Deforestation in the tropics: after the exclusion from Clean Development Mechanisms new opportunities for the Kyoto protocol
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 302-309 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0403-0003
Published: Sep 20, 2006 - Copyright © 2006 SISEF
Commentaries & Perspectives
Abstract
The 11th Conference of Parties (Montreal 2005) has favoured initiatives for reducing emissions from deforestation in developing countries. This issue was discussed at a workshop, organised in Bad Blumau (Austria, 10-12 May 2006) to provide a timely forum for assessment of different methodological and policy approaches. This paper reports the main workshop conclusions, underlining the political and methodological issues of deforestation in developing countries, with Brazil as a specific example.
Keywords
Kyoto Protocol, Deforestation, Degradation, Developing countries, Compensated reductions
Introduzione
Lo scorso mese di Maggio, si è tenuto in Austria (Bad Blumau, 10-12 Maggio 2006, [1]) un workshop di discussione sul tema della riduzione delle emissioni di anidride carbonica provenienti dalla deforestazione nelle aree tropicali. Dall’incontro, cui hanno partecipato decine di esperti provenienti da diversi paesi principalmente del sud e centro America, dell’Asia e dell’Africa, sono emersi non solo l’importanza della deforestazione quale fonte primaria di rilascio di CO2 di origine antropica nell’atmosfera ma anche, in prospettiva, il ruolo chiave che tale fenomeno potrebbe assumere nell’ambito del Protocollo di Kyoto (PK) e dei futuri accordi sul clima.
La deforestazione nei paesi tropicali: una panoramica sulle cause
Secondo la FAO, la deforestazione nelle aree tropicali (tropical deforestation, TD) nel periodo 1990-2005 ha interessato, in media, circa 11 milioni di ha l’anno, più del 40% dei quali si concentra in Brasile ed Indonesia (Tab. 1).
Tab. 1 - Principali paesi interessati da deforestazione nella fascia tropicale (da [22]).
In generale, la TD è riconducibile, a seconda della regione considerata, prevalentemente alla domanda di legna da ardere (Africa), di legname da lavoro (Asia) e di nuovi terreni da destinare all’allevamento e alla coltivazione (Sud America - [16]). Come evidenziato da Wunder ([22]), la presenza di politiche che favoriscano l’attività agricola e l’insediamento della popolazione in nuovi territori rurali, può innescare una sorta di “effetto retroattivo” in cui la costruzione di nuove strade ed infrastrutture incoraggia l’insediamento antropico in un nuovo territorio, per sostenere il quale si rendono necessarie nuove superfici da destinare all’agricoltura e all’allevamento, ottenute attraverso la deforestazione ([6]). Viceversa, un abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli (ad es. della soia) o una maggiore resa delle coltivazioni, tenderanno a ridurre la domanda di nuove aree da destinare all’agricoltura ([22]).
Dunque, i fattori che determinano una riduzione della pressione antropica sul territorio forestale nei PVS, appaiono spesso opposti rispetto a quelli che favoriscono lo sviluppo di insediamenti ed infrastrutture in ambito rurale; tra essi si possono perciò menzionare ([22]):
- l’inaccessibilità del territorio: dovuta a fattori geografici, alla mancanza di strade o all’impossibilità di rifornimento di carburante ([5]);
- la presenza di specifici fattori di rischio, legati a malattie tropicali (febbre gialla, malaria, ecc.) o guerre e instabilità politica;
- un abbassamento della domanda dei prodotti agricoli (es. soia);
- un’elevata richiesta di manodopera da parte dell’industria e dei servizi, capace di ridurre la pressione antropica sulle aree rurali, determinando uno spostamento della popolazione verso gli insediamenti urbani;
- l’assenza di politiche volte a favorire l’espansione degli insediamenti rurali, del mercato del legname e lo sviluppo di insediamenti minerari;
- una bassa densità di popolazione e quindi una ridotta richiesta di legname, fonti alimentari, ecc.
L’esempio del Brasile: deforestazione diretta e incendi
Il 21% del territorio forestale mondiale si trova in Sud America ed in particolare in Brasile dove sono presenti il 57.4% delle foreste dell’America Latina, pari a più del 12% di quelle dell’intero Pianeta.
Le emissioni di gas serra complessivamente prodotte dal Brasile rappresentano il 2.5% del totale mondiale; il 75.4% di esse proviene da variazioni di uso del suolo (Land Use Change) e, tra esse, il 94% da deforestazione, mentre le restanti emissioni provengono dai processi industriali (1.6% del totale) e dal settore energetico (23% del totale - [16]). Tra il 2000 e il 2005 il tasso annuale di deforestazione è stato dello 0.6% per un totale di 3.103.000 ha di territorio forestale soggetto a variazione di superficie, con un trend in leggera crescita rispetto allo 0.5% registrato nel periodo 1900-2000 ([11]).
A differenza da quanto si osserva in altri paesi (Tab. 1), nonostante un leggero calo del tasso annuo di deforestazione registrato nel 2005 non ci sono segnali che indichino una inversione di tendenza ma, al contrario, si prevede, nel breve - medio periodo, un ulteriore aumento nello sfruttamento delle risorse forestali ([15]).
La maggior quantità di emissioni dovute alla deforestazione proviene naturalmente dal taglio della foresta amazzonica, il cui territorio è costituito per il 24% da foresta privata, per il 29% da aree protette (riserve per gli indigeni e unità di conservazione) e per il restante 47% da proprietà pubbliche.
Come per altri paesi dell’America Latina le cause principali di deforestazione sono da attribuire alla ricerca di nuovi territori adatti all’allevamento del bestiame (70-80%) e all’espansione dell’agricoltura intensiva di soia (20%), mentre in misura minore contribuiscono l’appropriazione indebita di territori tramite falsi certificati, lo sviluppo di nuove infrastrutture, la riforma agraria e il taglio illegale ([16]). Come evidenziato da Asner et al. ([5]), può invece risultare rilevante l’impatto indiretto delle utilizzazioni forestali, anche eseguite attraverso un taglio selettivo, responsabili di una riduzione significativa della copertura arborea che predispone ad una successiva deforestazione. Benché il governo brasiliano negli ultimi anni abbia cercato di favorire la conservazione delle risorse e lo sviluppo di una gestione forestale sostenibile, è improbabile che la deforestazione diminuisca finché i prezzi di mercato risulteranno convenienti. Infatti, nonostante l’allevamento e la vendita di legname forniscano un ritorno economico piuttosto basso, queste attività sono comunque in continua espansione a causa della crescente domanda di carne e legname, della presenza di un’area potenziale molto vasta adatta all’allevamento e all’estrazione del legno, di sussidi del governo e speculazioni sui terreni. La dinamica della deforestazione nell’Amazzonia brasiliana subisce perciò fluttuazioni significative durante l’anno in funzione delle condizioni economiche del paese, della domanda di mercato e dell’economia internazionale. Per contrastare tale fenomeno possono essere adottate azioni di mitigazione per la conservazione dei pool esistenti e, contemporaneamente, altre misure quali la creazione di una tassa sul carbonio, l’istituzione di incentivi per promuovere la conservazione della foresta e l’applicazione di azioni promotrici di una migliore gestione degli allevamenti. Attraverso il Plan of Action to Prevent and Control Deforestation in legal Amazonia (2004) il governo brasiliano, in questi ultimi anni, ha cercato di dare concreta applicazione a tali misure, mediante:
- La zonizzazione del territorio e l’applicazione di regole per lo sfruttamento delle risorse naturali;
- Il monitoraggio e il controllo delle aree boscate;
- Il sostegno delle attività produttive;
- La creazione di collaborazioni tra i vari enti statali e i soggetti privati presenti sul territorio.
Tra le misure messe in atto più recentemente ha sortito effetti positivi anche la minor concessione di territori ai privati: infatti il taglio illegale e il conseguente cambio d’uso del suolo non possono più essere utilizzati per dimostrare la proprietà di un terreno ([16]).
L’applicazione del Piano si scontra naturalmente con i limiti storicamente presenti nel monitoraggio della deforestazione, come la mancanza di dati provenienti da satellite in tempo reale, l’assenza di mezzi legali per mantenere l’autorità sulle zone protette, la scarsa efficienza dei controlli su tali aree, la difficoltà di creare una collaborazione tra il ministero dell’ambiente e le diverse agenzie ambientali presenti nel territorio, la mancanza di infrastrutture appropriate, risorse finanziarie e personale qualificato.
Al grave problema della deforestazione direttamente indotta dall’uomo va poi aggiunto, almeno per il Brasile, il nuovo, preoccupante fenomeno degli incendi. Le stime fino ad ora riportate non includono infatti le emissioni di gas serra provocate dagli incendi nelle foreste tropicali, scaturiti da fuochi accidentali soprattutto nei periodi di prolungata siccità.
Fino alla fine degli anni novanta il fuoco radente nelle foreste tropicali non era considerato una minaccia, anche se da tempo alcuni ricercatori sottolineavano una crescita del rischio di sviluppo di incendi. Le foreste tropicali indisturbate infatti sono resistenti agli incendi anche in condizioni di prolungata siccità ma l’aumento della pressione antropica crea i presupposti perché si verifichino delle condizioni favorevoli alla propagazione del fuoco. Le cause sono riconducibili a due elementi fondamentali:
1. Cause direttamente connesse con la presenza dell’uomo sul territorio: la maggiore presenza antropica, dovuta all’incremento delle attività di allevamento e all’espansione dell’agricoltura, altera la fisionomia e la struttura della foresta creando un’ampia area maggiormente soggetta al passaggio del fuoco radente, a causa:
- della frammentazione del territorio, che riduce la resistenza naturale della foresta tropicale al passaggio del fuoco;
- della maggiore presenza di fonti di innesco riconducibili all’attività agricola;
- dell’incremento della biomassa morta ai bordi della foresta;
- del cambiamento delle condizioni microclimatiche dovuto ai tagli e al formarsi di una maggior area di margine del bosco, più secca rispetto all’interno e quindi maggiormente suscettibile agli incendi ([5]).
2. Cause indirettamente dipendenti dall’attività antropica: il cambiamento globale del clima influenza fenomeni climatici come El Niño, aumentandone la frequenza e creando situazioni favorevoli allo sviluppo di incendi sempre più frequenti su grande scala; questo fenomeno, in corrispondenza di lunghi periodi senza precipitazioni, espone al rischio di incendi radenti anche la parte interna ed indisturbata della foresta ([3]). Durante gli anni soggetti al fenomeno del Niño (ENSO - El Niño Southern Oscillation) gli incendi possono così raddoppiare le emissioni dovute a deforestazione ([10]).
L’incremento degli incendi radenti è dunque funzione di due processi fondamentali: la pressione antropica ai margini della foresta e la riduzione del numero di anni che intercorrono tra gli episodi di ENSO, legato soprattutto al cambiamento globale del clima.
Diversi studi dimostrano come il passaggio del fuoco provochi riduzioni significative della biomassa totale (viva e morta) presente in foresta (dal 15% al 40% in foreste mature) e come questa riduzione sia direttamente connessa con la pressione antropica, l’intensità della siccità e la presenza di aree precedentemente bruciate ([3]).
Nel momento in cui un’area viene percorsa da incendio il materiale degradato che rimane al suolo crea nuovamente condizioni favorevoli ad un successivo passaggio del fuoco radente innescando una condizione di feedback positivo.
Come per la deforestazione, le contromisure possibili passano attraverso la promozione di una politica di gestione sostenibile del territorio che permetta di recuperare la resistenza allo scaturire degli incendi da parte della foresta.
La presenza per il Brasile, così come per l’Indonesia e numerosi altri paesi in via di sviluppo (PVS), di estese aree soggette a deforestazione, di situazioni di crescente degrado e il concomitante verificarsi di estesi incendi, rendono più urgente lo sviluppo di idonee soluzioni, volte non solo a garantire la conservazione delle foreste tropicali, ma anche il mantenimento delle riserve di carbonio ivi stoccato. Probabilmente la sola applicazione di uno schema di incentivi a livello nazionale, quali quelli proposti per il Brasile, sarebbe efficace per la conservazione di piccole aree protette, ma non per fronteggiare il problema in territori ampi. Per “evitare la deforestazione” (generalmente si parla di “avoiding deforestation”) direttamente legata, come si è visto, a fattori economici, i paesi interessati dovrebbero perciò ricevere una compensazione economica proporzionale al valore ambientale attribuito, a livello globale, alle foreste tropicali ([22]).
Dall’esclusione dai Clean Development Mechanisms a nuove opportunità per il Protocollo di Kyoto
La TD durante gli anni ’90 ha determinato il rilascio in atmosfera di 1 - 2 PgC/anno ([14]), rappresentando, subito dopo l’impiego di combustibili fossili, la seconda causa di emissione di anidride carbonica a livello globale. Alla TD vengono infatti attribuite dal 20 al 25% delle emissioni annuali complessive di CO2 ([19]) tuttavia la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (greenhouse gas emissions, GHG) dovute a tali attività non rientra tra gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto.
L’unico meccanismo attualmente previsto dal Trattato per il coinvolgimento dei PVS è la partecipazione ai così detti Clean Development Mechanisms (CDM) previsti dall’art. 12 del Protocollo, dai quali sono tuttavia esclusi eventuali progetti di conservazione della foresta tropicale. Se infatti i paesi inseriti nell’Annesso I hanno l’obbligo di ridurre le proprie emissioni attraverso investimenti nel settore energetico e progetti di afforestazione e riforestazione tenendo conto della deforestazione avvenuta sul proprio territorio, paesi come il Brasile o l’Indonesia non hanno alcun obbligo o incentivo a ridurre le emissioni legate alla deforestazione.
L’esclusione della TD dai CDM, stabilita negli Accordi di Marrakech, è riconducibile a varie ragioni ([19]):
- il timore che l’inclusione della deforestazione avrebbe potuto “distogliere” l’attenzione dei paesi aderenti dalla riduzione delle emissioni nel settore energetico, principale obiettivo del Protocollo ([21]);
- l’incertezza sulla permanenza delle riserve di carbonio stoccato in foresta, che può essere facilmente rilasciato in atmosfera attraverso incendi, tagli ed altre forme di degrado;
- il rischio di “dispersione” (leakage), legato alla possibilità che la salvaguardia di un’area forestale in un determinato territorio, favorisca la deforestazione in un altro;
- l’incertezza sulle stime, ovvero la reale possibilità di monitorare la deforestazione nelle aree tropicali ([9]).
In particolare quest’ultimo aspetto impone una valutazione non solo dei fenomeni di deforestazione propriamente detti (la conversione, permanente e direttamente indotta dall’uomo, di un’area forestale in un’area non boscata - [21]), ma, più in generale dei processi di degradazione (degradation) intesa come una riduzione della biomassa presente in foresta dovuta ad incendi, tagli o altre cause ([14]). Se la stima dell’estensione delle aree soggette a deforestazione è oggi tecnicamente possibile attraverso le immagini satellitari ([9], [8]) e facilmente valutabile attraverso i parametri di estensione e copertura minima fissati nella definizione di foresta stabilita negli Accordi di Marrakech, la valutazione dei fenomeni di degrado risulta ancora problematica, richiedendo un’analisi “tridimensionale” del territorio. È in base a tali considerazioni che Skutsch et al. ([21]) suggeriscono di sostituire l’espressione “avoided deforestation” (“evitazione della deforestazione”), spesso usata per indicare la tutela, attraverso l’istituzione di aree protette, di un determinato territorio, con la più generica indicazione di “reducing emissions from deforestation”. Con quest’ultima espressione si vogliono indicare sia la tutela integrale di un’area forestale, sia la salvaguardia della stessa, ad esempio attraverso una gestione forestale sostenibile, da eventuali fenomeni di degrado, spesso precursori di una successiva attività di deforestazione propriamente detta.
Rispetto al quadro sin qui delineato, si registra, già da alcuni anni, un nuovo interesse per un maggiore coinvolgimento dei PVS nel raggiungimento degli obiettivi fissati dal PK. Già nel corso della nona Conferenza delle Parti (COP9), tenutasi a Milano nel 2003, è stata infatti presentata una proposta per favorire l’inclusione della TD tra le misure previste nel Trattato ([17]). In seguito a questa e ad altre iniziative, alla COP11 (Montreal 2005) è stato avviato, da parte di alcuni PVS (Papua Nuova Guinea e Costa Rica) un processo di discussione sulle questioni legate alla TD e le Parti, così come gli osservatori accreditati (es. ONG), sono state invitate a sottomettere al Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA[1]) le proprie osservazioni in materia. Nel corso del medesimo incontro è stata inoltre presentata, da parte del Joint Research Centre (JRC) un’ulteriore proposta volta ad individuare idonei strumenti e politiche di riduzione della TD ([2]).
Questo nuovo interesse, manifestato sia da parte dei paesi inseriti nell’Annesso I, sia da diversi PVS, per la deforestazione nelle aree tropicali, appare in gran parte riconducibile a due ragioni fondamentali:
- Allo stato attuale, né la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) né il PK, offrono alcun mezzo per raggiungere una riduzione delle emissioni comparabile con la quota assegnata agli Stati Uniti. Data la mancata adesione degli USA e le concessioni avute dalla stessa Russia, si prevede che la riduzione delle emissioni di GHG, inizialmente prevista al 5.2%, si attesterà al massimo allo 0.4% rispetto ai valori del 1990 ([4]). Le emissioni di anidride carbonica dovute alla TD nelle sole Indonesia e Brasile sono pari a circa 4/5 del target di riduzione previsto dal Protocollo ([18]). Un coinvolgimento di questi, così come di altri PVS, già nel corso del primo periodo di impegno, potrebbe rappresentare l’unica realistica chance di raggiungimento degli obiettivi fissati dal Trattato.
- Sono necessari dei nuovi meccanismi per favorire la partecipazione dei PVS agli impegni di riduzione dei GHG che verranno posti in essere dopo il 2012, per garantire continuità ed efficacia agli stessi, il coinvolgimento di un maggior numero di paesi (quali, in primo luogo, Cina ed India) e, in prospettiva, degli stessi Stati Uniti.
I meccanismi di riduzione delle emissioni (compensated reductions)
La proposta presentata da Santilli et al. alla COP9 prevede l’impegno, volontario, da parte dei singoli paesi non aventi obblighi di riduzione delle emissioni, a porre in essere delle politiche di stabilizzazione ed eventuale riduzione del tasso di deforestazione registrato sul proprio territorio ([18]). Verificato, a partire dal 2012, il rispetto degli impegni assunti, ciascun paese potrà emettere e vendere, ai paesi inseriti nell’Annesso I o a singoli investitori privati, dei certificati attestanti la riduzione di emissioni di anidride carbonica così conseguita ([19]). A tal scopo dovrà essere fissato, per ciascun paese o area interessati da fenomeni di TD, un tasso medio di deforestazione registrato in un determinato periodo e misurato attraverso tecniche di remote sensing ([8]).
Si potrà così realizzare una “riduzione compensata” (compensated reduction) delle emissioni legate alla deforestazione, attraverso la creazione di una serie di meccanismi di mercato (simile all’Emission Trading attivato dalla UE), capaci da un lato di incentivare la riduzione della TD e dall’altro di favorire una più ampia partecipazione dei PVS agli attuali e futuri impegni di riduzione delle emissioni di GHG.
La proposta formulata dal JRC alla COP11, si basa, come la precedente, sulle compensated reductions, ma prevede l’individuazione di un tasso medio di deforestazione unico, indipendente dal territorio considerato. I paesi il cui tasso medio di deforestazione a livello nazionale risulti superiore alla metà del tasso complessivo dovrebbero essere ricompensati per le riduzioni realizzate durante il periodo di impegno, mentre per i paesi aventi un tasso inferiore alla metà del tasso medio globale, sarebbe sufficiente, per l’emissione di crediti, non aumentare tale indice ([21]). L’approccio del JRC considera inoltre una distinzione tra foreste “intatte” e già interessate da attività antropiche, tenendo così conto sia della deforestazione che della degradazione.
Entrambe le proposte, che possono rientrare sotto il regime della convenzione UNFCCC oppure sotto un emission trading system non ancora definito, prevedono dunque una partecipazione volontaria alle iniziative di riduzione delle emissioni provenienti dalla deforestazione, affidano, attraverso le compensated reductions, ai meccanismi di mercato la remunerazione di tali interventi e non prevedono alcuna penalizzazione per i paesi non aderenti.
Gli aspetti metodologici legati alla riduzione delle emissioni provenienti dalla deforestazione sono estremamente complessi e, durante il workshop di Bad Blumau, sono stati affrontati da un apposito gruppo di lavoro (BOG 2, Methodological Issues) che ha messo in luce, in particolare, le seguenti problematiche:
1. Così come già avviene per la definizione di “bosco”, ogni paese dovrà scegliere una propria definizione di “deforestazione” basata su un continuum di due parametri:
Ogni stato potrà considerare la definizione di foresta, valutando ad esempio una diversa altezza delle piante, da formazioni basse fino ad alte, e il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni conteggiando la sola deforestazione, come passaggio foresta/non foresta (attività di afforestation - reforestation - deforestation), oppure includendo anche il degrado dello stock di carbonio presente in bosco, nell’ottica di un conteggio totale (full account system). Il concetto di riduzione delle emissioni dovute alla deforestazione dovrà comunque essere modificato in modo da includere la degradazione dovuta alla pressione antropica, al taglio indiscriminato, al fuoco e a tutti i fattori che più influiscono sul degrado e sui cambiamenti in stock di carbonio nelle foreste; se verrà adottato l’approccio full account sarà necessario definire i termini degradation e devegetation, per esempio utilizzando lo stesso approccio dal quale è scaturita la definizione di bosco recepita con il Protocollo di Kyoto ([13], [8]).
2. Il termine baseline dovrebbe essere rivisto in quanto possiede già uno specifico significato nell’ambito del PK: in questo caso il riferimento non sarà semplicemente ad un anno base, come è il 1990 per i paesi dell’Annesso I, ma ad un periodo, variabile tra i 5 e i 10 anni a seconda del trend e della reperibilità dei dati di ogni nazione o regione, stabilito su scala regionale, rispetto al quale verrà stimato il tasso medio annuo di deforestazione relativo ad una determinata area ([19], [8]). Così ad esempio per l’Amazzonia (considerata come entità territoriale sopranazionale o, viceversa, esclusivamente per il Brasile), potrebbe essere stimato il tasso medio annuo di deforestazione relativo al periodo 1980 - 1990, posto poi a confronto con quello registrato nel successivo periodo di impegno.
La discussione riguardo alla programmazione del periodo di riferimento dal quale cominciare a stimare la riduzione delle emissioni ha portato a definire due possibili approcci: il primo, “mandate and review”, consiste nell’applicazione di regole comuni e costanti accettate da ogni paese (es. approcci statistici basati sull’analisi del trend di deforestazione del passato, approcci modellistici basati su possibili scenari economico-politici); il secondo, “propose and review”, prevede invece che ogni paese proponga uno proprio periodo base di riferimento che sarà poi sottoposto ad approvazione da istituzioni designate sotto la Convenzione o altre forme di accordo.
3. Vi è la possibilità che si verifichino fenomeni di leakage, ovvero che la riduzione del tasso di deforestazione in una determinata regione favorisca un aumento della deforestazione in un’altra area. Questo rischio, potenzialmente molto elevato per alcune nazioni e per alcuni attori della deforestazione (es. taglio per il commercio del legname, allevamento per la vendita della carne), è oggi accentuato dal fatto che all’interno del PK la dispersione a livello internazionale non viene considerata per i paesi dell’Annesso I (né per il settore LULUCF né per latri settori). Con l’adozione delle compensated reductions, il leakage potrebbe avvenire nel caso in cui soltanto uno o pochi paesi aderissero a tale iniziativa mentre una larga adesione da parte dei PVS, probabilmente consentirebbe di evitare queste problematiche ([20], [21]). Il leakage a livello nazionale potrebbe invece essere indirettamente evitato nel momento in cui il concetto di degradation venga inserito in una visione più ampia rispetto all’attuale concetto di “riduzione delle emissioni da deforestazione”.
4. La disponibilità di dati attendibili e accessibili a livello nazionale è indispensabile per programmare un periodo di riferimento credibile. Di particolare interesse sono i dati provenienti dal remote sensing, disponibili dagli anni ’90 fino ai giorni nostri, e generalmente utilizzabili per l’applicazione di diversi approcci e per la raccolta di informazioni che diano una visione globale dell’entità delle problematiche.
Come evidenziato da Schlamadinger et al. ([19]), permane naturalmente la consapevolezza che, in futuro, potrebbe verificarsi un rilascio del carbonio stoccato nelle foreste così tutelate, non imputabile ad attività antropiche dirette, ma al riscaldamento globale.
Per una rassegna delle submissions presentate si rimanda a:
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