*

Influence of thinnings on wood production in a Turkey oak (Quercus cerris L.) in southern Italy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 6, Pages 173-185 (2009)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0581-006
Published: May 19, 2009 - Copyright © 2009 SISEF

Research Articles

Abstract

The authors report the results of experimental investigations about forest growth, yield and quality of timber assortments, carried out in Turkey oak high forest stands, grown after shelterwood cuttings applied on a wide forest area. The results, obtained after about 20 years of testing, relate to two different intensity of thinning “from below”, compared with areas left to natural evolution. Moreover, some data are reported about the production of litter on a period immediately following the experimental fellings; finally, some comments are made on economic and financial results resulting from intermediate thinnings.

Keywords

Forestry, Growth, Yield, Timber assortment quality, Taper function, Turkey oak, High forests, Gargano

Introduzione 

Il tema relativo all’opportunità di coltivare i boschi per un loro uso conservativo non è nuovo né in Italia né all’estero, nonostante il concetto di gestione durevole fosse ben noto da epoche remote.

Un dibattito che risale a circa 20 anni fa, incentrato sull’inopportunità di coltivare i boschi, si basava soprattutto su dati di letteratura. Secondo qualche sostenitore di questa teoria ([5]) non sarebbe opportuno coltivare i boschi dato che:

  1. la produzione legnosa non è influenzata positivamente dagli interventi colturali;
  2. la realizzazione di tagli intercalari spesso non è remunerativa;
  3. la realizzazione dei tagli intercalari può peggiorare i meccanismi di difesa del bosco nei confronti di alcune avversità.

L’argomento, per la sua intrinseca importanza, stimolò diversi contributi scientifici tra i quali spiccava quello del Prof. De Philippis, uno dei Padri fondatori della Selvicoltura italiana, che nel 1986 così si esprimeva in proposito “che i tagli intercalari non apportino apprezzabili variazioni alla produzione totale (intercalare+definitiva) di massa legnosa, per lo meno nei soprassuoli a turni lunghi o medi è ormai un fatto ben noto, ma è altrettanto noto che essi ci consentono di modificare sostanzialmente la ripartizione di detta massa in assortimenti di varia qualità e valore” ([7]).

Il Leibundgut, citato dallo stesso De Philippis, già nella terza edizione del suo trattato sulla “Cura del bosco” (1984), parla del diradamento selettivo come trattamento per una produzione di massimo valore. A sostegno dell’opportunità di applicare appropriati interventi colturali ai boschi giocano le relazioni esistenti sul piano ecologico e fisiologico tra accrescimento e vari tipi di diradamento. Altri riferimenti, per alcuni aspetti antesignani per l’epoca cui ci si riferisce, riguardano le relazioni tra interventi selvicolturali ed efficienza funzionale, nonché stabilità del bosco. L’illustre Maestro, giustamente, considerava errata allo stesso modo la visione esclusivamente produttiva di massa legnosa e le funzioni esclusivamente ambientali dimenticando che l’una e le altre sono strettamente interdipendenti e legate al grado di efficienza funzionale del bosco. Sull’argomento relativo all’opportunità di eseguire i diradamenti per accrescere sia la stabilità dei soprassuoli forestali, sia per migliorare la qualità del prodotto realizzabile alla fine del turno, sia per prolungare la longevità del bosco, sia per finalità naturalistiche, ci fu un vivace dibattito cui parteciparono Piussi ([20]) e Bernetti ([1]).

Il presente contributo riporta i risultati di indagini dendro-auxometriche, dopo circa 20 anni di sperimentazione, relative a due differenti intensità di diradamento di tipo basso, confrontate con aree lasciate ad evoluzione naturale, in una fustaia di querce (a prevalenza di cerro) originata da tagli successivi uniformi applicati su vaste superfici.

La ricerca sperimentale prende in esame in modo particolare le produzioni ottenibili in termini sia qualitativi che quantitativi.

Vengono infine riportati alcuni dati sulla produzione di lettiera relativi ad un periodo immediatamente successivo alla realizzazione degli interventi selvicolturali ed alcune considerazioni di carattere economico-finanziario conseguenti all’anticipazione dei redditi derivanti dai tagli intercalari.

Materiali e metodi 

Il bosco in esame è costituito da una fustaia in cui il taglio di rinnovazione fu iniziato nel 1915, praticamente interrotto durante il primo conflitto mondiale, e completato nel 1920. Successivamente sono stati eseguiti i tagli secondari e di sgombero delle piante del vecchio ciclo ([13]).

In definitiva, quindi, si può affermare che il popolamento in esame prima degli interventi sperimentali non aveva subito alcun intervento selvicolturale e che le aree testimoni sono rappresentative del bosco che, in queste condizioni ambientali, si è evoluto naturalmente.

Da dati di archivio e da informazioni assunte risulta che si trattò di un taglio molto intenso, quasi un taglio con riserva, eseguito per ottenere soprattutto traverse ferroviarie, legname da opera per imbarcazioni e legna da ardere. Il bosco fu chiuso al pascolo e, per oltre 40 anni, assunse l’aspetto di un denso forteto in cui, da un punto di vista quantitativo, dominavano il prugnolo e il biancospino, mentre il cerro e le specie arboree che ad esso si accompagnano (acero campestre, acero opalo, carpino bianco, carpino nero), erano numericamente dominate. Successivamente c’è stata una progressiva evoluzione strutturale e vegetazionale per cui, al momento dell’avvio della sperimentazione (circa 70 anni dai tagli di rinnovazione) si era in presenza di una fustaia a prevalenza di cerro con le suddette specie arboree di accompagnamento relegate soprattutto nel piano dominato e codominante. Lo strato arbustivo mancava quasi del tutto mentre tra le specie tipiche dello strato erbaceo erano presenti Mercurialis perennis, Anemone apennina, Ranunculus sp.,Geranium sp. Sanicula europaea, Physospermum verticillatum, Lathyrus sp., Teucrium siculum.

Le aree sono dislocate nel complesso forestale “Bosco Quarto” del Comune di Monte Sant’Angelo (FG) in località“Inversa dei cerri”, e sono comprese nel perimetro del Parco Nazionale del Gargano. Sono situate ad una quota compresa tra 650 e 700 m s.l.m., sono esposte a Nord su suoli costituiti da terre brune forestali e terre rosse, le prime molto ricche di humus, su matrice dolomitica o su calcari paleogenici, le seconde con struttura compatta e con grosse quantità di argilla. Il clima della zona è in generale di tipo mediterraneo con precipitazioni concentrate nel periodo autunnale-invernale ed in minor misura in quello primaverile. A ciò si contrappone un periodo di accentuata siccità estiva, in particolare fra i mesi di luglio e agosto, durante i quali, al valore minimo delle precipitazioni corrisponde il valore massimo delle temperature. Le cerrete sono localizzate nella parte Sud-ovest del “Bosco Quarto”, si estendono su di una superficie di circa 900 ha, formano un insieme abbastanza compatto anche se con confini molto frastagliati ([8], [19]).

Il materiale di studio è rappresentato da 9 aree sperimentali della superficie di 0.5 ettari cadauna, in cui ogni pianta è stata numerata e catalogata per dimensioni diametriche e per entità tassonomica.

Le tesi poste a confronto, replicate tre volte, secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati, sono state:

  • TESI A - Testimone (nessun intervento)
  • TESI B - Diradamenti di tipo basso e di grado debole all’età di 70 e 82 anni
  • TESI C - Diradamento di tipo basso e di grado forte all’età di 70 anni.

Lo schema sperimentale a blocchi randomizzati permette il confronto comparato delle differenze tra i diversi fattori sperimentali: ogni blocco contiene un numero di unità sperimentali pari al numero di tesi poste a confronto e tutte le tesi sono rappresentate in ciascun blocco. Inoltre lo schema sperimentale è bilanciato e permette di scomporre la variabilità sperimentale nelle due componenti principali: quella dovuta ai trattamenti impartiti (variabilità principale) e quella dovuta al raggruppamento in blocchi (variabilità secondaria - [2]). In ogni area sono state inoltre individuate, con criteri sistematici, 3 parcelle della superficie di 9 m2 cadauna, opportunamente recintate, in cui per 4 anni a partire dagli interventi sperimentali, è stata raccolta la lettiera prodotta suddivisa in foglie, parti legnose, semi.

Le aree sperimentali sono state sottoposte a monitoraggio periodico relativamente alla mortalità naturale, ai danni dovuti a sollecitazioni da parte di agenti meteorici, alla crescita delle piante e alla produzione di lettiera (relativamente al periodo 1989-92).

Nell’estate del 1998 è stata condotta un’indagine allo scopo di valutare, in relazione ai trattamenti selvicolturali impartiti alcuni anni prima, alcuni aspetti quali-quantitativi dei fusti delle piante di cerro. Ciò è avvenuto mediante misurazioni quantitative dirette e con stime qualitative realizzate con metodologia dedotta in parte da quanto già realizzato per uno studio preliminare sulla qualità del legno di cerro del Gargano ([17]).In questo contesto per qualità del fusto si intendono alcune caratteristiche che influenzano l’impiego tecnologico del legname ricavabile dai popolamenti in esame. Nel dettaglio sono stati presi in considerazione: le sezioni del fusto a varie altezze, la circolarità della sezione a 2 m, i nodi, le ginocchiature, le sciabolature, le biforcature, la presenza di ferite e altri difetti. I rilievi, limitati alle sole piante di cerro, sono stati effettuati procedendo lungo la diagonale di ogni parcella, partendo dal vertice superiore sinistro e misurando 20 piante in modo alternato (una si ed una no). I rilievi effettuati hanno riguardato i seguenti parametri:

  • misura dei diametri a diverse sezioni da terra, a partire da 1 m fino a 9-10 m (cavalletto dendrometrico, cavalletto ottico di Wheeler e asta graduata);
  • misura dei diametri in croce all’altezza di 2 m (cavalletto dendrometrico e asta graduata);
  • conteggio del numero e misura dell’altezza dei nodi (asta graduata); stima a vista del tipo di nodo (nodo sano, nodo cadente) e delle dimensioni (classi dimensionali: ø < 5 cm Ia classe; 5 cm < ø < 10 cm IIa classe; ø >10 cm IIIa classe);
  • conteggio, descrizione e misura dell’altezza di altri difetti (sciabolature, biforcature, marciumi, monconi, ginocchiature, ferite).

In merito alla misura dei diametri a diverse sezioni da terra si aveva un duplice scopo: da una parte poter effettuare una valutazione quantitativa delle sezioni diametriche a varie altezze comparando eventuali differenze tra le tesi; dall’altra quello di costruire una funzione di profilo in modo da poter valutare eventuali differenze anche dal punto di vista della forma. Le funzioni di profilo nascono a seguito di studi dendrometrici improntati alla descrizione analitico-matematica della forma del profilo dei fusti arborei ([6]). A partire dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso, sono state elaborate equazioni basate su modelli a struttura funzionale singola. In questi modelli una sola equazione descrive l’intero profilo del fusto. Gli studi di Kozak et al. ([12]) sono alla base delle funzioni di profilo a struttura singola che hanno la formula generale del tipo: f(h/H) = d2/D2. Nella fattispecie si è optato per un modello a struttura funzionale singola, impiegando come variabile dipendente il diametro delle sezioni da 1 a 9-10 m.

Poichè si tratta di piante con altezze totali superiori a 10 m e dispondendo di un intervallo di misure compreso tra 1 e 10 m, il profilo perequato è valido per le sezioni comprese in tale intervallo. Inoltre non disponendo della misura reale dell’altezza totale (Htot), per la costruzione del modello è stato utilizzato il valore di Htot calcolato dalla curva ipsometrica elaborata da La Marca et al. ([15]) per le aree in questione. Per quanto riguarda in dettaglio i risultati dendro-auxometrici e quelli relativi alla stabilità del cerro, si rimanda ai lavori di La Marca et al. ([16], [14]).

Risultati 

Per quanto riguarda la crescita in termini di massa legnosa, è stato osservato che le aree sperimentali, perfettamente confrontabili al momento dell’avvio della sperimentazione, hanno avuto una sostanziale differenziazione in termini di massa corrente per effetto del trattamento praticato (Fig. 1). Il confronto eseguito sulla massa totale evidenzia con particolare efficacia i risultati conseguiti.

Fig. 1 - Andamento della massa corrente e della massa totale. Dati medi per ettaro delle aree sperimentali.

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Per quanto riguarda la massa corrente, all’età attuale, i maggiori volumi si hanno nelle aree testimoni (circa 500 m3 ad ettaro), mentre i volumi più bassi si registrano nelle aree sottoposte a diradamento di grado forte (circa 420 m3 ad ettaro).

Per quanto riguarda la massa totale, invece, sebbene le differenze non siano sostanziali e statisticamente non significative, i maggiori valori si hanno per le aree fortemente diradate (Tab. 1, Tab. 2).

Tab. 1 - Principali parametri dendrometrici delle aree sperimentali (dati riferiti ad ettaro). Le differenze tra l’inventario del 1988 prima degli interventi e l’inventario del 1988 dopo gli interventi sono da attribuire alla presenza di piante morte o deperienti e quindi non inventariate in entrambi i rilievi. Test: testimone; Dir.Deb: diradamento debole; Dir.For: diradamento forte; N_pte: Numero di piante; Dg: diametro medio di area basimetrica; G: area basimetrica; V: volume.

Anno Tesi N_pte Dg [cm] G [m²] V [m³]
1988
Ante-diradamento
Test 700 25.29 35.17 383.37
Dir.Deb 854 23.10 35.80 379.23
Dir.For 892 22.71 36.14 381.63
1988
Entità diradamento
Test 0 - - -
Dir.Deb 387 13.97 5.94 43.59
Dir.For 509 16.69 11.14 100.58
1988
Post-diradamento
Test 663 25.72 34.47 384.03
Dir.Deb 467 28.54 29.86 335.64
Dir.For 383 28.84 25 281.05
2000
Ante-diradamento
Test 545 31.03 41.24 469.15
Dir.Deb 431 32.79 36.42 416.62
Dir.For 376 33.54 33.22 376.16
2000
Entità diradamento
Test 0 - - -
Dir.Deb 112 25.18 5.58 60.78
Dir.For 0 - - -
2000
Post-diradamento
Test 545 31.03 41.24 469.15
Dir.Deb 319 35.05 30.81 355.85
Dir.For 376 33.54 33.22 376.16
2006
Piante morte
Test 477 34.10 43.53 500.36
Dir.Deb 302 37.60 33.54 390.20
Dir.For 364 35.70 36.43 419.58
1988-2006
Piante morte e/o
danneggiate
Test 186 15.82 3.67 34.45
Dir.Deb 53 25.48 2.72 30.16
Dir.For 19 22.08 0.74 7.44

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Tab. 2 - Incrementi periodici ed incrementi correnti di massa totale nel periodo 1988-2006. Dati riferiti ad ettaro delle singole aree di saggio e valori medi per tesi.

Inversa dei Cerri 1988 -2006 1988-2000
ante diradamento
2000 -2006
post diradamento
Area di saggio
(AdS)
Incr_periodico
[m³]
Incr_periodico
[m³]
Incr_corrente
[m³]
Incr_periodico
[m³]
Incr_corrente
[m³]
1 93.609 69.984 5.832 23.625 3.937
6 138.767 101.262 8.438 37.505 6.251
8 118.591 86.108 7.176 32.484 5.414
TEST. Valore medio 116.989 85.785 7.149 31.204 5.201
2 84.834 52.090 4.341 32.744 5.457
5 145.832 102.123 8.510 43.709 7.285
7 115.335 88.747 7.396 26.588 4.431
DIR 15% Valore medio 115.334 80.987 6.749 34.347 5.725
3 140.648 97.295 8.108 43.354 7.226
4 120.327 85.739 7.145 34.588 5.765
9 154.616 102.320 8.527 52.296 8.716
DIR 30% Valore medio 138.530 95.118 7.926 43.413 7.235

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I dati di incremento periodico di massa totale relativi al periodo 1988-2006, sottoposti ad analisi della varianza, non hanno manifestato differenze significative fra le tesi.

I dati relativi alla lettiera hanno confermato innanzitutto che, durante il periodo di osservazione, il ritorno in sostanza organica al suolo è notevole e che la biomassa fogliare rappresenta circa i 2/3 della lettiera (Fig. 2 e Fig. 3, Tab. 3).

Fig. 2 - Valori medi annui della biomassa fogliare ripartita per tesi (Mg ha-1).

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Fig. 3 - Valori medi annui della lettiera ripartita per tesi (Mg ha-1).

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Tab. 3 - Valori medi relativi alla produzione annuale di biomassa fogliare e lettiera. (*): valori espressi in Mg ha-1.

Tesi Anno N Biomassa foglie* Lettiera*
Diradamento 15% 1989 3 4.04 5.51
1990 3 4.05 5.78
1991 3 3.54 4.63
1992 3 3.41 5.65
Diradmento 33% 1989 3 2.72 5.4
1990 3 3.61 5.45
1991 3 3.29 4.47
1992 3 2.74 3.85
Testimone 1989 3 3.09 4.48
1990 3 4.75 4.75
1991 3 4.06 6.13
1992 3 3.51 5.76

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La lettiera, in termini di sostanza secca, almeno per il periodo considerato, supera l’incremento legnoso prodotto dal bosco, indipendentemente dal trattamento praticato.

Un’ulteriore considerazione riguarda la rapidità con la quale la cerreta, una volta sottoposta a tagli intercalari, ristabilisce i livelli di area fogliare preesistenti al diradamento. Dalle osservazioni di campagna è emerso che ciò è dovuto all’abbondante emissione di rami epicormici in conseguenza del diradamento. Man mano che le piante ampliano la loro chioma, i rami epicormici tendono a scomparire.

L’analisi della varianza condotta sulla variabile biomassa foglie ha evidenziato differenze significative nelle medie dei totali dei quantitativi prodotti nel periodo dal 1989 al 1992. In particolare è la tesi Diradamento 33% ad avere prodotto mediamente un minor quantitativo di biomassa fogliare. Non ci sono, invece, differenze significative per la lettiera. Nelle Tab. 4 e Tab. 5 vengono riportate rispettivamente le statistiche descrittive e le statistiche dell’analisi della varianza per le variabili dipendenti biomassa foglie e lettiera nel periodo 1989-1992.

Tab. 4 - Statistiche descrittive.

Trattamento Biomassa foglie Lettiera
Means N Std. Dev. Std. Err. Means N Std.Dev. Std.Err.
Diradamento 15% 3.758750 12 0.556047 0.160517 5.392500 12 0.910577 0.262861
Diradamento 33% 3.088417 12 0.433286 0.125079 4.791417 12 1.019563 0.294322
Testimone 3.853250 12 0.711003 0.205249 5.745917 12 0.886933 0.256036
All Grps 3.566806 36 0.659002 0.109834 5.309944 36 0.997103 0.166184

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Tab. 5 - Analisi della varianza. Variabili dipendenti: Biomassa foglie; Lettiera; Gruppi: Diradamento 15%; Diradamento 33%; Testimone.

Variable SS df MS SS df MS F p
Effect Effect Effect Error Error Error
biomassa foglie 4.172988 2 2.086494 11.02696 33 0.334150 6.244178 0.005013
lettiera 5.589099 2 2.794550 29.20840 33 0.885103 3.157316 0.055633

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Il diagramma in Fig. 4 mostra come la tesi diradamento 33% abbia mediamente prodotto un quantitativo di biomassa fogliare significativamente inferiore alle altre due tesi.

Fig. 4 - Quantitativi medi di biomassa foglie nel periodo 1989-1992. Valori espressi in Mg ha-1 anno-1.

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Infine la Tab. 6 riporta la posticipazione dei ricavi ottenuti dai diradamenti secondo la variazione dei prezzi pubblicata dall’ISTAT e secondo i rendimenti che, per il periodo in esame, hanno offerto i titoli di Stato.

Tab. 6 - Posticipazioni ricavi diradamenti. Valori ad ettaro. (*): I rendimenti dei BTP sono stati desunti dai titoli a scadenza ventennale nel 2008.

Interventi
intercalari
Anno 1988:
ricavi (€)
Anno 2000:
ricavi (€)
Ricavi aggiornati
al 2006
(ISTAT - €)
Ricavi aggiornati secondo
i rendimenti BTP
rif. 1988-2006*(€)
Diradamento forte 1639.23 0.00 3067 4589.86
Diradamento debole 676.56 1098.50 2525 3651.97

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Diametri delle sezioni a diverse altezze da terra

La Fig. 5 mostra che, per ogni sezione, la tesi diradamento forte ha diametri con valori superiori alle altre due tesi. L’analisi della varianza ha confermato che tali differenze sono statisticamente significative (Tab. 7). Inoltre, le differenze tra le tesi diradamento debole e testimone sono minime, anzi a certe altezze (a partire da 5-6 m circa) il testimone mostra valori leggermente superiori. Sempre dalla Fig. 5 si nota che i diametri delle sezioni lungo il profilo del fusto seguono un andamento tendenzialmente decrescente precedendo dal basso verso l’alto; tuttavia si osserva una netta inversione di tendenza con andamento crescente, generalizzato per le tre tesi, a partire da 8 m.

Fig. 5 - Profilo dei diametri medi, ripartiti per tesi, delle sezioni lungo il fusto a partire da 1 a 10 m. Test: testimone; Dir deb: diradamento debole; Dir for: diradamento forte.

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Tab. 7 - ANOVA per la variabile dipendente Diametro sezioni (Dsez). (a) Variabili di raggruppamento: tesi (Test, Dirdeb, Dirfor), ripetizioni (Rip: 3), altezza delle sezioni (Hsez: 10); (b) Variabili di raggruppamento: altezza delle sezioni (Hsez: 10); gruppo condizioni favorevoli - condizioni sfavorevoli (ID_grp: 2). SS: somma dei quadrati; df: gradi di libertà; MS: media dei quadrati.

Dependent
Variable
SS
Effect
df
Effect
MS
Effect
SS
Error
df
Error
MS
Error
F p
(a) Dsez 23166.21 83 279.1110 102538.0 1424 72.00702 3.876164 0.000000
(b) Dsez 19188.09 18 1066.005 106516.1 1489 71.53534 14.90179 0.000000

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Invece raggruppando i dati per parcella e limitandoci alla porzione di fusto da 1 ad 8 m, è da osservare la formazione di due gruppi distinti: il primo gruppo formato dalle parcelle 1, 2, 3 e 4; il secondo formato dalle parcelle 5, 6, 7, 8 e 9 (Fig. 6). Nei due raggruppamenti sono rappresentate quasi alla pari tutte le tesi.

Fig. 6 - Profili dei diametri medi delle sezioni da 1 a 8 metri, ripartiti per parcella con indicazione della tesi. t = testimone; dd = diradamento debole; df = diradamento forte. Il numero identifica l’area di saggio.

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Un tale raggruppamento, dovuto essenzialmente all’effetto delle ripetizioni, potrebbe spiegarsi con una variazione delle condizioni micro-stazionali: più favorevoli nel primo raggruppamento, meno favorevoli nel secondo. L’analisi delle varianza condotta su questi due raggruppamenti di parcelle ha mostrato differenze statisticamente significative fra le sezioni dei diametri a varie altezze da terra (Tab. 7).

Funzioni di profilo

Una funzione di profilo (taper function) serve per rispondere alla domanda: a quale altezza (hsez) si trova la sezione del fusto che ha diametro pari a dsez?

Le funzioni di profilo elaborate per le aree di Inversa dei Cerri sono derivate a partire dalla relazione di Kozak et al. ([12]): hsez /Htot = d2sez /D2130. Le curve perequatrici sono state valutate in base all’esame del coefficiente di determinazione R2 che descrive la proporzione tra la variabilità dei dati e la correttezza del modello regressivo utilizzato. Le curve che meglio approssimano tale relazione hanno formule di tipo esponenziale (eqn. 1):

\begin{equation} y = a \cdot b^x \end{equation}

dove x = d2sez / D2130, y = hsez / Htot e a e b sono parametri positivi.

Previa linearizzazione, i parametri a e b delle equazioni di regressione sono stati stimati secondo il metodo dei minimi quadrati che si adatta al caso di modelli perequativi a struttura funzionale singola ([6]).

Successivamente si è cercato di vincolare i modelli facendo in modo che per dsez = D130 le funzioni fornissero come risultato di hsez un valore uguale a 1.3 metri. Per fare questo è stato necessario sottrarre una costante, individuata empiricamente, pari a 1.2 per le aree trattate ed a 1.3 per le aree testimone.

Posto che 10 > hsez > 1 e per x = d2sez / D2130, le tre equazioni finali per le funzioni di profilo relative alle tesi sperimentali sono:

  • testimone: hsez = -1.3+[(2.18 · 0.04x ) · Htot ];
  • diradamento debole: hsez = -1.2+[(1.65 · 0.05x ) · Htot ];
  • diradamento forte: hsez = -1.2+[(2.1 · 0.04x ) · Htot ];

A titolo di esempio si riportano in Tab. 8 alcuni valori di altezza della sezione ottenuti dalle funzioni di profilo, partendo da coppie di valori di diametro a 1.3 m (D130, cm) e diametro della sezione (cm).

Tab. 8 - A) Testimone; (B) Diradamento debole; (C) Diradamento forte. Le altezze sono espresse in metri.

(A) Diametro delle sezioni
D130 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40
28 9.2 7.5 6 4.7 3.6 2.7 1.9 1.3 - - - - - - - - - - - -
29 - 8.8 7.2 5.8 4.6 3.5 2.7 1.9 1.3 - - - - - - - - - - -
30 - - 8.5 7 5.6 4.5 3.5 2.6 1.9 1.3 - - - - - - - - - -
31 - - - 8.2 6.7 5.5 4.4 3.4 2.6 1.9 1.3 - - - - - - - - -
32 - - - - 7.9 6.5 5.3 4.3 3.3 2.6 1.9 1.3 - - - - - - - -
33 - - - - - 7.6 6.3 5.2 4.2 3.3 2.5 1.9 1.3 - - - - - - -
34 - - - - - 8.7 7.3 6.1 5 4.1 3.2 2.5 1.9 1.3 - - - - - -
35 - - - - - - 8.4 7.1 5.9 4.9 4 3.2 2.5 1.9 1.3 - - - - -
36 - - - - - - - 8.1 6.9 5.7 4.8 3.9 3.1 2.4 1.8 1.3 - - - -
37 - - - - - - - - 7.8 6.7 5.6 4.6 3.8 3.1 2.4 1.8 1.3 - - -
38 - - - - - - - - 8.8 7.6 6.5 5.4 4.5 3.7 3 2.4 1.8 1.3 - -
39 - - - - - - - - - 8.6 7.4 6.3 5.3 4.4 3.7 3 2.4 1.8 1.4 -
40 - - - - - - - - - - 8.3 7.2 6.1 5.2 4.3 3.6 2.9 2.3 1.8 1.4
(B) Diametro delle sezioni
D130 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40
28 7.8 6.4 5.2 4.2 3.3 2.5 1.8 1.2 - - - - - - - - - - - -
29 8.9 7.5 6.2 5.1 4.1 3.2 2.4 1.8 1.2 - - - - - - - - - - -
30 - 8.6 7.2 6 4.9 4 3.1 2.4 1.8 1.2 - - - - - - - - - -
31 - - 8.2 6.9 5.8 4.8 3.9 3.1 2.4 1.8 1.3 - - - - - - - - -
32 - - - 7.9 6.7 5.6 4.6 3.8 3 2.3 1.8 1.3 - - - - - - - -
33 - - - - 7.7 6.5 5.5 4.5 3.7 3 2.3 1.8 1.3 - - - - - - -
34 - - - - 8.6 7.4 6.3 5.3 4.4 3.6 2.9 2.3 1.8 1.3 - - - - - -
35 - - - - - 8.3 7.2 6.1 5.2 4.3 3.5 2.9 2.3 1.7 1.3 - - - - -
36 - - - - - - 8 6.9 5.9 5 4.2 3.5 2.8 2.2 1.7 1.3 - - - -
37 - - - - - - 8.9 7.8 6.7 5.8 4.9 4.1 3.4 2.8 2.2 1.7 1.3 - - -
38 - - - - - - - 8.6 7.5 6.5 5.6 4.8 4 3.3 2.7 2.2 1.7 1.3 - -
39 - - - - - - - - 8.4 7.3 6.4 5.5 4.7 3.9 3.3 2.7 2.2 1.7 1.3 -
40 - - - - - - - - - 8.1 7.1 6.2 5.3 4.6 3.9 3.2 2.7 2.2 1.7 1.3
(C) Diametro delle sezioni
D130 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40
28 8.9 7.3 5.8 4.6 3.5 2.6 1.9 1.3 - - - - - - - - - - - -
29 - 8.5 7 5.6 4.5 3.5 2.6 1.9 1.3 - - - - - - - - - - -
30 - - 8.2 6.7 5.5 4.3 3.4 2.6 1.9 1.3 - - - - - - - - - -
31 - - - 7.9 6.5 5.3 4.2 3.3 2.5 1.9 1.3 - - - - - - - - -
32 - - - - 7.6 6.3 5.1 4.1 3.2 2.5 1.9 1.3 - - - - - - - -
33 - - - - - 7.3 6.1 5 4 3.2 2.5 1.8 1.3 - - - - - - -
34 - - - - - 8.4 7.1 5.9 4.8 3.9 3.1 2.4 1.8 1.3 - - - - - -
35 - - - - - - 8.1 6.8 5.7 4.7 3.8 3.1 2.4 1.8 1.3 - - - - -
36 - - - - - - - 7.8 6.6 5.6 4.6 3.8 3 2.4 1.8 1.3 - - - -
37 - - - - - - - 8.8 7.6 6.4 5.4 4.5 3.7 3 2.4 1.8 1.3 - - -
38 - - - - - - - - 8.5 7.3 6.3 5.3 4.4 3.6 2.9 2.3 1.8 1.3 - -
39 - - - - - - - - - 8.3 7.1 6.1 5.1 4.3 3.6 2.9 2.3 1.8 1.3 -
40 - - - - - - - - - - 8 6.9 5.9 5 4.2 3.5 2.9 2.3 1.8 -

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Diametri in croce all’altezza di 2 metri

Il rapporto d/D (d = diametro minore, D = diametro maggiore) per la sezione a 2 m dice che in tutte le tesi la maggior parte delle piante ha un rapporto d/D < 1 (testimone 80%; diradamento debole = 73%; diradamento forte = 87%). Il valore medio del rapporto d/D a 2 m oscilla nelle tre tesi tra 0.95 e 0.96 (testimone = 0.95; diradamento debole = 0.96; diradamento forte = 0.95). Il confronto statistico, come era da aspettarsi, non ha evidenziato significatività nelle differenze.

Difetti

Per quanto riguarda la presenza di difetti, in tutte le tesi si è osservato che circa la metà delle piante è difettosa e quasi l’80% delle piante difettose ha un solo difetto. Rispetto alle tesi selvicolturali, nessuno dei difetti presi in considerazione è risultato statisticamente significativo perciò i trattamenti impartiti non hanno influenzato la presenza dei difetti.

Ad ogni modo analizzando i difetti separatamente per tipi, si possono fare le seguenti considerazioni:

  • i nodi sono il difetto più frequente, in tutte le tesi sono prevalenti i nodi di grosse dimensioni (nodi con diametro > 10 cm) di tipo cadente;
  • per quanto riguarda il difetto sciabolatura (stima a vista della deviazione dalla rettilineità dell’asse del fusto) in tutte le tesi il difetto è poco presente;anche il difetto biforcatura (perdita dell’andamento monopodiale del fusto principale) si può considerare poco presente in tutte le tesi;infine, in tutte le tesi incide con una certa frequenza la ginocchiatura mentre sono del tutto sporadici altri difetti (ferite, presenza di fluidi essudati).

Conclusioni 

I danni causati da eventi meteorici non sono stati omogenei per tipo di trattamento: i danni maggiori si sono avuti nelle aree “testimone”, seguono per intensità dei danni le aree debolmente diradate ed, infine, quelle con diradamento più forte. Se a questi danni si aggiungono le piante morte per selezione naturale dall’inizio della sperimentazione (1988) fino al 2006 i valori di mortalità nelle aree non gestite aumentano sensibilmente.

Gli interventi eseguiti hanno anche contribuito a mantenere alto il livello di biodiversità delle specie arboree nei popolamenti esaminati. Nelle aree dove non è stato eseguito alcun intervento, le specie diverse dal cerro sono diminuite in maniera significativa. È probabile che la mortalità delle specie consociate al cerro, tenuto conto delle esigenze di luce delle specie interessate, sia imputabile al maggior grado di copertura delle chiome delle aree “testimoni”.

Alla luce di quanto esposto emerge che negli interventi per la gestione delle risorse forestali occorre tener ben presenti sia gli effetti della selezione naturale, sia gli effetti potenziali di questi eventi. La mancanza di interventi colturali e il susseguirsi di eventi meteorici, e dunque il susseguirsi anche di danni al soprassuolo, ha come conseguenza l’accumulo progressivo di non indifferenti quantità di necromassa al suolo che, al contrario di quanto avviene nel caso dei diradamenti, non viene recuperata in quanto l’operazione sarebbe economicamente non conveniente. Inoltre c’è da considerare che le piante colpite non rispondono a criteri selettivi. Tali biomasse, nel trasformarsi in necromasse, al di là di considerazioni di carattere ecologico, possono rivelarsi estremamente pericolose sia per l’aumentare dei rischi di fitopatie sia come esca per gli incendi.

Da un punto di vista ecologico gli eventi perturbativi possono avere un impatto positivo legato all’aumento di necromassa di varie dimensioni depositata periodicamente al suolo e distribuita casualmente che funge da habitat, da serbatoio di umidità e rappresenta una fonte di nutrienti disponibili anche per lunghi periodi ([21]). Ad esempio nelle foreste di douglasia e di Tsuga heterophylla della British Columbia, fra componente detritica legnosa e suolo è accumulato il 25-30% del carbonio totale ([9]). Tuttavia va anche precisato che nelle foreste in equilibrio naturale (o paranaturale), l’apporto di necromassa all’ecosistema è massimo dopo un evento catastrofico e si mantiene sostenuto finché il soprassuolo originatosi è giovane, poiché è forte la competizione e conseguentemente alta la mortalità. Al crescere dell’età il soprassuolo si differenzia - come nel caso delle cerrete oggetto di questo studio - e l’apporto si riduce sempre più, approssimandosi a zero quando il bosco è maturo. In questa fase il tasso di immissione di nuova necromassa è uguale al tasso di decadimento ([21]).

Gli interventi selvicolturali non hanno influito sostanzialmente sulla produzione totale. Le differenze si attestano su valori di circa circa 20 m3 ha-1 nel caso delle parcelle sottoposte a diradamento di grado forte. Tenuto conto che la massa totale ammonta a circa 500 m3ha-1, si è avuta una maggiore produzione legnosa del +4% circa. L’analisi dei dati dendrometrici tuttavia ha messo in evidenza una differente distribuzione delle piante in classi diametriche al variare delle tesi poste a confronto.

Il grafico delle sezioni diametriche da 1 a 9-10m (Fig. 5) mostra che soltanto i popolamenti sottoposti a diradamento di forte intensità hanno diametri superiori lungo tutto il profilo mentre quelli sottoposti a diradamento di debole intensità hanno diametri lungo il fusto del tutto simili al testimone. Queste differenze, non casuali, sono dovute all’intensità del diradamento.

Ciò sta ad indicare sicuramente un maggior valore dei soprassuoli in piedi sottoposti a diradamento di forte intensità sia per quanto riguarda i differenti costi di utilizzazione sia per le differenti dimensioni delle piante in piedi. È noto che i boschi costituiti da piante di dimensioni diametriche elevate, in genere, hanno valori di mercato superiori rispetto a boschi che, a parità di massa, hanno piante di più piccole dimensioni.

La ripartizione delle sezioni diametriche lungo il profilo del fusto per singola unità sperimentale (Fig. 6) permette di osservare due gruppi distinti, dei quali il primo ha sempre valori maggiori delle sezioni diametriche lungo il fusto. Nei due gruppi sono rappresentate quasi alla pari tutte le tesi. Le analisi statistiche indicano che tali differenze non sono casuali. Un tale comportamento può essere dovuto a variazioni di fattori micro-stazionali che favoriscono il primo gruppo costituito dalle parcelle 1-2-3-4 a svantaggio delle restanti aree. In definitiva esiste un forte gradiente di fertilità passando dal primo al terzo blocco.

Le funzioni di profilo individuate hanno termini noti e coefficienti delle basi sostanzialmente simili. Ciò indica che i profili delle piante nelle aree a diverso trattamento non sono molto diversi per quanto riguarda la forma. L’impiego di tali funzioni potrà rivelarsi utile per le stime degli assortimenti ritraibili dagli interventi selvicolturali su popolamenti adulti dai quali è perlomeno ragionevole ipotizzare di poter ritrarre prodotti diversi dalla legna da ardere.

L’analisi dei valori del rapporto d/D calcolato nelle sezioni a 2 m dice che nelle tre tesi si hanno per lo più sezioni ellittiche (d/D<1) con valori dell’indice assai vicini (0.95-0.96). Ne consegue che l’ellitticità della sezione non è influenzata dal trattamento selvicolturale e verosimilmente è determinata da caratteristiche intrinseche alla specie. L’elevata frequenza delle sezioni ellittiche (oltre l’80% delle piante in tutte le tesi) è in accordo con quanto riportato in letteratura (La Marca et al. 2008).

La distribuzione dei difetti in tipi più frequenti è rappresentata dalla sequenza decrescente nei valori assoluti: nodi, ginocchiature, sciabolature, biforcature e altro. Cumulando tutti i tipi di difetti, nelle tre tesi circa la metà di piante sono difettose e di queste la maggior parte ha un solo tipo di difetto. Il difetto più frequente è rappresentato dai nodi, di cui quelli cadenti di grosse dimensioni (diametro > 10 cm) rappresentano circa la metà di tutti i nodi. Ai fini della destinazione commerciale degli assortimenti, in particolar modo per i tranciati, la presenza di grossi nodi cadenti incide negativamente mentre per assortimenti meno pregiati, quali il tondo da sega, i nodi potrebbero non essere così vincolanti. La ginocchiatura è un difetto in assoluto poco presente così come la sciabolatura e la biforcatura. Questo dato si discosta da quanto riportato in letteratura dove questi difetti sono annoverati tra quelli più frequentemente riscontrabili (La Marca et al. 2008).

Ad ogni modo, nelle tesi messe a confronto non si riscontrano differenze significative nella presenza dei difetti dunque i trattamenti selvicolturali probabilmente per il fatto che sono stati realizzati tardivamente, non hanno influenzato la presenza e la distribuzione dei difetti.

I dati sulla produzione di lettiera che ogni anno ritorna al suolo sono oltremodo interessanti per gli aspetti ecologici connessi alle utilizzazioni forestali soprattutto in un periodo, come quello attuale, in cui talvolta si prospetta una utilizzazione sempre più spinta delle biomasse epigee in occasione degli interventi selvicolturali. I dati raccolti indicano che nel periodo osservato (4 anni) le aree trattate con diradamento di grado forte accumulano mediamente un quantitativo minore di biomassa fogliare.

Da un punto di vista economico-finanziario si deve osservare che gli interventi eseguiti nel 1988 hanno reso all’Ente proprietario, mediamente per ettaro e per tipologia di intervento, i ricavi (in euro) di cui alla Tab. 8. Nessun reddito è stato invece ricavato dai popolamenti lasciati ad evoluzione naturale.

Allo stato attuale si hanno in piedi le masse legnose riportate nella Tab. 1 per cui, nell’ipotesi di esecuzione dei tagli di maturità, se facciamo riferimento all’intero ciclo produttivo e se il valore della massa legnosa in piedi dovesse spuntare lo stesso macchiatico, indipendente dalla qualità degli assortimenti, si può affermare che i popolamenti esaminati hanno dato ricavi più vantaggiosi nel caso di esecuzione dei tagli intercalari. In questa ipotesi un ulteriore vantaggio economico a favore dei popolamenti sottoposti a diradamenti deriverebbe dalla maggiore produttività del lavoro in conseguenza delle differenti dimensioni delle piante che caratterizzano il soprassuolo diradato rispetto a quello lasciato ad evoluzione naturale. Le differenze di valore dei soprassuoli, come sopra caratterizzati, riferite a ettaro, sono riportate nelle ultime due colonne della Tab. 8. Questa ipotesi sarebbe reale nel caso l’intera produzione fosse destinata a legna da ardere.

Un’ulteriore considerazione, che nel nostro caso fa spostare l’ago della bilancia a favore di una maggiore convenienza ad eseguire gli interventi colturali, riguarda il minor rischio corso (per danni da incendio, danni da eventi meteorici, attacchi parassitari etc.), nel caso del soprassuolo sottoposto a tagli intercalari rispetto al soprassuolo lasciato ad evoluzione naturale. Ciò è vero in quanto nel soprassuolo sottoposto a diradamenti le provvigioni legnose (e quindi i capitali investiti) sono più basse rispetto all’opzione “non intervento”.

Se invece, come è plausibile, dal taglio di maturità di questi popolamenti si ricaveranno sia assortimenti da lavoro che legna da ardere, il valore del soprassuolo sottoposto ad interventi aumenterà rispetto a quello lasciato ad evoluzione naturale. Le differenze di valore aumenteranno all’aumentare dell’incidenza del legname da lavoro sulla massa totale ed all’aumentare del divario dei prezzi tra la legna da ardere ed il legname da opera.

In quest’ultima ipotesi si aprirebbe uno spazio ad ulteriori considerazioni di carattere ecologico-ambientale, legate ai tempi di ritorno del carbonio in atmosfera, decisamente diversi per gli assortimenti da lavoro rispetto alla legna da ardere.

Analizzando la questione dal punto di vista dei flussi di carbonio “da” e “verso” l’atmosfera, riferendosi a quanto riportato da Hellrigl ([11]), nel confronto tra “strategia del prelievo” fondata sull’equilibrio gestionale-assestamentale (con o senza accumulazione parziale dell’incremento) e “strategia di accumulazione” (evoluzione naturale con sospensione delle utilizzazioni), si ha che alla prima è sempre legato un beneficio carbonico-atmosferico irreversibile, conseguente all’avvenuto risparmio di combustibili fossili per produrre energia. Inoltre con la gestione selvicolturale su basi durevoli si possono conseguire ulteriori benefici carbonico-atmosferici legati alla sostituzione di materiali energeticamente costosi con il legno, nonché al procrastinamento di emissioni di carbonio circolante derivanti dalla ritenzione carbonica operata dal legno impiegato come materia prima per prodotti finiti (travi, mobili, rivestimenti, suppellettili, ecc.).

Nella strategia di accumulazione legata all’evoluzione naturale il bosco funge da accumulatore di carbonio sottraendo in modo sempre decrescente carbonio all’atmosfera, per un lungo periodo fino al raggiungimento dello stato di equilibrio quando i flussi di carbonio in entrata eguagliano i flussi in uscita. A questo punto il bosco non è più un accumulatore di carbonio ma si comporta come un deposito dinamicamente saturo. Ad ogni istante il deposito di carbonio nel bosco è il risultato di tutta l’accumulazione pregressa e per non perdere il beneficio carbonico-atmosferico deve essere mantenuto in essere con il perdurare della rinuncia alle utilizzazioni.

I limiti principali della strategia dell’accumulo provvigionale, rispetto alla strategia del prelievo, risiedono: nella graduale riduzione del tasso annuale di accumulazione conseguente alla decrescita dell’incremento; nel rischio in ogni istante di perdita totale o parziale del beneficio carbonico-atmosferico nel caso di un incendio o di un evento catastrofico; nella non riduzione dell’impiego di combustibili fossili che induce indirettamente un aumento della quantità globale di carbonio circolante in atmosfera.

Alla luce di quanto detto, una considerazione finale sulle due strategie e sul loro impatto sulla sottrazione di carbonio atmosferico può esser fatta circa i tempi di applicazione: in generale nel breve-medio termine può essere vantaggiosa la strategia dell’accumulo provvigionale ma sul lungo periodo (turni lunghi) risulta maggiormente efficace la strategia del prelievo. Per i cedui di faggio il vantaggio della strategia di accumulazione si annulla a 90 anni per divenire poi sempre negativo rispetto alla strategia del prelievo ([11]). In una interessante recensione di un lavoro di in lingua tedesca di Brandl, Hellrigl ([10]) riporta il pensiero del suddetto Autore relativamente all’economia del carbonio in foreste vergini e in boschi gestiti. Un bosco gestito in maniera durevole contribuisce alla strategia che vuole ridurre l’effetto serra molto più di un bosco non sottoposto ad utilizzazioni. In merito all’opzione che prevede la sospensione delle utilizzazioni allo scopo di creare grandi riserve, si afferma che “...bisogna prestare attenzione non solo alle conseguenze dirette della cessazione dei prelievi legnosi sugli effetti economici (mancati introiti per i proprietari, perdite di posti di lavoro) ma anche alle conseguenze negative per i bilanci della CO2.”

Il boschi costituiti da piante di grandi dimensioni sono sicuramente ben apprezzati per finalità turistico-ricreative e c’è da aspettarsi che siano anche più longevi rispetto ai boschi non sottoposti ad alcun intervento colturale ([1]).

Infine, come confermano gli studi eseguiti proprio per queste parcelle sperimentali ([4]) è risultato che con l’intensità dei tagli intercalari sono aumentate le risorse pabulari offerte agli erbivori dallo strato erbaceo. La produzione foraggera infatti è risultata in rapporto di 1 a 1.5 passando rispettivamente dalle aree testimoni a quelle sottoposte a diradamento dal basso di grado forte.

I diradamenti, come è ampiamente riportato in letteratura ([3]), hanno prodotto un ritardo nella culminazione dell’incremento medio. Ciò conferma l’opportunità di sottoporre a gestione selvicolturale i popolamenti da trattare a turni lunghi, come nel nostro caso (vedi indirizzi selvicolturali per le aree protette). I valori dell’incremento medio di massa totale confermano una produttività piuttosto alta per queste cerrete. I valori medi si attestano tra 5 e 6 m3 ha-1 all’età di 90 anni circa.

In generale, per quanto sopra esposto, il non uso del bosco, al pari di un uso che va oltre le capacità portanti dell’ecosistema, rappresenta un’opzione svantaggiosa per lo spreco di biomasse che inevitabilmente comporta, per la diminuzione del potenziale turistico-ricreativo ed estetico dei boschi, per le negative variazioni paesaggistiche, per l’aumento dello sbilancio tra domanda ed offerta di legname sui mercati, per i rischi di deterioramento dei boschi causati dall’incuria ([7]).

Si pone dunque il problema di ricercare uno stato del bosco che sia in grado di assicurare sicuro beneficio all’utente ed un equilibrio stabile nel tempo; mettere in atto forme di gestione ecocompatibili con l’uomo rappresenta un obiettivo ambizioso per la corretta utilizzazione delle risorse naturali. Quanto sopra è tanto più urgente in un Parco Nazionale per il ruolo di modello di gestione che ad essi deve essere assegnato ([18]). Si tratta di una visione intersistemica che vede l’Uomo ed il Bosco inseriti in un processo integrato di azioni, fondato su base etica, nella consapevolezza che l’uomo, le sue attività e la sua cultura rappresentano un unicum con il territorio da gestire.

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