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Conversion trials in mixed coppices of Gargano (Puglia, Italy): first results

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 6, Pages 120-128 (2009)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0573-006
Published: Mar 25, 2009 - Copyright © 2009 SISEF

Research Articles

Abstract

Six plots have been drawn in an mixed aged coppice stand, 40 years after last coppicing; they represent a typical expression of Doronico-Carpinetum phytosociological association and they are characteristic of many woods of Gargano’s territory, composed by Quercus cerris L. (turkey oak), Quercus pubescens Willd. (downy oak), Acer opalus Mill. (italian maple), Carpinus betulus L. (european hornbeam), Ostrya carpinifolia Scop. (hop hornbeam). Compared treatments are: natural evolution of the coppice without thinning versus two thinning regimes with different intensity, both aimed to convert the stands into high forests. 1200 and 1600 stems per hectare were released in the conversion plots. Plots, control and treated in 2001, have been measured before and immediately after thinning and remeasured five years later. At the present time, stands are characterized by a basically monolayered structure, in which turkey oak is prevalent in term of basal area. Moreover in thinned areas, losses on the released shoots number are unimportant both in absolute and in percent terms; in control plot, instead, competition by plants of upper storey on the dominated ones means high values of mortality.

Keywords

Aged coppice forest, Quercus cerris L., Conversion into high forest, Natural evolution, Mortality

Premessa e finalità della ricerca 

Le scarse prospettive di mercato degli assortimenti ritraibili dai boschi cedui hanno causato, a partire dalla metà del secolo scorso, una sospensione delle utilizzazioni dei soprassuoli allo scadere dei tradizionali turni; la marginalità economica di tale forma di governo è stata causata sia dalla diffusione dei derivati del petrolio quali fonti energetiche, sia dall’aumentato divario tra prezzo di macchiatico e costo della manodopera. Attualmente, vaste estensioni di boschi cedui, un tempo intensamente utilizzati, sono in fase di invecchiamento, e quindi soggetti a naturali processi di conversione in fustaie.

La gestione dei cedui in generale, e di quelli invecchiati in particolare, ha suscitato notevole interesse già a partire dalla seconda metà del secolo scorso; non pochi Autori hanno infatti esaminato e discusso le problematiche relative al mantenimento del governo a ceduo o alla conversione ad altofusto ([7], [8], [9], [27], [10], [11], [15], [16]).

Relativamente alla gestione dei cedui, i risultati di numerose ricerche hanno migliorato le conoscenze sulle dinamiche evolutive conseguenti agli interventi selvicolturali; molti studi hanno riguardato, in particolare, gli effetti di differenti intensità di matricinatura sulla rinnovazione gamica, sul ricaccio dei polloni e sulla produttività legnosa soprattutto dei cedui di faggio e di cerro, questi ultimi particolarmente studiati a causa della loro diffusione territoriale ([13], [17], [24], [21], [25], [1], [2], [12], [3], [14]).

Parallelamente, sono state avviate indagini sperimentali volte a confrontare e valutare gli effetti di differenti metodi ed intensità di tagli di avviamento a fustaia in cedui di cerro ([20], [4], [5], [23], [18], [6], [22]).

I risultati delle indagini effettuate concordano nel ritenere che nei cedui di proprietà pubblica ricadenti in aree protette, e in presenza di condizioni stazionali favorevoli, soprattutto dal punto di vista edafico, la conversione ad altofusto è un obiettivo indubbiamente auspicabile. Il problema, in tal caso, riguarda la definizione del metodo e della intensità di intervento selvicolturale da attuare.

Il presente studio riporta i risultati di una prova sperimentale di avviamento ad alto fusto condotta in un ceduo misto invecchiato, ascrivibile all’associazione fitosociologica del Doronico-Carpinetum, formazione forestale tra le più interessanti per gli aspetti naturalistici e paesaggistici del Parco Nazionale del Gargano. Questa formazione, nonostante sia abbastanza diffusa sul Gargano, non ha avuto la meritata attenzione per quanto riguarda gli indirizzi programmatici. Ciò ha determinato pesanti condizionamenti antropici che, per ragioni produttive, hanno privilegiato la diffusione delle specie economicamente più convenienti (soprattutto cerro e roverella).

Materiali e metodi 

L’area di studio rientra nel comprensorio boscato denominato “Bosco Cavolecchia”, di proprietà del Comune di Manfredonia (FG), ricadente in Zona 1 del Parco Nazionale del Gargano, ossia nell’area in cui i vincoli posti dalle norme di salvaguardia impongono una gestione maggiormente improntata a criteri naturalistici. Il popolamento esaminato si estende a quote di circa 700 m s.l.m., su una dorsale leggermente degradante con andamento E-O. Il substrato pedologico è caratterizzato da suoli appartenenti all’ordine dei terreni zonali, sottordine B, gruppo delle terre brune, famiglia delle terre brune forestali ([26]). Trattasi di terreni poco profondi, e quindi caratterizzati da modesta fertilità, a causa delle condizioni morfologiche stazionali e dall’eccessiva pressione antropica esercitata fino al recente passato con tagli spesso eccessivi, con l’adozione di turni non sufficientemente lunghi, con carichi di bestiame pascolante superiori alla capacità portante di questi ecosistemi.

Il territorio in esame è caratterizzato da un clima tipicamente mediterraneo, con precipitazioni concentrate per lo più nel periodo autunno-invernale e siccità estiva pronunciata. Le temperature medie annue oscillano intorno ai 13°C. La media annua delle precipitazioni del cinquantennio 1931-1980 è di 826 mm; lo stesso dato, riferito al cinquantennio 1947-1996, ammonta a 774 mm. L’area in questione è ascrivibile alla zona fitoclimatica del Castanetum di Pavari.

Il soprassuolo arboreo è costituito dal cerro (Quercus cerris L.) cui si associano numerose latifoglie decidue della fascia submontana: Ostrya carpinifolia Scop., Carpinus betulus L. e, in misura minore, Acer opalus Mill. e Quercus pubescens Willd. Secondo uno studio di Falinski & Pedrotti ([19]), la vegetazione forestale di tale zona è ascrivibile all’associazione Doronico-Carpinetum diffusamente presente soprattutto nelle fustaie che caratterizzano il comprensorio denominato “Bosco Quarto” (di cui fa parte il “Bosco Cavolecchia”), a quote comprese tra i 500 e gli 800 m s.l.m.

Il ceduo, al momento dell’avvio della sperimentazione, non era utilizzato da circa 40 anni e risultava formato da un piano dominante con prevalenza assoluta di vecchie matricine di cerro di diversa età e da un piano codominante di polloni di cerro e carpino nero. Il piano dominato era rappresentato dal carpino bianco, dall’acero opalo e dalla roverella. In sostanza, la fisionomia del ceduo era caratterizzata dalle piante di cerro che, pur rappresentando 1/3 circa degli individui arborei, facevano registrare dal 45% al 56% circa dell’area basimetrica totale.

Il protocollo sperimentale adottato è stato quello dei blocchi randomizzati. Le tesi prese in esame, replicate 2 volte, sono state:

  • Tesi A - Taglio di avviamento a fustaia con rilascio di circa 1200 allievi ad ettaro;
  • Tesi B - Taglio di avviamento a fustaia con rilascio di circa 1600 allievi ad ettaro;
  • Tesi C - Evoluzione naturale (testimone).

Sono state pertanto realizzate 6 aree di saggio permanenti, di forma quadrata, aventi superficie di 2.500 m² ognuna. Tra le singole aree sono state realizzate fasce “cuscinetto” della larghezza di 10 m, in modo da evitare l’effetto margine.

Nelle 6 aree sperimentali, prima degli interventi selvicolturali, è stato eseguito il cavallettamento di tutti gli individui arborei, distinti per specie (soglia di cavallettamento 3 cm). La stima delle masse legnose è stata eseguita utilizzando una tavola di cubatura locale realizzata in uno studio analogo ([23]).

Gli interventi selvicolturali sono stati eseguiti a fine estate 2001, a circa 40 anni dall’ultima ceduazione; per quanto concerne le modalità e l’intensità degli interventi di avviamento, si è tenuto conto dello stadio di invecchiamento del ceduo e della modesta fertilità del suolo. Operativamente, gli interventi effettuati hanno assunto il carattere di diradamenti dal basso di debole e media intensità.

Dal punto di vista prettamente selvicolturale, nelle aree sottoposte ai tagli di avviamento si è operato come segue:

  • eliminazione di tutte le piante con diametro inferiore a 7.5 cm;
  • diradamento dal basso di intensità variabile e rilascio del pollone fenotipicamente migliore per ceppaia;
  • rilascio di individui appartenenti a specie diverse dal cerro (carpini, acero opalo e roverella), al fine di favorire il grado di mescolanza del futuro soprassuolo;
  • distribuzione delle piante tendenzialmente uniforme su tutta la superficie, al fine di avere una copertura omogenea;
  • rilascio di alcune matricine a chioma espansa, o con cavità lungo il fusto e comunque di interesse estetico e naturalistico.

Nelle aree sottoposte a diradamento, le piante rilasciate dopo il taglio sono state identificate con numeri progressivi scritti sul fusto con vernice indelebile, allo scopo di seguire l’evoluzione del soprassuolo anche a livello di singolo individuo. Nelle aree testimoni sono state numerate solo le piante con diametro superiore a 5 cm; quelle con diametro inferiore a tale soglia, pur non numerate, sono state comunque conteggiate nel corso dei rilievi per una stima corretta ed aggiornata della produzione della massa legnosa in condizioni di evoluzione naturale.

Dopo il taglio di avviamento, i popolamenti sottoposti a diradamento hanno assunto l’aspetto tipico dei soprassuoli coetanei a struttura tendenzialmente monoplana.

Nel 2006, ossia a distanza di 5 anni dall’avvio della sperimentazione, nelle aree di saggio sono stati ripetuti i rilievi dendro-auxometrici, al fine di analizzare le dinamiche evolutive in atto nelle differenti tesi sperimentali poste a confronto.

Risultati 

Le analisi statistiche eseguite sul numero di piante (Tab. 1) e sui valori di area basimetrica (Tab. 2) rilevati nelle aree di saggio all’inizio della sperimentazione, cioè prima della esecuzione degli interventi selvicolturali, hanno evidenziato l’assenza di differenze significative tra i blocchi e nei blocchi; tale verifica è stata ritenuta condizione indispensabile per il prosieguo della ricerca.

Tab. 1 - Analisi della varianza (α=0.05) sul numero di piante presenti nel 2001 (inizio sperimentazione).

Origine
variazione
SQ gdl MQ F Valore di
significatività
F
critico
tra gruppi 1685.333 2 842.6667 0.005644 0.994382 9.552082
nei gruppi 447904.8 3 149301.6 - - -
totale 449590.2 5 - - - -

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Tab. 2 - Analisi della varianza (α=0.05) sul valore di area basimetrica nel 2001 (inizio sperimentazione).

Origine
variazione
SQ gdl MQ F Valore di
significatività
F
critico
tra gruppi 1.410475 2 0.705238 0.027955 0.972683 9.552082
nei gruppi 75.68328 3 25.22776 - - -
totale 77.09376 5 - - - -

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Le Tab. 3 e Tab. 4 mostrano i principali parametri dendrometrici dei soprassuoli studiati rispettivamente agli inizi della sperimentazione (anno 2001) e dopo 5 anni (2006).

Tab. 3 - Principali parametri dendrometrici al 2001 (inizio della sperimentazione).

AdS Tesi Situazione ante diradamento Entità del diradamento Situazione post diradamento
Piante G dg V Piante G dg V Piante G dg V
n ha-1 m2 ha-1 cm m3 ha-1 n ha-1 m2 ha-1 cm m3 ha-1 n ha-1 m2 ha-1 cm m3 ha-1
7 A 3123 32.99 11.6 221.19 1967 10.90 8.4 47.42 1156 22.09 15.6 173.77
12 A 3069 25.69 10.3 166.06 1933 8.48 7.5 35.60 1136 17.20 13.9 130.46
media Tesi A 3096 29.34 11.0 218.07 1950 9.69 8.0 41.51 1146 19.65 14.8 152.12
8 B 3019 34.71 12.1 249.31 1527 8.39 8.4 44.38 1492 26.32 15.0 204.93
10 B 3197 25.72 10.1 178.51 1617 6.22 7.0 31.78 1580 19.50 12.5 146.74
media Tesi B 3108 30.21 11.1 225.00 1572 7.31 7.7 38.08 1536 22.91 13.8 175.83
9 C 2604 31.15 12.3 237.87 - - - - 2604 31.15 12.3 237.87
11 C 3532 27.01 9.9 191.16 - - - - 3532 27.01 9.9 191.16
media Tesi C 3068 29.08 11.0 214.52 - - - - 3068 29.08 11.0 214.52

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Tab. 4 - Principali parametri dendrometrici al 2006.

AdS Tesi Piante G dg V
n ha-1 m2 ha-1 cm m3 ha-1
7 A 1136 25.28 16.8 202.59
12 A 1100 19.48 15.0 150.39
media Tesi A 1118 22.38 16.0 176.49
8 B 1444 28.86 16.0 227.93
10 B 1456 20.95 13.5 160.35
media Tesi B 1450 24.91 14.8 194.14
9 C 1684 30.82 15.3 251.53
11 C 2480 26.67 11.7 211.49
media Tesi C 2082 28.74 13.3 231.51

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Nelle Fig. 1, Fig. 2, Fig. 3 sono riportati i poligoni di frequenza per le tre tesi (valori medi ad ettaro) immediatamente dopo gli interventi ed a distanza di 5 anni.

Fig. 1 - Poligoni di frequenza: avviamento a fustaia con rilascio di 1200 allievi ad ettaro.

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Fig. 2 - Poligoni di frequenza: avviamento a fustaia con rilascio di 1600 allievi ad ettaro.

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Fig. 3 - Poligoni di frequenza: testimone.

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Al momento degli interventi selvicolturali è stato osservato che le piante di cerro, pur rappresentando circa 1/3 dei polloni presenti (Fig. 4), contribuivano per circa il 50% dell’area basimetrica totale (Fig. 5). Ciò in considerazione delle maggiori dimensioni diametriche rispetto alle specie consociate e per il contributo in area basimetrica offerto dalle matricine, prevalentemente di cerro, rilasciate al momento dell’ultima ceduazione. Nel 2001, prima dei tagli di avviamento a fustaia, il diametro medio delle piante di cerro era di poco superiore ai 15 cm, mentre quello delle altre specie oscillava intorno a 9 cm. Immediatamente dopo aver eseguito i tagli di avviamento, tale parametro risultava pari a 18.8 cm e 17.6 cm per il cerro (rispettivamente per le tesi A e B) mentre per le altre specie ammontava a 12.6 cm e 11.1 cm (rispettivamente per le tesi A e B). Le Fig. 4 e Fig. 5 evidenziano inoltre i valori percentuali dopo gli interventi, rispettivamente in termini di piante e di area basimetrica per ettaro, nelle tesi A e B.

Fig. 4 - Rilievo del 2001: differenze percentuali sul numero di individui presenti prima e dopo i diradamenti (valori medi per tesi).

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Fig. 5 - Rilievo del 2001: differenze percentuali in termini di area basimetrica prima e dopo i diradamenti (valori medi per tesi).

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A distanza di 5 anni dagli interventi selvicolturali, le piante di cerro rappresentano in media il 31% e il 36% del totale delle piante presenti, rispettivamente nelle tesi A e B, a cui corrispondono valori percentuali di area basimetrica compresi tra il 50 e il 58% (Fig. 6 e Fig. 7).

Fig. 6 - Rilievo del 2006: differenze percentuali sul numero di individui presenti (valori medi per tesi).

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Fig. 7 - Rilievo del 2006: differenze percentuali in termini di area basimetrica (valori medi per tesi).

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Nelle aree ad evoluzione naturale la percentuale di piante di cerro è aumentata, passando dal 29% al 37% circa. Quanto sopra è da ascriversi alla mortalità che ha interessato prevalentemente le specie consociate.

Nel periodo 2001-2006, la mortalità degli individui arborei è diminuita al crescere dell’intensità di diradamento applicata, variando in media da 28 piante ad ettaro (pari al 2.4% di quelle presenti nel 2001) nelle aree con rilascio di circa 1200 allievi per ettaro, a 86 piante (pari al 5.6%) in quelle con 1600 allievi circa ad ettaro, ad oltre 980 piante (pari al 32.1%) nelle aree ad evoluzione naturale (Tab. 5).

Tab. 5 - Effetti della concorrenza sulla variazione del numero di piante (n ha-1). Medie per tesi.

Tesi Anno 2001
(dopo gli interventi)
Anno 2006 Mortalità
cerro altre
specie
totale cerro altre
specie
totale cerro altre
specie
totale
A 356 790 1146 350 768 1118 6 22 28
B 554 982 1536 520 930 1450 34 52 86
C 884 2184 3068 768 1314 2082 116 870 986

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È stato inoltre osservato che nelle aree ad evoluzione naturale, per effetto della concorrenza, la mortalità ha inciso maggiormente sugli individui del piano dominato, per gran parte rappresentati da specie consociate al cerro, tanto da far registrare una diminuzione del valore di area basimetrica (Tab. 6); al contrario, nelle aree sottoposte al taglio di avviamento le dinamiche evolutive sono state meno accentuate, probabilmente a causa sia della minore differenziazione sociale tra gli individui del popolamento, sia delle migliori condizioni ecologiche conseguenti agli interventi selvicolturali. Dinamiche simili, in cui si registra un aumento percentuale sia del numero di individui, sia di area basimetrica del cerro rispetto alle specie accessorie, sono state già osservate in altri cedui del Gargano sottoposti ad avviamento ([22]) e confermano quanto osservato, in analoghe prove sperimentali, da Fabbio & Amorini ([18]) e da Amorini et al. ([6]).

Tab. 6 - Effetti della concorrenza sulla variazione dell’area basimetrica (m2 ha-1). Medie per tesi.

Tesi Anno 2001
(dopo gli interventi)
Anno 2006 Incremento periodico
cerro altre
specie
totale cerro altre
specie
totale cerro altre
specie
totale
A 9.85 9.80 19.65 11.10 11.28 22.38 1.25 1.48 2.74
B 13.41 9.49 22.91 14.43 10.48 24.91 1.01 0.98 2.00
C 16.32 12.76 29.08 17.30 11.44 28.74 0.99 -1.33 -0.34

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Per verificare l’esistenza di differenze in termini di mortalità, verificatesi nel periodo 2001-2006, dipendenti anche dalla specie considerata oltre che dalle tesi sperimentali poste a confronto, è stata eseguita l’analisi della varianza a due criteri di classificazione.

Il test statistico ha confermato che entrambi i fattori di variabilità, ossia la specie e la tesi, svolgono un ruolo significativo (ad una probabilitàα=0.05) sulla mortalità (Tab. 7). Trattandosi di proporzioni (numero di piante morte tra il 2001 e il 2006 rispetto al numero di piante vive registrate nel 2001), è stata preventivamente eseguita la trasformazione angolare dei dati di mortalità: φ = arcsen √P, dove p = morte/vive_2001.

Tab. 7 - Analisi della varianza a due criteri di classificazione della mortalità (α=0.05).

Origine della
variazione
SQ gdl MQ F Valore di
significatività
F critico
Specie 0.571714 4 0.142929 4.891199 0.010016 3.05556824
Tesi 1.3897 2 0.69485 23.77865 2.23E-05 3.68231667
Interazione 0.882586 8 0.110323 3.775404 0.012851 2.64079603
Errore 0.438324 15 0.029222 - - -
Totale 3.282324 29 - - - -

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Anche per gli incrementi correnti di area basimetrica nel periodo 2001-2006, l’ANOVA ha evidenziato differenze statisticamente significative (Tab. 8).

Tab. 8 - Analisi della varianza (α=0.05) degli incrementi di area basimetrica nel periodo 2001-2006.

Origine
variazione
SQ gdl MQ F Valore di
significatività
F critico
tra gruppi 10.31598 2 5.15799 15.44186 0.026344824 9.552094
nei gruppi 1.00208 3 0.334027 - - -
totale 11.31806 5 - - - -

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Discussione dei risultati e conclusioni 

La lunghezza dei cicli di vita dei soprassuoli forestali, lo studio delle dinamiche di sviluppo degli stessi e la valutazione degli effetti di determinati interventi selvicolturali richiedono adeguati periodi di osservazione e di monitoraggio. I protocolli sperimentali basati su aree di saggio a carattere permanente, sottoposte a rilievi periodici, rappresentano un metodo efficace ed insostituibile nella raccolta dei dati e nella validazione di alcune ipotesi.

La definizione e l’applicazione di idonei criteri di gestione dei cedui misti del Doronico-Carpinetum del Gargano, ai fini di una loro futura conversione in fustaie, è resa complicata dalla carenza di modelli di riferimento.

I risultati delle indagini sperimentali eseguiti sui soprassuoli in esame, ancorché preliminari dato il relativamente breve tempo intercorso dall’impostazione delle stesse, rappresentano quindi un primo approccio alla problematica esaminata, e consentono di effettuare alcune prime valutazioni.

Le due intensità di diradamento effettuate, avendo maggiormente inciso sulla componente dominata, hanno conferito ai soprassuoli transitori strutture tipiche di giovani fustaie coetanee. A distanza di 5 anni è possibile affermare che le aree sottoposte ad interventi di avviamento hanno fatto registrare:

  • una trascurabile mortalità sia in termini assoluti, sia percentuali, sul numero di allievi rilasciati in piedi, con una relazione diretta rispetto al numero di allievi rilasciati in piedi;
  • un maggior incremento sia in termini di area basimetrica e, conseguentemente, anche di volume, con una relazione inversa rispetto agli allievi rilasciati. Al contrario, nelle aree ad evoluzione naturale la concorrenza esercitata dalle piante del piano dominante su quelle sottoposte ha fatto registrare elevati valori di mortalità; come conseguenza, la mortalità in termini di area basimetrica è stata maggiore dell’incremento della stessa nelle piante vive. Tale risultato è però dovuto a due effetti di segno opposto:
  • le piante di cerro hanno riportato una minore mortalità, tanto da avere un incremento positivo di area basimetrica;
  • la riduzione numerica ha invece inciso in misura notevole sulle altre specie, tanto che l’incremento di area basimetrica delle stesse ha assunto un valore negativo.

In sostanza, l’esecuzione dei diradamenti finalizzati all’avviamento ad altofusto ha anticipato alcune dinamiche che sono state comunque osservate nelle aree ad evoluzione naturale. In queste ultime infatti, sono in atto alcuni fenomeni, soprattutto di competizione intra ed inter-specifica che, per effetto della complessità strutturale di un ceduo e della differente posizione sociale degli individui che lo compongono, si esplicano a differenti livelli: tra i polloni di una stessa ceppaia, tra polloni appartenenti a ceppaie differenti, tra questi e le matricine.

Nei soprassuoli oggetto di studio, tenuto conto della mortalità e dell’incremento registrati nel quinquennio considerato, il rilascio di circa 1200 allievi ad ettaro rappresenta l’opzione che ha evidenziato i migliori risultati.

Ringraziamenti 

Si ringrazia il Comune di Manfredonia per aver consentito la realizzazione delle aree sperimentali. Si ringraziano altresì i Revisori, i cui preziosi suggerimenti hanno consentito di migliorare il lavoro. Il presente lavoro è stato svolto dagli Autori in parti uguali.

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