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Appointing university professors in Italy, the need for a change

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 5, Pages 158-159 (2008)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0532-005
Published: Jun 20, 2008 - Copyright © 2008 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

The Italian university system is in crisis due to unwise policies, both in the recruitment of professors and in the design of curricula. Professors are appointed by careful procedures privileging formal accomplishments and disregarding substance. The reform of university curricula lowered the quality of undergraduate courses, re-aligning them with those of other countries, but this was not counterbalanced by a parallel upgrade of Italian PhD courses.

Keywords

University, Professor, Researcher, Italy

 

L’Italia è l’unico paese, fra quelli avanzati, dove si fanno i concorsi universitari.

Se l’Università di Oxford ha bisogno di un ecologo mette un annuncio su Nature e manda in giro un po’ di mail. Arrivano le domande, e il concorso rimane aperto fino a quando non si trova la persona giusta. Non ci sono macchinosi meccanismi iperformali e verbali dettagliatissimi. Non esiste possibilità di ricorsi.

Se Oxford assume imbecilli, nipoti di qualche professore, la sua rispettabilità diminuisce. Non le conviene assumere imbecilli. E neppure persone mediocri. La valutazione delle scelte non è formale, basata sulle modalità di esecuzione di norme concorsuali, ma si basa sulla congruità della persona assunta rispetto ai compiti da assolvere. I più bravi sono contesi dalle università migliori, i meno bravi vanno nelle università di minore livello. E non tutte le università sono uguali. Il prestigio di un’universitàè proporzionale al prestigio dei suoi docenti. Questo avviene nei paesi progrediti con una buona istruzione universitaria.

Da noi invece ci sono i concorsi.

La soluzione non è fare meglio i concorsi, la soluzione è nell’abolirli tout court e nel fare il rating delle università, che essenzialmente si basa sul prestigio scientifico e sulla bravura dei docenti.

Il nostro sistema universitario, comunque, fino a poco tempo fa formava persone di ottima qualità. I cervelli fuggivano perché erano appetibili da sistemi di ricerca più avanzati, come quelli statunitensi. In effetti la nostra università sfornava buoni prodotti che, tragicamente, non trovavano lavoro. La comunità scientifica statunitense si arricchiva del prodotto (pagato da noi contribuenti) del nostro sistema universitario. I nostri laureati di base erano spesso migliori di quelli degli altri.

Ora abbiamo riformato la laurea di base e l’abbiamo resa simile a quella degli altri paesi. Ma ci siamo dimenticati una piccola cosa.

Negli altri paesi i dottorati durano minimo cinque anni, e ci sono due anni di corsi intensivi. Se non si fa tutto quel che si deve fare, gli anni aumentano. Come succedeva nella nostra vecchia università. Dove c’erano i fuori corso, che nelle altre università non c’erano, ma dove i corrispondenti dei fuori corso esistono nei dottorati.

Non esiste una formula magica in cui tutti entrano e tutti escono in tempo. Prima o poi ci vuole la selezione. Noi non abbiamo riformato il dottorato. Tutti entrano e tutti escono dopo tre anni. Questo è il vero disastro del nostro sistema universitario. E nessuno lo dice.

Ora, con la riforma, abbiamo adeguato la laurea di base a quella degli altri. Risultato: abbiamo una laurea di base scadente e manteniamo un pessimo dottorato.

Presto i nostri cervelli non fuggiranno all’estero, perché non li vorrà nessuno.

Postilla: un paese che non sa che farsene dei suoi cervelli migliori, dopo aver speso fior di quattrini per formarli, e li regala agli altri, è un paese di fessi. Abbiamo inventato la pila, il telefono e la radio, e posto le basi dell’era atomica; erano cervelli italiani. Ma sono gli altri a godere di queste idee. Noi dobbiamo comprare i frutti dei nostri intelletti.

A conferma di quel che ho detto: siamo un paese di cervelli che, messi assieme, formano un paese di fessi.

 
 
 

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