Climate change and population dynamics at the tree line: the importance of long-term studies
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 4, Pages 3-5 (2007)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0446-0004
Published: Mar 21, 2007 - Copyright © 2007 SISEF
Commentaries & Perspectives
Abstract
Temperature-limited ecosystems are believed to be extremely sensitive to global warming and the upward treeline migration is one of the most relevant phenomenon. Long term monitoring of demographic trends appears essential in order to understand possible effects of higher temperatures on cold ecosystems. Long-term monitoring of natality and mortality of a Pinus sylvestris population in the Swedish Scandes from 1973 to 2005 ([5]) showed that number of trees increased in the study plots due to higher natality rate, especially in the last decade. This reverses a natural trend of treeline decline and recession occurred in the past.
Keywords
Tree line, Climate change, Population, Demography, Scots pine, Sweden
L’accrescimento della piante alle alte quote ed alle alte latitudini è limitato direttamente e indirettamente dalle basse temperature ([4]). Ne consegue che il riscaldamento globale determinerà cambiamenti significativi sugli ecosistemi di ambiente montano e boreale ([1]). Alcuni dei cambiamenti previsti più rilevanti sono: 1) la diminuzione del numero di giorni con neve al suolo; 2) la diminuzione dello spessore del permafrost per l’aumento della temperatura del suolo; 3) lo spostamento del limite superiore del bosco verso altitudini/latitudini più elevate. I primi due eventi dovrebbero generare una retroazione positiva sull’aumento di temperatura media del pianeta (quindi un aggravamento del fenomeno di global warming). Infatti, essi porterebbero, ad una diminuzione dell’albedo (e quindi una maggiore radiazione assorbita e riemessa dalla superficie terrestre) ed ad una maggiore attività delle comunità microbiche nel suolo con aumento della respirazione eterotrofa dell’ecosistema e quindi aumento complessivo della CO2 in atmosfera. Circa l’effetto complessivo dello spostamento della foresta sulla temperatura del pianeta le previsioni, invece, sono più incerte. Infatti non è ancora chiaro se l’effetto della diminuzione di albedo (le foreste assorbono maggiore radiazione rispetto alla vegetazione erbacea che può essere coperta dalla neve) sarà superiore rispetto a quello determinato dall’assorbimento netto di CO2 che tali nuove foreste realizzeranno (che, invece, porterebbe ad diminuzione della concentrazione di CO2 in atmosfera - [2]). Per disporre di modelli più accurati è necessario avere informazioni circa la dinamica delle foreste di limite superiore del bosco e il loro possibile accrescimento nelle nuove condizioni d’ambiente. Circa il secondo aspetto un significativo avanzamento si potrà realizzare una volta note le soglie termiche che inibiscono l’attività cambiale ([6]), mentre circa gli aspetti demografici sono estremamente importanti le informazioni che si potranno ottenere da aree di saggio permanenti su cui compiere osservazioni di lungo periodo.
Risultati ottenuti con questo tipo di approccio sono stati pubblicati recentemente da Kullman ([5]) che ha riportato una serie di osservazioni realizzate in un periodo di circa 30 anni che l’Autore riporta come il periodo più lungo di osservazione mai pubblicato. Lo studio è stato condotto in una zona di limite superiore del bosco (treeline) di Pinus sylvestris in Svezia (63°14’ N, 12°25’ E) dove sono state definite 20 aree permanenti di monitoraggio nel 1973. Ciascuna area (10x10 m) è stata centrata su un individuo di gradi dimensioni. La zona è stata scelta perché esente da disturbi di natura antropica. Tutti gli individui sono stati mappati ed annualmente (in genere in luglio) sono state fatte le osservazioni circa il numero di individui (da cui sono derivate moralità e natalità), la loro altezza, l’entità dei danni da disidratazione invernale, la vitalità dei semi. In aggiunta a queste osservazione l’Autore disponeva della misurazione della temperatura del suolo sulle aree (ma solo dal 1985) e del lungo record di dati climatici di una stazione nelle vicinanze (periodo 1901-2005).
La ricerca dimostra che, nel periodo considerato, vi è stato un significativo aumento (da 142 a 215) degli individui censiti (ossia quelli con altezza > 0.1 m). Tuttavia, l’aumento significativo degli individui è cominciato solo dopo il 1988 e da circa un decennio il fenomeno è particolarmente accentuato. Questo aumento è dovuto ad una concomitante maggiore natalità (definita come numero di individui che annualmente entrano nella classe di altezza compresa tra 0.1 e 2m) e ad una minore mortalità (inteso come numero di individui che muore in uno specificato anno).
Nel periodo considerato, inoltre si è notata una diminuzione significata da danni da disseccamento invernale (imbrunimento degli aghi) mentre la vitalità dei semi (intesa come % di semi germinati) non ha dimostrato significative variazioni nell’intero periodo.
L’Autore ha cercato di correlare le variazioni osservate all’andamento climatico. Nel lungo periodo (1901-2005) le temperature della stagione invernale non mostrano significative variazioni mentre si nota un leggero e significativo aumento delle temperature estive. Nel sottoperiodo, invece, 1985-2005 emerge un significativo aumento della temperatura del suolo sia in estate sia in inverno. La maggiore natalità (come definita sopra) è stata spiegata dal fatto che la vitalità del seme in primavera è significativamente correlata con le temperature estive dell’anno precedente anche se l’Autore ammette che non è possibile determinare alcuna relazione tra vitalità del seme e natalità perché non è noto l’anno preciso di germinazione. In ogni modo la disponibilità di seme atto a germinare aumenta (in modo più che proporzionale) all’aumentare delle temperature estive e quindi ci si potrebbe attendere una maggiore natalità in condizioni di riscaldamento globale. I danni da disseccamento invernale (stimati a vista come % di chioma danneggiata) sembrano essere diminuiti in modo rilevante nell’ultimo decennio in rapporto agli anni ’70 e vi è una relazione inversa tra temperature invernali (dicembre-febbraio) e percentuale di aghi danneggiati cosicché appare importante il ruolo della temperatura del suolo nel determinare il disseccamento degli aghi e (probabilmente) la mortalità delle radici fini.
A mio modo di vedere, uno dei risultati più rilevanti del lavoro è che viene dimostrato un significativo e rilevante aumento di altezza media degli individui, in modo particolare di quelli che erano già presenti prima del 1973. Questo testimonierebbe che anche modeste variazioni di temperatura hanno grande effetto sull’accrescimento longitudinale degli individui. Tuttavia, questo aspetto non viene commentato dall’Autore che, invece conclude che sia le temperature invernali (che determinano il disseccamento) sia quelle estive (che influenzano la vitalità del seme) devono essere considerate quando si va alla ricerca delle cause che determinano la treeline. L’Autore, in sostanza, non sembra convinto che il ruolo delle temperature estive sulla dinamica xilogenetica sia il fattore determinante la formazione del limite superiore del bosco come, invece, viene proposto da Körner ([3]).
Questo lavoro, comunque, dimostra ancora una volta l’importanza che le ricerche di lungo termine hanno nel cercare di comprendere la dinamica delle popolazioni in ambienti limitati dalla temperatura, dove i processi sono particolarmente lenti. Bisogna anche sottolineare, tuttavia, che ciò di cui adesso disponiamo deriva da attività iniziate negli anni ’70 quando osservazioni e misurazioni accurate non erano facilmente realizzabili per mancanza di mezzi e strumentazioni adeguate. Quindi anche le conclusioni che si possono attualmente trarre non sempre sono esaustive. Ciò ci deve indurre a realizzare (come effettivamente sta avvenendo) monitoraggi di lungo termine ben pianificati, strutturati e con approccio quantitativo per poter elaborare solidi modelli predittivi.
References
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