima distanza dalla più vicina patch occupata) per l’identificazione delle aree prioritarie per la conservazione della specie a larga scala (vedi anche [29]). L’analisi di sensitività ha mostrato come per patch con una superficie inferiore alla soglia di 900-1000 ha, le probabilità medie previste di presenza decrescono bruscamente con la superficie della patch. In accordo con questo risultato, una superficie della patch sopra la soglia di 1000 ha è il più importante requisito perchè una patch sia effettivamente occupata.
Non è invece stato possibile considerare la struttura della matrice di paesaggio in cui le patch sono immerse, e le sue conseguenze per la dispersione tra patch, sebbene i movimenti inter-patch rappresentino una delle caratteristiche fondamentali della dinamica di metapopolazione. L’incorporazione di misure di connettività e coesione tra patch basate su metodologie che fanno riferimento al costo per distanza percorsa ([1]) potrebbe certamente migliorare le possibilità di corretta comprensione dell’occupazione spaziale delle patch per il Gallo cedrone delle Alpi.
Inoltre, considerato l’elevato range della superficie delle patch occupate e non occupate dalla specie, maggiore attenzione dovrà essere dedicata alla determinazione della vocazionalità degli habitat entro le singole patch. L’entità e la distribuzione spaziale dell’habitat adatto alla specie all’interno di ciascuna patch potrebbe infatti condizionare la probabilità di relativa occupazione da parte della locale popolazione. Gli strumenti decisionali per la conservazione e la gestione del Gallo cedrone potrebbero essere migliorati se si riuscisse a combinare il modello di occupazione spaziale delle patch con un’analisi della vocazionalità degli habitat alla scala di ciascuna singola patch. In ogni caso la vocazionalità media delle patch è risultata più elevata per le patch occupate dalla specie rispetto a quelle non occupate, e le patch più estese hanno contribuito decisamente a questo risultato. Nello studio, tra l’altro, il nucleo di una patch corrisponde largamente all’interno di un “blocco” di popolamenti forestali.
Le patch più estese sembrerebbero ospitare popolazioni-sorgente in periodi di condizioni favorevoli, caratterizzate da alti tassi di reclutamento e bassa mortalità degli adulti. Tuttavia, non può essere esclusa la possibilità di trovarsi di fronte ad una metapopolazione in condizioni di non-equilibrio ([32]), dal momento che l’analisi si basa sui dati rilevati nel corso di un singolo survey. L’abbandono della singola patch locale potrebbe infatti originarsi come un semplice effetto del più generale declino a larga scala della specie ([47]). Una simile contrazione dell’areale è stata ad esempio documentata per il Gallo cedrone in Svizzera, dove si ritiene che il fenomeno sia da mettere in relazione alle modifiche ed alla frammentazione dell’habitat intervenute nel corso del ventesimo secolo ([42]). Una buona parte dei popolamenti forestali prima adatti ad ospitare la specie è andata incontro ad un processo di deterioramento delle relative caratteristiche, come conseguenza di un utilizzo ed una gestione delle foreste che si sono venuti a modificare profondamente. Tuttavia, va rimarcato come un’analisi condotta da Fritsche ([27]) abbia di recente dimostrato come la perdita delle ’ÂÂtipologiè forestali preferite dalla specie avvenuta tra il 1932 ed il 1999 possa solo parzialmente spiegare la contrazione di areale ed il decremento numerico del Gallo cedrone in un’area di studio intensivo nelle Alpi svizzere. In accordo con queste considerazioni, si ritiene che la dinamica di metapopolazione in condizioni di non-equilibrio non possa rappresentare la sola causa dei pattern distributivi osservati per il Gallo cedrone, dal momento che in una situazione di questo tipo ci si dovrebbe aspettare che solo le - relativamente poche - patch principalmente più estese siano in effetti occupate, piuttosto che la maggior parte delle stesse.
In definitiva i risultati dell’analisi sostengono fortemente l’ipotesi che popolazioni “centrali” numericamente importanti ed in buone condizioni complessive, con alti tassi di sopravvivenza e di reclutamento annuale, possano sostenere un processo sourcesink ([31], [32]) e - per questa via - aiutare la popolazione complessiva al mantenimento di condizioni di elevata vitalità, rappresentando quindi il segmento più cruciale per la persistenza della specie a scala regionale.
Riserve speciali forestali
Una possibile misura di tutela e conservazione a lungo termine delle popolazioni di Gallo cedrone è costituita dalla istituzione delle cosiddette Riserve speciali forestali, di cui esistono numerosi esempi in Svizzera, ad esempio nel Cantone Schwyz (Riserve di Forenmoss e Wisstannen, [36]). La legge forestale della Confederazione elvetica del 4 ottobre 1991 offre infatti ai Cantoni la possibilità, all’articolo 20[1], di delimitare delle Riserve forestali con il fine di conservare la diversità faunistica e floristica. Dal momento che le minacce che gravano sulla conservazione del Gallo cedrone sono in progressivo aumento, si dovrebbero prevedere Riserve forestali di grandi dimensioni negli ambienti ancora favorevoli alla specie, da sottoporre ad adeguate misure di gestione selvicolturale sulla base di apposite raccomandazioni (Fig. 5). Nel caso in cui la qualità dell’habitat non possa essere mantenuta e migliorata se non con interventi particolari, si dovrà scegliere lo status di Riserva speciale forestale soggetta a utilizzazioni particolari. Nel caso in cui interventi per favorire una mescolanza diversificata di essenze forestali od una idonea struttura forestale non siano necessari, si dovrà invece scegliere preferibilmente lo status di Riserva naturale forestale integrale. L’individuazione delle Riserve facilita la pianificazione, l’emanazione e l’esecuzione delle misure necessarie (come i divieti di circolazione o i divieti di raccolta dei funghi o dei gasteropodi), la regolamentazione dell’erogazione degli indennizzi finanziari per le mancate utilizzazioni forestali, come anche i controlli di efficacia ([41]). Nei casi citati del Cantone Schwyz la direttiva è di destinare almeno il 10% della superficie forestale cantonale (entro la fine del 2005) a Riserva forestale, di cui almeno un quarto deve essere costituita da Riserva naturale e tre quarti appunto da Riserva speciale forestale.
Fig. 5 - Esigenze ambientali e raccomandazioni generali per la realizzazione di misure di gestione selvicolturale finalizzate alla conservazione del Gallo cedrone (da [41]).
Anche il Piano del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino ha istituito, tramite le norme di attuazione di cui alla legge provinciale 6 maggio 1988, n. 18 (in vigore dal 25 dicembre 1996), la Riserva speciale faunistica del Gallo cedrone dell’area Lusia (Fig. 6): in essa, “...come rilevato dalle indagini condotte per l’elaborazione del Piano faunistico in ragione dei particolari caratteri ambientali del luogo, la specie trova le condizioni ottimali sia per lo svernamento sia per la riproduzione”. Gli obiettivi cui è finalizzata l’istituzione della Riserva speciale sono il mantenimento, la creazione e il modellamento di nicchie ecologiche favorevoli alla specie, la riduzione dei fattori di disturbo, la promozione di ricerche scientifiche mirate ad una maggiore conoscenza delle specie e dei limiti di tolleranza nei confronti dei fattori di disturbo ed infine l’analisi della capacità portante, ai fini del dimensionamento dell’equilibrio fauna selvatica - ambiente. Tra le specifiche prescrizioni previste dalle citate norme di attuazione si citano il divieto di rimboschimento di pascoli, radure e chiarie naturali e artificiali, il divieto di abbandonare le strade ed i sentieri individuati dalla Carta della viabilità e accessibilità del Parco, nei periodi determinati annualmente dal Regolamento dell’accessibilità al Parco (fatto salvo che per l’esercizio di attività consentite e per i proprietari). Il comma 5 dell’articolo 29 delle suddette norme di attuazione stabilisce inoltre che la raccolta dei funghi è vietata appunto nella Riserva speciale del Gallo Cedrone. Ancora, è previsto il divieto, in assenza di progetti specifici, di modificare le arene di canto e tagliare le piante utilizzate come posatoi, anche se morte, il divieto di apertura di nuove strade, il divieto di esecuzione delle utilizzazioni forestali prima del 1° luglio (e comunque con l’obbligo dell’impiego di mezzi forestali con basso impatto ambientale), ed infine il divieto del pascolo ovino. Inoltre all’interno della Riserva speciale “...è da favorire una silvicoltura conservativa delle fitocenosi sia nella composizione sia nella struttura, che favorisca la diffusione dell’acero, del sorbo degli uccellatori e del pino silvestre...”.
Fig. 6 - Riserva speciale faunistica del Gallo cedrone “Lusia” nel Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino.
Il nuovo Piano faunistico del Parco, inoltre, prevede tra le indicazioni gestionali (punto I.6 gc) che nessuna realizzazione di attività di gestione selvicolturale del bosco (apertura di strade, tagli ecc.) possa avvenire nel periodo compreso tra il primo aprile e il 30 giugno (all’interno dell’areale attuale e potenziale del Gallo cedrone), per favorire l’incremento utile annuo della popolazione e limitare le possibilità di una contrazione territoriale. Come suggerimento gestionale è prevista (S.2 gc) anche la limitazione del disturbo primaverile (periodo di canto) nelle aree di presenza di arene. In attuazione (parziale) dell’indicazione e del suggerimento soprariportati, il Regolamento dell’accessibilità al Parco, all’art. 16bis (Disposizioni dirette alla tutela della fauna del parco), ha quindi previsto come “...al fine di garantire la concreta tutela delle specie animali presenti nel Parco in funzione dell’equilibrio e della conservazione degli habitat e del rispetto della biologia e della etologia delle singole specie (...) è vietato (...) esercitare attività di utilizzazione forestale (taglio, allestimento ed esbosco), nel periodo ricompreso tra il 1 aprile e il 30 giugno di ciascun anno, nel territorio coincidente con le particelle forestali di cui all’elenco - Allegato B al presente Regolamento [coincidenti con i principali habitat di canto, di svernamento e di allevamento covate presenti nel Parco, n.d.r.]; per comprovati motivi connessi alla corretta gestione del patrimonio boschivo, possono essere rilasciate deroghe al divieto di cui alla presente lettera da parte del Direttore del Parco...”.
Anche per il Parco Naturale del Monte Corno, Mattedi ([39]) ha ritenuto che “...il piano di gestione del parco, o in sua assenza la pianificazione forestale sovraziendale, dovrebbe, a seguito di un’accurata zonizzazione delle aree più sensibili, escludere del tutto da interventi selvicolturali alcune limitate zone (riserve forestali speciali), come potrebbe per esempio essere realizzato per alcune aree cuscinetto, anche non molto estese, dell’ordine di poche decine di ettari, intorno alle arene di canto. Lasciate alla libera evoluzione, queste riserve potrebbero contribuire ad innalzare la porzione di bosco vecchio e paranaturale. Lo stesso principio, applicato però secondo modalità molto più puntiformi, vale per la realizzazione dei cosiddetti GTR (Green Trees Retenction), piccoli gruppi di soggetti rilasciati localmente con carattere permanente...”.
Conclusioni
Il tema del rapporto tra gestione selvicolturale e presenza del Gallo cedrone nelle aree forestali, con particolare riferimento all’area alpina, è ancora ben lungi dall’essere definitivamente chiarito ([23]). È certo che ulteriori ricerche, possibilmente a carattere sperimentale, sono necessarie al fine di definire in modo univoco quelle che oggi risultano spesso essere sensazioni od impressioni di chi opera, anche con attenzione particolare, nel campo della selvicoltura naturalistica. D’altro canto esistono già oggi - come si è tentato di illustrare più sopra - alcune modalità applicative degli interventi ed alcune misure di corretta gestione selvicolturale (ed ambientale in senso lato) che possono essere messe in campo per arginare la progressiva erosione degli habitat adatti alla specie e garantirne la conservazione nel lungo periodo. La precisa individuazione e la corretta esecuzione delle misure di gestione forestale utili ad invertire la tendenza demografica negativa del Gallo cedrone potrebbero inoltre contribuire - in maniera indiretta - a mettere maggiormente a fuoco il ruolo degli altri fattori (climatici ed antropici diretti, ad esempio) ritenuti responsabili del declino numerico della specie.
È quindi necessario, ad esempio, che gli sforzi di ricerca si orientino verso la definizione e la realizzazione di disegni sperimentali che sappiano indagare gli effetti di una selvicoltura “attiva” - ed evidentemente prossima alla natura ([44]) - sulla frequentazione da parte del Gallo cedrone delle foreste soggette a trattamento, rispetto a quelle lasciate alla evoluzione naturale. Ancora, sembra utile suggerire come la stessa conservazione dei pascoli di alta montagna - ed il ruolo di una gestione selvicolturale “attiva”, come detto più sopra, che possa sostituirsi all’effetto che un tempo era esercitato dal pascolo in bosco - vengano adeguatamente indagati come potenziali fattori in grado di mantenere popolazioni vitali di Gallo cedrone. Infine, si ritiene interessante anche la prospettiva di “spostare” l’attenzione dai lek (o arene di canto), finora tradizionalmente ritenuti come i punti (le zone) più sensibili dell’areale vitale della specie, alle aree di allevamento delle covate, con la relativa necessità di garantire ambienti trofici ricchi e tranquilli.
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare Paolo Casanova per lo spunto iniziale di approfondimento del problema; Piergiovanni Partel e Fabio Angeli per i proficui scambi di opinione e le costruttive discussioni. La versione iniziale dell’articolo è stata rivista in seguito ai preziosi suggerimenti di Paolo Flavio De Franceschi, Marco Paci e Susanna Nocentini: l e loro osservazioni hanno consentito di rendere il lavoro più preciso e corretto. A loro, e ad un anonimo referee, va il nostro sentito ringraziamento. Siamo infine riconoscenti a Kurt Bollmann per averci gentilmente fornito alcuni suoi lavori di difficile reperimento.
References
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