“Baldo’s Forest”: selection felling based on traditional knowledge in a beech stand in the Tuscan Appenines
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 7, Pages 58-72 (2010)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0617-007
Published: Apr 01, 2010 - Copyright © 2010 SISEF
Research Articles
Guest Editors: 7° SISEF Congress (Pesche, IS - 2007)
« Development, adaptation, naturality and conservation »
Collection/Special Issue: Marco Marchetti, Roberto Tognetti
Abstract
In Italy the prescribed silvicultural system for beech high forests has usually been the uniform shelterwood system. This system has not always been carried out and completed in the sequence codified by the literature. Consequently, beech forests show highly variable structures which do not meet the canons of classical silviculture. On the other hand, selection felling has usually been considered inadequate for beech forests because of the supposed “natural” tendency of this species towards even aged structures and of the belief that only even aged beech stands produce high quality timber. This paper analyzes a beech stand of 10 ha, “Baldo’s forest” from the name of its owner. This stand has been managed since the first half of the nineteenth century by the same family with a type of single tree selection felling carried out according to criteria handed down from father to son. This type of treatment aimed at the production of timber assortments linked to local traditions (wooden snow shovels carved out from one piece of beech wood); today the beech timber is sold to the furniture industry and provides a satisfactory income for the owner. All the trees have been inventoried in four permanent plots, each located in a part of the stand which has been selectively felled in a different year. Structural analysis has been carried out. Results show that the stand has a structure which is typical of single tree uneven aged stands. Crown cover is almost complete and regeneration is a continuous process.
Keywords
Fagus sylvatica L., Selection felling, Uneven-aged stand, Forest structure, Local traditional knowledge
Premessa
In Italia i boschi di faggio caratterizzano il paesaggio di molte aree montane. Nel corso dei secoli il legno di faggio ha rappresentato una risorsa fondamentale per l’economia delle popolazioni locali. A partire dal XVII secolo, a seguito della rapida crescita demografica, le faggete delle Alpi e dell’Appennino sono state intensamente sfruttate per produrre legna da ardere e carbone ([11], [16], [30]).
Il trattamento prescritto per le fustaie di faggio generalmente è a tagli successivi uniformi. E ciò per due ragioni fondamentali: (a) la supposta tendenza del faggio a formare popolamenti coetanei; (b) la convinzione che questa forma di trattamento sia l’unica in grado di garantire la produzione di fusti di buona qualità ([13], [11], [17], [18], [25], [4], [2]). I turni sono compresi tra 90 e 100 anni e il periodo di rinnovazione tra 20 e 30 anni ([27], [28]). I tagli successivi, prescritti per molte proprietà pubbliche dai piani di assestamento e di gestione, non sempre sono stati completati secondo quanto previsto in letteratura. Spesso è stato effettuato un intenso taglio di sementazione, a volte preceduto da un taglio di preparazione, e nella maggioranza dei casi non sono seguiti i tagli secondari e di sgombero. Ciò ha determinato la formazione di strutture composte da piante del vecchio ciclo che talvolta assumono i connotati di “piante lupo” che impediscono la rinnovazione e sovrastano perticaie più o meno aduggiate.
Il taglio a scelta in letteratura è stato generalmente sconsigliato per le faggete, sia per i motivi esposti in precedenza, e cioè la supposta tendenza alla coetaneità del faggio e la convinzione che solo da boschi coetanei sia possibile ottenere legname di buona qualità, sia per il timore che tale forma di trattamento potesse degenerare nell’eliminazione a fini commerciali dei fusti migliori ([13], [11], [18], [2]). Questa cattiva reputazione del taglio a scelta rientra in una tradizione che ha caratterizzato la storia forestale non solo italiana ma anche europea. Così, ad esempio, nel 1833 fu promulgata una legge nel Baden-Württemberg, con la quale furono vietati il taglio successivo e saltuario a gruppi (Femel) e il taglio a scelta (Plenter). Questa legge, scrive von Honckenjos ([19], [20]), fu considerata progredita e liberale e restò in vigore per 143 anni, cioè fino al 1976. Ma solo nel 1992, e dopo ben 159 anni, il Ministero per il territorio regionale, l’alimentazione, l’agricoltura e i beni forestali del Baden-Wuerttemberg, con un decreto invitò i servizi forestali a prevedere, in occasione dell’assestamento, il Femel e il Plenter. Altro esempio significativo è quello riportato da Siiskonen ([33]) per la Finlandia. Egli riferisce che l’amministrazione forestale finlandese, con l’obiettivo di porre rimedio alla “devastazione” dei boschi, a partire dai primi decenni del XX secolo impose ai proprietari l’abbandono del taglio a scelta tradizionalmente applicato, orientando di fatto la selvicoltura verso la graduale “coetaneizzazione” dei soprassuoli. Così, boschi che per lungo tempo avevano fornito ai proprietari un reddito soddisfacente, secondo un sistema di trattamento basato sulla rinnovazione naturale, furono trasformati in piantagioni trattate a taglio raso. Solo negli anni ottanta dello scorso secolo, a seguito della ribellione dei proprietari e del maturare di una coscienza ambientalista, è iniziata una rivisitazione dei principi alla base della gestione forestale e la rivalutazione di forme di gestione che avevano garantito nel tempo non solo elevate produzioni, ma anche la conservazione di valori estetici e culturali altrettanto importanti per molti proprietari ([33]).
Nell’Appennino meridionale la struttura delle faggete quasi sempre è la diretta conseguenza del taglio raso con riserve che ha avuto ampia diffusione in applicazione della legge forestale borbonica del 21 luglio del 1826 ([7], [26]). Per le fustaie di faggio di proprietà privata sono state descritte anche forme di trattamento riconducibili al taglio a scelta applicato secondo criteri non codificati, modulando gli interventi in base alle necessità di ogni singolo popolamento e in relazione alle esigenze dei proprietari ([34], [21], [7], [24], [26]). Questo tipo di trattamento prevede l’eliminazione delle piante di maggiori dimensioni e l’apertura di piccoli gap in cui si insedia la rinnovazione. Gli interventi sono ripetuti a brevi intervalli di tempo e il bosco che ne deriva è assimilabile per struttura a un bosco disetaneo per piccoli gruppi.
Wolynski ([37], [38]) ha suggerito di adottare il modello delle fustaie disetanee “irregolari” per i soprassuoli di faggio derivanti da conversione di cedui nelle Alpi e nell’Appennino. A tal fine propone come esempio le faggete disetanee “irregolari” della Turingia, citate da Schütz ([31]), le faggete di proprietà comunale delle Ardenne (Belgio), quelle della Francia nord orientale e di alcuni Länder tedeschi. È da notare che nell’uso dell’Autore il termine “irregolare” è la traduzione diretta del francese irregulière, che identifica fustaie a struttura disetanea non riconducibili al modello per pedali (jardinée). A oggi, in letteratura, non risulta che queste ipotesi siano state applicate in Italia.
Il presente lavoro analizza il trattamento applicato a una fustaia di faggio di circa 10 ha - il cosiddetto “Bosco di Baldo” dal nome del proprietario-gestore - trattata sin dal XIX secolo da una famiglia di Pian di Novello (Pistoia) secondo criteri colturali tramandati da padre a figlio. Lo scopo del contributo è l’analisi di tale forma di trattamento al fine di contribuire a definire forme alternative di gestione per le fustaie di faggio.
Materiali e metodi
Area di studio
Il “Bosco di Baldo” è situato nel territorio del Comune di Cutigliano (PT), nei pressi del centro abitato di Pian di Novello tra 1000 e 1200 m s.l.m. In alto confina con la Riserva Naturale Biogenetica di Piano degli Ontani gestita dal Corpo Forestale dello Stato. La strada provinciale di Popiglio (n. 20) divide la parte alta dalla parte bassa della proprietà.
I dati climatici rilevati nel periodo 1951-2004 nella stazione di Boscolungo (1340 m s.l.m.) situata nel Comune di Abetone a circa 4 Km di distanza dall’area di studio, denotano una temperatura media annua pari a 6.7 C°. La zona presenta un regime termico montano con estati brevi e fresche e con inverni piuttosto freddi e lunghi. La media delle precipitazioni annue è di 2449.4 mm distribuiti in 126.8 giorni di pioggia concentrati nei mesi autunnali con un minimo di precipitazione nel mese di luglio. L’area di Boscolungo è interessata da precipitazioni nevose con un numero medio annuo di 29.9 giorni nevosi e un campo di variazione piuttosto ampio. In media cadono 331 cm di neve l’anno. Il manto nevoso permane al suolo in media 142 giorni.
Secondo De Philippis ([12]) la zona in esame rientra in un clima temperato freddo con estate fresca e piovosa, a carattere mesotermico e indole marittima.
Secondo la Carta dei suoli italiani ([23]) il “Bosco di Baldo” ricade in un’area caratterizzata da podsol bruni, suoli bruni acidi e litosuoli. Questi suoli si ritrovano frequentemente su rocce silicate in una fascia che va dai 600-800 m s.l.m., fino a 1400-1500 m s.l.m. L’area di studio presenta terreni derivanti da un substrato argilloso che tendono ad evolversi verso il tipo delle “terre brune”. L’azione della copertura arborea attenua le caratteristiche negative connesse alla natura argillosa di questi suoli, sia con l’ombreggiamento che impedisce una eccessiva evaporazione, sia con la traspirazione che elimina l’eccesso di acqua dal terreno. Inoltre, il bosco è un produttore di humus, il quale, mescolandosi ai minerali argillosi, determina la formazione di aggregati più piccoli, più stabili e porosi.
La vegetazione che caratterizza il paesaggio forestale di questa zona dell’Appennino pistoiese è dominata dal faggio, che qui trova condizioni ideali per la crescita e la rinnovazione naturale.
Trattamento applicato
Il “Bosco di Baldo” è stato gestito dai proprietari con lo scopo di produrre assortimenti che si inserivano in un mercato legato alle tradizioni locali. In passato i fusti erano utilizzati per la produzione di pale da neve costituite da un unico pezzo di legno, alte circa 1.30 m, compreso il manico, e larghe 35-45 cm (Fig. 1); i rami erano trasformati in carbone. Per tale specifico uso venivano impiegati fusti regolari e di grosse dimensioni con diametro a 1.30 m maggiore di 50 cm.
Fig. 1 - Pala da neve, ricavata da un unico pezzo di faggio, conservata presso il Museo della Gente dell’Appennino pistoiese, Rivoreta (PT). Foto: Piemontese FP.
Con il trattamento che l’attuale proprietario riferisce di aver appreso da suo padre e da suo nonno, le piante da prelevare sono scelte in base alle dimensioni e alle caratteristiche tecnologiche del fusto, in relazione allo stadio di sviluppo dei soggetti circonvicini e alle esigenze della rinnovazione. L’intervento ha la finalità di liberare via via gli individui più promettenti e far sì che la rinnovazione sia continua e tale da garantire l’autoperpetuazione del sistema. In genere il proprietario interviene quando sotto la pianta “madre” ci sono 4-5 generazioni di giovani piante che egli definisce “figli”, “nipoti”, “nipotini”,...
Punto cruciale di questa forma di trattamento - secondo quanto tramandato nel tempo - è il mantenimento di una copertura costante del suolo al fine di garantire: a) condizioni ottimali per la rinnovazione naturale, b) evitare l’ingresso e la competizione con il faggio da parte di altre specie più esigenti di luce come ad esempio il sorbo, l’orniello, il sambuco.
Gli interventi sono svolti in maniera puntuale e vengono ripetuti a brevi intervalli di tempo. A seconda delle esigenze dei popolamenti, il periodo di ritorno sulla stessa porzione di bosco varia intorno ai 5-6 anni, anche se a volte può essere più lungo, o addirittura più breve, annuale o biennale. Il proprietario, dovendo procedere alla scelta della pianta da abbattere tra due equamente candidate, opta sempre per quella che ostacola l’affermazione della rinnovazione e/o lo sviluppo di soggetti già affermati.
Di norma i proprietari non effettuano ripuliture e sfolli, né eliminano gli eventuali alberi morti in piedi o a terra. La riduzione del numero degli individui più giovani avviene quasi esclusivamente per mortalità naturale. Con questo trattamento il proprietario riesce ad ottenere fusti con ottime caratteristiche tecnologiche, diritti, poco ramosi e privi di nodi.
I lavori in bosco - dal taglio all’esbosco - sono condotti a livello familiare con estrema cura e attenzione per non causare danni al soprassuolo, per dare continuità al bosco e, di conseguenza, perpetuare la fonte di reddito. Gli interventi sono eseguiti dal mese di ottobre alla metà di aprile, evitando il periodo in cui le piante sono “in succhio” e quindi più suscettibili a scortecciature e ferite. Prima di eseguire l’abbattimento viene accuratamente scelta la direzione di caduta e la pianta a terra viene sramata e depezzata prima di essere esboscata.
L’esbosco è effettuato con trattore e verricello. La proprietàè dotata di un adeguato sistema di piste. Per proteggere le piante rilasciate vengono impiegati particolari accorgimenti, quali l’infissione al suolo di pali in prossimità del fusto, in modo che nello strascico la pianta tagliata non danneggi le restanti piante.
Attualmente il legname prodotto viene venduto all’industria del mobile per sfogliati e i rami come legna da ardere. Il proprietario riferisce di riuscire a ottenere ricavi che variano da 7500 a 11500 euro l’anno, tagliando dalle 30 alle 50 piante sull’intera superficie di 10 ha.
Analisi delle caratteristiche del “Bosco di Baldo”
Per caratterizzare il “Bosco di Baldo” sono state delimitate quattro aree di saggio di forma circolare con raggio di 20 m (1256 m2). Tre aree (A, B, C) sono state individuate per caratterizzare zone del bosco dove il proprietario è intervenuto in anni diversi: (Fig. 2a):
- A: taglio colturale eseguito nel 2008-2009;
- B: taglio colturale eseguito nel 2002-2003;
- C: taglio colturale eseguito nel 1998-1999;
Una quarta area (D) è stata delimitata in una zona di circa 1 ha dove il proprietario non è intervenuto almeno dal 1986. L’area D è stata scelta come area di confronto rispetto alle aree A, B e C. Il Sig. Baldo afferma che “questa area gli è sfuggita di mano” perché gli interventi non sono stati eseguiti con la stessa capillarità e frequenza del resto della proprietà.
Ogni area di saggio è stata materializzata in modo permanente segnando con vernice le piante esterne all’area. Il centro è stato materializzato cerchiando una pianta di diametro a 1.30 m inferiore a 10 cm e acquisendo con GPS le coordinate della posizione centrale dell’area.
Nelle aree A, B, C e D per ogni pianta viva con diametro a 1.30 m superiore a 2.5 cm sono stati rilevati il diametro e le coordinate polari usando come riferimento il centro dell’area.
Nelle aree A, B e D è stato misurato un campione rappresentativo delle altezze in base alla distribuzione delle piante in classi di diametro; nell’area C è stato eseguito il rilievo dell’altezza di tutte le piante vive.
Nelle aree A, B e C è stata rilevata la posizione e sono stati misurati il diametro maggiore e minore di tutte le ceppaie delle piante utilizzate in passato; è stato poi calcolato il diametro medio di ogni ceppaia. Inoltre sono stati misurati i diametri alla base (Dbase) e a 1.30 m (D1.30) di un campione di piante in piedi. Tali dati sono serviti per ottenere una funzione di correlazione tra Dbase e D1.30.
Al fine di caratterizzare la struttura del popolamento è stata realizzata un’area quadrata con lato di 50 m (2500 m2), di seguito denominata area E, centrata in corrispondenza del centro dell’area C (Fig. 2b). Le coordinate dei vertici dell’area E sono state rilevate con GPS. Al suo interno sono state delimitate 4 sotto aree circolari di 7 m di raggio, posizionate ai vertici di un quadrato di lato di 25 m centrato in corrispondenza del centro dell’area E.
Nell’area E sono stati misurati i diametri a 1.30 m e le altezze degli alberi vivi e degli alberi morti in piedi e a terra. Per gli alberi vivi è stata misurata l’altezza di inserzione della chioma verde e la proiezione della chioma nelle quattro direzioni cardinali. Nella 4 sotto aree è stato eseguito il rilievo delle ceppaie e dei pezzi di legno morto a terra. Le definizioni adottate per alberi morti a terra, ceppaie e altri pezzi di legno morto a terra fanno riferimento al protocollo di rilievo del Progetto ForestBIOTA ([15], [14], [35]). In particolare, gli alberi morti a terra corrispondono a piante morte intere presenti al suolo con D1.30 ≥ 5 cm e lunghezza (L) ≥ 130 cm. Per pezzi di legno morto a terra si intendono i frammenti legnosi presenti al suolo come parti di fusto o rami, con diametro minimo (Dmin) del singolo pezzo ≥ 5 cm e lunghezza (L) ≥ 100 cm.
Elaborazione dei dati
Per ogni area circolare A, B, C e D sono stati calcolati il numero di piante a ettaro, l’area basimetrica, la statura e il diametro medio ed è stata costruita la curva ipsometrica. Il volume è stato stimato con la Tavola generale del faggio a doppia entrata ([22]). Inoltre è stata elaborata la distribuzione delle piante in classi di diametro a partire dalla classe 5 cm.
Con il software Neighbourhood Based Structural Indices, sviluppato presso il laboratorio SisFOR dell’Università della Tuscia, sono stati calcolati indici di diversità strutturale ([29]). Tali indici si basano sull’analisi della posizione e della dimensione del fusto di alberi tra loro vicini rispetto ad un albero di riferimento - nella modalità denominata reference tree - o a una posizione di riferimento - nella modalità denominata reference point ([9], [10], [3]).
In particolare sono stati calcolati l’indice UAI (Uniform Angle Index) e l’ indice DBHDM (DBH Dominance Modified) in modalità reference tree considerando i 4 alberi ad esso più vicini.
L’indice UAI ([36], [1], [9]) analizza la diversità del popolamento in relazione alla distribuzione delle piante sul piano orizzontale. L’indice assume valori compresi tra 0 e 1 per indicare, rispettivamente, una distribuzione delle piante di tipo regolare (UAI=0) o a gruppi (UAI=1). Valori intorno a 0.5 indicano una distribuzione di tipo casuale.
Con l’indice DBHDM è stata analizzata la diversità dimensionale confrontando i diametri a petto d’uomo degli alberi vicini. Il valore dell’indice aumenta all’aumentare della dominanza dimensionale dell’albero di riferimento rispetto agli alberi vicini ([10]). La soglia di differenza diametrica minima utilizzata per rendere l’indice più sensibile all’effettivo livello di eterogeneità dimensionale è stata fissata pari a 4 cm come suggerito da Calvani et al. ([3]).
Nell’area E il volume degli alberi morti in piedi e degli alberi morti a terra è stato calcolato con la stessa Tavola di cubatura utilizzata per le aree A, B, C e D. Inoltre sono stati stimati i seguenti parametri:
- grado di insidenza delle chiome - rapporto tra sommatoria della proiezione a terra di tutte le chiome, incluse le sovrapposizioni, e superficie dell’area di saggio;
- grado di copertura - rapporto tra sommatoria della proiezione a terra di tutte le chiome, escluse le sovrapposizioni, e superficie dell’area di saggio,
- grado di sovrapposizione - differenza tra grado di insidenza e grado di copertura;
- profondità delle chiome - differenza tra altezza totale e altezza di inserzione della chioma.
Infine è stata realizzata una rappresentazione 3D del soprassuolo mediante il software open source PlantGL.
Risultati
Caratteri dendrometrici del soprassuolo
Nelle aree A, B e C, dove gli interventi sono stati eseguiti secondo una cadenza ritenuta ottimale dal proprietario, il numero di piante a ettaro varia tra 2069 e 2300 (Tab. 1). I valori di area basimetrica, volume e diametro medio aumentano passando dall’area utilizzata più di recente (area A) all’area utilizzata da più tempo (area C). Il numero di piante a ettaro è simile nelle tre aree a conferma del fatto che il trattamento applicato tende a mantenere un popolamento denso, con copertura continua del suolo.
Tab. 1 - Principali valori dendrometrici rilevati sulle piante vive nelle quattro aree di saggio.
Ads | Anno intervento |
Numero piante (N/ha) |
Area basimetrica (m2/ha) |
Volume (m3/ha) |
Equazione curva ipsometrica |
Diametro medio (cm) |
Altezza media (m) |
Statura (m) |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
A | 2008-2009 | 2300 | 25.03 | 293.1 | y = 9.7292 · ln(x) - 9.7974 | 11.8 | 14.2 | 27.7 |
B | 2002-2003 | 2069 | 29.62 | 347.6 | y = 9.2308 · ln(x) - 8.3749 | 13.5 | 15.7 | 28.0 |
C | 1998-1999 | 2069 | 31.61 | 379.8 | y = 8.2786 · ln(x) - 6.8542 | 13.9 | 15.0 | 26.5 |
D | Precedente al 1986 | 1424 | 35.78 | 541.1 | y = 10.228 · ln(x) - 8.584 | 17.9 | 20.9 | 34.0 |
In Fig. 3 è rappresentata la distribuzione delle piante in classi di diametro di 5 cm per le aree A, B e C. Dalla Figura si osserva che vi è un elevato numero di piante nelle classi diametriche inferiori e poche piante con diametri superiori a 45 cm.
L’area D mostra valori dendrometrici diversi rispetto alle aree A, B e C (Fig. 4). In questa area è presente un numero minore di piante nelle classi diametriche piccole e un numero maggiore di piante con diametri superiori a 45 cm. Le dimensioni diametriche massime rilevate nell’area D sono pari a 65 cm.
La statura nelle aree A, B e C è compresa tra 26.5 e 28 m ed è inferiore rispetto a quella misurata nell’area D, pari a 34 m. Il prolungato periodo senza interventi (almeno 24 anni) nell’area D sta determinando la modifica della struttura del soprassuolo. Il ridotto numero di piante piccole dimostra che in assenza di interventi le piante di maggiori dimensioni tenderanno a occupare sempre più lo spazio, ostacolando la rinnovazione e portando il soprassuolo verso una struttura tendenzialmente coetaneiforme.
L’equazione che lega il diametro alla base al diametro a 1.30 m è la seguente (eqn. 1):
Sulla base dell’eqn. 1 si è stimato che le piante utilizzate nelle diverse aree avevano un diametro mediamente compreso tra 40 e 55 cm (Fig. 5). Dai rilevi risulta che sono state abbattute anche alcune piante con diametri di 15-20 cm e piante con diametri di 75-80 cm. Ciò indica che non è solo il diametro a guidare il proprietario-gestore nella scelta delle piante da utilizzare ma soprattutto la presenza e lo stato della rinnovazione di faggio: se questa è assente, il proprietario ritarda l’utilizzazione finché non si verifica l’ingresso per via naturale della rinnovazione; invece, se la rinnovazione è presente e le piante dello strato intermedio ostacolano la sua affermazione il proprietario interviene.
Analisi strutturale del popolamento
In Fig. 6, per le aree A, B e C è rappresentata la distribuzione sul terreno delle piante vive, delle piante morte in piedi, delle ceppaie e delle piante utilizzate. I cerchi sono proporzionali al diametro delle piante e delle ceppaie. Si può osservare come le ceppaie delle piante utilizzate siano sparse su tutta la superficie, a dimostrazione del fatto che con gli interventi vengono prelevate sempre piante singole, applicando quindi un trattamento strettamente per pedale.
Fig. 6 - Rappresentazione delle aree A, B e C con le piante vive ripartite in classi diametriche, le piante morte in piedi e le ceppaie delle piante tagliate. I cerchi sono proporzionali al diametro delle piante.
In Fig. 7 è riportato lo stesso tipo di rappresentazione per l’area D, che conferma quanto già osservato dall’analisi dei dati dendrometrici, ovvero il minor numero totale di piante, la minore densità, la maggior presenza di piante con diametri compresi tra 50 e 65 cm e l’assenza di ceppaie di piante utilizzate rispetto alle aree A, B e C.
Fig. 7 - Rappresentazione dell’area D con le piante vive ripartite in classi diametriche e le piante morte in piedi. I cerchi sono proporzionali al diametro delle piante.
In Fig. 8 sono riportate la posizione delle piante vive rilevate nell’area E e la proiezione delle chiome al suolo. Per semplicità le chiome sono state rappresentate con dei cerchi utilizzando un raggio di chioma medio. In Tab. 2 sono riportati i dati medi di copertura e dimensione delle chiome delle piante suddivise in 4 classi dimensionali: 1) piante con diametro a 1.30 m inferiore a 17.5 cm, 2) piante piccole (PP), piante con diametro compreso tra 17.6 e 27.5 cm; 3) piante medie (PM), piante con diametro compreso tra 27.6 e 42.5 cm; 4) piante grosse (PG), piante con diametro compreso tra 42.6 e 57.5 cm. Dalla tabella si nota come le piante con diametri inferiori a 17.5 cm, essendo più numerose e dense, presentino valori più elevati di grado di insidenza. La profondità e la superficie delle chiome cresce all’aumentare della dimensione dei diametri.
Tab. 2 - Area E: Valori medi del grado di insidenza, grado di copertura, grado di sovrapposizione, profondità di chioma (in m) e superficie di chioma (in m2) ripartiti per classi dimensionali. Tra parentesi sono riportati i valori minimi e massimi di superficie di chioma.
Parametri | D<17.5 | PP (17.6<27.5) | PM (27.6<42.5) | PG (42.6<57.5) | Area E |
---|---|---|---|---|---|
Grado di insidenza | 1.88 | 0.51 | 0.71 | 0.38 | 4.49 |
Grado di copertura | 0.81 | 0.43 | 0.54 | 0.30 | 0.96 |
Grado di sovrapposizione | 1.07 | 0.08 | 0.17 | 0.08 | 3.53 |
Profondità di chioma | 3.82 | 7.63 | 11.27 | 13.34 | 4.46 |
Superficie di chioma | 13.90 (0.04 ÷ 64.50) |
39.28 (9.36 ÷ 79.48) |
49.95 (4.43 ÷ 167.41) |
91.36 (39.10 ÷ 171.10) |
20.11 (0.04 ÷ 171.10) |
Il grado di copertura dell’area E indica che la copertura del suolo è pressoché continua con presenza di pochi vuoti di dimensioni molto piccole (Fig. 8).
In Fig. 9 è rappresentata la distribuzione di frequenza dei valori degli indici UAI e DBHDM in ciascun area. Dalla Figura si nota che la distribuzione dei fusti arborei nelle aree A, B e C tende ad essere di tipo casuale: l’indice UAI assume prevalentemente valori prossimi a 0.5. L’indice DBHDM mostra una ridotta dominanza dimensionale dell’albero di riferimento rispetto agli alberi vicini, con valori prossimi a 0. Ciò evidenzia ancora un volta la presenza di un numero elevato di piante nelle classi diametriche piccole.
Fig. 9 - Distribuzione delle frequenze relative degli indici UAI e DBHDM, in ciascuna area di saggio.
Nell’area D l’indice UAI indica una distribuzione delle piante sul piano orizzontale che tende a essere uniforme. L’indice DBHDM indica una graduale tendenza verso la diminuzione delle piante di diametro più piccolo e l’aumento di quelle con diametro più grande.
Dall’analisi dei dati si evince che il “Bosco di Baldo” presenta una struttura pluristratificata disetanea per pedali con piante di diverse dimensioni che si sovrappongono fra loro. I fusti sono molto vicini e data l’elevata densità si presentano diritti e con chiome inserite in alto, specie nelle piante più giovani, e che tendono ad ampliarsi quando hanno raggiunto lo strato superiore. La rinnovazione dallo stadio di novelleto a quello di perticaia è presente in modo continuo in tutto il bosco (Fig. 10 e Fig. 11). Il proprietario sostiene che le giovani piante che costituiscono la coorte di rinnovazione di una pianta pronta per essere utilizzata, anche se possono apparire aduggiate, dopo il taglio riacquistano vigore e si accrescono velocemente in altezza.
Legno morto
Nell’area E il volume totale di legno morto è risultato di 21.2 m3ha-1. Il volume degli alberi morti in piedi è di 11.7 m3 ha-1; il volume degli alberi morti a terra è di 3.1 m3ha-1; il volume delle ceppaie e di altri pezzi di legno morto a terra è rispettivamente di 5.2 m3ha-1 e 1.2 m3ha-1. Il rapporto tra volume di legno morto e volume di legno vivo è risultato pari al 6%.
I quantitativi di legno morto rilevati nell’area E sono la conseguenza della gestione capillare del “Bosco di Baldo”. Il proprietario utilizza le piante prima che inizi la fase di senescenza e i quantitativi di necromassa attribuibili alle piante piccole morte per concorrenza sono modesti.
Lo stato fitosanitario è buono con assenza di attacchi di patogeni o di insetti tali da favorire l’accumulo di grossi quantitativi di necromassa.
Discussione
Il “Bosco di Baldo” rappresenta un esempio, molto raro se non addirittura unico in Italia per le faggete, di taglio a scelta eseguito con criteri colturali in maniera puntiforme. Nel “Bosco di Baldo” il taglio a scelta colturale - applicato in maniera puntuale e ripetuto a brevi intervalli di tempo, con interventi localizzati e finalizzati all’eliminazione solo delle piante di grosse dimensioni - ha determinato la creazione di un bosco a profilo pluristratificato e con una struttura di fatto disetanea per pedali. Nel contempo ha garantito e garantisce al gestore un prodotto di buona qualità.
Nel nostro Paese gli esempi di applicazione di taglio a scelta per faggete pure o pressoché pure descritti in letteratura si riferiscono ad alcuni popolamenti dell’Italia meridionale trattati con taglio a scelta a piccoli gruppi ([34], [7], [24]).
Susmel ([34]) osserva che nella zona di Muro Lucano alcune foreste di faggio di proprietà privata sono state gestite con successo dal 1850 attraverso l’applicazione di un taglio a scelta che produceva legname di ottima qualità. Il taglio si eseguiva circa ogni 14 anni e produceva una struttura “irregolare” a piccoli gruppi. Ciancio et al. ([7]) hanno descritto la struttura e il trattamento tradizionalmente applicato nelle faggete di proprietà privata in Calabria, in alcune zone dell’Aspromonte, del Piano di Limina e delle Serre Vibonesi. Questo tipo di trattamento prevede, attraverso il taglio delle piante più grosse, l’apertura di gap di superficie compresa tra 40 e 100 m2 in numero variabile tra 20 e 30 a ettaro, distribuiti a macchia di leopardo sulla superficie. Anche in questo caso, analogamente a quanto descritto per il “Bosco di Baldo”, non vengono effettuati interventi colturali. L’elevata densità dei piccoli gruppi favorisce l’accrescimento longitudinale e la produzione di fusti di ottima qualità. Il periodo di ritorno tra due interventi successivi è compreso tra 8 e 10 anni. Il bosco che ne deriva presenta una struttura disetanea a piccoli gruppi con profilo pluristratificato.
Marziliano et al. ([24]) hanno analizzato le caratteristiche strutturali di alcuni sistemi forestali dell’Appennino calabrese, ricadenti nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Sono state esaminate diverse tipologie strutturali scaturite dal tipo di gestione applicata. In particolare: una faggeta monoplana, una faggeta pluristratificata, una fustaia mista di faggio-abete pluristratificata e un’abetina pluristratificata. Attraverso l’utilizzo di indici sintetici sono state caratterizzate le diverse strutture ed è emerso che l’applicazione di forme di trattamento riconducibili alla selvicoltura classica ha determinato strutture fortemente semplificate. Per converso il taglio a scelta favorisce la disomogeneità strutturale e i processi di rinnovazione avvengono con facilità e in tempi brevi, salvaguardando in tal modo l’efficienza e la stabilità del popolamento.
Dal confronto tra il “Bosco di Baldo” e i dati riportati dai predetti studi (Tab. 3) si evidenzia che i valori di area basimetrica e volume non differiscono molto da quelli riscontrati nelle faggete dell’Appennino calabrese. Il “Bosco di Baldo” presenta un diametro e un’altezza media minori e un numero di piante maggiore rispetto alle faggete calabresi per la numerosa presenza di piante di piccole dimensioni, probabilmente dovuta al periodo di ritorno più breve e alla maggiore capillarità degli interventi che caratterizzano la gestione di questo bosco. I volumi stimati per il “Bosco di Baldo” sono simili ai valori di provvigione minimale indicati da Ciancio et al. ([5]) per le specie tolleranti l’aduggiamento, pari a 300-350 m3 a ettaro. Tali valori sono stati proposti come parametro di riferimento al di sotto del quale non si deve scendere per non intaccare il “capitale naturale” e quindi la funzionalità del sistema bosco.
Tab. 3 - Confronto tra i dati dendrometrici del “Bosco di Baldo” e quelli di alcune faggete dell’Appennino Calabrese trattate a tagli a scelta a piccoli gruppi (soglia di cavallettamento 2.5 cm).
Sia il trattamento tradizionale dei boschi di Muro Lucano descritto da Susmel ([34]), sia quello applicato in Calabria, presentano analogie con il “Bosco di Baldo” per le finalità e gli obiettivi che si propongono di conseguire. Infatti, sia Susmel ([34]) sia Ciancio et al. ([7]) sia Marziliano et al. ([24]) osservano che attraverso il taglio a scelta applicato dai proprietari al di fuori di strumenti di gestione codificati, si mantiene la funzionalità del sistema e per di più si ottengono produzioni elevate e assortimenti di pregio.
Confrontando le caratteristiche del “Bosco di Baldo” con quelle descritte per boschi disetanei del Centro Europa, si possono fare alcune interessanti considerazioni. Secondo Schütz ([32]), foreste pure di faggio disetanee con una “appropriata” struttura per pedali (plenter) sono estremamente rare. La maggior parte si trova in Thuringia, alcune si trovano nel Jura Svizzero e nella Franche-Comté. In particolare, le faggete della Thuringia, che coprono circa 5000 ha, derivano da cedui composti e sono state trattate con taglio saltuario per pedali da lungo tempo, secondo una tradizione locale ben affermata e tramandata da generazione a generazione di forestali. Qui Schütz ha esaminato la Foresta di Langula Opperhausen e, utilizzando i dati di 5 inventari ripetuti ogni 10 anni dal 1955 al 1995, crea un modello di “equilibrio” che sostanzialmente conferma i parametri empirici utilizzati tradizionalmente, e indica come ottimale un volume a ettaro intorno a 250 m3ha-1 (D1.30> 7cm) che corrisponde a un’area basimetrica intorno ai 22 m2ha-1. Per mantenere l’efficienza del sistema disetaneo, Schütz indica come fondamentale la presenza di rinnovazione continua e un sufficiente passaggio a fustaia, che egli ritiene essere assicurato quando nella classe di diametro 10 cm (per classi di ampiezza 4 cm, da 8 a 12 cm) sono presenti almeno 99 individui. Le piante utilizzate nelle faggete della Turingia hanno diametri compresi mediamente tra 70 e 80 cm; inoltre, dai dati riportati da Schütz, si evince che il saggio di utilizzazione è relativamente scarso nelle classi diametriche inferiori. Analizzando i dati del “Bosco di Baldo” si può notare come l’area basimetrica rilasciata dopo il taglio colturale (area A), considerando le piante con D1.30>7.5 cm, si attesti intorno a 21 m2ha-1, quindi simile a quanto tradizionalmente applicato in Turingia, sebbene le caratteristiche del trattamento e del soprassuolo risultante siano alquanto diverse. Nel “Bosco di Baldo”, infatti, il diametro delle piante utilizzate è inferiore rispetto a quello tradizionale in Turingia e il numero di piante nelle classi più piccole risulta superiore.
Questo conferma come il trattamento a taglio a scelta colturale sostenga un sistema di organizzazione del bosco “flessibile” e che quindi dà i migliori risultati quando viene applicato secondo un approccio adattativo, cioè intervenendo in base alla risposta del sistema e non cercando di adeguare le caratteristiche strutturali a un modello predefinito.
Conclusioni
Il caso del “Bosco di Baldo” è interessante per due motivi principali. In primo luogo, perché rappresenta una testimonianza vivente di quei saperi locali che sono ormai praticamente scomparsi dalla gran parte del nostro territorio: il “Bosco di Baldo” e le pratiche colturali che lo perpetuano nel tempo meritano quindi di essere conosciute e conservate. In secondo luogo, perché il caso del “Bosco di Baldo” dimostra come sia possibile gestire un bosco al di fuori dei canoni della selvicoltura classica, di quella selvicoltura che facendo riferimento a una visione deterministica e meccanicistica della realtà, si basa su modelli strutturali predefiniti sui quali impostare la gestione.
Nel “Bosco di Baldo” il proprietario ha elaborato in maniera intuitiva una forma di trattamento che, basandosi sulla cura capillare del bosco, attraverso interventi calibrati sulle reali condizioni di ogni sua parte, mira a mantenere la capacità di rinnovazione garantendone la perpetuità. Adattando ogni intervento alla reazione del bosco il gestore si comporta secondo un approccio che, in definitiva, consente di agire in armonia con i processi naturali di autorganizzazione del sistema, senza condizionarne la struttura in base a modelli predefiniti di normalità, o peggio, di supposta funzionalità ecologica “ottimale”. Nonostante l’obiettivo dichiarato dal proprietario sia una produzione sostenuta di assortimenti legnosi di ottima qualità, il trattamento applicato, esperito nel tempo attraverso un continuo processo di apprendimento dall’esperienza, funziona perché di fatto mira principalmente al mantenimento dell’efficienza complessiva del bosco: si può quindi affermare che, sia la struttura del bosco, sia la produzione, sono una conseguenza del trattamento, e non viceversa.
L’analisi di queste forme di uso tradizionale, maturate nel tempo attraverso l’accumulo di conoscenza tipica della formazione dei saperi locali e di cui sono stati documentati, oltre che per le faggete meridionali, anche significativi esempi per le pinete di laricio della Sila ([6]) e per le pinete di pino d’Aleppo dell’Alto Ionio Cosentino ([8]), rappresenta una opportunità per delineare forme di gestione in grado di garantire nel tempo la conservazione del bosco attraverso un uso compatibile con la sua funzionalità.
Il “Bosco di Baldo” esprime in modo esemplare la possibilità di far coesistere la perpetuazione del sistema biologico bosco e la sostenibilità finanziaria e dimostra come, con la saggezza e l’esperienza, il proprietario-forestale sia capace di “leggere il bosco e scrivere il trattamento”, applicando di fatto intuitivamente un criterio fondamentale della selvicoltura sistemica.
Per usare le parole del proprietario: “Bisogna entrare in bosco avendo rispetto di lui. Rispetto significa capire che esigenze ha e agire con l’obiettivo di mantenerlo nel tempo”.
Ringraziamenti
Si ringraziano il Sig. Baldo e la sua famiglia per averci dato la possibilità di realizzare delle aree permanenti nel loro bosco, per la disponibilità dimostrataci nei diversi incontri e per averci trasmesso la loro preziosa esperienza e la loro passione nella gestione forestale.
Questo ricerca è stata in parte realizzata con i finanziamenti del Progetto pilota per monitorare i rapporti fra diversificazione della struttura dei soprassuoli forestali, gestione forestale e incremento della biodiversità stipulato tra l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dipartimento difesa della natura) e l’Accademia italiana di scienze forestali.
References
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