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Scientific research in silviculture and forest ecology: between dogmatic realism and forest understanding

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 6, Pages 376-378 (2009)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0602-006
Published: Nov 23, 2009 - Copyright © 2009 SISEF

Commentaries & Perspectives

Guest Editors: 7° SISEF Congress (Pesche, IS - 2007)
« Development, adaptation, naturality and conservation »
Collection/Special Issue: Marco Marchetti, Roberto Tognetti

Abstract

The need of a new olistic view and direction in silvicultural and forest ecological research is emphasized, and systemic silviculture is proposed as a necessary alternative to classical silviculture.

Keywords

Silviculture, Forest ecology, New direction, Systemic silviculture

 

Signor Presidente, Magnifico Rettore, caro amico e illustre consocio, Autorità, Signore, Signori, cari studenti,

porto il saluto dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali. Desidero iniziare questo intervento riportando un aforisma di Albert Einstein: “È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. Il perché è presto detto. È quello che sta avvenendo nel mondo della ricerca scientifica in campo forestale. Mi sembra utile e doveroso, in occasione del Congresso di questa importante società scientifica di selvicoltura ed ecologia forestale, svolgere una breve, brevissima riflessione su alcuni aspetti attinenti la ricerca, appunto, in ecologia e in selvicoltura.

Un dato emerge sempre più chiaramente. Lo dimostrano le discussioni in corso. Negli ultimi decenni si è verificata una importante revisione della selvicoltura. Ciò ha determinato un cambiamento nei rapporti bosco-uomo. Tale revisione influisce sul significato e sul valore che si dà al bosco. Questa nuova visione ha fortemente incrinato le tradizionali concezioni che consideravano il bosco un insieme di alberi, ovvero una officina a cielo aperto per produrre legno. In nessun settore delle scienze forestali un tale mutamento concettuale appare più evidente di quanto non lo sia nel principio della selvicoltura sistemica.

La selvicoltura classica, quella che attualmente si insegna nelle università, è l’espressione teorica e pratica della concezione newtoniana secondo la quale le leggi hanno origine sperimentale. In selvicoltura, quindi, tutto sarebbe deducibile dai dati conseguiti sperimentalmente. Ma se così fosse già da molto tempo avremmo una esatta e completa conoscenza dei molteplici e complessi fenomeni che si verificano nel sistema biologico bosco a seguito degli eventi colturali. Avremmo quindi una scienza selvicolturale invariabile, verificabile e riproducibile. Peraltro, ammettere questo presupposto teorico significherebbe che quanto accertato sperimentalmente sarebbe indubitabile, immodificabile e definitivo.

È plausibile tutto ciò? Pare proprio di no, soprattutto perché in contrasto con un fondamentale principio epistemologico: nella scienza tutto è modificabile, niente potrà mai essere definitivo. E poiché “il sapere moltiplica il non sapere”, l’homo sapiens sarà sempre alla ricerca della verità - della verità scientifica, ovvero della verità relativa, s’intende. Questa è la motivazione di fondo del perché egli cerca, e sempre cercherà, di andare avanti nel tentativo di svelare l’ignoto. E questa è la spinta propulsiva che porta al continuo progresso scientifico e tecnologico.

Il bosco fa parte dei “sistemi a complessità organizzata”, intendendo con questa espressione quanto proposto da Warren Weaver in merito ai sistemi dinamici esistenti in natura, che sono caratterizzati da un considerevole numero di variabili connesse in un tutto organico.

I problemi posti da tali sistemi - egli afferma - sono “troppo complicati per sottomettersi alle vecchie tecniche del XIX secolo che avevano un successo così evidente nei problemi di semplicità a due, tre o a quattro variabili. Questi nuovi problemi, inoltre, non possono essere manipolati con le tecniche statistiche così efficaci nel descrivere il comportamento medio dei problemi di complessità disorganizzata”. Cos’altro aggiungere? Niente, solo che alcuni selvicoltori ed ecologi forestali dovrebbero riflettere prima di trattare incautamente delle implicazioni inerenti il tema della ricerca scientifica e tecnica.

Sul piano operativo la selvicoltura classica, dal periodo scolastico in poi, ha avuto un rilevante successo. La selvicoltura finanziaria e le successive altre parti sviluppatesi sul modello meccanicistico e deterministico, cioè la selvicoltura su basi ecologiche e la selvicoltura naturalistica, partono dal presupposto paradigmatico che si possa oggettivare la descrizione e la conoscenza del bosco. Pertanto, è apparso logico e razionale perseguire il fine della produzione legnosa sulla scorta della conoscenza acquisita sperimentalmente. Ma a partire dagli anni novanta la situazione si è modificata notevolmente in seguito, appunto, alla enunciazione della teoria della selvicoltura sistemica.

Le correnti di pensiero nelle scienze della natura nate a seguito dell’enunciazione delle teorie della relatività e della meccanica dei quanti in fisica, delle geometrie non euclidee nelle scienze formali, dei metodi statistici e assiomatici nelle discipline empiriche, hanno determinato cambiamenti sostanziali sia sul piano filosofico e scientifico, sia su quello culturale, etico e sociale.

I problemi inerenti la ricerca in ecologia forestale e in selvicoltura, in particolare quelli relativi ai sistemi naturali altamente complessi, volenti o nolenti, sono legati all’influenza reciproca tra l’osservatore-sperimentatore e l’oggetto dell’esperimento. Questo processo dà vita a una serie di retroazioni dell’oggetto in esame così come previsto dal postulato assiomatico degli ecosistemi e comporta la necessità di conoscere le innumerevoli variabili connesse alle molteplici interazioni tra organismi e ambiente.

Forse è utile effettuare un confronto fra la selvicoltura classica e la selvicoltura moderna, ovvero la selvicoltura sistemica. E valutare positivamente tale diversità. Queste differenti visioni stanno a dimostrare in modo inequivocabile che l’interpretazione e la conoscenza del bosco avviene in base al metodo che si adotta per interrogarlo. La selvicoltura classica separa il bosco dal ricercatore, e quindi lo interroga secondo quanto previsto dal paradigma scientifico cartesiano newtoniano. La selvicoltura sistemica presuppone l’impossibilità della separazione tra bosco e ricercatore e di conseguenza lo interroga secondo quanto previsto dal paradigma olistico o sistemico. Insomma, come ho ripetuto più volte, “C’è chi parla di bosco e chi parla con il bosco”.

La difficoltà che incontrano alcuni selvicoltori ed ecologi forestali per intendere e condividere la selvicoltura sistemica deriva (a) dall’eccessiva importanza che essi danno all’oggettivazione della descrizione del bosco attraverso la sperimentazione e (b) dall’inusuale, almeno per loro, integrazione partecipativa, efficace e determinante, dell’uomo nell’iter sperimentale. Con la selvicoltura classica, si pensa e si opera in termini utilitaristici - il bosco è un’entità strumentale. Con la selvicoltura sistemica si pensa e si opera in termini di rapporto reciproco tra bosco e uomo - il bosco è un’entità di valore.

Questa diversa posizione concettuale è dovuta principalmente all’ideologia tipica della selvicoltura classica strettamente connessa alla produzione legnosa. Ideologia che, appunto per questo, si può definire realismo dogmatico. Come prima osservato, questa ideologia presuppone che in campo scientifico non vi siano asserzioni sperimentali riguardanti l’ecologia e la selvicoltura che non possano essere oggettivate. In breve: “Il giudizio più assoluto e inamovibile è appunto il pregiudizio”.

Questo modus operandi è dovuto all’imprinting, all’apprendimento acquisito precocemente nelle Scuole forestali, che è penetrato profondamente nella mentalità dei selvicoltori ed ecologi forestali e tuttora è la posizione di molti ricercatori che, consapevolmente o meno poco importa, basano il loro operare sul realismo dogmatico, senza rendersi conto che, come recita un mio aforisma, “L’ordine razionale del bosco, cui tende la selvicoltura classica, raffigura il massimo del disordine naturale”. Sembra quasi che tuttora si continui a pensare come Francis Bacon che nel 1620, nel Novum Organum Scientiarum scriveva: “La natura è una donna pubblica; noi dobbiamo domarla, penetrarne i segreti e incatenarla secondo i nostri desideri”.

Con la selvicoltura sistemica si è avuta piena consapevolezza che la conoscenza del bosco è possibile al di fuori dell’ideologia del realismo dogmatico, affrancando la selvicoltura da quell’enorme masso concettuale e operativo che occludeva e purtroppo continua a occludere la strada verso nuovi orizzonti e future prospettive scientifiche e tecniche.

Secondo Max Planck le nuove idee si affermano solo quando i portatori delle vecchie scompaiono. Sic stantibus rebus, cosa è opportuno fare? Bisogna rinunciare a ogni innovazione, come si vorrebbe da coloro che ancora sono legati alla vecchia ideologia, oppure rivolgersi ai giovani che, proprio perché tali, sono predisposti a volare alto, alto fin dove arrivano le aquile? I giovani, per converso agli ideologi, sono in grado di meglio interpretare il nuovo, a viverlo e condividerlo. Se una tale mentalità, come pare stia avvenendo, conquista i giovani, allora si realizza lo sconvolgimento dei vecchi ordinamenti teorici, scientifici, tecnici ed etici nei riguardi di quel meraviglioso sistema biologico che è il bosco nella molteplicità dei suoi aspetti.

I giovani, se educati scientificamente e filosoficamente, si rendono perfettamente conto di quanto importante e significativo sia questo radicale cambiamento. Essi sono a un tempo spettatori e attori di un processo che comporta due diverse mentalità filosofiche, quella della selvicoltura classica e quella della selvicoltura sistemica. In questo momento di cambiamenti epocali è assolutamente indispensabile che essi comprendano la filosofia che sta alla base della nuova selvicoltura. La selvicoltura sistemica, appunto. Invito i giovani a partecipare attivamente alle discussioni che avvengono nel sito http://www.forumforeste.it/ troveranno molti spunti interessanti sui quali dialogare.

Si può esserne certi, i semi di questa nuova teoria troveranno terreno fertile nei giovani. Essi sono consapevoli che stanno vivendo una esperienza straordinaria. Partecipano a un evento scientifico, tecnico, culturale e sociale estremamente importante. Sta a loro scegliere se andare avanti o se restare legati al passato. Ben sapendo però che in questo ultimo caso il loro campo di azione professionale si assottiglierà sempre più, fin quasi a scomparire.

Concludo, augurando, a nome mio personale e dei Soci dell’Accademia di Scienze Forestali, un proficuo lavoro nella convinzione che il progresso sarà lento, come d’altronde si addice in campo forestale, ma inarrestabile. Sono certo che i giovani ricercatori qui presenti sapranno analizzare questa problematica in modo appropriato dando un contributo di alto valore scientifico. E ricordo loro una mia massima: “La scienza è fatta di dati, come un bosco di alberi, ma un ammasso di dati non è scienza così come un insieme di alberi non è un bosco”.

 
 
 

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