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Quali-quantitative analysis of deadwood in ageing Holm oak coppices of Gargano

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 6, Pages 19-28 (2009)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0555-006
Published: Jan 29, 2009 - Copyright © 2009 SISEF

Research Articles

Abstract

Necromass has been included within the indicators for the biodiversity and naturality assessment of the forest ecosystems and for the sustainable forest management. Taking into account this fact, the purpose of this work has been the quantification and qualification of the necromass in ageing coppices of the Gargano. To pursue this aim, three experimental areas, with 2500 m2 of surface each one, where the necessary reliefs have been effected, have been realized. The estimated deadwood volume is 34 m3 ha-1 and the stored carbon contents is 12.62 Mg C ha-1. The stand analysis pointed out that the quantity of present necromass is intrinsically linked whether to the culture abandonment or to the meteoric disturbances. Moreover the quantity and quality of necromass can be an indicator whether of the forest stability or of the stand evolutive trend in relatively recent times. The study of the quali-quantitative characteristics of the necromass in wood helps to understand the evolutive phases where a forest stand is in, and it can be, with other parameters, a guide to the planning and management. And today, just in the planning and management of the forest resources, we must give a higher importance to the presence of necromass in wood, not only in quantitative terms but also in qualitative ones.

Keywords

Quercus ilex, deadwood, ageing coppice, biodiversity, Gargano

Introduzione e finalità della ricerca 

Le problematiche connesse alla presenza di necromassa in bosco sono molteplici e legate a numerosi aspetti. È oramai accertato da numerosi studi e ricerche che per il funzionamento dei cicli geochimici e per la funzionalità dell’ecosistema, la presenza di necromassa in bosco è un elemento indispensabile ([14], [9], [43]). Essa svolge un ruolo significativo per il sequestro del carbonio ([14], [17], [23], [13], [39]), ha un ruolo importante nei processi di formazione dell’humus ([7], [15], [20]), nell’offerta di habitat a specie animali e vegetali contribuendo così alla conservazione della diversità biologica ([37]), fornisce un apporto di sostanze nutritive ed interagisce positivamente con il microclima ([12]), incrementa la produttività complessiva della foresta ([43]).

La necromassa presente in bosco rappresenta un indicatore del livello di biodiversità di un’area naturale, tanto che essa è stata inserita tra gli indicatori per la valutazione della biodiversità e della naturalità degli ecosistemi forestali ([42], [5]) e per la gestione forestale sostenibile ([32]).

L’importanza di questa componente negli ecosistemi forestali in Italia è stata riconosciuta soltanto in tempi recenti. In passato il legno morto in foresta (piante morte in piedi, intere e/o troncate; alberi morti a terra; rami grossi e fini a terra; ceppaie morte) era visto come un elemento di disturbo, e veniva quasi totalmente asportato durante le operazioni selvicolturali, a causa della sua valenza negativa in termini fitosanitari e di protezione dagli incendi boschivi.

Ultimamente però, le ricerche che riguardano la problematica della necromassa sono sempre più diffuse, soprattutto nei paesi del Centro e Nord Europa. Anche in Italia si stanno sviluppando una serie di iniziative a carattere interdisciplinare che riguardano la problematica della necromassa, sancite dal Decreto Legislativo 227/2001 “Orientamento e modernizzazione del settore forestale” elaborato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Il progetto LIFE Natura “Bosco Fontana: azioni urgenti di conservazione habitat relitto”, ad esempio, prevede interventi di nuovo tipo per il ripristino degli habitat del legno morto in una Riserva Naturale in provincia di Mantova ([36]).

A tutt’oggi, tuttavia, sono ancora pochi gli studi e ricerche sui quantitativi di necromassa da lasciare in bosco, soprattutto per l’area mediterranea. A livello generale, Vallauri et al. ([45]) riportano che per i boschi gestiti delle regioni francesi ed europee il quantitativo minimo di necromassa dovrebbe essere pari ad almeno 15 m3 ha-1 nel medio periodo, oppure uguale a circa un terzo della necromassa mediamente presente negli stessi boschi ma non gestiti. Un bosco maturo invece dovrebbe contenere dai 40 ai 200 m3 ha-1 di necromassa ben distribuita tra legno morto in piedi e legno morto a terra. Per le foreste primarie del Centro-Europa e del Nord America la necromassa varia dal 10 al 15% del volume totale nella fase ottimale, per raggiungere valori massimi del 25-30% nella fase terminale ([30]); su foreste primarie a querceti e latifoglie la necromassa ammonta a circa 100 m3 ha-1 ([19]).

In ambito mediterraneo, e in riferimento alle latifoglie, lavori recenti sulla necromassa sono quelli di: Marchetti & Lombardi ([33]) su una cerreta del Molise, Barreca et al. ([3]) in boschi di farnetto della Calabria, La Fauci & Mercurio ([24]) in cedui di Castagno nel Parco Nazionale dell’Aspromonte.

Sul Gargano le formazioni a leccio costituiscono una componente non secondaria del paesaggio. I boschi di questa specie hanno svolto e svolgono ancora oggi un ruolo insostituibile nella protezione del terreno dall’eccessiva insolazione e dal dilavamento da parte delle acque meteoriche, anche in condizioni geomorfologiche estremamente difficili. I diversi lavori effettuati sulla gestione dei cedui di leccio sul promontorio del Gargano ([27], [28], [25], [26], [35], [29], [34]) non hanno mai affrontato il problema della necromassa, ragion per cui nessuna informazione sulla presenza di necromassa in queste formazioni forestali è disponibile. Diventa allora prezioso disporre, soprattutto in un’area protetta qual è quella in cui sono ubicati i popolamenti forestali oggetti di questo studio, di informazioni quali-quantitative riguardanti la necromassa. Queste conoscenze, unite agli studi già effettuati su questi stessi boschi, potranno contribuire a una maggiore e più approfondita analisi di queste formazioni forestali, sia nell’ambito della pianificazione sia nelle scelte gestionali, proprio perché la necromassa viene riconosciuta tra gli indicatori per una gestione forestale sostenibile ed è un importante strumento per valutare e monitorare la biodiversità.

Materiali e metodi 

I cedui di leccio analizzati nel presente studio sono ubicati in località Inversa di Spigno, nel comune di Monte Sant’Angelo (FG), e la zona risulta interamente compresa nel perimetro del Parco Nazionale del Gargano. La lecceta non viene più utilizzata da circa 55 anni e copre, senza soluzione di continuità, una superficie di quasi 2500 ettari su un versante esposto a sud con quote che vanno da circa 600 m s.l.m. alla base della pendice a circa 900 m s.l.m. alle quote più elevate, con una pendenza media del 40%. Essa è una tra le più estese leccete invecchiate presenti sul Gargano e al suo interno è abbastanza omogenea sia nei riguardi della struttura che della composizione specifica e può considerarsi rappresentativa dei cedui di leccio non più utilizzati presenti sul Gargano che, secondo dati provvisori del Piano di Gestione del Parco Nazionale del Gargano, ammontano a circa 10000 ettari. I cedui presenti a Inversa di Spigno rappresentano pertanto il 25% dei cedui invecchiati di leccio presenti nel perimetro del Parco.

Il terreno si presenta accidentato con rocciosità di tipo calcareo affiorante e pietrosità diffusa (30-40%). Secondo la classificazione Word Reference Base della FAO ([6]) i suoli rientrano nella categoria dei Chromic Cambisols. La temperatura media annua è pari a 12.1 °C e la media annua delle precipitazioni è di 774 mm di pioggia. Dal punto di vista fitoclimatico l’area è ascrivibile alla sottozona fredda del Lauretum di Pavari e, alle quote superiori, alla zona del Castanetum caldo.

La composizione specifica è dominata dal leccio con partecipazione sporadica di carpino nero e orniello. La densitàè colma ed il numero di ceppaie elevato. Il sottobosco è composto soprattutto da Asplenium onopteris, Asplenium trichomanes, Cyclamen neapolitanum, Crataegus monogyna e Ruscus aculeatus. Dal punto di vista fitosociologico la lecceta è attribuibile all’ Ostryo-quercetum ilicis ([8]). Per ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche della stazione, del terreno e del soprassuolo si rimanda a La Marca et al. ([27]) e La Marca et al. ([26]).

Il presente lavoro si inserisce all’interno di una sperimentazione avviata nel 1994 volta alla messa a punto di indirizzi selvicolturali sostenibili per questi cedui situati all’interno di un Parco Nazionale. La particolarità dell’area esaminata e la complessità delle problematiche ad essa connesse hanno suggerito la necessità di approfondire diversi aspetti, quali quelli relativi all’evoluzione strutturale di popolamenti invecchiati di leccio sottoposti a diverse opzioni colturali ([27], [28], [26]), alla determinazione della biomassa ([34]), all’epoca di taglio ([35]).

A tal fine nel 1994 il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali (DISTAF) di Firenze, con il coordinamento del prof. Orazio la Marca, ha messo a punto un disegno sperimentale per il monitoraggio continuo di questi cedui. Il protocollo sperimentale ha previsto un disegno a blocchi randomizzati, i cui blocchi sono stati ripetuti 3 volte e all’interno di ogni blocco sono state realizzate 5 aree campioni di forma quadrata della superficie di 1600 m2 ognuna, con diverse opzioni colturali (ceduo matricinato con un rilascio di matricine da 50 a 250 per ettaro, ceduo composto, avviamento all’alto fusto, evoluzione naturale). L’analisi della varianza condotta sui principali parametri dendrometrici prima degli interventi selvicolturali aveva messo in evidenza l’assenza di differenze significative nei vari parametri dendrometrici sia tra le area campioni entro i blocchi sia tra i blocchi, a testimonianza dell’omogeneità del soprassuolo ([26]). Per ulteriori approfondimenti sul disegno sperimentale, si rimanda a La Marca et al. ([27]) e a La Marca et al. ([26]).

Ai fini del presente lavoro sono state considerate solo le aree campioni ad evoluzione naturale presenti in ognuno dei 3 blocchi adeguando, in maniera temporanea, le dimensioni delle 3 aree campioni alle esigenze della presente ricerca. A tal fine, tenendo sempre uguale il centro dell’area campione, ogni lato è stato portato alla lunghezza di 50 m, e i rilievi per la determinazione e la caratterizzazione quali-quantitativa della necromassa sono stati effettuati all’interno di queste aree di 2500 m2 di superficie ciascuna. In Tab. 1 sono evidenziati i principali parametri dendrometrici del ceduo ottenuti dal cavallettamento effettuato su queste 3 aree campioni nel settembre 2008.

Tab. 1 - Principali parametri dendrometrici del ceduo a 55 anni dall’ultimo taglio.

Parametri AREA 1 AREA 2 AREA 3 Media Dev Std CV %
Latitudine centro ADS 41.76 41.75 41.75 - - -
Longitudine centro ADS 15.90 15.91 15.91 - - -
Numero ceppaie ha-1 1169 951 1219 1113 143 12.8
Numero polloni ha-1 5794 4455 5456 5235 697 13.3
Numero polloni/ceppaia 5.0 4.7 4.5 4.7 0.24 5.1
Area basimetrica ha-1 (m²) 59.23 51.22 59.40 56.62 4.67 8.3
Diametro medio polloni (cm) 11.4 12.1 11.8 11.7 0.35 2.9
Volume ha-1 (m³) 299.57 260.62 301.38 287.19 23.03 8.0

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Durante i rilievi per la determinazione della necromassa, essa è stata distinta nelle seguenti componenti:

  • necromassa in piedi (piante morte in piedi, intere e/o troncate);
  • necromassa degli alberi morti a terra;
  • necromassa dei rami grossi (diametro alla base del ramo uguale o maggiore di 10 cm);
  • necromassa dei rami fini (diametro alla base del ramo inferiore a 10 cm);
  • necromassa delle ceppaie.

Per le prime due componenti di necromassa, è stato eseguito un censimento degli alberi con diametro a m 1.30 da terra uguale o superiore a 2.5 cm, su tutta la superficie in ognuna delle tre aree sperimentali. Su ogni albero inventariato è stato misurato il diametro a m 1.30 da terra e l’altezza totale della pianta.

Il volume è stato calcolato con una tavola di cubatura a doppia entrata appositamente costruita per questi stessi cedui ([34]).

Oltre che per gli aspetti quantitativi, il legno morto è stato caratterizzato anche da un punto di vista qualitativo. Secondo Ryberg et al. ([40]), infatti, la qualità del legno morto dipende dal suo grado di decomposizione, dalla specie, dall’età in cui è morto l’albero, dalla causa della morte, dalla posizione e dalle sue dimensioni.

A tal fine, ogni pianta morta in piedi è stata attribuita, attraverso una stima visiva e tattile, a una delle 5 classi di decomposizione secondo il metodo utilizzato da Koop ([22]) (Tab. 2).

Tab. 2 - Le classi di decadimento del legno morto assegnate secondo la metodologia di Koop ([22]), da Marchetti & Lombardi ([33]).

Classe 1 Ceppaie tagliate di fresco; tronchi o branche con legno duro, corteccia intatta; tronco rotondo in sezione trasversale.
Classe 2 Il legno può essere decomposto superficialmente (al di sopra di 1 cm), corteccia staccata ed in parte caduta, fusto rotondo in sezione trasversale.
Classe 3 La maggior parte del fusto può essere decomposto per parecchi centimetri, fusto rotondo in sezione trasversale.
Classe 4 Legno soffice completamente decomposto, fusto ovale in sezione trasversale, con grandi aperture; il legno perde la sua consistenza e si disintegra quando viene toccato.
Classe 5 I residui della pianta possono essere riconosciuti nello stato di lettiera o sono evidenziati dalla diversa vegetazione.

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Per la quantificazione delle altre tre componenti di necromassa (rami grossi, rami piccoli e ceppaie), è stato utilizzato un protocollo operativo di campionamento elaborato nell’ambito del progetto ForestBIOTA (Forest Biodiversity Test-phase Assessments) e poi perfezionato da Travaglini et al. ([44]), già utilizzato da Marchetti & Lombardi ([33]) in boschi dell’Alto Molise.

In particolare, il censimento di queste componenti della necromassa è stato eseguito all’interno di 4 sub-aree circolari di raggio uguale a 7 m, delimitate all’interno di ciascuna area sperimentale, e disposte vicino agli angoli del quadrato. Su ogni pezzo inventariato (rami grossi e rami fini) è stato misurato il diametro a metà lunghezza e la lunghezza totale. Il materiale legnoso inventariato è stato cubato con la formula della sezione mediana di Huber.

Sulle ceppaie censite è stato misurato il diametro all’altezza di taglio o nel punto di rottura (diametro minimo: 10 cm) e l’altezza da terra. Il volume di ogni ceppaia è dato dalla superficie della sezione misurata per l’altezza della ceppaia.

I volumi delle ceppaie e dei rami grossi e fini in m3 ha-1 sono stati calcolati, a livello di area sperimentale, come media dei valori stimati a livello delle sub-aree.

Ogni pezzo rilevato è stato inoltre attribuito ad una delle 5 classi di decomposizione secondo il metodo utilizzato da Koop ([22]).

Il carbonio stoccato (C stock) è stato determinato moltiplicando il peso delle componenti della necromassa per un coefficiente di conversione di 0.50 ([39]). Per la densità basale del legno di leccio è stato considerato un valore di 0.745 t m-3, valore stimato proprio su queste stesse leccete ([34]) e ottenuto dal distacco e determinazione prima del peso fresco di 3 rotelle per albero modello (in totale 100 alberi modello), una alla base della pianta, una a metà altezza e una nella parte alta della pianta, e poi dalla determinazione della massa volumica allo stato fresco e, dopo essiccazione in stufa a 85 °C, della densità basale delle trecento rotelle prelevate dai fusti degli alberi campione ([34]).

Risultati e discussione 

Nei popolamenti studiati il numero di alberi morti in piedi (interi e troncati) rappresenta il 15% rispetto al numero totale di alberi (vivi e morti). Il volume della necromassa in piedi è pari a 19.4 m3 ha-1.

La maggior parte degli alberi morti in piedi è situato nelle classi diametriche più piccole (Fig. 1), con una moda nella classe diametrica di 6 cm: più della metà degli alberi morti in piedi appartiene a questa classe diametrica. Inoltre quasi l’86% degli alberi morti in piedi è compreso nelle classi da 3 a 9 cm. Le classi diametriche più grandi presentano pochissimi alberi morti. La presenza di un numero così elevato di piante morte in piedi appartenenti alla classi diametriche più piccole è da mettere in relazione, probabilmente, ai fenomeni di competizione sempre più forti che si verificano in seguito alla sospensione delle ceduazioni e che interessano soprattutto i polloni e le piante di piccole dimensioni. D’altra parte queste piante sono quelle che soffrono maggiormente della scarsa disponibilità di luce a causa della loro posizione sociale e del notevole grado di copertura del soprassuolo.

Fig. 1 - Ripartizione percentuale della necromassa in piedi per classi diametriche.

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Non allo stesso modo si ripartisce la percentuale del volume degli alberi morti in piedi (Fig. 1): pur se esso è maggiormente presente nella classe diametrica di 6 cm, il 55% di esso è concentrato tra le classi di 9 e 15 cm.

Complessivamente, i cedui di leccio studiati presentano valori di necromassa totale di 33.89 m3 ha-1 ripartiti nelle diverse componenti, così come evidenziato in Fig. 2. Il carbonio stoccato è in media di 12.62 Mg C ha-1, e in Tab. 3 sono riportati i contenuti di carbonio stoccato per ogni componente della necromassa. Più della metà (56.3%) di tutto il carbonio stoccato è da imputare alle piante morte in piedi (intere e troncate). È significativa anche la quantità di carbonio stoccato dalle piante morte a terra (27.5%), mentre appare marginale quello stoccato dai rami fini e dalle ceppaie (6.3%).

Fig. 2 - Ripartizione delle componenti della necromassa.

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Tab. 3 - Quantità di carbonio stoccato dalle differenti componenti della necromassa.

Componenti della
necromassa
Carbonio stoccato
(Mg C ha-1)
Carbonio stoccato
(Valori %)
Piante intere morte in piedi 4.58 36.3
Piante troncate morte in piedi 2.52 20.0
Piante morte a terra 3.47 27.5
Rami grossi 1.25 9.9
Rami fini 0.62 4.9
Ceppaie 0.18 1.4
TOTALE 12.62 100

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Per la necromassa, la componente maggiormente presente è costituita dagli alberi interi morti in piedi, per buona parte vecchi polloni dello strato dominato del ceduo invecchiato, seguiti da una buona presenza di alberi morti a terra. Anche gli alberi troncati in piedi sono rappresentati in maniera significativa. I rami grossi e i rami fini complessivamente ammontano a circa 5 m3 ha-1, mentre la necromassa delle ceppaie è assai modesta. L’assenza di qualsiasi tipo di intervento selvicolturale negli ultimi 50 anni favorendo la chiusura dello strato dominante, costituito fondamentalmente dalle vecchie matricine e da un certo numero di polloni ben sviluppati, ha avuto come effetto la forte competizione tra i polloni dello strato dominato, e questi polloni costituiscono gran parte degli alberi morti in piedi e a terra.

In ultimo, è interessante notare come la necromassa totale sia ben distribuita tra quella in piedi (19.08 m3 ha-1) e quella a terra (14.81 m3 ha-1).

I quantitativi di necromassa riscontrati nei cedui di leccio studiati sembrano sicuramente elevati, anche se le ricerche bibliografiche, soprattutto in ambito mediterraneo, non hanno evidenziato riferimenti per questi tipi di bosco. In ogni caso, giusto a titolo di riferimento, per cedui invecchiati di cerro dell’Alto Molise, Marchetti & Lombardi ([33]) riportano quantitativi di necromassa totali pari a 15.2 m3 ha-1; Barreca et al. ([3]) in boschi di Farnetto della Calabria riportano quantitativi di necromassa pari a 9.3 m3 ha-1; in cedui di castagno della Calabria, La Fauci & Mercurio ([24]) riportano valori di 21 m3 ha-1 per cedui di 40 anni e valori di 50 m3 ha-1 per cedui di 45 anni.

Un confronto è possibile con i dati recentemente pubblicati (Aprile 2008) del Secondo Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio ([16]). Per le leccete italiane le tavole riportano un valore medio di necromassa totale (necromassa in piedi, a terra e ceppaie) pari a 2.7 m3 ha-1. I valori oscillano da 0.2 m3 ha-1 (Marche) a 19.9 m3 ha-1 (Emilia Romagna). Esclusa la Liguria (9.3 m3 ha-1), in tutte le altre regioni la quantità di necromassa totale presente nelle leccete è sempre inferiore ai 5 m3 ha-1.

Appare evidente come la quantità di necromassa presente nei cedui invecchiati di leccio oggetti del presente studio siano estremamente elevati se rapportati alla media nazionale.

Probabilmente valori così bassi di necromassa presenti nelle leccete italiane sono da mettere in relazione alla diffusa e antica pratica di asportare tutto il materiale legnoso dai boschi utilizzati, e le popolazioni locali abbattevano anche gli alberi vecchi e raccoglievano sistematicamente la legna secca per rifornire le economie domestiche di legna da ardere. Tutto ciò ha drasticamente impoverito i boschi di necromassa, insieme ad una maggiore erosione del suolo, ad un impoverimento della biodiversità proprio per il suo ruolo nella conservazione degli habitat della flora e della fauna. Ed è proprio in questo senso che la necromassa presente in bosco può diventare un importante strumento per valutare e monitorare la biodiversità.

Un altro aspetto da sottolineare per bene interpretare i quantitativi di necromassa presenti nei cedui di leccio studiati, è quello dell’abbandono colturale. Questi cedui non sono più utilizzati da circa 55 anni e l’abbandono di ogni attività selvicolturale, insieme a delle perturbazioni meteoriche di cui si dirà più avanti, ha contribuito all’aumento della necromassa. Come riportato da diversi Autori ([2], [31], [41], [11], [10], [21], [18], [38]), le quantità di necromassa presenti nei boschi gestiti sono di molto inferiori a quelle riscontrate nei boschi lasciati ad evoluzione naturale: nei boschi gestiti è presente appena il 2-30% dell’ammontare di legno morto, rispetto a quello presente nella stessa tipologia di boschi ma non gestiti.

In Fig. 3 è mostrato, per ogni componente della necromassa presente, lo stadio di decomposizione della stessa. La velocità di decomposizione può essere assai varia e per le querce è molto lenta e può durare anche più di 45 anni fino ad arrivare a 90-100 anni ([1]), a seconda delle dimensioni del materiale legnoso, dell’ambiente di decomposizione (altitudine, esposizione, microclima), della varietà e consistenza della comunità vivente dei decompositori del legno presenti in quel determinato ambiente (Detsch et al. ([4]).

Fig. 3 - Ripartizione percentuale delle componenti della necromassa nelle 5 classi di decomposizione del legno.

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Iniziando l’analisi dagli stadi di decomposizione più avanzate, nessun componente è presente nella classe 5, e abbastanza trascurabili possono essere considerati i valori delle componenti nella classe di decomposizione 4. L’assenza o quasi di necromassa in queste classi di decomposizione denota una intensa utilizzazione nel passato di questi cedui, con l’asportazione praticamente di tutto il materiale legnoso, compreso rami molto piccoli. Da testimonianze storiche orali, infatti, risulta che questi cedui venivano utilizzati ogni 15 anni ed era frequente anche la pratica della dicioccatura (taglio mediante estrazione o scalzamento delle ceppaie con parte delle radici eseguito al fine di utilizzare anche le radici come legna da ardere) effettuata per aumentare la quantità di legna da asportare ad ogni fine ciclo. E proprio la dicioccatura, sempre effettuata fin quando il ceduo veniva utilizzato, potrebbe aver favorito un aumento della mortalità delle ceppaie nelle precedenti utilizzazioni, e pertanto viene spiegata la presenza di questa componente della necromassa nella classe 4, cioè ad uno stadio di decomposizione piuttosto avanzato. Complessivamente la necromassa presente nelle ultime due classi di decomposizione è pari allo 0.5% di tutta la necromassa presente nel ceduo.

La necromassa presente nella classe 3 ammonta complessivamente a circa il 24% del totale. La componente prevalente è quella dei rami grossi, seguita dai rami fini e dagli alberi morti a terra. Gli alberi interi e troncati in piedi sono rappresentati in minor misura rispetto alle prime due classi di decomposizione, cioè rispetto a quelli morti più di recente e questo potrebbe significare che nel passato, quando il ceduo veniva regolarmente utilizzato, il soprassuolo non presentava grandi problemi di debolezza strutturale che invece si sono verificati in tempi più recenti, come evidenziano i quantitativi di necromassa delle componenti piante intere e troncate in piedi nelle prime due classi. Problemi di debolezza strutturale che comunque, almeno in parte, erano presenti anche nel passato, considerato il quantitativo di necromassa appartenente alla componente piante morte a terra (probabili schianti) presente nella classe di decomposizione 3. Tali alberi, probabilmente, sono la conseguenza di forti perturbazioni meteoriche (vento e/o neve) avvenute in tempi non recenti. La gran percentuale di rami grossi e rami fini presenti in questa classe potrebbe essere dovuto, almeno in parte, al passaggio del bestiame che qui avviene regolarmente e che con il loro calpestio provocano la frantumazione dei pezzi, favorendo la decomposizione.

Nella classe di decomposizione 2 è presente il 43% di tutta la necromassa, con una netta prevalenza di alberi troncati in piedi, seguiti da quelli morti a terra e dai rami grossi. Tutte le componenti della necromassa sono comunque presenti in questa classe. I quantitativi così elevati di alberi troncati in piedi e alberi morti in terra in questa classe di decomposizione sono da mettere in relazione alle perturbazioni meteoriche che qui si sono verificate verso la metà degli anni ’90. In particolare, vi è stata dapprima una tromba d’aria e dopo 6 mesi una forte nevicata: la prima ha provocato lo sradicamento di diverse piante e la seconda la rottura del fusto a una certa altezza da terra (schianti). Da ciò discende che la formazione di necromassa in bosco può essere anche un fenomeno casuale dipendente dalla frequenza e dall’intensità delle perturbazioni. Un quantitativo di necromassa significativamente superiore in una classe di decomposizione rispetto a tutte le altre, è quasi sempre la conseguenza di una forte perturbazione che è avvenuta in quei boschi; è la reazione del bosco alla perturbazione stessa e la quantità e la qualità di necromassa presente può essere un indicatore della stabilità del bosco stesso. Nel caso in esame, gli elevati quantitativi di necromassa presenti in questa classe di decomposizione denotano come il ceduo, lasciato all’evoluzione naturale, abbia subito una sorta di indebolimento della struttura, rendendo gli alberi particolarmente vulnerabili a eventi perturbativi.

La necromassa presente nella classe di decomposizione 1 ammonta complessivamente al 32.6% di tutta la necromassa. In questa classe di decomposizione, comprendente gli alberi morti più di recente, prevalgono le componenti ceppaie e quella degli alberi morti in piedi. Tale situazione, come messo in evidenza anche da Marchetti & Lombardi ([33]) in un ceduo di cerro invecchiato dell’Alto Molise, sta ad indicare che le modificazioni strutturali che avvengono in un bosco non più gestito da circa 50 anni, sono ancora ad uno stato iniziale. La quantità e la ripartizione percentuale delle varie componenti della necromassa nella classe di decomposizione 1 potrebbe essere un indicatore del trend evolutivo del soprassuolo in tempi relativamente recenti.

Tale indicazione viene ulteriormente confermata se si considerano insieme le prime due classi di decomposizione del legno: il 75.5% della necromassa totale appartiene a queste prime due classi e tale valore conferma due aspetti che stanno avvenendo in bosco: (i) il processo di decomposizione è ancora in una fase iniziale e conseguentemente (ii) le modificazioni strutturali e anche compositive, iniziate in tempi relativamente recenti, sono in una fase dinamica e aperta. Dinamica perché i processi strutturali e di evoluzione sono ancora in essere, e aperta perché un input esterno (naturale o antropico) potrebbe cambiarne la direzione. Le modificazioni strutturali e compositive che stanno avvenendo in questa fase iniziale sono come linee tratteggiate, verso nessuna direzione determinata in anticipo: alla natura, con i suoi tempi, di continuarle o condurle altrove, alla selvicoltura e all’attività antropica eventualmente di portarle avanti o dar loro un’altra configurazione.

Conclusioni 

I cedui di leccio analizzati in questo lavoro non vengono più gestiti da circa 55 anni e al loro interno avviene, in alcuni periodi dell’anno, il pascolo del bestiame bovino e ovino.

Il volume della necromassa totale stimata presenta valori non bassi: la necromassa ammonta a 33.89 m3 ha-1 e il contenuto di carbonio stoccato è pari a 12.62 Mg C ha-1. La necromassa presente inoltre è intrinsecamente legata sia all’abbandono colturale (l’evoluzione del bosco segue da decenni le dinamiche evolutive naturali) che a perturbazioni meteoriche, soprattutto vento e neve.

L’abbandono colturale e la riduzione della pressione generale sul bosco ha portato ad un indubbio aumento della quantità di necromassa presente in bosco rispetto ad alcuni decenni fa. Tali quantità di necromassa potrebbero far nascere problemi di natura fitosanitaria, e soprattutto, in area mediterranea potrebbe aumentare il rischio di incendio e il materiale morto a terra aggrava la propagazione del fuoco. In situazioni dove gli incendi, per motivi vari, sono frequenti, appare assolutamente di buon senso la scelta di asportare dal suolo il materiale potenzialmente combustibile. Nelle situazioni dove invece il fuoco non è un evento frequente, tale operazione, come afferma Wolynski ([46]) “non sempre è strettamente necessaria che avvenga in maniera diffusa su tutta la superficie forestale, potendo bastare le aree immediatamente circostanti a strade o luoghi molto frequentati, lasciando che altrove il materiale residuo contribuisca ad arricchire gli strati umiferi dei suoli”.

Sembra comunque importante sottolineare come lo studio delle caratteristiche quali-quantitative della necromassa in bosco aiuti a comprendere le fasi evolutive in cui si trova un popolamento forestale, e può essere, insieme ad altri parametri, da guida per la pianificazione e la gestione. Ed oggi proprio nella pianificazione e nella gestione delle risorse forestali, va data alla presenza di necromassa in bosco una maggiore importanza, non solo in termini quantitativi ma anche in termini qualitativi.

Il problema che si pone è l’ammontare minimo di necromassa che è opportuno lasciare in bosco, in modo da salvaguardare gli obiettivi di conservazione e incremento della biodiversità e quelli legati al rischio fitosanitario e al rischio di incendi. È sicuramente un compromesso, e la presenza della necromassa va valutata di volta in volta, sulla base di considerazioni ecologiche ed economiche, e tenendo presente che essa sarà quantitativamente differente a seconda del tipo di popolamento forestale e del suo stadio di sviluppo, della forma di governo (ceduo o fustaia) e, come evidenziato nel presente lavoro, della frequenza e del tipo di eventi meteorici che possono provocare sradicamenti e/o schianti.

Concludendo, è auspicabile che le ricerche sulla stima quali-quantitativa della necromassa siano sempre più numerose, fino ad arrivare a formulare indicazioni sulla quantità di necromassa da lasciare nelle diverse tipologie forestali che invece oggi non è possibile ancora dare.

Ringraziamenti 

La sperimentazione avviata a Inversa di Spigno nel 1994 è stata possibile grazie a una convenzione tra il Comune di Monte Sant’Angelo e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali (DISTAF) dell’Università degli Studi di Firenze, sotto il coordinamento del prof. Orazio la Marca. Il prof. Orazio la Marca ha messo a punto il protocollo sperimentale e sotto la sua direzione e il suo coordinamento sono stati eseguiti gli interventi selvicolturali previsti dal protocollo sperimentale. A Lui va il mio più sentito e sincero ringraziamento.

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