Tree cares as symbol of culture and enviromental conservation
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 5, Pages 262-263 (2008)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0546-0005
Published: Oct 10, 2008 - Copyright © 2008 SISEF
Editorials
Abstract
The old tradition in the Pantelleria island of caring single tree garden (the so-called “Giardino Pantesco”) is viewed as an archetype of landcare and environmental conservation.
Keywords
In nessuna parte al mondo, come a Pantelleria, si fa tanta fatica per far crescere un singolo albero. Con pietre laviche raccolte bonificando il suolo e rifinite manualmente si alza un muro a secco profondo fino a 2 m e alto fino a 5. La struttura che se ne ottiene ha forma circolare e un diametro intorno a 7-10 m, bastevole a contenere l’albero solitario. Vi si accede attraverso una porta sormontata da un architrave e rigorosamente chiusa da un chiavistello. I panteschi, che li hanno costruiti in gran numero a partire dalla metà del XIX secolo, quando con la fine del feudo ebbero finalmente accesso al possesso duraturo della terra, vi coltivano rigorosamente un albero di agrume, spesso composto da un innesto plurimo per assicurarsi insieme arance, limoni, cedri e mandarini. E riescono a farlo - in un’isola dove alcuni anni non piovono più di 200 m e il vento è sempre presente e intenso- senza ricorrere all’irrigazione; il che per piante mesofile come gli agrumi ha del miracoloso.
Recentemente un’azienda viticola (“Donnafugata”) ha regalato al FAI, benemerita fondazione senza scopo di lucro che si occupa di salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del nostro Paese aprendo al pubblico i suoi beni, un jardino. Così lo chiamano a Pantelleria a confermare la coincidenza tra utilità e bellezza che lungo le coste del Mediterraneo si attribuisce ai frutteti tradizionali soprattutto se, composti di agrumi, vanno incontro al fenomeno della rifiorenza che porta gli alberi ad essere contemporaneamente carichi di fiori e di frutti.
I giardini panteschi sono la testimonianza evidente del desiderio irrinunciabile di possedere un albero, proteggerlo e coltivarlo fino a farlo produrre perché fornisca i suoi prodotti, manifesti le sue funzioni, evochi simboli, miti e ricordi. Un desiderio antichissimo, addirittura primordiale, già espresso oltre cinquemila anni fa dalla prima rappresentazione di un giardino: un grafogramma sumerico inciso su una tavoletta di argilla che illustra, appunto, un albero chiuso da un recinto. Èl’archetipo di tutti i giardini che hanno nei secoli complicato ma non cancellato la loro funzione originaria, cioè proteggere in uno spazio chiuso tutte le magnificenze, tutte le utilità che possono aspettarsi da un albero coltivato. Il giardino pantesco, idea primigenia di giardino, vive senza acqua. L’ombra e la protezione dal vento esercitata dal muro diminuiscono le perdite per ETP, ma senza il vapor d’acqua che si condensa sulle pietre laviche, sfruttando l’elevata umidità atmosferica e i gradienti di temperatura, la sopravvivenza produttiva dell’albero non sarebbe possibile. Anche questo fenomeno - che il Dipartimento di Colture Arboree di Palermo e l’IBIMET-CNR di Bologna studieranno a fondo con un progetto congiunto- ha un valore simbolico. In tempi di cambiamenti climatici, di avanzamento della desertificazione, di penuria delle risorse idriche conoscere a fondo saperi locali capaci perfino di far crescere un arancio in asciutto e magari trasferirli in tecniche moderne è cosa non trascurabile.
Studiamo gli alberi, li piantiamo e li difendiamo, li facciamo produrre e ci industriamo ad aumentare le utilità e i piaceri che da essi è possibile ottenere. Come gli agricoltori di Pantelleria ben conosciamo il loro insostituibile valore, ma non dobbiamo mai dimenticare di esercitare una costante pressione, un’attenta vigilanza - che essendo qualificata può risultare più efficace- contro i nemici, per ignoranza o avidità, degli alberi. Magari all’arboricoltore più bravo, al selvicoltore più ostinato, al giardiniere più paziente toccherà allora in dono di essere ricordato come quel agricoltore tunisino, dirimpettaio di Pantelleria, che negli anni della Roma imperiale ebbe l’onore di questa iscrizione funeraria: Dion in pace vixit annos octoginta et instituit arbores quattuor milia. Dione visse in pace per ottanta anni e piantò quattromila alberi.