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Can we “improve” the forest?

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 4, Pages 244-245 (2007)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0465-0004
Published: Sep 20, 2007 - Copyright © 2007 SISEF

Editorials

Abstract

A comment is made on the way public funds are often used in Italy to achieve a rather ambiguous goal, referred to as “improvement of the forest”.

Keywords

silviculture, management, public funds, forest improvement, Italy

 

In questi ultimi decenni in molte Regioni italiane una parte degli interventi selvicolturali viene effettuata con il finanziamento, totale o parziale, dell’Ente pubblico.

In alcune Regioni, o meglio in alcuni comprensori forestali, dove esiste una filiera legno vitale, l’incidenza degli interventi effettuati con finanziamento pubblico è limitata, ma in altre parti del territorio questi rappresentano una parte rilevante degli interventi effettuati in bosco.

Di solito si tratta di interventi effettuati al di fuori di un sistema selvicolturale e in particolare di interventi che seguono un lungo periodo di abbandono delle pratiche tradizionali (ad esempio, cedui abbandonati o popolamenti di alto fusto in cui non sono stati effettuate le necessarie cure colturali) e interventi in successioni secondarie in fase evolutiva.

È inutile nascondersi che questa situazione non rappresenta un buon indicatore sullo stato di salute del settore foresta-legno in Italia in quanto è la conseguenza di una sostanziale perdita di redditività e di un evidente scarso interesse dei proprietari, dei fruitori e, più in generale, della pubblica opinione nei confronti delle sorti e delle potenzialità del settore.

Questa situazione, se utilizzata in modo opportuno, potrebbe avere anche alcuni aspetti positivi: la ridotta pressione nei confronti dell’aspetto produttivo è una condizione “nuova” (se consideriamo anche solo gli ultimi secoli del rapporto uomo-foresta) e le risorse a disposizione potrebbero utilmente essere destinate alla realizzazione di interventi colturali atti a recuperare la funzionalità e la qualità di un patrimonio forestale che è stato intensamente sfruttato per secoli.

Ma in realtà che cosa succede?

Almeno una parte di questi interventi sono effettuati con l’etichetta di “Interventi di miglioramento forestale” e, a partire proprio da questa denominazione, si inizia ad intuirne l’ambiguità sia per quanto riguarda gli obiettivi che per quanto riguarda i metodi. I selvicoltori, e tutti coloro che si occupano di ecologia forestale, sanno bene che non è possibile “migliorare il bosco” e, in ogni caso, la natura può provvedere benissimo, con tempi più o meno lunghi ma sicuramente ecologicamente adeguati, a dei cambiamenti di composizione e/o strutturali che aumentano la stabilità ecologica dei popolamenti forestali. Quello che è possibile invece effettuare è il “miglioramento delle funzioni svolte dal bosco” quindi del ruolo che il bosco svolge in funzione delle aspettative di proprietari, fruitori ed opinione pubblica.

La mancanza di obiettivi ben definiti rende da un lato difficile valutare la qualità degli interventi, dall’altro lato rende problematica la realizzazione di questi da un punto di vista pratico. Questa ambiguità si traduce frequentemente in interventi dal basso, deboli, inefficaci che non hanno nessuna incidenza sul futuro del popolamento forestale mentre l’intervento selvicolturale dovrebbe essere, anche quando effettuato a macchiatico negativo, un investimento sul futuro del bosco con ricadute positive per la comunità e per la gestione territoriale.

Il dubbio che può essere legittimamente espresso è se l’intervento selvicolturale, in questi casi, sia non il mezzo per raggiungere degli obiettivi colturali ma, piuttosto, il fine per giustificare il finanziamento pubblico. In quest’ultimo caso occorre considerare alcune pericolose conseguenze negative, sia a breve sia a lungo termine. Tra quelle a breve possiamo sicuramente annoverare il fatto che nonostante la disponibilità di risorse non si verifichi un effettivo miglioramento della funzionalità dei popolamenti forestali; tra quelle più a lungo termine il pericolo maggiore è che l’intervento selvicolturale nella pubblica opinione venga ad assumere il significato di uno strumento assistenziale, cioè il mezzo (indipendentemente dal tipo, dalle modalità di realizzazione e dalla qualità dell’intervento) per accedere ad un finanziamento.

Diversi colleghi, sia nelle Università che nelle Amministrazioni Regionali e Provinciali, sono ben consapevoli dell’importanza di tornare a porre gli obiettivi e la qualità dell’intervento selvicolturale al centro dell’attenzione ed in molti strumenti politici-amministrativi in cui si individuano i criteri per la destinazione delle risorse nel settore forestale sono già evidenti i segnali di una forte attenzione al problema sollevato.

È però indispensabile una maggiore attenzione e responsabilizzazione a tutti i livelli ed in particolare tra coloro che credono che la selvicoltura abbia ancora, nel nostro paese, un ruolo importante per la filiera legno e per la gestione del territorio.

 
 
 

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