Standard procedures in forest management planning: cultural identity aimed at division into compartments
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 569-573 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0413-0030569
Published: Dec 18, 2006 - Copyright © 2006 SISEF
Research Articles
Guest Editors: 5° SISEF Congress (Grugliasco, TO - 2005)
« Forests and Society - Changes, Conflicts, Sinergies »
Collection/Special Issue: E. Lingua, R. Marzano, G. Minotta, R. Motta, A. Nosenzo, G. Bovio
Abstract
Nowadays lots of answers are required concerning forest management planning. For this reason adopting standard procedures in the planning process is becoming a necessity in the forest sector. The aim of this paper is to identify standard procedures aimed at the division of forest into compartments, in the context of forest management plans. First of all we analyse the bases on which different systems of division into compartments are founded. The approach of subdivision from bottom upwards (or by aggregation) is the most suitable within the present context of sustainable management. The study points out both the potential and the requirements of such an approach. In this way we have identified the characteristics which define and guide the process and which should be gathered in a new key concept: the cultural identity. These characteristics are: forest cover, composition, applicable silviculture, assignable function. The cultural identity - which includes physical, cultural and functional variables - offers a working system and a reasoning method that can be repeated and applied to any situation..
Keywords
Introduzione
Le variazioni della struttura metodologica per la realizzazione dei piani di assestamento forestale in Italia sono strettamente dipendenti e conseguenti ai mutamenti della visione del "bosco" avvenuti nella società nel recente passato. Il superamento della concezione del bosco erogatore di prodotti e la percezione sempre più ampia della molteplicità e della complessità delle funzioni e dei valori attribuibili al bosco hanno portato ad un ripensamento del ruolo dell’assestamento così come classicamente era inteso. Dai piani di assestamento, strumenti che pianificano la massima produzione compatibile della risorsa legno tramite razionalizzazione e ottimizzazione spazio-temporale delle utilizzazioni, si è passati ai piani di gestione, strumenti che mirano a esaltare la molteplicità dei valori del bosco. Ciò ha provocato la crisi del modello teorico del bosco normale classicamente inteso e ha complicato l’impianto della struttura del piano. Lo stato attuale della pianificazione forestale in Italia è quanto mai variegato a scala regionale e locale in termini di aree forestali oggetto di pianificazione e di criteri di pianificazione. Si nota spesso una forte discrasia tra le aspettative per i risultati della pianificazione e i metodi di rilievo e di analisi del bosco, spesso indissolubilmente legati alla sola finalità produttiva. È altresì forte l’esigenza della trasparenza dello schema metodologico adottato e della sua più ampia condivisione possibile (almeno a scala di regione, quando non a livello superiore).
Obiettivi
La definizione di standard metodologici e la loro diffusione permette di assicurare coerenza, confrontabilità nel tempo e nello spazio e integrabilità delle informazioni, delle prospettive e delle indicazioni presenti nei singoli piani oltre a costituire il presupposto per la costruzione di sistemi informativi territoriali. Il problema della definizione di standard metodologici per la pianificazione forestale si presenta, nel nostro paese, molto complesso data la grande variabilità degli ambienti forestali, le diverse tradizioni di gestione, il diverso grado di dettaglio e i diversi criteri di assestamento presenti. Individuare metodi applicabili all’intero territorio nazionale costituisce una meta importante che necessita della conoscenza preliminare dei metodi di pianificazione presenti in Italia. Esaminando il livello aziendale della pianificazione forestale, grazie anche all’analisi dei presupposti storici e teorici del processo di compartimentazione, si vuole illustrare il percorso logico che ha portato ad identificare quegli elementi chiave che qualificano e guidano, ovunque e comunque, il processo di compartimentazione del bosco. L’espressione chiara, analitica e, laddove utile, gerarchica di tali elementi permette di fondare, su di essi, i capisaldi di uno schema di ragionamento ripercorribile e condivisibile. Da tale schema scaturisce un metodo standardizzato per la compartimentazione del bosco da testarsi nelle diverse realtà territoriali.
Materiali e metodi
L’identificazione di procedure standard relative alla compartimentazione del bosco ha richiesto un excursus sugli approcci assestamentali in Italia, in particolare circa i diversi sistemi di definizione del particellare forestale utilizzati nell’assestamento classico e quelli più recenti riferiti ad una visione multifunzionale del bosco. Tramite l’analisi di tale approccio e l’identificazione dei requisiti attualmente richiesti agli strumenti di pianificazione si evidenziano le caratteristiche a cui deve rispondere una procedura standardizzabile per la compartimentazione del bosco. Scaturisce così una proposta metodologica per l’identificazione di una procedura standardizzabile di compartimentazione del bosco. Tale proposta metodologica è stata oggetto di validazione tramite una vasta campagna sperimentale che ha visto la realizzazione di settanta piani sperimentali di gestione forestale aziendale (per una superficie complessiva pari a oltre centomila ettari) nei diversi ambienti dalle Alpi alla Sicilia. Sono state testate situazioni assai variabili in termini di orografia, copertura forestale e realtà amministrativa con l’intento di saggiare realtà il più possibile eterogenee e significative del panorama forestale nazionale ([9]).
Risultati
Hellrigl definisce la compartimentazione assestamentale come “...l’insieme delle operazioni di suddivisione o di aggregazione e di evidenziamento eseguite nel complesso assestamentale o sulla rappresentazione cartografica, al fine di creare i supporti necessari ad una razionale pianificazione e gestione...” ([10]). La compartimentazione della foresta a fini assestamentali si risolve quindi in un insieme di operazioni di suddivisione (compartimentazione dall’alto) o di aggregazione (compartimentazione dal basso). I due sistemi propongono alternative diverse nella costruzione del particellare forestale.
La compartimentazione dall’alto, attraverso la suddivisione del bosco in comparti operativi di dimensioni decrescenti (dalla compresa alla particella forestale), ha trovato applicazione nell’assestamento classico del XIX secolo e della prima metà del XX ed è ancora adottata nell’assestamento basato sul metodo analitico-spartitivo e su quello del controllo ([14]).
Questo tipo di assestamento, derivato dalla scuola tedesca e austriaca, presuppone la visione del bosco come una "macchina atta alla produzione di legname" ([13]). La funzione prioritaria del bosco come bene atto a produrre legname presuppone che anche la compartimentazione sia pianificata dall’alto e a tavolino, attraverso una suddivisione in complessi economici quali la classe di governo, la classe di trattamento e la compresa definita come "...superficie popolata con un’essenza trattata col medesimo turno e metodo di governo e per la quale si costruisce un piano speciale di economia..." ([15]). Secondo tale visione, la compresa rappresenta l’unità di gestione del bosco. Generalmente i costi di questo tipo di assestamento impongono di optare per la realizzazione di una sola tipologia di classe economica, quella produttiva. In questo contesto la particella forestale rappresenta l’unità tecnica di intervento e la costruzione del particellare viene realizzata in modo fisiografico o, più spesso, artificiale avvalendosi della costruzione di viali regolari che attraversano il bosco ([8]).
Benché legato alla compartimentazione con criteri di suddivisione, Di Tella individua nella particella forestale definita come "... porzione di bosco (suolo e soprassuolo) nettamente omogenea in rapporto a tutti gli elementi della produzione.." l’unità fondamentale del bosco asserendo che "come tale la particella costituisce l’unità dell’assestamento e della gestione." ([8]).
Siamo ancora lontani da una logica della compartimentazione per aggregazione ma già si avverte l’esigenza di dare al particellare una valenza gestionale.
Negli anni quaranta, con Patrone, si passa dalla visione classica dell’assestamento, basata sulla costanza del prodotto, ad un assestamento basato sulla geografia, sulla biologia e fisiologia della foresta. Si mantiene ancora la suddivisione artificiale del bosco in particelle al fine di migliorare la produzione legnosa (rendendola massima, annua e costante) compatibilmente con la conservazione della foresta ([13]).
Col trascorrere dei decenni, in seguito ai mutamenti economici e sociali (sviluppo di nuove fonti per il riscaldamento, spopolamento delle montagne ecc.), comincia a farsi strada una nuova visione del bosco e, con esso, della pianificazione forestale; si pone infatti, maggiore attenzione alle molte e possibili funzioni che i nostri comprensori boscati possono perseguire. In tale contesto si inserisce l’approccio della compartimentazione per aggregazione (dalla particella forestale alla compresa).
Dall’analisi della pianificazione forestale degli ultimi decenni ([1], [2], [3]) emerge come la particella diventi sempre più una “unità tecnica della gestione della foresta" ([10]).
In questa prospettiva il particellare forestale costituisce lo strumento elementare della pianificazione: “lo scopo costitutivo del particellare forestale non è quello della passiva e meticolosa riproduzione dei tematismi osservati sul territorio, ma quello di delimitare unità colturali omogenee ai fini della loro gestione" ([4]).
La particella forestale così definita ottimizza l’ordinamento del complesso assestamentale permettendone una chiara suddivisione spaziale e supporta l’analisi delle caratteristiche selvicolturali del bosco favorendo l’individuazione degli indirizzi gestionali ([11]).
L’approccio della compartimentazione dal basso, attraverso il processo di aggregazione delle particelle forestali omogenee in comprese con le stesse finalità gestionali, riscuote nell’ultimo trentennio molti consensi ([5], [12], [7], [6]).
Analizzati i due diversi approcci, è inoltre importante evidenziare che, al fine di una compartimentazione assestamentale razionale ed agevolmente realizzabile è necessario che il processo di costituzione del particellare assolva alle seguenti esigenze:
- facilità di individuazione delle particelle sul terreno;
- omogeneità del contenuto delle particelle rispetto all’oggetto rilevante per la pianificazione;
- costanza nel tempo dei confini particellari;
Mentre è evidente l’utilità per il pianificatore-gestore di quanto espresso nei primi due punti, può risultare più oscuro il motivo dell’importanza data al terzo punto. La costanza nel tempo dei confini particellari e quindi la costanza dell’oggetto particella svolge un ruolo fondamentale nella gestione delle informazioni legate a quella particella e quindi alla possibilità di effettuare analisi sull’evoluzione del bosco a partire dai dati raccolti dall’assestatore e dal gestore.
Per rispondere coerentemente a queste esigenze si propone un castello logico costituito da elementi spaziali e funzionali differenziati: particelle e sottoparticelle che costituiscono l’unità tecnica fondamentale di gestione della foresta.
L’ossatura della compartimentazione è formata dalle particelle forestali, unità territoriali delimitate fisiograficamente, che costituiscono elementi imprescindibili per rispondere coerentemente alla stabilità nel tempo e alla facilità di individuazione dei confini. Le particelle così concepite non possono comunque garantire omogeneità al loro interno.
“In generale un soprassuolo forestale (o anche un appezzamento attualmente privo di soprassuolo) è definito omogeneo nei riguardi dei caratteri considerati quando questi si manifestano con modalità pressoché uguali su tutta la superficie [...] una porzione di bosco è da considerare omogenea quando una sua metà casualmente presa riproduce abbastanza fedelmente, nei riguardi delle caratteristiche quantitative o qualitative considerate, le condizioni dell’altra..." ([10]).
Per gli scopi attuali della pianificazione forestale, data l’importanza indiscussa di avere unità descrittive di tipo omogeneo, è stata identificata una serie di parametri utile alla definizione di elementi che associano alla composizione e alla struttura del soprassuolo, le caratteristiche legate al processo gestionale di tipo cioè “colturale”. Si arriva in questo modo a superare la forte visione produttivistica propria dell’assestamento forestale tradizionale.
La sintesi proposta definisce un nuovo concetto, l’“identità colturale”.
L’identità colturale è costituita dall’insieme di quattro attributi: copertura del terreno, composizione specifica, orientamento selvicolturale, funzione assegnata.
Nel processo di compartimentazione al variare di uno o più di questi attributi si istituiscono particelle o sottoparticelle distinte. Ciò è possibile quando i poligoni che si individuano hanno estensione adeguata (limite minimo 0.5 ettari, limite massimo non tassativo ma consigliabile non superiore a 20 ettari). Nel caso di boschi coetanei è possibile considerare, quale motivo aggiuntivo per l’individuazione di una nuova sottoparticella, l’esistenza di differenze significative dei parametri età o stadio di sviluppo del bosco.
Secondo la logica così definita, l’oggetto di descrizione risulta omogeneo rispetto ad elementi di effettiva utilità nel processo decisionale della pianificazione.
La regola è riepilogata nelle figure che seguono: si riconoscono identità colturali diverse (pertanto si istituiscono particelle o sottoparticelle distinte) se si verificano cambiamenti che riguardano la copertura del terreno (Fig. 1a), la composizione specifica (Fig. 1b), la funzione assegnabile (Fig. 1c) o la selvicoltura applicabile (Fig. 1d).
Fig. 1 - Riconoscimento delle identità colturali diverse (con istituzione di particelle o sottoparticelle distinte) se si verificano cambiamenti che riguardano le quattro situazioni illustrate (a-d, da sinistra a destra).
Le particelle più uniformi racchiudono, all’interno dei loro confini fisiografici, un’unica formazione oppure formazioni leggermente diverse ma classificabili secondo un’unica identità colturale. Le particelle più eterogenee possono racchiudere due o più formazioni classificabili secondo altrettante identità colturali distinte: ciascuna di queste ultime costituirà una corrispondente sottoparticella.
La sottoparticella si configura così come l’elemento in grado di garantire l’omogeneità minima richiesta per la pianificazione. Pertanto, come regola generale, sia una sottoparticella sia una particella non suddivisa in sottoparticelle si qualificano per la presenza al loro interno di formazioni riconducibili a una sola identità colturale.
L’omogeneità dell’elemento oggetto di descrizione non necessariamente coincide con la omogeneità di prescrizione. Le decisioni operate dal pianificatore nell’oggetto “sottoparticella” sia di tipo selvicolturale sia infrastrutturale, non sono legate necessariamente all’intera sottoparticella, ma possono interessare anche solo una quota di essa e possono, quindi, concorrere a mutare l’omogeneità insita nella particella stessa. Ciò porta perciò all’altro carattere essenziale della sottoparticella, ovvero la sua possibile mutabilità nel tempo, nel mentre i confini della particella saranno tenuti il più possibile inalterati. Questo è di ausilio alla flessibilità del sistema. Nel caso di revisioni di piani, per ottenere la continuità nel tempo e la coerenza delle informazioni, si potrà mantenere l’ossatura di compartimentazione originale (il particellare) e definire i poligoni omogenei per identità colturale impiegando le sottoparticelle.
Ovviamente la mutabilità a successive revisioni dei piani dei confini sottoparticellari potrebbe derivare anche da cambiamenti di alcune caratteristiche dell’omogeneità indipendenti dalla volontà del pianificatore.
Ciò significa che il particellare, tracciato in fase preliminare, può essere cambiato e perfezionato nel corso delle descrizioni particellari, che rappresentano la fase nella quale è possibile discernere. Pertanto il miglior particellare è definibile solo alla fine dei rilievi descrittivi.
Discussione
La sperimentazione del metodo di compartimentazione sin qui condotta non ha trovato problemi nella sua applicazione in ambienti diversi per caratteristiche ecologico-selvicolturali ed economico-sociali ed ha mostrato di rispondere alle necessità tecnico-pratiche legate al processo di compartimentazione e alle esigenze di omogeneità a fini informativi degli oggetti (particelle e sottoparticelle) così definiti.
Si ritiene quindi che un metodo standardizzato per l’individuazione delle unità descrittive e gestionali nel processo di pianificazione forestale rappresenti un elemento essenziale per la costituzione di un valido sistema informativo a valenza regionale e sovraregionale. Tale logica, inoltre, si presta a ottimizzare l’uso degli strumenti informatici comunemente a disposizione. La presenza di carte tecniche, di carte di uso del suolo e di carte forestali (fisionomiche o tipologiche) agevola la definizione del particellare, così come pure la disponibilità di ulteriori carte tematiche. La logica di compartimentazione così definita, in ragione del fatto che prende in considerazione caratteristiche spiccatamente gestionali, si è dimostrata valida anche per le nuove esigenze di pianificazione multifunzionale dei boschi.
Note al Lavoro
Lavoro svolto in parti uguali dagli Autori con finanziamento MiPAF - P.F. RiSelvItalia - Sottoprogetto 4.2 Sistema informativo geografico per la gestione forestale, coordinato da F Ferretti. E-mail: S Agnoloni, silvia.agnoloni@entecra.it - M Bianchi, massimo.bianchi@entecra.it - P Cantiani, paolo.cantiani@entecra.it - I De Meo, isabella.demeo@entecra.it - F Ferretti, fabrizio.ferretti@entecra.it - E Guzzardo, eleonora.guzzardo@entecra.it.
References
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